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TMT € Lf €( ret Cog Mt CCC % seo A pr ATTS NI NU o IRIUNRAATE di BS) LUTIUIANTI AI ni] CT MICA COUUIGICIO ATO RIA ta POOH MORTI (IPTANARON ISO DUI AULE (TEN NUNILÀ CERA (ON Siti Li tenia) Th MO TIMINIE IO tV Ì UERINTOSITO NATENRULI Mo) Ji SIGLA A er] MIVARRETT WANNA LI a Ù (I Hi VIVELESOIL: { IBIPIIICALOI ili Ne AAT Tani MUIUOÌ (A) Horn HAN no Bota SIMS MENO RUNE VAMINTNONI MALA) ANAL Mon [OTIATNONOIO TENANILOO i MITI NU OCRA) INCQIAI MO i Mi 7 Wat vii TRA ui Ù) Ita) PC NUO SSR dl RALIORIFAI O ui GI gs Meo vt anzi FA 1 VU DIE de 11 VEIL (IR a ATA (DALE Mi i Tal o Ù di î Lal Ù th Pa e E LACAN ai. 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Vice-Segretarj i j I i CamiLLo MARINONI, dottore in Scienze naturali, via S. Agnese, 5 Cassiere, GrusePPE GARGANTINI PIATTI, via del Senato, 14 MEMORIE DELLA SOCIETA ITALIANA DI SCIENZE NATURALI Tomo IV, N. 1. CORALLARI FOSSILI DEL TERRENO NUMMULITICO DELL'ALPI VENETE MEMORIA DI ANTONIO D’ACHIARDI PARTE SECONDA SLIM MILANO COI TIPI DI GIUSEPPE BERNARDONI 1868 i in 9) i nni A VRIVINNTO Ha RITI RIESI CORALLARJ FOSSILI DEL TERRENO NUMMULITICO DELL’'ALPI VENETE PARTE SECONDA © LITHOPHYLLIACE%, M. Edwgrds et Haime. Genere Pattalophyllia, m. Polipajo semplice, non aderente. Più corone di pali con i maggiori di essi davanti l’antipenultimo ciclo. Non columella. Lamelle finamente e ragolarmente denticolate. PATTALOPHYLLIA SUBINFL ATA, mM. Tav. I, fig. 6. 6. Polipajo al naturale. 6a. Margine superiore d’una lamella. 6 b Calice. Turbinolia subinflata, CATULLO. Dei ter. di sed. sup. delle Venezie, 1856, pag. 31, tav. II, fig. 2. Turbinolia subbilobata, CATULLO. Op. cit. 1856, pag. 31, tav. II, fig. 3. T'urbinolia turgidula, CatuLLO. Op. cit. 1856, pag. 32, tav. II, fig. 6. Caryophyllia pseudocalvimontii, CATULLO. Op. cit. 1847, pag. 11, tav. I, fig. 3. — 1356, pag. 45, tav. VI, fig. 3. (1) La prima parte di questo lavoro venne pure che sono compresi nelle famiglie delle Gorgonide, pubblicata dalla Società Italiana di scienze naturali delle Turdinolide, delle Oculinide e delle Astreide. nelle Memorie, vol. II, n. 4. Milano, 1866. Questa seconda parte fu presentata nell'adunanza di In essa è fatta la monografia di quei Corallarj giugno 1867. 4 A. D'ACHIARDI, Polipajo semplice, non aderente almeno nell’ età adulta, di lunghezza varia, a. estremità inferiore molto sottile e ricurvata normalmente all'asse maggiore del calice, che talora è quasi circolare, tal’altra volta ellittico ed anche un poco sinuoso nel mezzo. La superficie esterna è tutta striata da cima a fondo, e le coste diversamente spor- genti si riuniscono alle lamelle, facendo arco con esse sull'orlo calicinale. Le une e le altre sono numerosissime, contandosene alcune del sesto ciclo; si corrispondono per la loro relativa grandezza e presentano il margine superiore finamente e regolarmente denticolato, e i denti sono tutti uguali fra loro. Di fronte alle antipenultime lamelle veggonsi manifestissimi i pali, che si presentano pure di faccia agli altri cicli, benchè ivi in minor numero, forse a motivo della conservazione dell'esemplare, onde è a cre- dersi che si tratti di più corone, in mezzo alle quali, distribuite a seconda della con- figurazione del calice, non vedesi columella. Traverse endotecali non molto ab- bondanti. | Loc. Via degli Orti in Vall’Organa, entro le marne (1). — Bolca? Esemp. del Museo di Pisa 24. Fra i pochi generi a forma semplice del gruppo delle Littophy!/liacee a null’al- tro più che al genere Leptophyiia sì ravvicina questa nostra specie, ma non per tanto ne differisce essenzialmente per i pali, onde la necessità di farne un genere nuovo. La Caryophyllia pseudo-calvimontii di Catullo non è che un grosso esemplare di questa specie rotto in cima e in fondo, lo che non si giudicherebbe dalla figura che egli ne dà, la quale sembra invece raffigurare qualche cosa di analogo alla: Cario- phyllia Grumi del medesimo autore, la quale è invece una Montlivaultia. Ogni dub- bio però cade quando si vegga l’ esemplare autentico, che è tuttora sotto lo stesso nome nella collezione catulliana. L' esemplare da Catullo, descritto col nome di Ca- ryophyllia pseudocalvimontii, che è indubitatamente la stessa cosa di tutti gli altri molteplici e benissimo conservati tanto nostri che di Zigno e di Spinelli, se sia real- mente di Monte Grumi, come è scritto, non posso asserire, essendo l’unico esemplare fra tanti citato di quella località; mentre tutti gli altri identici fin nell’apparenza sono di Vall’Organa. In quanto a me credo sieno tutti delle marne eoceniche di via degli Orti. (1) Di questa stessa località ho pure riscontrate tre. la Barismilia exarata, m.(Ceratotrochus exaratus, M. altre specie che dovevano essere state descritte nella Edw.) e la Lophosmilia alpina, mi Vedi D'AcHIARDI prima parte; se; quando questa fu pubblicata, le avessi Studio comparativo (1868, pag. 26). conosciute. Tali specie sono la Placosmilia dilobata, m. CORALLARJ FOSSILI DELL’ALPI VENETE 5 Genere Leptophyllia, Reuss. LEPTOPHYLLIA PANTENIANA. Tav. II, fig. 2-9. Questa specie è già stata da me descritta col nome di Trochosmilia panteniana nella prima parte di questo lavoro, e ora la ho qui riportata perchè ho riscontrato le lamelle essere evidentemente e acutamente denticolate. Genere Miontlivaultia, M. Edwards et Haime. MontLIVauLTIA Gru. (1) Tav. VI, fig. 1,2,3,4e 5. li. Polipajo giovane al naturale. 2-5. Polipaj al naturale nelle diverse età. 2 b. Calice veduto dal di sopra. * Caryophyllia Grumi, CATULLO. Op. cit. 1847, pag. 11, tav. I, fig. 2. — 1856, p. 45, tav. VI, fig. 2. Caryophyllia pedata, CATULLO. Op. cit. 1847, pag. 18, tav. III, fig. 3. — 1856, pa- gina 49, tav. V, fig. 3. Caryophyllia dolium? CATULLO. Op. cit. 1847, pag. 12, tav. I, fig. 4. — 1856, pa- gina 45, tav. VI, fig. 4. Caryophyllia globularis, CATULLO. Op. cit. 1847, pag. 15, tav. I, fig. 8. — 1856, pag. 47, tav. VI, fig. 8. Montlivaultia Brongniartana, Mine EpwARDps et Harme. An. des Sc. Nat. 3"° ser. tav. X, pag. 259, 1849. — Hist. des Corall., 1857, tom. II, pag. 300. Phyllocenia irradians (pars)! De ScHauRroTH. Verseich... der Ver.... 1865. pag. 185. Polipajo semplice, dritto o solo leggermente curvato nelle parti inferiori, a base assai larga. Muraglia ricoperta da epitecio abbondante, ora disteso e ora raggrinzito in frequenti cingoli. In vicinanza dell’ apertura calicinale esso lascia allo scoperto le numerosissime coste (circa 150), alle quali corrispondono in numero le lamelle che per ciò costituiscono sei cicli completi. Le principali di quest’ ultime sono molto più sviluppate di tutte le altre, che differiscono fra loro tanto meno quanto più sono gio- vani. Non columella. Traverse endotecali frequentissime. Il limite assegnato da Milne Edwards e Haime all’ altezza di un tal polipajo non è esatto, nè se ne può far loro una colpa, non avendo avuto sott'occhio che un solo e mal conservato esemplare. Io ne ho studiati di tutte le dimensioni, e mi son convinto, che rimanendo costante il diametro calicinale, se pur talora non si restringe, può l’in- (1) Ho cambiato il nome di M. Brongniartana, quale è scritto sotto alla tav. VI, perchè anteriore agli altri il nome di Catullo, 6 ci A. D’ACHIARDI, dividuo accrescersi per lungo tratto in altezza. Ecco infatti le misure di alcuni indi- vidui, che ho fatto figurare. Larghezza del calice. Altezza del polipajo. Bio 20. cenira. 0) (Centimi no Ono ” RI ” 5 pad ” SA ” 7,5 LD ” SAZNO » 12 E non v'ha dubbio alcuno che non si tratti sempre della medesima specie, salvo forse l'esemplare rappresentato dalla figura 4, che ne differisce assai (1). La Caryophyllia globularis di Catullo non è che un esemplare estremamente lo- gorato, ond’ ha perduto l’epitecio non solo, ma la muraglia eziandio. La Caryophyllia dolium poi è un bel polipajetto a epitecio sviluppatissimo, che arriva fin quasi all’ a- pertura calicinale. La sua forma è un poco differente dalla comune dei nostri esem- plari, ma per ciò solo non ho creduto bene di farne una specie diversa. La Montlivaultia detrita citata da M. Edwards forse niente altro è che un im- perfetto esemplare di questa medesima specie. Loc. Monte Grumi di Castelgomberto. — Monte Bastia di Montecchio 1} fra la calcaria e i tufi. Esempl. del Museo di Pisa 9. Altri due esemplari, uno di Castelgomberto e l’ altro di Montecchio Maggiore sernbra appartengano a una specie differente (2). MONTLIVAULTIA ? LINGULA. Turbinolia lingula, CATULLO. Op. cit. 1847, pag. 33, tav. IV; fig. 2.-— 1856, pag. 33, tav. III, fig. 2. Polipajo dritto o solo pochissimo curvato, assai alto, a base ristretta, sovente molto compresso. Muraglia ricoperta da scarso epitecio, e di tanto in tanto sollevato in sporgenti cingoli irregolarmente annulari. Coste numerose, subeguali e in gran parte visibili. Calice ellittico. Lamelle molto numerose, ma difficile è contarle per il cattivo stato di conservazione. Le principali sono più sviluppate delle altre. Non columella. . La figura del Catullo non presenta i rilievi murali evidentissimi nell’ esemplare originale che essa rappresenta. Dubito poi della determinazione generica. Loc. Crosara e Colvene. Esempl. del Museo di Pisa 3. -. (1) Questo esemplare ‘infatti è stato da me stesso (2) Questi esemplari sono la stessa cosa di quelli riferito alla Epismilia glabrata, Reuss. (D'ACHIARDI, descritti di poi dal Reuss (Anth. der sch. von Castel- Studio comparat. fra î Coral. del Piemonte e dell’Alpi gomberto 1867) col nome di Cyathophyllia annulata. Venete. Pisa, 1868). A questo genere Epismilia ho pure Altre specie egli pure descrive che andrebbero qui ri- riferito alcuni esemplari di San Giovanni Ilarione (Ep.? portate, ma per ciò vedi quella sua monografia citata Hylarionensis, Ep. sp.) e il mio lavoro intitolato: Studio comparat., ecc. CORALLARJ FOSSILI DELL’ALPI VENETE 7 MONTLIVAULTIA? CASTELLINI, m. Tav. VI, fig. 6. 6 a. Polipajo al naturale. 6 b. Sezione longitudinale. Turbinolia Castellinii CArULLO. Op. cit. 1847, pag. 33, tav. IV, fio. 1. — 1856, pa- gina 32, tav. III, fig. 1. Polipajo ‘semplice, grande, a calice molto largo e irregolarmente ellittico. Coste molto sottili, numerosissime, alternativamente un poco differenti e ricoperte in parte d’epitecio. Lamelle pur numerose, ma molto più grosse, le quali per la maggior parte quasi uguali fra loro arrivano al centro con un corso flessuoso, così come accade per molte Trochosmiliae, onde risulta un calice quasi orizzontale. — Non columella. Tra- verse endotecali abbondanti. Loc. Castelgomberto, Monte Viale. Esempl. del Museo di Pisa 2. Genere Lepiomussa, m. Polipajo quasi sempre semplice; solo per mostruosità talvolta sdoppiato ; fisso ‘per una base più o meno larga. Forma variabilissima. Coste grosse, crestiformi, spi- nose. Epitecio poco sviluppato. Lamelle dentate e striate verso i margini, numerosis- sime, per la maggior parte ugualmente sviluppate. Traverse endotecali.abbondanti. Questo genere sta fra le Leptophylliae e le Mussae, onde il nome. LEPTOMUSSA VARIABILIS, M. Tav. VII, fig. 1-9. | 1-8. Varie forme della stessa specie. 9. Sezione trasversale di una parte del polipajo. Grosso polipajo variabilissimo nella forma, onde il nome; quasi sempre semplice, solo rarissimamente sdoppiato come vedesi nella figura 8 e meglio in altri esemplari venutici dopo che quella fu fatta. Ora è subconico (fig. 1), ora regolarmente con- formato a guisa di calice (fig. 2), ora contorto e a base ristretta (fig. 3), ora a base larghissima (fig. 4), ora basso e largo (fig. 5), ora alto e stretto (fig. 6), ora compresso (fig. 7), ora infine più o meno deformato da strozzamenti (fig. 2, 6, 8, ecc.). Coste grosse, alternativamente diverse in grandezza, crestiformi e dentate, essendo i denti spesso in foggia d’ aculei. Calice di forma variabilissima, più o meno profondo, ma sempre pochissimo. Lamelle in gran numero, smarginanti, grosse, maggiori e minori alterne, buona parte delle quali egualmente sviluppate arriva fino al centro del ca- lice, che è privo di columella. Tutte sono striate verso i margini, incisi in grandi lobi a lor volta denticolati. Traverse endotecali abbondanti. 8 A. D'ACHIARDI, Loc. Crosara, discendendo a Lavarda, tra le marne cerulee e la calcaria. — Monte Grumi di Castelgomberto e Montecchio Maggiore ?? Esempl. del Museo di Pisa 25. Esempl. del Museo di Firenze 7. Questa specie è importantissima per le considerazioni cui dà luogo. Primieramente, l’esempio di alcuni individui che si sdoppiano per generarne altri mentre quasi tutti gli individui della stessa specie rimangono semplici, dimostra chiaro come in certe condizioni della vita, che noi ignoriamo, possano darsi dei casi a prima vista in contradizione alla comune dei caratteri; ed ecco in ciò una nuova conferma a quanto ho sempre asserito, che cioè tutti i modi di moltiplicazione, fissipara, gem- mipara e ovipara, possano esser proprj di una medesima specie, salvo il predominio dell'uno di essi a qualificarne il genere o la famiglia. Nè per il caso nostro è a credersi che la semplicità dipenda da incompleto sviluppo, ossia giovinezza, avvegnachè si ri- scontri in moltissimi esemplari ben più grandi dei pochi composti, che possediamo. Secondariamente la variabilità delle forme per i var] individui con tutti i termini in- termedi fra l’ una e l’altra ci è nuova conferma della necessità di studiar molto e su : molti esemplari il valore dei varj caratteri. Già abbiamo vedute alcune specie, fra le quali la Leptophyllia Panteniana; ne vedremo altre e più ancora; in tutte è la stessa variabilità d’alcune parti, la costanza di altre; l'occhio del naturalista deve saper dun- que scernere i segni individuali dagli specifici, e in ciò sta appunto il vero studio, che muta la sterile enumerazione dei caratteri in feconda serie di considerazioni. Esista 0 non esista la specie in natura, come vi sono al presente alcuni caratteri sì distintivi che oltre ad essi non si può sconfinare, così dovette essere per il passato, e prima cura della paleontologia sia oggi l’assegnare più giustamente che sia possibile i confini alle numerosissime forme descritte e da descriversi. Quando non si abbiano molti e belli esemplari, si passi oltre, non importa: chi ad esempio, di questa specie non avesse veduto che gli esemplari rappresentati dalle figure 4 e 38, ne avrebbe fatte e descritte due specie, e avrebbe errato; a noi dunque, cui la fortuna ha concesso materia di studio, il pensiero e l'obbligo di far meglio. Genere Dasyphyllia, M. Edwards et Haime. DASYPHYLLIA COMPRESSA, Mm. Tav. VIII, fig. 1-2. 1, Individuo molto compresso. Ra. Individuo quasi cilindrico. 2 b. Coste ingrandite del doppio. Polipajo composto, fasciculato e in cima ordinariamente dicotoma. Polipieriti il più di sovente liberi per lungo tratto, onde quasi sempre se ne trovano i frammenti distaccati l’uno dall’altro e solo qualche volta tuttora raggruppati in fascio. La loro for- ma suole essere più o meno compressa, spesso tanto da risultare schiacciati; raramente CORALLARJ FOSSILI DELL’ALPI VENETE 9 sono cilindrici. — Muraglia nuda, cinta di tanto in tanto da sottili collaretti esotecali. Coste crestiformi ed echinulate (fig. 2 2), fra le quali se ne osservano altre finissime ed in vario numero. Calice di forma variabilissima, avente tre cicli di lamelle con al- cune di un quarto. Columella spugnosa, quale apparisce nelle sezioni, che ho fatte. Traverse endotecali evidenti. Loc. Salcedo. — Crosara, discendendo a Lavarda fra le marne cerulee e la cal- caria. Esempl. del Museo di Pisa 56. Esemp. del Museo di Firenze 9. Gli esemplari a forma cilindrica si avvicinano talmente ai polipieriti isolati di Brachyphyllia affinis, m. che è impossibile distinguerli nettamente. Sarebbe però errore riunire le due specie, chè qui non v' ha segno come in quella di gemmazione, ma sivvero di fissiparità. Il dubbio adunque può solo cadere sulle forme intermedie. Alcuni frammenti inviatici da Vienna col nome di Calamophyllia multicinta, Rss. somigliano immensamente a questi nostri, con cui a prima vista si confonde- rebbero; ma osservati attentamente vedonsi avere le coste più fitte, sottili e taglienti. Della columella mal si giudica in essi; quel che è certo si è che i cingoli esteriori non sono epitecali come vorrebbe M. Edwards, ma esotecali come afferma il Reuss, e quindi non può essere il caso di una Calamophyllia, come la chiama quel primo. (Calamophyllia multicinta.) i DaAsyPHYLLIA MENEGHINIANA, m. Bellissimo polipajo cespuglioso, a rami tanto compressi che risultàno quasi lami- nari, biforcantisi ad angolo acuto, stipati uno sull'altro e allargantisi a misura che si elevano in foggia di ventaglio semichiuso. Muraglia nuda ricoperta da sottili coste sporgenti alternativamente disuguali e granulose. Cingoli esotecali rari ed esilissimi. Calici estremamente compressi. Lamelle numerose e sottili. Del loro numero e natura così come della columella mal si giudica a motivo dello stato di conservazione degli esemplari. Loc. Colvene presso Lugo. — Negli strati sottoposti ai tufi superiori di Sangonini. Questa specie differisce dalla precedente per la maggiore compressione dei poli- pieriti, per la sottigliezza delle coste, cingoli esotecali, ecc., non che per la forma generale flabellata del polipajo. - DI 10 A. D'ACHIARDI, Genere Calamophyllia, M. Edwards et Haime. CALAMOPHYLLIA PSEUDOFLABELLUM. Tav. VIII, fig. 3-7. 3 a. b. Frammento cilindrico e suo calice al naturale. 4a. b. Frammento compresso e suo calice al naturale. 4c. Traverse endotecali oblique del medesimo. 5 a. b. Frammento dicotomo e calici al naturale. 6. Fascio di polipieriti al naturale. 7. Sezione della roccia calcarea includente il polipajo. Lithodendron pseudoflabellum, CatuLLO. Dei terr. di sed. sup. delle Venezie, 1847, pag. 21, tav. II, fig. 3. — 1856, pag. 38, tav. IV, fig. 3. Dasyphyllia Michelotti, MicsrLotTI. Études sur le mioc. inf, de l'Italie sépt., 1861, pag. 39. Calamophyllia fasciculata? Reuss. Die fossilen von Oberburg, 1864, pag. 15, tav. II, fig. 13 e 14, tav. III, fig. 1. Trochoseris distorta (pars), De ScHauROTH. Verzeichniss des Ver....... 1865, pag. 186. Polipajo fasciculato, a polipieriti più o meno divaricati fra loro. Le ramificazioni si scindono per dicotomia, e secondo la condizione nella quale sonosi sviluppate assu- mono aspetto diverso, che ora sono cilindriche, ora estremamente compresse ed anche ripiegate longitudinalmente, dal che la varia figura dei calici, quale vedesi nei dise- gni, che non esprimono nè meno il caso più esagerato. Muraglia grossa, che forma di tanto in tanto dei collaretti, ora poco, ora molto rilevati. Coste assai grosse, nude, subeguali, pianeggianti; nessun segno d’essere state spinose o echinulate come nel ge- nere Dasyphyllia; fra le maggiori talora se ne vedono alcune altre minutissime. Epi- tecio rudimentale. Lamelle numerose, contandosene circa 50 nei calici più grandi, in quelli però nei quali un tal numero non può esser dovuto a incominciata fissiparità. In quelli poi per tal ragione allungati in ellisse più o meno regolare con sinuosità nel mezzo quel numero è di gran lunga maggiore. Queste lamelle sono per metà svi- luppatissime ed ugualmente fra loro, tanto da toccarsi nel centro o linea mediana in modo da rappresentarvi spesso una falsa columella, mentre per l’altra metà non giun- gono che a piccola distanza dalla muraglia; tutte sono poi collegate da numerose ed oblique traverse endotecali. Questa specie trovasi ora in frammenti distaccati, ora in fasci di più polipieriti, ora immedesimata nella calcaria, entro la quale si distingue per colore diverso e strut- tura più cristallina. . Loc. Monte Grumi di Castelgomberto, e Santa Trinità di Montecchio Maggiore. Esempl. del Museo di Pisa 16. Esempl. del Museo di Firenze 6. CORALLARJ FOSSILI DELL’ALPI VENETE 11 La Calamophyllia fasciculata di Reuss credo sia la stessa cosa di questa, che se in alcuni dei nostri esemplari i collaretti murali sono molto sviluppati, in altri in- vece (fig. 4) sono pochissimo, e si ha perfetta rassomiglianza con la figura che egli ne dà (1). E così credo sia della Dasyphyllia Michelottii del terreno di santa Margherita presso Cairo in Piemonte, tanto più che lo stesso Michelotti ci ha da quella località inviato sotto un tal nome un esemplare affatto identico nella forma ad alcuni nostri, come per esempio a quello rappresentato dalla fig. 3, e un altro fasciculato che cor- risponde a quello della fig. 6. Le coste non son certo di DasypAy?Zia, la columella è rudimentale, e l’avverte pure M. Edwards; vi ha dunque tutta la verisomiglianza che anche la Dasyphyllia Michelotti, altro non sia che una Calamophyllia identica o almeno molto rassomigliante alla nostra. Dirò di più, Michelotti stesso le ha riunite e si sarebbe apposto al vero, se non avesse errato il genere. CALAMOPHYLLIA PLANICOSTATA, Mm. Tav. VIII, fig. 8. Polipajo fasciculato, a grosse ramificazioni un poco ed irregolarmente compresse e divaricantisi per fissiparità ad angolo molto acuto. Coste grosse pianeggianti. Col- laretti murali rari e appena visibili. Contorno dei calici irregolare. Lamelle numero- sissime, meno però di cinque cicli completi. Epitecio rudimentale. Traverse endote- cali abbondanti. Questa specie differisce dalla precedente per maggior grossezza delle ramifi- cazioni, per la quasi mancanza di collaretti murali, per le coste più rare e più pia- neggianti e per le lamelle tutte molto sviluppate. Loc. Cavallo nel Veronese. Esempl. del Museo di Pisa 2. Esempl. del Museo di Firenze 2. (1) Questa identità specifica mi è ora confermata vanno denominati col nome specifico del Catullo agli dall'avere Reuss stesso riferiti alla sua Calamophyllia altri nomi anteriore. fasciculata gli esemplari di Monte Grumi, che però 12 A. D'ACHIARDI, Genere ERhahbdophyllia, M. Edwards et Haime. RHABDOPHYLLIA STIPATA, m. (1) Tav. VI, fig. 7 e 8? 7 a. Polipajo al naturale. 7 Db. Calice ingrandito. 8? Polipajo al naturale. Polipajo fasciculato, costituito come da tante bacchette stipate una a canto all’al- tra, cilindriche o subcilindriche, quasi parallele fra loro per il piccolo angolo di bifor- cazione dei polipieriti e larghe da 5 a 7 millimetri. Muraglia percorsa da coste sub- eguali, qua e là ricoperte da un rudimento d’epitecio. Quattro cicli di lamelle, l’ultimo raramente completo. Quelle dei tre primi cicli ugualmente sviluppate arrivano alla columella, che è spugnosa ed evidentissima, le altre interposte si arrestano a non grande distanza dalla muraglia. Non collaretti murali. Traverse endotecali rare. In alcuni esemplari esistono soltanto le cavità improntate, lasciate dal polipajo che si è disfatto. La figura 8 rappresenta un fascio di polipieriti più sottili e anche più stipati del solito; forse poteva farsene una specie nuova, ma per ciò solo e per un unico esemplare non ho creduto fosse ben fatto. Loc. Castelgomberto (Vicentino). — Fumane (Veronese). Esempl. del Museo di Pisa 4. Esempl. del Museo di Firenze 1. Genere Thecosmilia? M. Edwards et Haime. Nessun’ altra specie mi ha mai fatto perdere tanto tempo, non stancata tanto la mia mente quanto quelle da me riferite a questo genere. E pure intere settimane pas- sate osservando attentamente ad uno ad uno diecine e diecine di esemplari e a scar- tabellare libri su libri, null'altro frutto mi hanno arrecato che il dubbio nella ricerca del genere. Se non che questa lunga fatica convincendomi sempre più della grande difficoltà di saper giustamente apprezzare e distinguere le differenze specifiche dalle individuali, questo vantaggio mi ha pur sempre recato, di avermi reso cioè più fami- gliare il criterio per quella distinzione. Se nella natura vivente riesce difficilissimo, se non impossibile, l’assegnare i limiti della variabilità delle specie, nella natura fossile il giudicare del valore che ad essa (1) D'AcHIARDI, Studio comparativo, 1868. Un'altra specie è la Ah. tenuis, REUSS. V. Memoria cit., pag. 62-63. CORALLARJ FOSSILI DELL'ALPI VENETE 13 va attribuito è spesso cagione di errori maggiori, e tanto più in quanto il nostro giu- dizio si fonda il più di sovente su pochi e mal conservati termini di confronto. Per fortuna il mio esame si raggirò quasi sempre su belli e copiosi esemplari, e quindi se non mi fu dato di collocar queste poche specie in tal posto che niuno poi ve le possa levare, d’altra parte mi sono studiato di assegnare a ciascuna di esse quei con- fini che mi sono sembrati i più naturali. Forse avrei dovuto farne un genere nuovo, ma appunto quei caratteri sui quali avrei potuto e dovuto fondarlo non son così eviden- temente certi e distinti da autorizzarmi a ciò. L’irregolarità dei calici, la mancanza della columella, lo sviluppo e granulazione delle lamelle, la presenza delle traverse endotecali sta tutto bene come nelle decise Thecosmiliae; i dubbj cadon solamente sull’epitecio e sui denti, un poco diverso il primo, se pure esiste, da quello che soglia essere comunemente in quel genere e solo conservato raramente e in piccoli brani; mal certi i secondi. Pertanto m’era venuto il dubbio che potesse essere il caso di un’ Euphylia, dabbio che m'era in parte conformato dalla somiglianza con le due specie fossili di Euphylliae, Lucasana e Micheliniana, citate da M. Edwards; ma finalmente fra questi due generi Euphyllia e Thecosmilia ho preferito il secondo, ‘ non solo per caratteri a quel primo contradittorj e per la incertezza del posto asse- gnato a quelle due specie fossili soprammentate, quant’ancora per la non minor so- miglianza di molti dei nostri esemplari con le figure e descrizioni d’ alcune specie riconosciute per vere Thecosmiliae (Th. Requieni, sinuosa, deformis e lobata). E non ho anche finito coi dubbj, un altro pur me ne viene tutte le volte che pongo a con- fronto gli estremi termini di queste specie coi primi di altre che ho riferite ai generi Mycetophyllia e consimili, essendochè m'appariscano collegati da un qualche rapporto di somiglianza e di struttura. THECOSMILIA CONTORTA. Tav. IX, fig. 1-15. — Tav. X, 1-4. Lobophyllia contorta, CATULLO. Dei terr. di sed. ecc. 1847, pag. 19, tav. IV, fig. 10. — 1856, pag. 52, tav. III, fig. 10. LobophyIlia pulchella, CAaruLLO. Op. cit. 1347, pag. 30, tav. IV, fig. 11. — 1856, pag. 53, tav. III, fig. 11. Turbinolia unisulcata? CatuLLO. Op. cit. 1847, pag. 38, tav. IV, fig. 7. — 1856, pag. 34, tav. III, fig. 7. Caryophyllia bisulcata, CatuLLO. Op. cit. 1847, pag. 19, tav. II, fig. 1. — 1856, pag. 49, tav. IV, fig. 1. Caryophyllia pseudo-cernua, CATULLO. Op. cit. 1847, pag. 20, tav. II, fig. 2. — 1856, pag. 49, tav. IV, fig. 2. Lobophyllia calyculata? CatuLLO. Op. cit. 1847, pag. 28, tav. II, fig. 7. — 1856, pag. 52, tav. IV, fig. 7. Trochoseris distorta (pars), De ScHAuUROTH, Verzeichniss der Verst...... 1865, pag. 186. 14 A. D'ACHIARDI, Eccomi in un mar d’' incertezze; mi trovo davanti più che 80 esemplari, tutti si somigliano, tutti diversificano fra di loro: sono come i figli d’uno stesso padre, come i fiori d’una medesima pianta; malgrado le loro differenze è impossibile non ricono- scerli per generati tutti da un medesimo ceppo. Nel caso nostro adunque la diversità della forma rientra nel novero dei caratteri individuali, e si debbono quindi riunire tutti gli esemplari, dei quali parliamo, in un’unica specie, contrassegnata dai seguenti caratteri. Polipajo conformato a cespuglio più o meno raccolto e talora tanto da diventare sabmassiccio, variabilissimo nella forma per il portamento dei polipieriti, che ora sono per lungo tratto divist, ora associati in vario numero, ed ora pur’ anco confusi come in un medesimo corpo. Superficie esterna del polipajo solcata da pieghe longitudinali e trasverse in vario numero e senz’ordine speciale. Muraglia percorsa da numerose coste, alternativamente disuguali, quasi sempre allo scoperto e solo raramente velate da brani di una pellicola, che sembra epitecio; il quale, se è, è adunque molto meno sviluppato che non soglia essere nelle comuni Thecosmiliae, se pure, lo che mi sembra improbabile, la sua mancanza o searsità non sia da attribuirsi alla fossilizza- zione. Calici a contorni irregolarissimi e variabili a seconda della più o meno progre- dita fissiparità; ordinariamente allungati e spesso in varia guisa flessuosi. Lamelle numerose, un poco smarginanti, disuguali, grandi, a lati granulosi, a margini ar- cuati che pajono finamente seghettati, lo che per altro è dato constatare di rado per la quasi abituale loro corrosione. 'Fraverse endotecali frequenti. Non columella. Per meglio intendere i graduati passaggi fra le varie forme spiegherò che rap- presentino quelle che ho figurate. Tav. IX. Fig. 1. Sezione di un polipierita. — Vi si vedono le lamelle con i loro margini, che pajono seghettati, e su di esse e,fra esse i granuli e le traverse endotecali. — Sezione ingrandita. » 2. Giovane polipierita con tracce d’epitecio. » 3. Altro polipierita. » 4a. Esemplare composto di più individui allineati in serie. »n 45. Calice del medesimo, ove si distinguono i vari centri individuali. » 5. Altro consimile esemplare a forma più irregolare e contorta, simile a quelli di cui Catullo ha fatto la sua Lobdophyllia calyculata. » 6a. Esemplare composto di più individui l’ uno all’altro completamente immede- simati. n 60. Calice del medesimo. » 7. Esempio di fissiparità e gemmiparità insieme associate. » $. Esempio di fissiparità inoltrata. » 9-11. Esempj di fissiparità avvenuta. I giovani polipieriti già si veggono con i loro calici completamente isolati uno dall’altro. CORALLARJ FOSSILI DELL’ALPI VENETE 15 Fig. 9. Esemplare che oltre la fissiparità mostra la superficie murale velata da una sottil pellicola biancastra, che però non saprei decidere se dovuta all’ epitecio O piuttosto a una incrostazione calcarea frequente sulla muraglia dei Corallarj imperforati. » -12. Esempio di fissiparità anche più inoltrata che nei casi precedenti. n 13. Polipierita allungato. » 14. Fascio di var] polipieriti allungati e insieme strettamente associati. » 15. Altro fascio di forma diversa e costituente pure una diramazione molto allun- gata. Nel bel mezzo dei calici che tendono a dividersi, vedonsi come varie piccole gemme. Tav. X. Fig. 1. Cespuglio di varie diramazioni separate fra loro per breve tratto. » 2. Fascio o mazzo di più diramazioni variamente allungate in traverso, ma se- parate fra loro per brevissimo tratto, onde il polipajo risulta submassiccio. » 3. Altro fascio di forma diversa che presenta estrema analogia con alcuni esem- plari da me riferiti alla Mycetophyllia italica, m. » 4. Esemplare che sembra ricoperto d’epitecio, onde dubito che debba qui an- noverarsi. Loc. Monte Grumi di Castelgomberto, Monte Viale e Crocetta. — Nella colle- zione del Pasini in Schio ne ho veduto esemplari provenuti da Torreselle, e da Gam- bogliano. Esempl. del Museo di Pisa 72. Esempl. del Museo di Firenze 9. Nella collezione del Catullo in Padova non si trovano le forme più complicate, e quindi egli non ne ha data la descrizione; pur non ostante degli esemplari che pos- sedeva ha fatto varie specie, secondo il suo solito eccedendo nel dividere. Nel vizio opposto è caduto invece il signor De Schauroth, che visitate le collezioni di Padova e studiati gli esemplari di quella di Coburgo, ha confuso in una sola 35 e più specie già distinte dal Catullo, le quali in massima parte a tutt’ altra che a questa vanno ravvicinate. Nè si è contentato di ciò, ma ha scelto per tutte il genere Zrochoseris, che ne è lontano le mille miglia. Vero è che alcuni caratteri come coste, granuli, grandezza delle lamelle, mancanza della columella sono comuni alla massima parte di quelle 35 e più specie catulliane, ma questa coincidenza d’ alcuni caratteri accompa- gnata da ugual modo di fossilizzazione (e a ciò si ponga ben mente) non deve far traviare il nostro giudizio, che sarà giusto solo allora che si fonderà su tutti i carat- teri essenziali anzichè sopra una parziale rassomiglianza. Che se è poi anche vero che alcune delle forme da me qui riferite somigliano molto ad altre che ho riferite invece alla Mycetophyllia italica, cid non inferma per nulla la forza delle mie parole contro la confusione che delle surrammentate specie catulliane si è fatta. Lo ripeto, se un 16 A. D'ACHIARDI, dubbio mi resta è sul genere; nullo serupolo ho d’ avere abbattuto quell’ edifizio Schaurothiano costruito con materiali tanto diversi (1). THECOSMILIA ? MULTILAMELLOSA, m. Tav. X, fig. 5-6. Polipajo non molto alto, a diramazioni unite per lungo tratto , onde risulta quasi massiccio. Superficie inferiore percorsa da coste alternativamente maggiori e minori, e ricoperte da una pellicola forse epitecale in gran parte disfatta per la fossilizzazione. Polipieriti in stretta unione e in vario numero, ma sempre distinti per i loro centri calicinali. Essi costituiscono delle serie irregolarmente flessuose e separate l’ una dal- l’altra per piccolo solco. Lamelle numerosissime e sottili, riunite da una quantità straordinaria di traverse endotecali. Differisce dalla specie precedente per l’ unione più intima dei polipieriti e delle serie che essi formano, per il maggior numero e sottigliezza delle lamelle e per le tra- verse endotecali più abbondanti. Vi ha poi un ravvicinamento con la mia Myceto- phyllia lamellosa per alcuni, caratteri, specialmente per le lamelle e per le traverse; mi limito a notare questa rassomiglianza, ma per ora almeno non credo dover con- fondere in una queste due specie, quantunque anche per questa, come per la prece- dente, mi restino ancora molti dubbj sul posto assegnatole. Ì Loc. Castelgomberto. Esempl. del Museo di Pisa 2. Genere Spinellia, m. Polipajo composto, disteso in lamina peduncolata nel mezzo, a polipieriti per la massima parte uniti in serie ora brevi, ora lunghe, variamente flessuose e disgiunte nella loro parte superiore, dimodochè fra l’una e 1’ altro rimangono degli ambulacri. Epitecio molto sviluppato. Columella nulla. Centri calicinali distinti. Ecco un genere nuovo di cui non ho potuto fare a meno. Ha una qualche rasso- miglianza col genere Diploria, e la figura che M. Edwards dà della Diploria Stokesì (Hist. des Coralli. 1857, pl. D 4 fig. 3), s'assomiglia assai ad alcuno dei nostri esem- plari, che per altro se ne distinguono essenzialmente per i centri calicinali distinti e per la presenza dell’ epitecio. Più che ad ogni altro ho creduto bene di ravvicinare (1) Di questa specie Reuss ha fatto un genere que va; detta Plocophyllia contorta così come la se- nuovo, che adottai subito che lo conobbi; non con- guente va denominata Plocophyllia multilamellosa. vengo però secolui nel fare quattro specie degli esem- Vedi D’AcHIARDI, Studio comparativo fra i Coral. plari da me raccolti in una sola. Questa specie adun- del Piemonte e dell’ Alpi Venete. Pisa, 1868. CORALLARJ FOSSILI DELL’ALPI VENETE 17 questo nuovo genere al genere Thecosmilia, essendochè alcune specie di questo pre- sentino pure i loro polipieriti fusi insieme, e vi sia una qualche analogia fra alcuni degli esemplari delle due precedenti specie e questi di che si parla, quantunque fra loro differentissimi, se considerati nel loro insieme. Ho nominato questo genere ad onore dello Spinelli di Venezia, dal quale ne ab- biamo ricevuto i materiali. SPINELLIA PULCHRA, m. Tav. X, fig. 7. 7 a. Faccia superiore del polipajo. 7 b. Faccia inferiore del medesimo. Polipajo disteso in lamina peduncolata nel mezzo con ristretta superficie d’ at- tacco. Muraglia comune a margini un poco volti all’ingiù, onde la faccia superiore del polipajo risulta leggermente convessa. Epitecio sviluppatissimo. Polipieriti raccolti in serie più o meno lunghe, flessuose e come addossate una sull'altra, quantunque se- parate da ristretti ambulacri. Larghezza delle serie calicinali varia fra i 5 e i 6 milli- metri, essendo anche maggiore nelle più brevi e nei calici isolati. Lamelle numerose, disuguali, fragilissime; probabilissimamente furono dentate, ma non si può asserire con certezza per la loro logorazione. Columella nulla o rudimentale. Loc. Roncà. Esempl. del Museo di Pisa 3. Generi Symphylia e consimili, M. Edwards et Haime. Un numero grande d’esemplari vanno certo riferiti a questo gruppo: la presenza dei denti, la prevalente moltiplicazione fissipara, che per altro in alcuni casì è assai difficile poter distinguere dalla gemmipara marginale e calicinale (onde potrebbe anche darsi di aver qui comprese alcune Latim@andre), non permettono d’allonta- narsene. E ciò sia pure, ma come esser sicuri della scelta dell’ uno o dell’altro di tali generi distinti principalmente dai denti a seconda che sono maggiori o minori verso il centro o la periferia dei calici, quando di denti raro è che una qualche traccia si sia conservata nella fossilizzazione? -Pel caso nostro la buona fortuna ha voluto che in varj esemplari sieno tuttora ben distinti i denti, e in altri se ne possa con tutta probabilità arguire la presenza passata, ma il volere anche per quei primi rilevare la loro relativa grandezza, sarebbe più che d’osservazione, lavoro d’immaginazione. Cade quindi quel criterio che ci è guida nello studio dei Corallarj viventi. Per altri generi si può ricorrere ad altri caratteri, per questi non così facilmente, essendochè la pre- 5) 18 A. D'ACHIARDI, | senza e sviluppo della columella e dell’epitecio, il numero delle lamelle, la maggiore o minore profondità e larghezza delle vallecule, altezza e acutezza delle colline, la mag- giore o minore adesione della muraglia, la frequenza delle traverse e tante altre par- ticolarità non sieno così distinte ed assolutamente proprie a ciascuno di essi generi da non lasciare termini di passaggio da uno all’ altro; ma vadano anzi piuttosto con- siderate come estremamente variabili non solo nelle specie di genere diverso e dello stesso genere, quant’ancora fra i var) esemplari della medesima specie e perfino nelle varie parti di un medesimo polipajo. Infatti io ho studiati molti esemplari; ho contato ad esempio le lamelle che occupano lo spazio di un centimetro sulle varie parti delle colline di uno stesso esemplare, e ho riscontrato non costante il numero loro. Il dire adunque nella tale specie son tante lamelle nello spazio di un centimetro, nella tal’al- tra tante, anzichè facilitare, complica lo studio; dirò di più, lo confonde. Ho misurata la larghezza e la profondità delle vallate calicinali, e ho sempre trovato essere varia- bilissima, e a prova di ciò ho riportato i termini estremi di una medesima specie. Nè basta: sopra uno stesso esemplare nell’una sua parte ho vedute le serie intimamente unite fra loro, disgiunte invece nell’ altra; onde là le colline a cresta tagliente, qui a dosso solcato, e così per tutto il resto; per lo che mi son dovuto sempre più convin- cere del poco valore di quei caratteri considerati come assoluti e della grande rasso- miglianza che passa fra tutti questi generi, che mi è avviso non essere stati con molta giustezza distinti l’uno dall’altro, con nessun vantaggio per lo studio dei Corallari vi- venti, con grande discapito certo per quello dei fossili. E che vi sieno grandi difficoltà nel riferire sì fatti polipa] fossili all’uno piuttosto che all’altro di questi generi mi è pur confermato dall’ incertezza con la quale hanno proceduto gli stessi sommi maestri M. Edwards e Haime, che non una sola specie vi hanno riferita senza esitazione e dubbiezza. — E ciò sia detto per mio discolpa, se nel difficile compito di assegnare il proprio posto a ciascuna specie abbia pur io pro- ceduto con titubanza non piccola. De Schauroth, come già dissi per il genere Thecosmilia? ha riferito tutte queste specie di Corallarj composti ad una sola specie di un genere principalmente qualifi- cato dalla semplicità del polipaJo! Genere Symphyllia, M. Edwards et Haime. SYMPHYLLIA SERPENTINOIDES. Tav. XI, fig. 1. 1 a. Faccia superiore del polipajo. 1 b. Faccia inferiore del medesimo. Meandrina serpentinoides, CatuLLOo. Dei terr. di sed. ecc. 1856, pag. 70, tav. IX, fig. 8. Symphyllia Tiedemanni? M. Epwarps et Hamer. Hist. des Coral., tom. II, pag. 372, 1857. Trochoseris distorta (pars), De ScnauRoTH. Verzeichniss der Verst...., pag. 137, 1865. CORALLARJ FOSSILI DELL'’ALPI VENETE 19 Polipajo massiccio, poco alto, ma molto esteso orizzontalmente. Faccia inferiore nuda, percorsa da numerose coste denticolate e da rilievi e incavi longitudinali. Fac- cia superiore piana, tutta solcata da larghe e assai profonde vallecule calicinali, sepa- rate da serpeggianti colline spesso interrotte e a spigolo tagliente. Lamelle inflesse verso i centri calicinali quasi sempre distinti, alternativamente maggiori e minori, fitte, fragili, granulose ai lati e a margini profondamente dentati, come ne fanno fede molte fra esse, che tuttora conservano i loro denti, i quali sembrano essere stati tanto maggiori, quanto più esterni. Columella rudimentale, se pure esista. Celle o spazi in- tersettali profondi, lo che si rileva facilmente dalle lamelle e dalla relativa posizione che hanno presa fossilizzandosi. Larghezza delle vallate calicinali varia da un centi- metro a tre, profondità poco minore di uno. Loc. Salcedo. — Crosara, discendendo a Lavarda fra la calcaria e le marne cerulee. Esempl. del Museo di Pisa 6. Esempl. del Museo di Firenze 1. Questa specie differisce dalle comuni SympAy/liae per la mancanza di columella, ma per non minori caratteri differisce pure dagli altri generi affini. Così dalle Iso- phylliae per le serie non brevi e per la mancanza d’ epitecio, mentre per il numero delle lamelle e per la profondità degli spazi o celle intersettali e delle vallecule calici- nali (caratteri che, come ho detto, non credo sieno molto importanti) differisce dalle Mycetophyllice, che poi sogliono avere tutt’ altro portamento. Per la columella e per l’epitecio s’allontana dalle Ulophy!liae, per l'altezza della muraglia dalle Tridacophyl- liae, e finalmente dalle Co/pophylliae per l’intima unione delle serie, Pertanto ho creduto ben fatto assegnarle un tal posto. Se la Symphyllia Tiedemanni di M. Edwards sia la stessa cosa non posso assi- curare; il giacimento e la descrizione sarebbero per il sì. Non v’ha poi dubbio sull’ i- dentità specifica con la Meandrina serpentinoides di Catullo; e questi aveva ragione ad accennarne la rassomiglianza con la Ulophyllia profunda di M. Edwards, essen- dochè se si abbia un frammento con la faccia inferiore logorata o chiusa nella roccia, e le vallecule non tanto larghe, si ha la piena corrispondenza dei caratteri con questa specie, cui d’altronde lo stesso M. Edwards non ha assegnato un posto sicuro. La Symphyllia cristata del Catullo ha pure con questa specie strettissima analogia. SYMPHYLLIA BICARENATA. Tav. VIII, fig. 9 e 10? Meandrina bicarenata, CATULLO. Dei terr. di sed. sup. delle Venezie, p. 70, tav. IX, fig. 7. — 1856. T'rochoseris distorta (pars), De ScHAurOTA. Verzeichniss der Verst.... pag. 187, 1865. Polipajo massiccio, poco alto. Superficie inferiore variamente ripiegata e percorsa da numerose coste un poco disuguali, finamente denticolate, certo granulose. Epitecio 20 A. D'ACHIARDI, rudimentale. Faccia superiore subplana o leggermente convessa. Serie di polipieriti saldate fra loro e solo libere nell’ estrema loro porzione superiore, onde le creste delle colline appariscono leggermente solcate. Vallecule lunghe, flessuose, poco profonde e variamente larghe, onde mentre raggiungono quasi i due centimetri di larghezza là ove si dilatano, arrivano appena a cinque millimetri là dove invece si restringono. La- melle numerose, sottili, coperte di fitti e minuti granuli, alternativamente maggiori e minori, se ne contano da 22 a 28 nella lunghezza di un centimetro. Traverse endote- cali abbondantissime. Della columella nulla si può dire. Differisce dalla specie precedente per le vallecule più strette e meno profonde, per le colline meno alte e a cresta solcata, per le lamelle più brevi, meno flessuose e meno fragili. Loc. Monte Grumi di Castelgomberto. — Crosara. — Brendola (Canzo) Esempl. del Museo di Pisa 3. Esempl. del Museo di Firenze 1. La libertà delle serie nella loro estrema porzione superiore costituirebbe per que- sta specie un termine di ravvicinamento alle Co/pophyllae, che per gli altri caratteri non ne differiscono troppo; se non che l'unione delle serie non si fa già per le coste, ma sivvero ed intimamente per le muraglia; quindi ho preferito il genere Symphy/ia, tanto più che in esso molte specie presentano appunto questa particolarità delle colline a cresta solcata. La fig. 10 (Tav. XI) rappresenta un esemplare che non differisce dai precedente- mente descritti se non per il suo portamento e per le coste che non appariscono den- ticolate. Quest’esemplare è della calcaria grossolana di Castelgomberto e per quei soli caratteri non ho creduto ben fatto separarlo dagli altri, cui però non posso nè meno riunire attesa la mancanza dei termini intermed) (1). Debbo inoltre avvertire che passa gran somiglianza fra alcuni di questi esemplari e altri considerati come Latim@eandre; e la stessa fig. 9, che è assai mal fatta, ci richia- ma la mente più ad esse che alle Sympky/Ze. Nulla di più facile adunque che alcuni dei nostri esemplari possano forse riferirsi alla Latimeandra Michelottii di G. Haime o viceversa; e questa somiglianza io noto tanto più volentieri in quanto che quel genere Latimeandra mi sembri e mi sia un poco indigesto. Genere MIycetophyllia, M. Edwards et Haime. A questo genere riferisco alcune forme già rammentate e figurate dal Catullo. Trat- tasi di polipaj composti, massicci, collegati fra loro da intimi legami di somiglianza e di struttura, alcuni dei quali polipaj se differiscono un poco dalle comuni Myceto- (1) Questo esemplare ho di poi riferito alla Mete- tivo fra î Coralli del Piemonte e dell’Alpî Venete, rogyra lobata, Reuss. (D'ACHIARDI, Studio compara- pag. 70. Pisa, 1868.) CORALLARJ FOSSILI DELL’ALPI VENETE 21 phylliae per troppo numerose lamelle, non se ne possono poi allontanare per tutti gli altri caratteri, tanto più che v’ ha grande rassomiglianza fra alcune delle nostre spe- cie e quelle descritte da Reuss e altre viventi che noi abbiamo di S. Tommaso, pure riferibili tutte ad esse Mycetophylliae. Le specie poi del nuovo genere Dimorpho- phyllia di Reuss hanno strettissima analogia con queste nostre, ma io oltre a non aver mai riscontrato costante il carattere di un maggior calice centrale, non ho poi creduto doversi attribuire tanto alto valore al maggiore o minor numero di lamelle da istituirvi sopra le basi di un genere nuovo. Noto quindi anche qui le somiglianze e le differenze, ma non mi allontano dai vecchi generi, preferendo in simili casi allar- gare i loro confini al moltiplicarne il numero istituendone dei nuovi. Ripeto e non mi stancherò mai di ripetere, nei lavori di paleontologia non essere la novità che importa, la quale anzi è a carico, ma bensì il saper riscontrare le specie dei varj terreni, onde poi la corrispondenza cronologica, che pur si rileva anche per le specie da me riferite a questo genere fra i nostri terreni dell’Alpi Venete e quelli di Oberburg descritti da Reuss. Tutt al più se ad un altro genere dovessi riferire alcune di queste specie, le ri- porterei alle Ulophylliae, che con un epitecio più o meno sviluppato hanno poi le la- melle numerose e fitte; se non che ciò facendo mi sarebbe contro il carattere della columella e in parte dell’ epitecio e della poca e talora minima profondità delle valle- cule calicinali. Riycetophyllia italica, m. Tav. XII, fig. 1-3. 1-2. Porzioni di polipaj maggiori. d. Sezione. Agaricia inflata, CatuLLo. Dei terr. di sed. sup. delle Venezie, 1856, p. 75, tav. XV, figo. Trochoseris distorta (pars). De ScHAUROTH. Op. cit. 1865, pag. 187. Polipajo massiccio, diversamente elevato nei var] esemplari, peduncolato. Superfi- cie inferiore irregolarmente convessa, solcata da irregolari rilievi e incavi longitudinali, a margine lobato e percorsa da coste poco differenti fra loro e granulose. Superficie su- periore convessa nel suo complesso, ma in modo irregolarissimo; attraversata in varia direzione da colline a dosso semplice, non molto alte, ora lunghe, ora brevi, spesso interrotte. Esse talora circoscrivono un sol calice, tal altra molti, sia disposti in serie lineari, sia in piazze più o meno grandi, onde immensa diversità nell’ ampiezza dei calici e vallecule calicinali, nella stessa guisa che io ho riscontrato in alcuni esem- plari di specie viventi, e così come in queste piccola è la profondità di esse vallecule. Lamelle alternativamente maggiori e minori e in vario numero a seconda dei calici, dimodochè, mentre arrivano appena a 3 cicli nei calici minori confluenti uno con l’al- 22 A. D'ACHIARDI, tro, sommano a molte più nei maggiori e più di tutto negli isolati e circoscritti. Sui dossi delle colline se ne contano in media circa 20 nello spazio di un centimetro, ma ripeto anche qui che il loro numero è variabile. Esse confluiscono da un calice all’al- tro, e con la loro direzione un poco curva ne accennano i centri: i lati loro sono molto granulosi; i margini non si può dire in qual modo avessero i denti, perchè logorati. Columella rudimentale o nulla. Traverse endotecali abbondanti. Loc. Monte Grumi di Castelgomberto. i Esempl. del Museo di Pisa 7. Esempl. del Museo di Firenze 3. Questa specie oltreche somigliar molto ad alcune Mycetophylliae viventi, s' as- somiglia poi grandemente alla Mycetophyllia interrupta di Reuss, la quale non ne differisce che per la presenza dell’epitecio e per il portamento un,poco diverso, avendo piana la sua superficie superiore e più ristrette e meno diverse fra loro le vallecule calicinali. Non ho osato fare un ravvicinamento maggiore, essendochè di questa spe- cie non conosca che la descrizione e la figura. (Reuss, Die foss. von Oberburg, 1864, Pag. 18, Taf. III, Fig. 4.) Passa una qualche rassomiglianza fra questa specie ed alcuni esemplari dei più complicati già da me riferiti alla Thecosmilia? contorta, e in special modo quello rap- presentato dalla fig. 3°, tav. X. MyCETOPHYLLIA MULTILAMELLOSA, m. Tav. XII, fig: 4. Nell’ originale i centri calicinali sono. molto più distinti che nella figura. Differisce dalla specie precedente per avere le colline meno alte e meno distinte ; le lamelle più numerose, fitte, sottili e molto più estese; le traverse endotecali anche più frequenti. Tali caratteri, uniti all’ altro di presentarsi molti calici minori in dipendenza d’alcuni pochi maggiori, farebbero di questa specie una Dimorphophyllia (Reuss), ma ripeto qui quanto dissi per il genere, non doversi cioè attribuir loro troppo alto valore. Un'altra cosa mi conviene avvertire, che cioè nella stessa guisa che alcuni esem- plari da me riferiti alla Thecosmilia? contorta, presentano qualche analogia con la Mycetophyllia precedente; altri da me riferiti invece alla Thecosmilia multilamel- losa, sembra abbiano stretti legami di somiglianza con questa nostra specie. Loc. Monte Grumi di Castelgomberto. Esempl. del Museo di Pisa 3. Un altro esemplare pur di Castelgombergo, benissimo conservato, e di cui dò an- che la figura (tav. XII fig. 5) credo vada ravvicinato a questa specie. In esso vedonsi CORALLARJ FOSSILI DELL’ALPI VENETE 23 i centri calicinali distintissimi, le colline basse e appena accennate, le lamelle fitte, molto estese e in modo da risultarne calici o vallecole pochissimo profonde. Inoltre in questo esemplare vedesi chiaramente le celle intersettali essere superficiali. Se un dubbio ho, è che la moltiplicazione possa essere gemmipara; quindi non fo che indi- carlo e darne la figura. MyYCETOPHYLLIA DUBIA. Tav. XII, fig. 6. Pavonia dubia, CATULLO. Op. cit., 1856, pag. 74, tav. XV. fig. 4. Trochoseris distorta (pars). De ScHAUROTA. Op. cit., pag. 187. Polipajo massiccio di forma convessa. Polipieriti saldati strettamente fra loro per le muraglia, che terminano a spigolo tagliente, onde si hanno colline e vallecule ca- licinali, che sono le une e le altre flessuosissime. Larghezza delle vallecule varia da 5 a 20 millimetri. Calici fitti, piccoli e a centri distintissimi; ora separati l’ uno dall’ altro, ora allineati in serie nelle parti ristrette delle vallecule, ora confusamente posti uno a canto dell’ altro, ove queste s’ allargano. — Lamelle sottili, stipate, con- fluenti e in numero vario a seconda della grandezza dei calici. Columella rudimentale. Traverse endotecali fitte e sottili. Loc. Castelgomberto. Esempl. del Museo di Pisa 2. Questa specie differisce dalla M. italica per l’ acutezza maggiore delle colline, per le vallecule ordinariamente più ristrette, per i calici molto più numerosi, piccoli e fitti; per le lamelle più stipate e sottili, per le traverse endotecali più frequenti. Dif- ferisce poi dalla M. multilamellosa per le colline più frequenti, più alte e a cresta acuta, per la frequenza e minor dimensione dei calici e per le lamelle più brevi. Debbo per altro notare che gli esemplari soglionsi rinvenire molto corrosi e che quindi è facile essere indotti in errore circa al modo di essere e di comportarsi delle colline e delle vallecule calicinali. MyCETOPHYLLIA? MULTISTELLATA, Tav. VIII, fig. 11. 2 Mycetophyllia multistellata, Reuss. Die foss. von Oberburg, pag. 18, tav. IV, fig. 1, 1864. Polipajo massiccio, brevemente peduncolato. Superficie inferiore percorsa da fitte coste in parte ricoperte d’ epitecio. Superficie superiore pianeggiante o solo lieve- 24 A. D'ACHIARDI, mente convessa. Calici fitti, ineguali; i maggiori hanno raramente un diametro di 8 mil- limetri, i minori di 5; ora separati uno dall’altro, ora uniti insieme in corte serie, che si presentano a preferenza verso la periferia del polipajo: i centri però ne sono sempre manifestamente distinti. Dalla loro unione risultano qua e là colline e valle- cule, molto più presto circoscritte che nella precedente specie. Lamelle flessuose, con- fluenti, disuguali, granulose ai lati e in numero che poco dista tanto in più che in meno a seconda dei calici da quello di 3 cicli completi, ossia 24. Le primarie sono grosse, le altre sottili. Columella rudimentale rappresentata alla superficie da una o poche più papille. Traverse endotecali abbondantissime. I Loc. Monte Viale. Esempl. del Museo di Pisa 2. Vi ha dunque piena concordanza con la descrizione di Reuss, e se nella figura che egli dà di questa specie alcuni calici appariscono un poco più grandi, ciò è a supporsi ‘ siadaattribuirsi al disegnatore, essendochè Reuss stesso ci dica non sorpassare i mag- giori la larghezza di 8 millimetri. Son pur d’accordo con Reuss nell’avere un qualche dubbio intorno al genere, e se la moltiplicazione non si facesse per fissiparità, ma per gemme, come forse parrebbe rilevarsi da alcuni punti, s'avrebbe allora un ravvicina- mento alle Latim@eandre, o piuttosto alle ThRamnastree, fra le quali è la T%. lamel- listriata (Astrea lamellistriata, Michelin.), la di cui figura molto s’ assomiglia all’ uno dei nostri esemplari, se non ci stassero contro l’evidentissime traverse endotecali. Altre Meandrine di Catullo forse rappresentano alcune delle forme da me de- scritte in questo gruppo; ma per la loro grande variabilità non oso ravvicinarle piut- tosto all'una che all'altra. Genere Ulephyllia, M. Edwards et Haime. ULOPHYLLIA? PROFUNDA. Meandrina profunda, Micart. Icon. Zooph. Ulophyllia profunda, M. Epw. et H. Hist. des Coral. 1857. A questa specie descritta da Milne Edwards e da altri credo di dover riferire al- cuni esemplari delle nostre collezioni. Loc. Monte Viale, e Santa Trinità di Montecchio Maggiore. CORALLARJ FOSSILI DELL’ALPI VENETE 25 ULOPHYLLIA? FLEXUOSA, m. Tav. XI, fig. 2-3. 2 a. Polipajo al naturale. 2 b. Calice ingrandito. 3. Sezione trasversale del polipajo. Polipajo brevemente peduncolato, massiccio, molto convesso e talora tanto da di- ventare emisferico. Faccia inferiore solcata da coste e ricoperta d’ epitecio. Polipieriti in serie più o meno lunghe e completamente saldate per le muraglia, onde risultano colline a spigolo tagliente e quasi mai interrotte. Vallecule calicinali flessuosissime, ora larghe poco più che 5 millimetri, ora poco men che 3 centimetri; profonde circa un centimetro. Centri calicinali distinti per la direzione delle lamelle. Queste disu- guali, un poco smarginanti, fitte, granulose, sembrano d’ordinario riportarsi a 4 cicli; ma nei calici maggiori, tuttora circoscritti, se ne contano molte anche di un quinto ciclo. Della natura dei denti mal si giudica, perchè logorati. Columella spugnosa, ma pochissimo sviluppata, onde sfuggita all’ occhio del disegnatore non vedesi nelle figure. Traverse endotecali abbondantissime. Loc. Monte Grumi di Castelgomberto. Esempl. del Museo di Pisa 1. Esempl. del Museo di Firenze 2. ULOPHYLLIA SCALARIA (1). Meandrina scalaria, CATULLO. Op. cit. 1856, pag. 69, tav. IX, fig. 7. Polipajo affisso per brevissimo peduncolo, a superficie profondamente lobata al margine e lievemente convessa. Faccia inferiore costulata e ricoperta in parte (almeno sembra) da una pellicola epitecale. Faccia superiore percorsa da colline a dorso acuto e da vallecule che si biforcano verso la periferia per l’intromissione fra le maggiori colline di altre minori. Le une e le altre hanno un corso un po’ flessuoso. Centri ca- licinali distinti. Setto-lamelle fitte e alternativamente disuguali, denticolate. La colu- mella sembra che non esista. Loc. Monte Viale. Esempl. del Museo di Pisa 1. (1) A questa specie corrisponde l’Ulophyllia? irradians, Reuss. Vedi D’ACHIARDI, Studio comparativo, ece. pag. 64, 1863. 26 A. D'ACHIARDI, Genere Diploria, M. Edwards et Haime. DIPLORIA FLEXUOSISSIMA, m. Tav. XI, fig. 4. 4 a. Polipajo al naturale (1). 4 b. Porzione del medesimo ingrandita. Polipajo massiccio, molto convesso, talora emisferico. Serie dei polipieriti unite per le coste, che sono granulose, subeguali e collegate fra loro da numerose traverse esotecali. Vallecule calicinali sinuosissime (onde il nome), più o meno lunghe, talora procedenti uniche, tal’altra volta biforcandosi, sempre uguali in larghezza, che è di due millimetri, poco profonde negli esemplari corrosi, assai nei ben conservati. Am- bulacri presso a poco larghi quanto le vallecule, ma non con tanta costanza nella loro misura, che ora è un poco maggiore, ora un poco minore; essi son sempre per- corsi dalle coste. Centri calicinali indistinti. Lamelle numerose, contandosene da 36 a 40 nello spazio di un centimetro; disuguali alternativamente, tutte però bene svi- luppate e denticolate. Columella lamellare, evidentissima, che percorre le vallecule ca- licinali da un capo all’altro, occupandone l’asse. Traverse endotecali frequenti. Loc. Croce Grande di San Giovanni Ilarione, e Valle di Ciupio. Esempl. del Museo di Pisa 12. Esempl. del Museo di Firenze 2. DIPLORIA POLYGONALIS. Meandrina polygonalis, CatuLLO. Dei terr. di sed. sup. delle Venezie, 1856, pag. 72, tav. XVI, fig. 5. La citata specie catulliana a giudicarne dalla figura mi pare si debba pur rife- rire al genere Diploria ma ad una specie diversa dalla precedente per la tanto mag- giore larghezza degli ambulacri e forse per altri caratteri, che non è tanto facile poter rilevare dalla descrizione. Loc. Monte Pulgo presso Castelgomberto. Non ne possediamo alcuno esemplare. (1) Nella figura gli ambulacri sono più larghi che nell’ originale. CORALLARJ FOSSILI DELL’ALPI VENETE 27 Genere Hydnophora, M. Edwards et Haime. HyDNOPHORA VENUSTA. Tav. XIII, fig. 1. 1 a. Faccia supertore del polipojo. 1 b. Faccia inferiore del medesimo. Monticularia venusta, CatuLLO. Dei terr. di sed. .... 1856, pag. 76, tav. XVII, fig. 2. Polipajo massiccio, superiormente convesso, inferiormente un poco incavato e fisso per un grosso peduncolo. Faccia inferiore tutta percorsa radialmente da sottili e taglienti coste, collegate fra loro da minuti cingoli sporgenti. Polipieriti intimamente uniti per le muraglia. Colline che ne risultano brevi e frequentemente interrotte, a spigolo acuto e tagliente le più lunghe, conformate a cono le più corte. Lamelle ap- pena smarginanti, assai grosse, denticolate ai margini, granulose ai lati, alternativa- mente maggiori e minori: talora però fra due maggiori ed uguali, anzichè una, se ne contano tre minori. Non columella. Larghezza delle vallecule calicinali varia dai 3 al 10 millimetri, termini estremi e rari: profondità 3 o 4 millimetri. La maggior parte dei centri calicinali appajono come distinti, e in ciò sembrerebbe aversi un carattere contradittorio al genere; ma tale apparenza si spiega con il confluire delle lamelle da tutte le parti negli spazj interposti ai frequenti monticelli, e d’ altronde tutti i rima- nenti caratteri son tali da non lasciarci nel dubbio. Loc. Castelgomberto, Monte Viale. L’ esemplare descritto e figurato da Catullo è della stessa natura, ma di località più vicina a Vicenza presso Creazzo. Esempl. del Museo di Pisa 2. HyDNOPHORA LONGICOLLIS. Hydnophora longicollis, Reuss. Die foss. von Oberburg, 1864, pag. 19, tav. IV, fig. 2-4. Polipajo che si distende in lamina più o meno sottile, spesso in forma di disco, peduncolato. Faccia inferiore percorsa radialmente da rilievi e incavi coperti da fitte coste molto granulose, alternativamente maggiori e minori e spesso collegate fra loro da sottili cingoli d’accrescimento. Faccia superiore, pianeggiante, percorsa da irrego- larissime vallecule e colline; quelle ora ristrette, ora distese in larghe spiazzate: ora 28 i A. D'ACHIARDI, superficiali, ora profonde; queste più o meno lunghe, spesso interrotte, variamente flessuose e alte. Calici confusi, talvolta soltanto un poco indicati dalla curvatura delle lamelle. Queste sottili, alternativamente disuguali in grossezza e lunghezza, a margine tagliente e denticolato, a lati fimamente granulosi. Loc. Torreselle, Monte Viale, Val dei Peruzzi e Creazzo. Esempl. del Museo di Pisa 8. Non v’ha dubbio che sia la stessa specie di quella descritta da Reuss, e le figure che egli ne dà, concordano perfettamente con alcuni dei nostri esemplari, fra î quali sono pure alcuni altri che presentano maggiore irregolarità nelle vallecule e colline. Con Reuss stesso ripeto anche pel caso nostro, che questa specie s’ allontana un poco dalla forma tipica delle Hydrophorae, fra le quali più che ad altra s’ avvicina alla H. meandrinoides M. Edw. et H. (1), e che per il suo portamento presenta pure molta analogia con le Ulophylliae, che ne diversificano poi per la presenza dell’ epitecio. Inoltre nella stessa guisa che Reuss aggiunge aver questa specie lo stesso portamento della sua Dimorphophyllia oxilopha, io pure affermo che ciò è tanto vero anche per i nostri esemplari, che se d’ alcuni dei minori avessi voluto dar la figura, non avrei potuto far di meglio che copiare quella stessa di Reuss (tav. IV, fig. 3). Ciò non per- tanto rimane sempre certo, certissimo, che tutti questi nostri esemplari appartengono ad un’unica specie. — G. Haime descrive un’Hydnophora comune a Castelgomberto e a Palarea (H. Bronnii), ma per dire il vero io non so quale delle nostre specie vi si possa riportare. A questo medesimo genere credo debbano essere riferiti due esemplari del Monte Bastfa di Montecchio Maggiore, almeno uno di essi, che ci si presenta in forma di un polipajo, massiccio, alto, a muraglia comune quasi verticale, percorsa da coste, nuda, a faccia superiore pianeggiante e percorsa da colline spesso interrotte, ora lunghe e a cresta tagliente, ora brevissime e in forma di cono, a lamelle alternativamente disu- guali, ecc. Io non ho osato farne una specie, perchè da quel poco che mostra quest'u- nico esemplare più di tutto si rileva la grande variabilità delle sue parti (2). Della stessa località è pure un altro esemplare, che ho riferito senz’ altro alla fi- gura che Catullo dà della sua SchypAya compressa (Op. cit., tav. XVIII, fig. 7), che è tutt’ altra cosa che uno Spongiaro. A giudicare del nostro esemplare parrebbe trat- tarsi di un polipajo appartenente all'uno o all’altro dei generi di questo gruppo delle Litofilliacee meandroidi. (1) In seguito, avuti altri esemplari, ho pure rin- tulliana nel Museo di Padova ho riscontrato che questi venuto questa stessa specie (H. m@andrinoides) fra i esemplari di Monte Bastia sono la stessa cosa della fossili di Val dei Peruzzi presso Monte Viale. Meandrina collinaria di Catullo; quindi la specie cui ap- (2) In una seconda visita fatta alla Collezione ca- partengono deve denominarsi Hydrophora collinaria. CORALLARJ FOSSILI DELL’ALPI VENETE 29 FAVIACEZE, M. Edwards et Haime. Gen. Favia, M. Edwards et Haime. Favia MENEGUZZII, m. (1) Tav. XIII, fig. 2. Nella figura i calici sono meno sinuosi che nell'originale, ove la fissiparità è manifestissima. Polipajo a polipieriti uniti per le coste e a superficie convessa; talvolta per fino cilindrico-convessa. Faccia inferiore pianeggiante, longitudinalmente striata e parzial- mente ricoperta d’ epitecio. Calici di rado circolari, il più di sovente allungati e si- nuosi nel mezzo per cominciata fissiparità, onde la loro figura a 8 non chiuso ; poco profondi e separati da un solco nel quale terminano le coste, che sono spesse e subeguali. Lamelle fitte, diverse fra loro, un poco smarginanti e in numero di 4 cicli nei calici maggiori. Columella spugnosa. Loc. Croce Grande di San Giovanni Ilarione. Esempl. del Museo di Pisa 1. Esempl. del Museo di Firenze 1. FAVIA SUBDENTICULATA. Tav. XIII, fig. 3. L’ esemplare figurato è dei minori. 3 a. Polipajo al naturale. 3 b. Sezione trasversale. Astrea subdenticulata, CATULLO. Dei terreni di sed. sup. 1856, p. 35, tav. XI, fig. 4. Polipajo massiccio a faccia superiore convessa, inferiore peduncolata e striata longitudinalmente. Polipieriti uniti fra loro mercè delle coste e dell’ esotecio. Epitecio visibile tanto sulla faccia esterna del polipajo quanto fra un calice e l’altro. Calici ra- rissimamente circolari, alcuni oblunghi, quasi tutti in vario modo sinuosi per inco- minciata o più o meno progredita fissiparità, quasi mai meno larghi di un centimetro, assai profondi, separati da largo solco percorso dalle coste. Lamelle numerose, disu- (1) Io aveva da prima creduto che questa specie l’abilissima guida montanistica Giovanni Meneguzzo corrispondesse alla Pavia pulcherrima, Michelot, ma di Montecchio Maggiore. persuaso poi che ciò non era la nominai ad onore del- 30 ‘A. D'ACHIARDI, guali, alternativamente maggiori e minori, in numero vario a seconda della grandezza dei calici. Ne ho contate 48 in uno circolare e nel quale non era anche cominciata la fissiparità. Columella rudimentale spugnosa. Traverse endotecali abbondanti. Loc. Croce Grande di San Giovanni Ilarione. Esempl. del Museo di Pisa 3. Esempl. del Museo di Firenze 3. Gen. Goniastraa, M. Edwards et Haime. GonrastREA CoccHI, m. Tav. XIII, fig. 4. 4 a. Polipajo al naturale. 4 b. Porzione ingrandita del medesimo. Polipajo massiccio, a faccia superiore sondulata e convessa, a faccia inferiore ri- coperta da sottili stracci di epitecio. Polipieriti il più di sovente intimamente uniti per le muraglia, che sono grosse e compatte, ma che talvolta rimangono un po’ disgiun- te alla sommità, e allora nei piccoli solchi che se ne originano veggonsi le coste. Queste divaricazioni della parte superiore delle muraglia sono maggiori là ove più calici si ravvicinano; e da ciò nasce il dubbio che possa trattarsi di una Favia (1). Ca- lici poligonali, per la massima parte allungati per fissiparità, assai profondi, raramente larghi più di 5 millimetri, quasi sempre meno. Lamelle disuguali, assai grosse, denti- colate ai margini, granulose ai lati, e variabili di numero a seconda dei calici, di modo che mentre in alcuni se ne contano 24, in altri se ne hanno più o meno e per fino 4 cicli completi. La metà ne arriva in alcuni calici fino al centro o asse dei calici, ove vedesi una columella spugnosa, che ordinariamente non ha un grande sviluppo. I pali non si veggono distintamente, ma la loro mancanza spiegasi con la corrosione, tanto più che in alcuni rari calici dei meglio conservati sembra vedersene i rudimenti. Tra- verse endotecali abbondantissime. Loc. Castelgomberto, Croce Grande di San Giovanni Ilarione, Valle di Chiampo. Esempl. del Museo di Pisa 7. Esempl. del Museo di Firenze 3. Ho nominata anche questa specie ad onore del professor Cocchi, dal quale ne ebbi vari esemplari. La figura che Michelin dà della Astrea diversiformis somiglia tanto ai nostri esemplari che ne pare l'ingrandimento. M. Edwards e Haime hanno riferito al ge- nere Prionastrea la specie da esso rappresentata, ma con grande incertezza. Ora a (1) Reuss infatti disse questa specie Navia confertissima. CORALLARJ FOSSILI DELL'’ALPI VENETE sl me sembra che tanto la Prionastrea diversiformis di M. Edwards quanto questa spe- cie nostra appartengano al medesimo genere, e fra i due, Prionastrea e Goniastrea, non mi par dubbia la scelta pel caso nostro essendo al certo, se non assoluta, predo- minante la moltiplicazione fissipara. — La rassomiglianza e affinità poi che i nostri esemplari presentano con alcuni viventi che noi abbiamo del Mar Rosso vengono in conferma del mio giudizio. Genere Septastrzea, M. Edwards et Haime. SEPTASTRAA INTERMEDIA, Mm. Tav. XIII, fig. 5. 5 a. Polipajo al naturale. 5 b. Calice ingrandito. 5 ce. Sezione per mostrare le traverse. Polipajo massiccio esternamente ricoperto da un abbondante epitecio. Polipieriti uniti per le loro muraglia, che sono assai grosse. Calici poligonali, la cui macrodiago- nale arriva raramente anche nei maggiori alla misura di 10 millimetri, che più co- munemente si riducono a 8. Tre cicli di lamelle solamente completi nei calici più grandi. Le primarie e secondarie uguali fra loro si presentano poi ingrossate verso il mezzo dei calici, ove costituiscono una falsa columella. Le terziarie, pur esse molto sviluppate, non lo sono però mai quanto le precedenti, cui si saldano in massima parte non lungi dal centro calicinale. Le une e le altre sono assai distanti fra loro e colle- gate da fitte traverse endotecali fra loro discoste circa un millimetro. Loc. Monte Bastia di Montecchio Maggiore, fra la calcaria e i tufi. Esempl. del Museo di Pisa 1. Differisce questa specie dalla Septastraea geometrica M. Edwards dei colli di To- rino per i calici ordinariamente un poco più grandi, per le lamelle più numerose, (avendosene sempre 12 più sviluppate delle altre, che si toccano nel mezzo dei calici) e per il maggior sviluppo delle terziarie; differisce poi della S. Zarolamellata di Sassello (Michelotti, Et. sur le mioc. inf. p. 41, tav. III, fig. 10-11, 1861) per il minor diametro dei calici e minor distanza delle lamelle fra loro. Tanto poi si avvicina ad alcuni esemplari, che noi abbiamo di Sassello, che non v’ha dubbio non appartengono alla medesima specie, alla quale ho dato il nome di S. intermedia perchè la grandezza dei suol calici sta fra quella della S. diversiformis e della ,S. lacolamellata. Nota. — A questa seconda parte seguirà la terza ed ultima. Tav. VI. D. Achiardi, Corallarj fossili NIN Mom della SoeItal*di Sefnat Vol. IV.N® |. goa amd E aes Bang i) i $ it “a i) 19 2 SY ner Silvio Serantoni dis.elit. > o ; : ) 7 : " Firenze Lit.Ballagny e Figli 4. Montlivaultia Brongniartana . 6. Montlivaultia Castellini . 7. Radhophyllia stipata, 8. fadhophyllia stipata “ VIS 5: “w MSF D’Achiardi, Corallary fossili lit (8) RI d “im di P.Fer e Lis li dA VALLO te plontti toi Main, N Pat Lui i) Me Tav. VII. D’Achiardi, Corallarj fossili Mem. della Soc Ital? di Se° nat.Vol.IV.N°1. al. CI 037 DSS “2809832888309 seRBceanag aac s ef E E ta) L45) La na Ho pa CI au Fic) [ia SBssaRppn:a ss Ea P. Ferrini dis. e lit Firenze _Lit. Ballagny e Fioli 19 Vasypbyllia COPPPPESSA ze I (Uannpleyltia pseudoflalelliun Slolannioplyltt plari < nia LIO? S: ynplyliia Licarenala A Uaceloplyltia arvellistellala: mM si SOIT IRRUA Tav.IX. A.D'Achiardi, [orallar fossili Vera della Sarà Ital? di Ret nat. Vol. IV. N°] 7”, » . Ihecosmnilia 2 contorta n dI mi van, DA È rantoni dis. € e Ss lamellosa . z Da aly cene 0 Thecosmilia ? mult contorta ?I smilia "C0 he A4T Spinella palchra 1% Ju, di È MISTA MERONAL FONITRS * si set RI dio 16 UE FAZI HMTIRLON MIST Tav.XI. A.D'Achiardi, Corallarj fossili Mem. della Soc! Ital® di Se® nat. Vol. IV N° 1 4. Syrnpluyllia serpertinoides. 2 -F.Mophyllia Heanosa i. fliploria simutosivsinta . Mr (AGI )) ” LEX S4) Tav. XI. A.D'Achiardi Corallarj fossili Mem della Soc! Ital* di Set nat Vol IV.N°I 1-3. Mycetophyltia italica .-4-0.? Mycetophbyllia multilarnellosa . 6. Mycetophyllia dubia. FUNAUONI xi f | la) ) IR] 040 Mem della Soc? Ital" di So AD'Achiardi, fodiari fossili. U* CO) Pre Pre ia Peo] 5 IE E va Sas md ie Firenze S.Serantoni dis. e lit 7A Lyduophora verusta.- Lavia pulcherrima 23tuvia subdenticulata . 4. Goniastraca Cocchii .- S.Seplastraea intermedia.-6Heliastraca Kllisiana.. I Îleliastraca profundata.- CHeliastraca astroites.- IHeliasbraca Furitana Lib R..]l valladny e Da 29 Ny Ù; apr. SUNTO DEI REGOLAMENTI DELLA SOCIETÀ Scopo della Società è di promuovere in Italia il progresso degli studj relativi alle . scienze naturali. La Società si aduna in sedute ordinarie e straordinarie. Le ordinarie si tengono una volta al mese, eccettuati settembre e ottobre; le straordinarie, ogni volta che lo creda opportuno la Presidenza o il Consiglio d’Amministrazione. La Società tiene inoltre ogni anno una riunione straordinaria in qualche luogo d’Italia preventivamente scelto, alla quale, oltre i socj, possono prendere parte attiva: 1.° i rappresentanti dei Corpi scientifici; 2.° gli invitati od ammessi dalla Presidenza. Il numero dei socj è illimitato : si distinguono in onorarj, effettivi e corrispondenti. I socj effettivi pagano italiane lire 20 all’ anno. La proposizione per l’ ammissione d’ un nuovo socio deve essere fatta e firmata da tre soc) effettivi. I socj effettivi che non mandano la loro rinuncia almeno tre mesi prima della fine dell’anno sociale (che termina col 31. dicembre) continuano ad essere tenuti per socj : se sono in ritardo nel pagamento della quota di un anno, e, invitati, non lo compiono nel primo trimestre dell’anno successivo, cessano di fatto di appartenere alla Società, salvo a questa il far valere i suoi diritti per le quote non ancora pagate. Le Comunicazioni e Memorie presentate nelle adunanze possono essere stampate o negli Atti della Società o nelle Memorie, per estratto o per esteso, secondo la loro estensione ed importanza. La cura delle publicazioni spetta alla Presidenza. Gli Atti si danno gratuitamente ai socj. Le Memorie non si danno gratuitamente ai socj, ma si vendono loro a prezzo minore di quello fissato per le persone estranee alla Società. Per i loro prezzi si veda la quarta pagina di questa copertina. Tutti i soc] possono approfittare dei libri della ibligico, sociale, ritirandoli per un dato tempo a casa, purchè li domandino alla Presidenza e ne rilascino regolare ricevuta Si possono comperare î volumi HI, IV, V, VI, VEE, VERE e KX diegli Atti, al prezzo dî lire 20 cadauno. Si potranno avere direttamente dai Segretarj della Società. Per i soc) attuali, i quali desiderano avere i volumi corrispondenti agli anni an- teriori a quello in cui hanno cominciato a far parte della Società, e li domandano direttamente ad uno dei Segretar], è prezzi sono ridotti alla metà. Prezzo della presente Memoria Per ivogi. i ii Per gli estranei alla Società . . » 12. — I socj ponno abbonarsi alle Memorie pagando la somma di Lire 10, oltre alla LI quota annuale. — Questa somma è portata a Lire 11 per i soej che ‘vogliono rice- vere le Memorie fuori di Milano, ma nel Regno, per la posta. sÌ Il numero delle Memorie corrispondenti ad un volume e ad un anno è indeterminato Il primo volume, pubblicato nel 1865, verrà rilasciato al prezzo di Lire 10 a tutti i soc} che si abboneranno al volume II del 1866. In seguito, pei socj che non fanno l’ abbonamento nei primi sei mesi dell’anno, e pei non soc], il prezzo dei volumi sarà maggiore, e precisamente come verrà indi- cato sulla coperta di ognuno di essi. Le Memorie sono in vendita in Milano, presso la Segreteria della Società. MEMORIE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI Tomo IV, N. 2. (OCTONA LICHENUM GENERA ADEVC CONTROVERSA, VEL SEDIS PRORSUS INCERTAE IN SYSTEMATE, NOVIS DESCRIPTIONIBUS [CONIBUSOUE ACCURATISSIMIS ILLUSTRATA A | SANCTO GAROVAGLIO, M. D. IN R. ARCHIGYMNASIO TICINENSI P. P. O. PENITIORES PARTES MICROSCOPIO INSPEXIT ICONESQUE CONFECIT JOSEPHUS GIBELLI ; ,NATURALIS HISTORIAE IN LYCEO TICINENSI P. P. 0. — CATHEDRAE BOTANICES IN R. ARCHIGYMNASIO ADSISTENS, ECO. i MILANO COI TIPI DI GIUSEPPE BERNARDONI 1868. PRESIDENZA PEL 1868 Presidente, Dott. Euiuio CoRNALIA, Direttore del Museo Civico di Milano, ecc., via del Monte Napoleone, 36. Vice-Presidente, Antonio ViuLa, via della Sala, 3. : Dottor GIovaNNI OmBONI, Professore di Storia Naturale, via dei Cir- co, 12. Segretarj i : ; ; Abate AnTonIO SToPPANI, Prof. di Geologia nel R, Istituto Tecnico - superiore in Milano, via dell’Annunciata, 2. ì | Garrano NegRrI, Corso Porta Romana, 16. Vice-Segretarj ) RE CamiLLo MARINONI, dottore in Scienze naturali, via S. Agnese, 5. Cassiere, GIUSEPPE GARGANTINI PIATTI, via del Senato, 14 MEMORIE DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI Tomo IV, N 2. OCTONA LICHENUM GENERA VEL ADHUC CONTROVERSA, VEL SEDIS PRORSUS INCERTAE IN SYSTEMATE, NOVIS DESCRIPTIONIBUS ICONIBUSQUE ACCURATISSIMIS ILLUSTRATA A SANCTO GAROVAGLIO, M. D. IN R. ARCHIGYMNASIO TICINENSI P. P. O. PENITIORES PARTES MICROSCOPIO INSPEXIT ICONESQUE CONFECIT JOSEPHUS GIBELLI NATURALIS HISTORIAE IN LYCEO TICINENSI P. P. 0. CATHEDRAE BOTANICES IN R. ARCHIGYMNASIO ADSISTENS, ECC, i, (1 SS ; Ly Sn" SR N ad 2° 200 MILANO COI TIPI DI GIUSEPPE BERNARDONI 1868. IIUTAtO STRICKERIA KORB. Parerg., p. 400. CHARACTER GENER. — Apothecium subsphaericum vel.irregulare, sessile, sim- plex, unico instructum excipulo proprio (perithecio), corneo-carbonaceo, cum amphi- thecio confuso, exquisite annulari; nucleus solitarius, opacus; paraphyses parum di- stinctae, mox diffluentes; asc? lineares, octospori; sporae ad lineam distributae , quadri-octoloculares, loculis vel omnibus superpositis ad lineam, vel per paria appositis. Thallus furfuraceo-leprosus, saepe obliteratus. Habitus Sphaeriae. SPECIES STRICKERIA Kochi, Kors. Lichen. Germ. cas. n. 264. Ej. Parerg. 1. 1. CHaracT. spec. — Thallo interruptim effuso, furfuraceo-leproso, viridi-fusco vel nigricante, saepe obliterato vel nullo; apothectis parvulis, sessilibus, sparsis, discretis, atris, scabridis, opacis, intus fuscis, plerisque ad formam disci vel urceoli in apice de- pressis; excipulo proprio simplici, sat crasso, corneo-carbonaceo, cum amphitecio confuso, tandem poro exiguo aperto; nucleo ceraceo-gelatinoso, subopaco, inaequali; paraphysibus parum distinetis, in fila mucilaginosa cito diffluentibus; ascis lineari. elongatis, octosporis; sporîs ad lineam intra ascos distributis, ellipticis, fuscidulis, plerisque quadrilocularibus, loculis vel omnibus ad lineam superpositis, vel per paria approximatis, pro sporarum modulo, 0,""0156 ad 0,""0171 in longum, 0,""0071 ad 0,""0085 in latum, Icon.:l'ab. nostra, I, fil. Exs-®\. ... : 0, Ro DescriPTIO. — Thallus qui sat saepe dm sub na sese exhibet furfuris vel leprae tenuissimae per scruposum et denudatum arboris corticem, perque istius 4 S. GAROVAGLIO, juga rimasque profundiores interrupte effusus. Ipsius color fuscus est semper, unaque luridus, et opacus. Hypothallus haud distinctus. | Apothecia (A) occurrunt sat frequentia, suntque parvula, sessilia, ab invicem di- screta. Horum alia sphaericam, quam ab initio habent figuram, diu retinent, alia vero increbrescendo ad formam cupulae vel irregularis patellulae subsident paullatim, vel plane deformantur. Exterius atra semper sunt, scabrida et impolita, inque apice poro pertusa. Interior substantia cinerea. Senio confecta pleraque lente fatiscunt in situ, perpauca decidunt integra. Excipulum (Ab) proprium, simplex, corneo-carbonaceum, firmum, annuli in mo- dum circulare, cum amphithecio confusum, superiori parte absque certa lege depressum. Nucleus (Ac) ceraceo-gelatinosus, opacus, fuscidulus. Paraphyses parum distin- ctae, mox diffluxae. Asciì (B) creberrimi, sublineares, elongati, brevi pedunculo suffulti, hyalini, octo- spori, persistentes. Sporae (C) plerumque intra ascos ad lineam superimpositae, ellipticae, (cymbi- formes eas dicit Kérberus), utrinque obtusae, fuliginosae. Earum pleraeque quadri- loculares persistunt, aliae per scissionem unius alteriusque loculi, ope septi verticalis vel obliqui, tandem quinqui-octoloculares, cum loculis vel omnibus ad lineam super- positis vel per paria appositis. Extra ascos sporae citissime corrugantur et deforman- tur. Earum longitudo 0,%"0156 ad 0,""0171, latitudo 0,""0071 ad 0,""0085. Hab. Ad corticem KRobiniae pseudo-acaciae in variis Germaniae provinciis lege- runt Stricker, Kòrber, Hampe aliique. Italiam non ingreditur. ADNOTATIO. Genus paradoxum, cujus natura lichenosa a Kérbero acriter propugnata nititur dumtaxat conjectura satis interta, quoad praesentiam thalli genuini. Sed ut taceam, istum thallum sat saepe desiderari, dubitandum etiam est num sit proprius Strickeriae nec ne. Ceterum ab Anzia, quae certo certius verum profert thallum, generice differt Stri- ckeria propter diversam excipuli constitutionem et fabricam. Est enim hoc tegmen exquisite carbonaceum, firmissi- mum, sed satis angustum in Strickeria, magis dilatatum, ad oras irregulariter expansum, minusque intense coloratum in genere Anzia, Praeterea, ubi lentis acrioris ope ad invicem conferantur istaec apothecia alio quoque respectu se exhibent diversa. Etenim cellulae, quibus componitur Strickeriae excipulum, praevalente substantia carbonacea inlus ita farciuntur et prorsus obruuntur, ut earum figura penitus delitescat, h. e. nequeant singulae amplius dignosci et numerari; in Anzia vero extant semper singillatim perspicuae, et ab invicem distinctae. MICROTHELIA ecatonspora Anzi Neosymb. n. 70. Ej. Lich. rar. long. n. 439. CHARACT. GEN. — Apothecium simplex, sphaericum, innato-prominulum, unzco instructum excipulo proprio, corneo-carbonaceo, crasso, cum amphithecio confuso; nucleus globosus, clausus, sordide cinereus; paraphyses nullae vel obsoletae ; asc? clavato-obovati, plurispori; sporae intra ascos per centena coacervatae, biloculares, parvulae. Thallus tartareo-farinosus, effusus. Hypothallus parum evidens. CHaract. spec. — Thallo effuso vel maculari, tenuissimo, pulverulento vel sub- OCTONA LICHENUM GENERA, ECC. 5 tartareo, continuo, luride-cinereo vel dilute ochraceo; apotheciis perpusillis, creberri- mis, discretis, innato-prominulis, globosis, atris, opacis, scabridis, tandem circumscis- sis, hemisphaerio superiore deciduo, intus cinereis; excipulo proprio s. perithecio in- tegro, mediocri, corneo-carbonaceo, subelauso; amphithecto distineto nullo; nucleo globoso, subopaco; paraplysibus nullis; ascis clavato-obovatis, passim ventricosis, plu- risporis; sporzs tantillis, bilocularibus, fuliginosis, subopacis, 0,"?0057 ad 0,"20071 longis, 0,""0028 latis, intra ascos absque ordine coacervatis. Icon. Tab. nostra I, £. 2. DescrIpTIo. — Tallus tartareo-farinosus, late per inaequalem scabridamque lapidis superficiem extenditur jam tenuis, subcontinuus, jam nonnihil crassior, rimulas agens perexiguas, hinc inde lineolae nigrescentis flexibus exaratus. Nitore caret iste thallus coloreque inficitur albido, cinereo terreo, vel ochraceo. Mypothalli atri rara vestigia. Apothecia (A) verrucaeformia, minuta, sparsa, discreta, sat frequentia, saxi foveo- lis plerumque ad dimidiam partem immersa, in apice convexiuscula, vel vario modo deformata. Exterius atra ipsa sunt, scabrida, opaca, intus luride cinerea. Horum quae- dam per aetatem lente fatiscunt in situ, quaedam circumscissa hemisphaerium superius amittunt. Quae vero superest in saxo pars eorum basilaris massam exhibet cinereo- farinaceam, annulo nigricante circumductam. Excipulum proprium (Ab), s. perithecium, nucleum circumundique amplectens et configurans aterrimum est, s. corneo-carbonaceum, firmum, in apice obsolete perforatum. Nucleus (Ac) globosus, subgelatinosus, sordide cinereus, tandem fuscescens. Pa- raphyses obsoletae vel plane nullae. Asci (B) frequentes, clavato-obovati, passim ventricosi, basim versus sensim atte- nuati, ideoque vix evidenter pedunculati, tenerrimi, persistentes, plurispori. Sporae (C) per centena intra ascos coadunatae, fuliginosae, subopacae, ellipticae, biloculares, loculis anguste conicis, caeterum minutae, 0290057 ad 0,2"0071 longae , 0,2"0028 latae. Hab. Ad rupes calcarei primaevi in M.° Parete Alpium rhaeticarum in Valle Tellina ultra arborum fines 1. Anzi. ADNOTATIO. È fusa quam dedimus descriptione, partiumque interiorum accurata icone luculenter patet quam arcto affinitatis vinculo Microthelia ecatonspora, et generis Ticothecii species pleraeque ad invicem devinciantur. Intercedit quidem, auctorum judicio, Microthelias inter et Tichothecia peculiare istud discrimen, quod thallo proprio s. genuino gaudeant priores, eo careant omnino, vel alieno insideant posteriora. Sed haec ipsa differentia haud magni facienda. Etenim res non est, quod existimem, adeo explorata et manifesta, ut extra omnem dubitationis aleam jam nune possit haberi. THELOMPHALE Korg. Parerg. pag. 321. — SPHAEROPSIS FLotow în botan. Zeit. — THELOCARPON NyLanp. A/9. pag. 338. Ej. Classif. 2. pag. 190. Ey. Exposit. synopt. Pyrenocarp. pag. 9. Ej. Prodr. Flor. Gall. et Alger. pag. 173. CHARACT. GENER. — Apothecium simplex, sphaericum, tandem protrusum et su- 6 S. GAROVAGLIO, perficiale, unico instructum excipulo proprio (s. tunica), carnosulo, pallide colorato, cum amphithecio confuso; nucleus solitarius, undique clausus, subopacus; paraphyses tenerrimae, mox diffluentes; ascî clavato-saccati, elongati, gibbi, polyspori; sporae an- guloso-subrotundae, numerosissimae, h. e. per centena intra ascos acervatim congre- gatae, uniloculares, perpusillae, vix mensura capiendae. 7'%a/lus granuloso-verrucosus, effusus, per aetatem evanidus. Hypothallus haud distinctus. SPECIES THELOMPHALE Laureri Kéorp. — SPHAEROPSIS Laureri FLorow. — THE- LOCARPON Laureri NyLanp. l. 1. CuHaracT. spec. — Thallo effuso, verrucoso, granulis continuis vel discretis com- posito, flavo-viridi, opaco, tandem obliterato; apotheciis adultis emersis, subsphaericis, mollibus, coloratis; excipulo proprio simplici (tunica), carnoso, crassiusculo, luteo- virescente, cum amphithecio prorsus confuso; nucleo gelatinoso, undique clauso, sub- hyalino; paraphysibus tenerrimis, filiformibus, diffluentibus; ascîs clavato-elongatis, obovatisve, passim saccato-gibbis, polysporis; sporiîs numerosissimis, subrotundo- angulosis, hyalinis, unilocularibus, perpusillis, vix dimetiendis. Icon. Tab. nostra I, f. 3. Exs. DescRrIPTIO. — Thallus in specimine haud satis perfecto, quod prae oculis habeo, multis constat granulis variae magnitudinis, quorum alii in crustam granuloso-verru- cosam, crassiusculam congregati, alii ab invicem disjuncti et sparsi persistunt. Horum granulorum color est flavo-viridis, in statu humido lichenis nonnihil vividior, etsi lu- fridus semper, et inamaenus. Thalli substantia per aetatem in pulverem concolorem tota efflorescit, dilabiturque paulatim. Apothecia (A) saepe adeo numerosa et conferta, ut bina plurave simul coalescant. E thalli verrucis, quibus ab initio inclusa sunt, sensim protruduntur, donec extant prorsus superficialia. Figuram ipsa habent plerumque subsphaericam, ea tamen ra- tione, ut alia in apice convexiuscula persistant, quaedam in papillulam exsurgant im- perviam, quaedam nonnihil planiora appareant. In statu sicco, lateritio inficiuntur co- lore, suntque lurida et opaca, humecta mollia fiunt, pellucida et laetius colorata. Intus cinerea. — Excipulum proprium (Abd) (s. tunica) simplex, carnosulum, luteolum, undique clausum et subaequale, cum amphithecio semper confusum. Nucleus (Ac) sphaericus, gelatinosus, subopacus. ParapAyses parum distinctae, flexuosae, tenerrimae, filiformes, diffluentes. Ascî (B) tenues, elongati, subirregulares, alii in medio, alii paullo supra basim, alii vero circa apicem obtusiusculum saccato-gibbi, omnes brevi pedunculo suffulti, persistentes, plurispori. Sporae (C) per centena intra ascos confuso agmine coacervatae, anguloso-subro- tundae, hyalinae, uniloculares, adeo minutae, ut vix mensura capi possint. OCTONA LICHENUM GENERA, ECC. 7 Hab. Ad terram humidiusculam ericetorum prope Glatium, Comitatus Glatensis Caput, jamdiu a cl. Flotowio lecta. Serius etiam circa Grippwaldiam a Laurero re- perta. Speciminulum dedit Arnoldius. ADNOTATIO I. Aliam hujus generis speciem ex Algeria descripsit cl. Nylander in |. Op. ADNOTATIO IT Lichen simplicissimae structurae, a T'helopside, in cujus viciniis locum sibi vindicat, defectu amphitecii distinctus, et internoscendus, tametsi fortasse non sine quadam difficultate. MELANOTHECA Fee. Apothecium compositum, duplici instructum excipulo proprio, alterum (s. epithe- cium) cartilagineum, firmum, intense coloratum, straguli ad instar continue supra nucleorum ostiola decurrens, sat saepe ab inferiore sua parte radices agens, quae nu- cleum a nucleo sejungunt;‘alterum (s. tunica) gelatinoso-cellulosum, luteolum, modo singulos nucleos, modo eorum plures conjunctim cireumambiens; nuclei jam verrucae formam servantes, jam inter se coaliti et confusi; gelatina hymenia fugacissima; pa- raphyses evidentes vel obsoletae; asc? mediocres, obovato-clavati, octospori; sporae parvulae bi vel quadriloculares. 7%a/lus hypophloeodes, macularis. Spermogonia perpusilla. Spermatia atomaria. SPECIES I. MELANOTHECA arthonicides NrLAanD. Enum. pag. 140. E}. Exposit. synopt. Pyre- nocarp. pag. 69. E). Prodr. Lichenol. Gall. et Alger. pag. 176, in nota. ANZI Manip. pag. 35. — TOMASELLIA arthonicides Massar. în Flor. p. a. 1856. BeLTRAM. Lichenog. bassan. pag. 241. K6RrB. Parerg. pag. 394. RABENH. Lich. Eur. num. 704. Hepp. Flecht. Eur. n. 896. — ARTHOPYRENIA arthonioides Massar. Ricerch. pag. 169. Tarop. FrIies Genera heterolichen. pag. 117. — ARTHONIAE Swarzianae forma Garov. ad amicos. CHaracT. spec. — Thallo primario, s. genuino hypophloeode, tenuissimo, secun- dario, s. spurio, maculari, laevi, rufidulo, atro hypothallo limitato; apothectis composi- tis, emergentibus, circularibus, vel deformatis, glabris, fuscis, opacis, vel dilucidis; epithecio membranaceo-cartilagineo, firmo, intense colorato, supra ostiola apothecii communis straguli ad instar decurrente, passim quoque intra singulos nucleos magis minusve producto; tunica cum hypothecio confusa, gelatinoso-cellulosa; dilute luteola, unumquemque nucleum cingente; massa hRymenia fugaci; paraphysibus distinctis, e) S. GAROVAGLIO, tandem in frustula ramosa solutis; ascîs obovato-clavatis, creberrimis, octosporis; sporis ellipticis, 0,""0071 ad 0,%"0099 longis, 0,""0028 ad 0,""0042 latis, bilocularibus, loculis conicis, altero breviore et crassiore. Icon. Tab. nostra I, f. 4. Exs. DescrIeTIo. — Thallus genuinus, qui hypophloeodes est et tenuissimus, exterius in cortice maculas agit variae magnitudinis et figurae, hypothallo nigricante limita- tas, quarum ergo cortex tamquam mappa geographica delineatus apparet. Macularum pleraeque laeves sunt, continuae, non omni nitore expertes, coloreque inficiuntur ci- nereo, rufidulo vel badio. Hypothallus evidens, ater. Apothecia (A) constant e pluribus nucleis, 1-12, verrucaeformibus, inter se coa- litis, proinde composita sunt. Ex intimo cortice, ubi originem habent, haec apothecia sub forma parvi orbiculi pedetentim foras protruduntur, donec omnino superficialia fiunt. Exterius plerumque opaca extant, rarius dilucida. Substantia mollia sunt, colo- remque ducunt vix non semper fuscum. Caeterum figuram circularem, qua gaudent ab initio, progressu temporis sat saepe amittunt, et multimode deformantur. Epithecium (Ab) haud admodum crassum, subcartilagineum, duriusculum, fusco- nigricans, supra ostiola nucleorum omnium, quibus constat commune apothecium, straguli ad instar sine intermissione decurrit, ab inferiori sua parte propagines ple- rumque agens, quae inter nucleum et nucleum plus minus protenduntur. Tunica (Ab) cum hypothecio confusa, celluloso-gelatinosa, luteola, ut plurimum unumquemque nucleum seorsim circumambiens, rarius obsoleta. Nuclei (Ac) in quovis orbiculo plures, h. e. 2-12 coaliti, verrucaeformes, subtus depressi, in collum vel ostiolum superne producti, hyalini. Gelatina Aymenia adeo fugax, ut nuclei plerique de more vacui inveniantur. Parapkyses distinetae, liberae, flexuosae, tandem in frustula ramosa solutae. Ascî (B) crebri, tenues, pellucidi, elongato-clavati, obovative, in medio dilatati, ad basim in brevem pedunculum attenuati, octospori. Sporae (C) in duplicem triplamve seriem turbato ordine intra ascos distributae, incolores vel dilute coloratae, ellipticae, biloculares (quadriloculares in hac specie nun- quam mihi obviae), loculis nonnihil diffractis, obtuse conicis, altero breviore et cras- siore. Singularum longitudo 0,""0071 ad 0,""0099, latitudo 0,2"0028 ad 0,""0042. Hab. In Provincia Comensi multos jam ante annos (1840) ad Fraxinum Ornum ipse reperi, ibique iterum recentiori aevo cl. Anzius legit. Ex Etruria a. 1846 misit cl. Eques Vincentius Ricasoli. In agro Veronensi et Vicentino magna copia legerunt cl. Massalongus et Beltramini. ADNOTATIO. Cum prima vice nitidulam hanc plantam circa Pagum Zrevano in Provincia Comensi legissem, externa facie deceptus inepte eam pro forma Arthoniae Swarzianae habui, in herbarium retuli, cumque amicis communicatus sum. Oculatissimus autem Massalongus penitiorem ipsius structuram investigans, in peculiari plurimorum nucleorum co- haerentia notam mire genericam invenisse ratus, genus Tomase/lia in Diario Ratisb. p. a. 1856 instituit, suaque ratione definivit. Quod vero genus ad mentem sagacissimi Nylanderi (cujus sententiae et nos libenter adsentimur) proprio marte nequit consistere, quandoquidem a Melanotheca Fee antiquioris juris nullo certo criterio discriminetur. OCTONA LICHENUM GENERA, ECC. 9 MELANOTHECA Letghtonit Garov. —f TOMASELLIA Leighionit Massar. Esam. comparat. pag. 52. K6rB. Parerg. pag. 396. RapenH. Lichen. Eur. n. 780. — ARTHONIA punctiformis a. olivacea LeicnT. a Monogr. of brit. Graphid. Ej. brit. Lich. ees. n. 226. — MELANOTHECA gelatinosa NvyLAnD. Synops. Py- renocarp. (fide Arnoldii). — BECKHAUSIA nitida Hawmp. in litt. ad divers. (teste Kòrbero). CharacT. spec. — Thallo primigeno hypophloeode, aracknoideo, tenuissimo, secundario s. spurio membranaceo, maculari, laevi, continuo, nitidulo, incertis finibus evanescente, coloris cinerei, cervini vel rufi; apothectis compositis, sparsis, ellipticis vel subrotundis, convexiusculis, lata basi cortici insidentibus; epithecio cartilagineo, firmo, in formam straguli nigricantis supra apotheciorum ostiola protento; nucleis jam seorsim distinctis, et exquisite verrucaeformibus, jam pluribus in massam irregu- larem confluentibus, receptis a communi tunica membranacea, subhyalina; ascis clavato- obovatis, octosporis; sports elliptico-linearibus, hyalinis vel dilute faliginosis, 0,®"0171 ad 0,°"0199 longis, 0,2%0057 latis, quadrilocularibus, loculis intermediis subquadratis, extimis ad formam coni redactis. Icon. Tab. nostra I, f. 5. — Exs. DescrIpTIo — Thallus, qui pro more hypophloeodes est et arachnoideus, exte- rius in corticem se patefacit per maculas variae magnitudinis, zonularum ad instar junioris arboris ramulos perstringentes. Hae maculae incertis finibus evanescunt, nullo unquam hypothallo circumductae. Earum pars exterior laevis est, continua et sericeo quodam nitore-*refulgens. Color rufus vel castaneus obscurior modo, modo dilutus. Apothecia (A) quamquam perpusilla, sunt tamen semper composita, h. e. formata e pluribus nucleis insimul confluentibus et coalitis. In cortice ipsa haec apothecia pul- vinulos sistunt ellipticos vel subrotundos, dissitos, et satis raros, qui lata depressaque basi matrici insident, circulo sive halone quodam obscuriore praecinetos. Eorum apex, sive convexus sit, sive ad modum urceoli depressus, punctulis notatur minutis e prominentibus nucleorum ostiolis? Exterius vellaevia sunt et polita, vel lurida et opaca. Epithecium (Aa) straguli continui ad instar supra nucleorum vertices tantum expanditur, nec nucleum inter et nucleum unquam decurrit. Ipsias substantia mem- branaceo-cartilaginea , sat firma, nigro quidem inficitur colore, sed carbonacea nequit dici. Nuclei (Ac), quorum extant 2-12 in unoquoque apothecio communi, in l. speci- mine Rabenhorstii, quamquam inter se coaliti, formam verrucae omni tempore reti- nent distinctam, in lichene Leightoniano mox amittunt, et in massam gelatino- sam irregularis figurae concrescunt et confunduntur, in cujus contextu tot ascorum sporigerorum acervuli degunt, quot nuclei. ParapAhyses in utroque lichene, anglico nempe et germanico, obsoletae. Ascî (B) sat crebri, hyalini, mediocres, clavati, obovative, in medio passim dila- tati, ad basim oblique pedunculati, octospori, quorum plures inanes. Sporae (C) duplici triplave serie intra ascos distributae, elliptico-lineares, incolo- res, vel dilute fuliginosae, quadriloculares, loculis evidenter diffractis, interjectis duo- 2 10 S. GAROVAGLIO, bus prismatico-tetragonis, extimis in formam coni productis. Uniuscujusque sporae dia- metrum longit. 0,""0171 ad 0,""0199, transversum 0,""0057. Hab. Ad corticem Coryli Avellanae, nec non Tiliarum, Alnorum in Germania legerunt plerique; in Anglia ad Quercus juniores 1. Leightonius. ADNOTATIO. Melanotheca Leightonii distinguitur a M. arthonioide praesertim hisce notis: 1.9 Thallo incertis finibus evanescente; atro hypothallo haud limitato. 2.0 Apothectis raris, dissitis, ellipticis, turgidulis, convexiusculis, perpusillis. 3.° Epithecio nunquam de subtus propagines agente. 4.° Porro et quam maxime sporis quadrilocularibus. ANZIA GAROV. (ad interim). CHARACT. :GENER. —- Apothecium simplex, innato-prominulum, ab initio sphaeri- cum, tandem plano-depressum, unico instructum excipulo proprio, corneo-carbonaceo, crassissimo, cum hypothecio confuso, passim poro exiguo perforato; nucleus solitarius, globosus, opacus; parapAyses liberae, flexuosae, mox in frustula ramosa solutae; asci obovato-clavati, octospori; sporae adultae quadriloculares, subcymbiformes, fuscae, mediocres. TRallus subtartareus, effusus, aterrimus. HYypothallus indistinetus. Habi- tus Verrucariae. SPECIES ANZIA aterrima Garov. — RINODINA aterrima Krempelh. Anzi Symb. n. 35. Ej. Lichen. rar. longob. n. 461. Ej. et Carestia apud RasenH. Lichen. Europ. n. 770 a, et b. LanM in Notadene ad fase. xx1x I. Collect. RaBENHORSTI. (Non MICROTHELIA Metz/erî CarEsT. in Erbar. critt. ital. n. 1400, de qua infra.) CHaract. spec. — Thallo subtartareo, effuso, continuo, subaequali, vel minute verrucoso, tenui, aterrimo, opaco; apothecîis frequentibus, discretis, pusillis, subsphae- ricis, prominulis, exterius atris, laevibus, subnitidis, in apice tandem depreéssis; ezci- pulo proprio simplici, integro, crasso, poro exiguo pertuso; paraphysibus liberis, fle- xuosis, passim in frustula subramosa solutis; ascis obovato-clavatis, octosporis, evani- dis; sports ellipsoideis, vel anguste bombyciformibus, ab initio bilocularibus, tandem quadrilocularibus, mediocribus h. e. 0,""0142 ad 0,"®0171 longis, 0,"%0057 latis. Icon. Tab. nostra I, f. 6. — Exs. DescrIeTIo. — Thallus genidiis componitur rotundis, minutis, atro-fuscis (Anzi), estque indolis mucoso-gelatinosae vel subtartareae, late patens, tenuissimus. Nudo oculo inspicienti sese praebet plerumque continuus, subaequalis, laeviusculus; vitreae lentis ope exploratus verruculosus cernitur, rimisque perexiguis exaratus. Color in OCTONA LICHENUM GENERA, ECC. 11 plantula tam arida, quam madida nunquam non aterrimus, nitoris quidem expers, non vero inamaenus. Zypothallus indistinetus. Apothecia (A) extant tantilla, frequentissima, subsphaerica, discreta, magis mi- nusve prominula, exterius atra, laevia, jam polita et fere nitidula, jam opaca, intus cinereo-fusca, in apice primum convexiuscula, tandem ad formam disci vel urceoli depressa, poroque pertusa minutissimo. Excipulum proprium (Ab) s. perithecium simplex, integraum, corneo-carbona- ceum, ambitum versus dilutius coloratum, valde crassum, absque tunicae et hypothe- cli vestigio. Nucleus (Ac) minutus, gelatinoso-ceraceus, sordide cinereus, opacus. Paraphyses sat distinetae, liberae, flexuosae, subaequales, h. e. nullibi incrassatae, passim in fru- stula subramosa solutae, tandem diffluentes. Gelatina hymenia ope jodii rnbens (Anzi). Ascî (B) rari, obovato-clavati, subsaccati, in pedunculum attenuati, hyalini, octo- spori, evanidi. Sporae (C) in duplicem confusam seriem intra ascos distributae, nymphaeformes, turgidulae, altero capite crassiores, evidenter marginatae, fuscae, ab initio bilocula- res, loculis obtuse conicis, adultae quadriloculares, in medio constrictae (unde soleae- formes a Kérbero et Anzio dictae). Earum longitudo 0,%%0142 ad 0,2°171, lati- tudo 0,""0057. Hab. Ad saxa micacea Alpium rhaeticarum, in praeruptis sylvestribus supra Bormium Vallis Tellinae 1500-1600 supra mare detexit cl. Anzius. Prope Ripam Vallis Sesiae eam legit quoque Carestia. ADNOTATIO. Anzia aterrima, maxima quidem cum Verrucariis plerisque v. g. maura, acthiobola, praesertim vero cum ar- throspora nostra, cognatione et affinitate continetur. Hoc tamen intercedit has inter et illam grave et genericum discrimen, quod simplex semper et uniforme in Anzia sit excipulum, nec quale in Verrucariis videre est ex binis stragulis diversiformibus compositum. Quo vero jure Microthelia MetzZeri, cui apothecia sunt discoidea, perithecium apertum et partes nuclei in speciem laminae proligerae connexae et colligatae (conf. Icon. nostram in Tab. II, f. 1) cum Anzia possit confundi, hand perspicio. THELOCHROA mASsAL. Symm., pag. 85. — MONTINIA Ei. framm. pag. 13. CHARACT. GENER. — Apothecium simplex, unico instructum excipulo proprio s. amphithecio, ceraceo-carnosulo, molli, pallide colorato, mox aperto et cupuliformi; nucleus gelatinosus, adultus discoideus; parap/yses filiformes, subramosae, persisten- tes, inter se et cum ascis ope gelatinae hymeniae coalitae; ascé lineares, octospori; sporae ad lineam superimpositae, ellipsoideae, mediocres, uniloculares. Thallus crustaceus, effusus. Habditus omnino lecideinus. 12 S. GAROVAGLIO, SPECIES I. THELOCHROA Flotowiana Massat. in 1. op. K6gBER. Syst. pag. 332. Ej. Parerg. pag. 327. — MONTINIA Flotowiana Massar. Framm. — VERRUCARIA Flo- towiana Hepp. Flecht. Eur. pag. 92. — SEGESTRIA (/ectissima FRIES p. p. — VERRUCAR. umbonata Scuaer. Spicil. p. p. — VERRUC. elegans WALLR. (teste Heppio.) CnaracrT. spec. — Thallo tartareo-farinoso, effuso, rudi, inaequali, tandem in pulverem deciduum fatiscente, luride cinereo, vel fusco-nigro, opaco, intus albicante; apothectis mediocribus, solitariis, sparsis, ad dimidiam partem prominulis, rufo-fuscis, nudis, opacis, humectis dilucidis, ab initio verrucaeformibus, dein discoideis; ercipulo proprio simplici, ceraceo-carnoso, sat tenui, rufidulo, mox latissime aperto, cupuliformi; nucleo gelatinoso, molli, hemisphaerico ; paraphysibus filiformibus, subramosis, una cum ascis ope gelatinae hymeniae conglutinatis; ascîs elongato-linearibus, octosporis; sporiîs ad lineam superpositis, ovoideis, vel lato-ellipticis, unilocularibus, mediocribus, h. e. 0,""0135 ad 0,2"0199 longis, 0,220099 latis. Icon. Tab. nostra II, f. 2. — Exs. Ahi 1 Bai. DescrIptio — Lichen facie lurida, inconcinna. aa qui substantia est ut plurimum tartareo-farinosa, modo ili supra lapidem, cui insidet, expanditur, modo maculae ad instar arctioribus finibus continetur. Superficies ei est vix non sem- per rudis, inaequalis, passim verrucoso-rugolosa, quae colorem trahit fuligineum vel fusco-nigrum. Zypothallus parum evidens. ‘ Apothecia (A) occurrunt mediocria vel parvula, solitaria, sparsa, e thallo magis minusve prominula, dissita modo, modo bina plurave absque certa lege appropinquata. Sunt porro rufo-fusca, impolita, opaca, madore mollia et nonnihil pellucida, juniora sphaerica a nonnullis dicuntur, adulta vero, qualia tantum nobis obvia, semper he- misphaerica, h. e. superne in discum turgidulum, nudum applanata. Excipulum (Ab) proprium s. hypothecium simplex, ceraceo-carnosulum, haud crassum, pallide rufum, si madefiat dilucidum, primitus clausum, mox vero latissime apertum, cupuliforme. Nucleus (Ac) exquisite hemisphaericus, subpellucidus. Paraphyses filiformes, subramosae, persistentes, cum ascis et gelatina hymenia una coalitae. Asci (B) haud rari, elongati, lineares, angusti, in apice obtusi, ad basim brevi pedunculo suffulti, octospori. Sporae (C) per lineam intra ascos, turbato ordine, superpositae, ovoideae vel late ellipticae, marginatae, incolores, uniloculares, mediocres 0,%"0185 ad 0,""0199 longae, 0,220099 latae. Hab. In Helvetia prope Tigurum legit cl. Hepp.; in Silesia Flotowius et Kér- berus. In Italia nondum, quod sciam, reperta. tà OCTONA LICHENUM GENERA, ECC. 15 ADNOTATIO. Cohaerentia omnium partium in nucleo, item ratio epithecii mox aperti, et cupuliformis non sinunt hercle ut inter lichenes angiocarpeos, prouti nonnullis visum est, hoc genus recipiatur. SPECIES II. THELOCHROA MONTINII Massat. Symm. pag. 86. Ej. Lichen. ital. Exs. n. 385. CHÒÙaract. spec. — TAallo tartareo-granuloso, jam in parvos orbiculos contracto, jam in crustam interruptam effuso; squamis composito minutis, inaequalibus, hypo- thallo atro insidentibus, badio-fuscis; apotheciis minimis, vix sub lente acriori perspi- cuis, plano-concavis, rufis, opacis, madore subpellucidis; excipu/o proprio molli, sim- plici, dilute colorato, cupuliformi; nucleo hemisphaerico, gelatinoso; paraphysidus flexuosis, subramosis, cum ascis et gelatina hymenia conglutinatis; ascîs sporigeris rarioribus, brevibus, clavato-obovatis, octosporis, sterilibus creberrimis, pseudo-para- physes articulatas mentientibus; sporis ovoideis vel subrotundis, unilocularibus, hya- linis, 0,2" 0099 longis, 0,""0071 latis. Icon: Bab. nostrall. fi. xs LO: DescrIPTIO — Thallus tartareo-squamulosus, ab initio maculas sistit nun perexiguas, discretas, quae progressu temporis numero et magnitudine increbrescendo in crustam coadunantur irregulariter effusam, passim etiam interruptam. Squamulae, quibus et crusta et orbilli componuntur, hypothallo insident atro, suntque minutissi- mae, et figura admodum variae. In sicco badium ducunt colorem, qui per humidita- tem nonnihil vividior fit, quamquam persistat opacus. Interior substantia luride cinerea. Apothecia (A) prostant sat frequentia, sparsa, discreta, et adeo tantilla, ut nudo oculo nequeant perspici. Ope lentis acrioris inspecta formam praebent discoideam, vel plano-concavam: madefacta turgescunt, molliora fiunt, unaque pellucidiora, margi- nemque proprium, quo evidenter cinguntur in statu sicco, penitus amittunt. Eorum color rufidulus, obscurus modo, modo dilutus. Excipulum proprium (Ab) s. hypothecium simplex, ceraceo-carnosulum, pallide coloratum, cupuliforme, universum nucleum, praeter discum, circumsepiens. Nucleus (Ac) hemisphaericus, hyalinus, mollis, constat e paraphysibus cum ascis, et gelatina hymenia conglutinatis. ParapAyses sunt filiformes, flexuosae, simpliciuscu- lae, vel articulatae, tenuissimae aliae, aliae crassiores, inferne in telam continuam, su- periora versus in fasciculos collectae. Asci (B) frequentes, plerique steriles, angustissimi, pseudo-paraphyses simulantes, sporigeri rariores, breves, clavato-obovati, in pedunculum attenuati, octospori. Sporae (C) duplici confuso ordine intra ascos distributae, ovoideae, ellipticae vel subrotundae, incolores, uniloculares, minutae, s. 0,""0099 longae, 0,""0057 latae. Hab. Ad saxa eocenica compacta Prov. Veronensis in oppido Avesa legit Massa- longus. Vix alibi visa. ; 14 S. GAROVAGLIO, ADNOTATIO. Thelochroa Montiriz, quamquam notis specificis sat bonis a praecedente diversa, in omnibus tamen, quae ad genus faciunt, cum illa adeo exquisite convenit, ut de recta ambarum sub uno genere consociatione, nescio, quomodo ambigere quis possit. GERISLERIA NITSCHKE CHARACT. GENER. — Apothecium sclitarium, minutum, innato-prominulum, sèm- plici instructum excipulo proprio, tenero, carnosulo, dilute colorato, superne per la- tam rimam dehiscente. Nucleus ex hypothecio (amphithecio? Kérb.) hyalino, distineto oriundus, primum sphaericus, tandem in apice ad formam disci vel urceoli depressus, limbo excipuli proprii attenuato, retractoque circumseptus; paraphyses simplices, flexuosae, implexae, perdurantes; ascî elongato-lineares. subclavati, octosporij sporae ellipticae, quadriloculares. Thallus tartareo-granulosus, effusus, luride cinereus, vel glaucus. Hypothallus haud distmetus. SPECIES GEISLERIA sychnogonoides NirscHKE apud Rapena. Flecht. Eur. n. DIA. KoRB. Lichen. German. n. 206 (non vidi). Ej. Parerg. pag. 326. Hrpp. Flecht. Eur. n. 938. STITZENBERG Flecht. Syst. pag. 150. CuÒÙaracT. spec. — Thallo tartareo-granuloso, tenui, continuo, opaco, luride ci- nereo, vel glauco, tandem in lepram viridalam fatiscente; apothecdis perexiguis, spar- sis, solitariis, primum sphaericis, adultis in apice vario modo depressis, innato-promi- nulis, mollibus, rufo-fuscis, opacis; excipulo proprio simplici, carnoso-luteolo, ab initio undique clauso, dein superne dehiscente, tandem infra nuclei discum retracto; nucleo ex hypothecio distineto oriundo, in superiori parte mox ad formam disci vel urceolì depresso ; paraphysibus creberrimis, elongatis, implexis, persistentibus; ascis lineari- bus, octosporis; spor4s elliptico-fusiformibus, turgidulis, quadrilocularibus, mediocribus, 0,®"0171 ad 0,"°0199 longis, 0,""0071 ad 0,2"0099 latis. Teon: UWab, nostra il È RZ DescrIPTIO. — Thallus tartareo-granulosus, effusus, in terra vanga aggerum latas obducit plagas, modo tenuissimus, unaque continuus s. erimulosus, modo crassior rimas agens plus minus profundas, vel in frustula variae magnitudinis secedens. In statu vegeto colorem habet luride cinereum, terreum, opacum, vetustate vero in lepram fatiscit viridulam, quae pedetentim extenuatur, et evanescit. Hypothallus obsoletus. | OCTONA LICHENUM GENERA, ECC. DÒ Apothecia (A) sat frequentia, sparsa, solitaria, minutissima, juniora subsphaerica, clausa, thalloque majori ex parte immersa, inerebrescendo protrusa, diversiformia. Humecta mollia sunt, coloreque inficiuntur rufo vel fusco, qui in lichene arido obscu- rior apparet semper. Exterius ista apothecia plerumque granulis thalli fatiscentis con- spurcata occurrunt, indeque lurida et impolita: intus cineracea. Excipulum proprium (A6) simplex, carnosulum, decolor, vel pallide lutescens, ab initio undique clausum, dein superne lata rima dehiscens. Excipuli os, quod sen- sim sensimque latius patescit, tandem infra nuclei deplanatum apicem contrabitur, margine quodam flexuososo, irregulari eum praecingens. Nucleus (Ac) gelatinoso-ceraceus, ex hypothecio distineto oriundus, quamdiu clausus persistit, sphaericam exhibet figuram, aperto vero excipulo, magis minusve de- planatur, vel urceoli in modum deprimitur. Paraphyses copiosae, elongatae, simplices, flexuosae, implexae, non vero coalitae, diuque persistentes. Ascî (B) teneri, clavato-lineares, in brevem et obliquum pedunculum attenuati, octospori. Sporae (C) in duplicem triplamve seriem, ordine nonmhil turbato, intra ascos consertae, elliptico-fusiformes, pleraeque alterno capite crassiores, et magis obtusae, demum quadriloculares ( pluriloculares mihi numgquam obviae), mediae magnitudinis vel parvulae, h. e. 0,92171 ad 0,""0185 longae, 0,2"0085 latae. Hab. Ad terram sterilem argillaceam circa Miniagradam in Guetsphalia legit magna manu cl. Nitschke, nec alibi adhue reperta. ADNOTATIO. Genus mihi valde suspectum, quippe quod hinc Thelopsidi, illinc Hymeneliis Krempelh. nimis affine. MOSIGIA rRIES (teste Massalongo). CHARACT. GENER. — Apothecium simplex, ab initio sphaericum, demum discifor- me, inclusum verrucae thallodi excipuli vicem gerenti; massa sporigera (nucleus) absque peculiari indumento (h. e. tunica), Aypothallo atro protinus insidens, inferiori sua parte nigra, septisque ejusdem coloris in pseudoloculos inaequaliter divisa; asci clavato-obovati, octospori; sporae ovoideae, uniloculares, incoloratae, mediocres. Thallus crustaceus, verrucosus. Hypothallus ater. SPECIES MOSIGIA gidbosa Fries. Kors. Syst. pag. 378. Ei. Parerg. pag. 309. — ANZI Ca- tal. pag. 115. E). Lichen. rar. Longob. n. 248. — PYRENULA gbbosa AcH. Li- chenogr. univ. pag. 317. Ej. Synops. pag. 140. ScHaEr. Enum. pag. 210. — SA- GEDIA gibbosa FrIgs. Lichenogr. Eur. ref. pag. 414. FLotow. in dot. Zeit. 1855, 16 _S. GAROVAGLIO, pag. 132. — PARMELIA badza var. p. dispersa ScHAER. Spicil. pag. 383. Ej. Enum. pag. 69. GaRrOv. Saggio apud CattANEO Notizie, pag. 326 (1844). LECANORA atra n. sporadica ScHAER. Spicil. pag. 388. Ej. Enum. pag. 73. — LECANORA Grimselana Massar. Ricerch. pag. 1, f. 2. — PYRENOTHEA gibbosa Massat. Ricerch. pag. 152, £. 296 (Spermogonia). — PATELLARIA Grimselana Trevis. Saggio, pag. 257. — VERRUCARIA Grimselana Herr. Lichen. Europ. n. 225. — LECIDEA dispersa NyLanp. Prodr. Lichenogr. Gall. et Alg. pag. 112. CuHaracr. spec. — Thallo effuso, areolato-verrucoso, areolis hypothallo nigro insidentibus, modo sparsis et dissitis, modo in crustam subcontinuam congregatis, ab initio planiusculis, dein convexis, tumidis, laevibus, difformibus; opacis, colore ex cinereo-violaceo in rufum vel fuscum ludentibus, passim quoque in soredia flavo-viri- dia efflorescentibus; apothectis e verrucarum fertilium centro defosso prominulis, pri- mum sphaericis, mox discoideis, atris, scabridis, margineque thallode integro, persi- stente coronatisj massa ascigera absque omni excipulo proprio ex hypothallo atro oriunda, inferne nigra, per septa ejusdem coloris in loculos spurios, inaequales divisa; ascis clavato-obovatis, subsaccatis, octosporis; sporîs ovoideis, incoloratis, uniloculari- bus, 0,""0171 ad 0,""0185 longis, 0,""0071 latis. Tcon: Tab: mostra lib Rx, MR O Descrietio — Hypothallo atro, late effuso incubi areolae ab initio planiu- sculae, quae cum excrescunt pi pillaroni verrucarumque formam adipiscuntur. Harum aliae solitariae occurrunt et dissitae, aliae in globulos vel acervulos irregulares con- fertae, aliae denique in crustam coalitae subcontinuam, areolato-verrucosam, in am- bitu sat saepe effiguratam. Nitore carent semper istae areolae, suntque laeves, turgi- dulae, convexae, coloreque ludunt ex cinereo-fumoso-subviolaceo in rufum vel badium, pro ratione loci sicci vel humentis obscuriore vel dilutiore. Interior earum substantia sub stratu gonymo albissima. Areolae speciminum quae fructus non ferunt, plerumque, in soredia flavo-viridia efflorescunt, sensimque in pulverem fatiscunt deciduum ejusdem coloris. Verrucae fertiles reliquis magis tument, et circa apotheciorum discum margi- nem persistentem efficiunt. Sunt porro et aliae areolae, praesertim in speciminibus ste- rilibus obviae, in quibus Spermogoria nidulantur. Apothecia (A), quae non ubique occurrunt rite evoluta, centrum defossum s. um- bilicatum singularum verrucarum fertilium inhabitant singula, suntque mediae ma- gnitudinis. Substantia, quae ea excipit thallodes, in parte basilari deest plerumque, quapropter massa ascigera absque excipulo proprio ex atro hypothallo protinus ori- ginem ducere videtur. Apotheciorum figura ab initio sphaerica, tandem evadit di- scoidea, quem discum undique cingit et coronat margo thallodes integer, obtusus, per- sistens, quandoque supra illum protentus, quandoque infra consistens. Exterius ista apothecia sunt atra, scabrida, opaca, hine sulcis jugisque exarata, illine punctis notata minutis, excentricis, quos perperam pro nucleorum ostiolis habuerunt nonnulli. Secta colorem exhibent intus cinereo-fuscum. Massa sporigera (Ab) formam et spissitudinem nuclei angiocarpeorum lichenum fere adsciscit: constat autem ingenti copia paraphysium cum ascis et gelatina hyme- OCTONA LICHENA GENERA, ECC. 17 nia cohaerentium, prouti in gymnocarpeis esse solet. Tumentes paraphysium apices in superficie disci peculiare efficiunt stragulum nigrum, cui Kérberus epithecii nomen dedit. Nigram quoque sese praebet massae sporigerae pars basilaris, quae protinus hypothallo insidet, h. e. Aypothecium Kirberi. A quo hypothecio excurrunt ramuli nonnulli ejusdem coloris, qui sursum protenti multipliciter se spargunt, et superficiale illud stragulum intrant, massam ascigeram in plures loculos, s. pseudo-nucleos inae- quales partientes ac dividentes. Qua propter istud apothecium sub sectione verticali ad lentem visum non simplex, quale revera est, sed quasi e pluribus nucleis com- positum apparet. Ascî (B) infrequentes, obovato-clavati, elongati vel breves, in apice dilatati, evi- denter marginati, paraphysium contextu inclusi, persistentes, octospori. Sporae (C) in duplicem, triplamve irregularem seriem intra ascos distributae, ovoideae, vel-lato ellipticae, in utroque capite obtusae, hyalinae, episporio crassiu- sculo instructae, uniloculares, mediocres, s. 0,®"0171 ad 0,%"0185 longae, 0,"20071 latae. Hab. Mosigia gibbosa crescit ad rupes madidas in alpinis et subalpinis per totam fere Europam. In Sudetis Germaniae detexit cl. Mosig., in Helvetia Schaererus, in alpibus Vallis Tellinae ipse ego jam anno 1840, in Vogesis Mougeot. Non ubique ta- men fructifera. ADNOTATIO. Structura adeo singulari gaudet Mosigia, ut non modo de ejus loco in systemate, verum etiam dubitare fas sit, num ipsa speciem sui juris constituat vel potius excepticii quid flocci faciendum. Nos, donec meliora edoceamur, Mo- sigiam pro lichene autonomo accipimus, cujus sedem inter lichenes discocarpeos satis aperte designatam putamus. tum omnium partium in nucleo conjunetione, cum peculiari paraphysium structura et dispositione. 3 Hi si LR DIN Ù i tun VAI Ù) | | i | Mem' della Socditsdi Senaf' Tom .IVN 2Tav.I. n R 6 SLA: Ronchi Milano” DCrbellvadnaturan’ delineavil ù, Korb .-L Microthelra ecalonspiora , Anzio 3 Thelormphale Lacverere , Korb — 4. Melanotheca arthoniodes, Nyl- Melanotheca Leightoniv, Gar. — 6.Anaa aterrima, Gar. Mem®della Soc®it*di Scenati Tom. IVN2Tag. IL fenchi Milano. D Cibelle ad natura nvdelinearit I, 7; ; ano DR, - r MR / rothelia Metzleri Kixb.— 2 Thelochroa: Flotomiana, Mass 3. Thelochroa/ Montinit, Mass- + Gowslerra sychrogoniordes, N stgia gibbosa, Korb. SUNTO DEI REGOLAMENTI DELLA SOCIETÀ Scopo della Società è di promuovere in Italia il progresso degli studj relativi alle scienze naturali. La Società si aduna in sedute ordinarie e straordinarie. Le ordinarie si tengono una volta al mese, eccettuati settembre e ottobre; le straordinarie, ogni volta che lo creda opportuno la Presidenza o il Consiglio d’ io La Società tiene inoltre ogni anno una riunione straordinaria in qualche luogo d’Italia preventivamente scelto, alla quale, oltre i socj, possono prendere parte attiva: 1.° i rappresentanti dei Corpi scientifici; 2.° gli invitati od ammessi dalla Presidenza. Il numero dei socj è illimitato: si distinguono in onorarj, effettivi e corrispondenti. I socj effettivi pagano italiane lire 20 all’ anno. La proposizione per l’ ammissione d’un nuovo socio deve essere fatta e firmata da tre socj effettivi. I socj effettivi che non nudi la loro rinuncia almeno tre mesi prima della fine dell’ anno sociale (che termina col 31 dicembre) continuano ad essere tenuti per socj : se sono in ritardo nel pagamento della quota di un anno, e, invitati, non lo compiono nel primo trimestre dell’ anno successivo, cessano di fatto di appartenere alla Società, salvo a questa il far valere i suoi diritti per le quote non ancora pagate. Le Comunicazioni e Memorie presentate nelle adunanze possono essere stampate 0 negli Atti della Società o nelle Memorie, per estratto o per esteso, secondo la loro estensione ed importanza. La cura delle publicazioni spetta alla Presidenza. Gli Atti si danno gratuitamente ai s0cj. Le Memorie non si danno gratuitamente ai socj, ma si vendono loro a prezzo minore di quello fissato per le persone estranee alla Società. Per i loro prezzi si veda la quarta pagina di questa copertina. Tutti i soc} possono approfittare dei libri della biblioteca sociale, ritirandoli per un dato tempo a casa, purchè li domandino alla Presidenza e ne rilascino regolare ricevuta. Si possono comperare i volumi INI, IV, V, VI, VEI, VERI e EX degli Atti, al prezzo di lire 20 cadauno. Si potranno avere direttamente dai Segretarj della Società. Per i socj attuali, i quali desiderano avere i volumi corrispondenti agli anni an- teriori a quello in cui hanno cominciato a far parte della Società, e li domandano direttamente ad uno dei Segretarj, è prezzi sono ridotti alla metà. Prezzo della presente Memoria Per-i:s0c; eee Per gli estranei alla Società. . » 4 — I socj ponno abbonarsi alle Memorie pagando la somma di Lire 10, oltre alla quota annuale. — Questa somma è portata a Lire 11 per i soc) che vogliono rice- vere le Memorie fuori di Milano, ma nel Regno, per la posta. Il numero delle Memorie corrispondenti ad un volume e ad un anno è indeterminato Il primo volume, pubblicato nel 1865, verrà rilasciato al prezzo di Lire 10 a tutti i soc} che si abboneranno al volume II del 1866. In seguito, pei socj che non fanno l’ abbonamento nei primi sei mesi dell’anno, «e pei non soc], il prezzo dei volumi sarà maggiore, e precisamente come verrà indi ‘ cato sulla coperta di ognuno di essi. Le Memorie sono in vendita in Milano, presso la Segreteria della Società. A EOLI SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI Tomo IV, N. 3. LE ABITAZIONI LACUSTRI- E mu AVANZI DI UMANA INDUSTRIA IN LOMBARDIA. RELAZIONE DI CAMILLO MARINONI DOTTORE IN SCIENZE NATURALI — ASSISTENTE AL MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE IN MILANO. Con 7 TAVOLE MILANO COI TIPI DI GIUSEPPE BERNARDONI 1868. _ PRESIDENZA PEL 1868 ‘Presidente, Dott. Emilio CoRrNALIA, Direttore del Museo Civico di Milano, ecc., via del Monte Napoleone, 36. Vice-Presidente, AntoNIO VILLA, via della Sala, 3. Dottor GIOVANNI OmBONI, Professore di Storia Naturale, via dei Cir- ss COLl2. Segretar;j LE : : Abate ANTONIO STOPPANI, Prof. di Geologia nel R. Istituto Tecnico superiore in Milano, via dell’Annunciata, 2. \ Gaetano NEGRI, Corso Porta Romana, 16. Vice-Segretarj | i deg CamiLLo MARINONI, dottore in Scienze naturali, via S. Agnese, 5 Cassiere, GIUSEPPE GARGANTINI PIATTI, via del Senato, 14 ca role RA MEMORIE SOCIETÀ ITALIANA DI SCIENZE NATURALI Tomo IV, N. 3. LE ABITAZIONI LACUSTRI E GLI AVANZI DI UMANA INDUSTRIA IN LOMBARDIA. RELAZIONE DI CAMILLO MARINONI DOTTORE IN SCIENZE NATURALI ASSISTENTE AL MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE IN MILANO. MILANO COI TIPI DI GIUSEPPE BERNARDONI 1868. LE ABITAZIONI LACUSTRI GLI AVANZI DI UMANA INDUSTRIA IN LOMBARDIA. « Le sol que nous foulons est véritablement le tombeau du passé, un vaste tombeau, toujours ouvert, et qui nous engloutira à notre ton avec les restes de notre industrie et au profit des an- tiquaires à venir ..... » MorLoT. — Legon d’ouverture d’un cours sur la haute antiquité. - p. 3. Dacchè anche in Italia, dietro Ia spinta venuta specialmente dagli Svizzeri, l’amore per lo studio delle antichità preistoriche s' insinuò fra gli uomini dediti agli studii natu- rali, i quali cercarono di rischiarare colla fiaccola della scienza il remoto del nostro passato; molte reliquie si scopersero di quelle genti che prime abitarono questa nostra terra e vi fondarono le prime comunità umane. Voler quindi, al punto in cui oggi è portata la scienza paleoetnografica, venire a metter voce in capitolo, non è del caso mio, giovine come sono di esperienza e di studii, nuovo, quasi vorrei dire, in questa parte nella quale tanti e tanti sommi hanno già rotte di parecchie lancie; però , ho potuto constatare che mentre in tutti i paesi non mancarono gli illustratori delle preziose dovizie che sono gli avanzi delle industrie dei nostri primi padri, delle nostre cose lombarde, che sono pur belle e del pari interessanti, non si è ancor detto una parola, o troppo poco, che le possa portare a notizia di tutti come veramente dovreb- bero essere. Le altre provincie italiane, o poco o molto , ebbero di appassionati cultori dello studio delle origini dell’uomo, i quali raccolsero quanto mai fu loro possibile acchè più compiuta riuscisse l'indagine, e i materiali moltiplicati servissero al paragone da cui dedurne una sintesi che potesse soddisfare al bisogno che sentiamo di conoscere i primi rappresentanti della nostra specie. — Mio scopo dunque, non è quivi di voler trattare dell’uomo antico e di voler dedurre dal poco che ho potuto raccapezzare con- clusioni che sarebbero senza dubbio più o meno malamente abbozzate sulle idee già da altri emesse; ma per ora vorrei accontentarmi di narrare dei fatti speciali a questo 4 C. MARINONI, mio paese; cosa che io reputo non affatto superflua, perchè prefiggendomi anzi tutto a guida la pura verità, sarà un materiale nuovo, piuttosto che un ingombro nelle mani di chi vorrà trattare con più coscienza di causa la quistione. - La mia attenzione vi si rivolse fino da quando si cominciarono a scoprire avanzi delle stazioni lacustri in Lombardia, ma allora la messe era poca, nè io cotanto azzar- doso per arrischiarmi in un’ illustrazione; oggi però, in cui possiamo dire che tutto quanto v'ha di buono e di meglio è radunato al Museo Civico di Milano, splendido dono della Società Italiana di Scienze Naturali (1), mi arrischio a presentare le figure degli svariati oggetti ivi raccolti e che hanno una derivazione ben nota, sicuro di poterne dedurre per la Lombardia la ripetizione di quegli stessi fatti che in altri luoghi sono già stati segnalati, e trovare prove nuove da aggiungere alle tante altre già evidenti dell’esistenza di un’epoca della quale nè la storia nè l’archeologia riesciranno mai da sole a tesserci la narrazione; di un'epoca preistorica dunque, che ci venne segnalata dalla geologia, i di cui monumenti sono fossili, come sono fossili gli avanzi degli abi- tatori della terra di quell’epoca di somma antichità. Così da noi come in tutte le altre terre italiane ed in tutti i paesi, fino da tempi immemorabili col nome di pietre del fulmine (2) sono conosciute dai più quelle scheg- gie di selce più o meno regolarmente tagliate a cuspide che qua e là a caso si incontrano dai nostri contadini lavorando la terra come nelle regioni più meridionali d’ Italia, ov- vero scavando le torbiere come da noi. — Questi oggetti non ebbero mai interesse alcu- no: — la superstizione, forse ancora perchè la tradizione ricordava le selci accuminate e le armi di pietra come usate dagli antichi popoli e anche presso i Romani nei riti re- ligiosi (3), le faceva venerate; bizzarrie di natura le chiamano ancora i filosofanti con quella stessa noncuranza con cui le classificavano 1 vecchi naturalisti che le attribui- vano al lusus nature. La questione se i primi uomini abbiano vissuto colla fauna quaternaria ora spenta, che condusse Boucher des Perthes a cercarne lo scioglimento nelle alluvioni antiche di Abbeville, e occupa da alcuni anni parecchi distinti geologi dattorno a questi nuovi elementi di cui i più comuni ed abbondanti sono appunto cotali frammenti di selce, (che però la barbara China considerava già quali strumenti usati dai primissimi avi), destò anche in Italia la scienza etnografica. — Gastaldi, Scarabelli, Anca, Strobel, Pigorini, Nicolucci, Cocchi, Lioy e altri, hanno molto lavorato all’ineremento di questi ‘nuovi studi, e per noi in Lombardia, quantunque da poco assai vi ci siamo dedicati, (1) Il 26 febbrajo 1865 in sua seduta ordinaria, la Società italiana di scienze naturali, decise di donare al Museo Civico di Milano la sua collezione di oggetti preistorici, raccolta specialmente nelle palafitte del lago di Varese. (2) Si trova già negli scritti di Plinio: Glossopetra lingue similis humana, non in terra nasci dicitur; sed deficiente luna calo decidere (libro XXXVII, ca- pitolo 59). (3) A questo proposito ricorrasi agli scritti antichi di Prudenzio , di Svetonio, di Catullo, di Lucrezio, di Plinio, e fino dello stesso Tito Livio (libro I, capo 24), dove si parla dei riti degli antichi Romani. — Veggasi pure l'introduzione all’erudita memoria del signor Ste- fano De Rossi: Rapporto sugli studii e sulle scoperte paleoetnologiche nel bacino della campagna romana. — Roma 1867. LE ABITAZIONI LACUSTRI IN LOMBARDIA. 5 pure possiamo già vantare le scoperte di Moro, dello Stoppani e le indagini dei Villa, di Mortillet, d’Angelucci e d'altri che se ne occuparono più o meno strettamente (1). Ai lavori di costoro ho attinto per completare maggiormente questa illustrazione de- gli avanzi dell’industria umana in Lombardia ricercandovi quanto fu trovato per lo passato nelle nostre torbiere, negli antichi tumuli, e per trarne quelle notizie stori- che che mi sembrassero abbastanza degne di fede. — La raccolta delle palafitte è quella che esiste originale al Museo di Milano, e di cotali oggetti presento le figure tratte dal vero. Ecco quale è lo scopo di questo mio lavoro di illustrazione: — rendere di ra- gione pubblica le scoperte paleoetnografiche fatte sul suolo lombardo. In seguito alle scoperte fatte in Danimarca, in Francia e nella Svizzera, riuscita la nuova scienza ad erigersi su solide basi, la sistematica opposizione dei pochi cessata; sulle prime traccie di uno studio di comparazione fra i prodotti dell'industria anti- storica rinvenuti nei diversi paesi, poterono i geologi stabilire una vera serie crono- logica di età, però sempre relativa, nello sviluppo della civilizzazione antistorica in Europa. Le tre epoche poi della pietra, del bronzo e del ferro, furono ampiamente au- tenticate dalle recenti scoperte fatte negli anni 1358 e 1859 nei laghi svizzeri, le quali diedero per così dire la sveglia agli studiosi, e tosto altri laghi resero in luce 1 loro tesori nascosti. — Allo sprezzo ed all’inerzia subentrò una vera smania di fru- gare le viscere della terra ed il fondo dei più piccoli laghi per trovarvi l’uomo antico. — Ma dove trovare un luogo per cui fissare egualmente e con certezza i rapporti fra l’e- poca antistorica, quella della vera storia che la segue, e l'epoca posterziaria che la precede? — L'Italia così ricca di monumenti di tutte le età, parve il campo più adatto allo svolgimento della questione, come opinò lo stesso signor E. Desor; e in tutti sorse la convinzione che, avuto riguardo alla topografia dei nostri laghi tanto analoga a quella dei laghi della Svizzera e della Baviera, le abitazioni da palafitta dovevano pur sorgere un tempo al di sopra delle increspate onde dei bacini dell’ Italia settentrionale. — A tale asserto poi maggiormente dava fiducia l’ essere fin giù da tempi remoti stati trovati in altre parti d’Italia indizii, quantunque scarsi, di traccie dell’ uomo della pietra (2). All'epoca però a cui ci condussero le scoperte svizzere, quelle fatte dallo Scara- belli nell’Imolese, quelle nel territorio napoletano pubblicate dal Nicolucci, dell’agro (1) Anche l’ abate G. B. Giani nel suo libro: Bat- cuminate e lavorate (v. MERCATI: Metallotheca vati taglia del Ticino fra Scipione ed Annibale (Milano, © cana, ecc. pagina 242); ma in mezzo alle idee di quei 1824) descrive armi ed oggetti che forse non sono che tempi, confutato dall'autorità del Boezio, il suo giu- avanzi preistorici dell’ epoca del bronzo e del ferro. dicio cadde, ed alle scheggie di selce si tornò ad at- (2) Già fin dal secolo XVI.° il Mercati, sagace natu- tribuire la meravigliosa origine di prima. ralista, aveva divinata la vera origine delle selci ac- 6 C. MARINONI, romano, di Liguria, di Sardegna, di Sicilia, avevano fatto conoscere armi ed avanzi dell’ industria di un periodo assai rimoto dell’ epoca della pietra; ma codeste traccie potevano ancora dirsi incerte, perchè rare e circondate dal mito della superstizione, senza un’assoluta guarentigia per le pretese della scienza. — Non così fu più tardi per l'abbondante messe di anticaglie tratte dai signori Pigorini e Strobel dalle mar- niere del Parmigiano e del Modenese, le quali collegavano ad un tempo per mezzo di invisibili anelli l’epoche tradizionali coi tempi più antichi e coi più appressati a noi. — Ora fra tanta copia di cose trovate in Italia e spettanti all'uomo antico e pri- mitivo che la scienza va di continuo accumulando, ve ne ha qualcuna che sia stata raccolta sul suolo lombardo, che possa sparger luce sui nostri progenitori? — Per venire più specialmente a trattare della Lombardia, ai cui confini mi sono ristretto , potrei notare alcune epoche già molto anteriori a questo tempo in cui si era comin- ciato a raccogliere oggetti di selce, non più considerandoli mere curiosità archeolo- giche, certo però senza attribuirvi quell’ importanza che dà loro la scienza d’ oggi: tali sarebbero le scoperte d'armi a Brescia, quelle delle torbiere di Bosisio e di Mer- curago illustrate dai Villa e dal professor Moro; ma di ciascuna di esse intesserò a suo luogo la storia della scoperta. Se si eccettui qualche raro oggetto affatto sporadico, si può asserire che in genere la giacitura dei depositi umani anche da noi come altrove è limitata quasi esclusi- vamente alle grandi formazioni torbose ed a tutto quanto avvi di analogo nella stessa epoca di formazione geologica. Dopo le torbiere vengono i laghi colle loro palafitte come in Svizzera, e questi depositi probabilmente si corrispondono non essendo le tor- biere che il fondo di antichi laghi ridotti in secco. Ormai quasi non vi è fondo di lago in Lombardia che non sia stato rovistato ed in cui non sieno state scoperte le reliquie degli uomini primitivi; non vi ha torbiera esplorata che non abbia insegnato quali furono le prime industrie quali gli animali che vissero su questo suolo coi primitivi Insubri. E di laghi e di formazioni torbose noi non abbiamo penuria. — La scorta di una carta topografica qualunque ne indica come dal Ticino al Mincio, una serie di vallate normali all'asse del Po si aprano nella pianura colle spiaggie di que- gli immensi bacini che per gran tratto vi si insinuano, fonte inesauribile ai poderosi fiumi che irrigano la nostra pianura e la fanno tanto ferace. Il lago Maggiore, i laghi di Como, d’Iseo e quello di Garda sono tali da offrire nella loro immensità spiaggie quiete ed al riparo dall’imperversare delle bufere sicchè vi si potessero impiantare poche casuccie sopra malferme palafitte; i piccoli laghetti di Pusiano, di Varese, di Annone dovevano allettare col loro ridente cielo ed i loro ospitali dintorni riparati da monti e da colli, temperati di clima, più atti e più tipici a questo scopo sembrando essere, meglio ancora che non taluni dei bacini della Svizzera. — Ma questo è lo spettacolo che presenta la natura a noi osservatori d’ oggi. — Quale sarà stato l'aspetto probabile della Lombardia d’ allora, al finire di un’ epoca glaciale che tutto il nostro paese aveva investito e su cui di recente i ghiacciai e le alluvioni avevano tracciato a segni indelebili il loro passaggio da padroni dominatori ? Credo di non esagerare punto nel dire un vasto pantano, un'immensa palude. — LE ABITAZIONI LACUSTRI IN LOMBARDIA. ld Infatti lungo tutta la linea inferiore dei nostri laghi e per tutta la Lombardia una vasta zona di torbiere accenna ad una maggiore estensione dei laghi stessi: — appar- tengono esse alla zona delle morene frontali dei ghiacciai quaternarii lombardi corri spondendo alle depressioni esistenti tra le colline che ne rappresentano le varie epoche di ritirata, ovvero sparse qua e là, appicciccate come le morene sui fianchi dei monti. Sulla sponda orientale del Verbano, nei dintorni del lago di Varese e per la più gran parte del territorio fra Varese e Como, scendendo molto anche su quel di Milano lungo il fiume Olona, dove appena la natura del suolo lo permetta, non si calca che torba. — Gli ameni laghetti della Brianza sono d’ogni intorno ampiamente circondati da depositi torbosi da loro abbandonati un giorno. — I depositi di Leffe, quelli di Torbiato che limitano al sud il lago d’Iseo, nonchè quelli alle spiaggie del Garda e quelli del Min- cio presso Mantova, limitano chiaramente una zona di maggior estensione dei laghi attuali che hanno per ragioni affatto speciali lasciate in secco. Queste torbiere vastis- sime dovevano esserne, e per la loro posizione topografica e per la loro origine geolo- gica, i bassi fondi limacciosi che oggi ridotti all’asciutto, sono lavorate dal bisogno di novelle industrie che vi hanno spinta la marra del contadino. Se un popolo abitava al di sopra delle acque dei laghi, erigendo le sue capanne lungo le spiaggie, nel sottosuolo delle torbiere devono esistere le reliquie delle sel- vaggie tribù le quali come tutto il resto del mondo popolarono in antico anche l’Ita- lia. Sono i resti lasciativi dalle genti che fissarono la loro dimora in quelle campagne primachè fossero spaludate e che finissero di essere seni di placidi bacini, i soli che possano fornirci gli indizii di un’industria selvaggia di tempi la cui nebbia non si era mai potuta squarciare; quei fondi pantanosi debbono anzi a miglior agio restituire la messe di tutti quegli avanzi di industria che qui caduti, vennero ricoperti e conser- vati perfettamente dai varii depositi di melma che sopra vi si addossarono finchè il tutto divenne un suolo asciutto. Se questo riesce evidente per le torbiere che circondano direttamente i nostri la- ghi, non lo può esser meno per altre località, qualora si abbia riguardo alla loro po- sizione topografica ed orografica specialmente dei tempi addietro. — A Guidizzolo vennero ritrovati di cotali avanzi d’industria; -— ora questo paese giace in una depres- sione limitata dalle colline moreniche di Calcinato, Montechiaro e Carpendolo da un lato, e di Lonato, Castiglione, Cavriana e Volta dall’altro, tra il Chiese ed il Mincio. Che di meglio per determinare i limiti di una vasta palude? — Qui avressimo avuto quello che poco lungi si è verificato presso Crema col lago Gerundio che si conservò fino al 1000 d. O. colla sua storica isola Fulcheria, del quale unico avanzo or restano î Mosi vaste paludi entro al cui perimetro recentemente vennero scoperti oggetti che indubbiamente datano dalle epoche preistoriche della pietra e del bronzo (1). Ho segnato su di una piccola carta della Lombardia (tav. I, n. 1) i punti ove furono raccolti oggetti preistorici da noi. — Da quello schizzo topografico potrà [| (1) MaRrINONI, Di alcuni oggetti preistorici trovati liana di scienze naturali. Vol. XI, 13868, pag. 82. nei dintorni di Crema, negli Atti della Società ita- to) C. MARINONI, LE ABITAZIONI LACUSTRI IN LOMBARDIA. ognuno rilevare come le primitive stazioni umane si limitino affatto alla regione dei laghi e delle torbiere da essi derivate immediatamente, ovvero di quei laghi che ora sono asciutti; — dallo studio di essi oggetti si vedrà come tutti datino da una stessa epoca che corrisponde presso a poco alla fine dell’ epoca della pietra ed al principio di quella del bronzo: all’epoca delle palafitte svizzere. — Ad essi vanno aggiunte an- cora la stazione lacustre di Peschiera sul lago di Garda dell’ epoca del bronzo inol- trata, e le stazioni della riva sinistra dell’alto Ticino presso Sesto Calende dell’epoca del ferro, luoghi tanto disputati dai geologi e dagli archeologi che vi volevano per- fino ravvisare il campo di Annibale che muoveva contro le legioni romane e gli avanzi dei dolmen degli antichi Celti. — Queste stazioni ricchissime ne avvicinano d’un tratto alle epoche nei dominii della storia, e sono uno di quegli anelli che forse un giorno potranno spiegare le origini dei ali riunire il tempo al tempo e Gudan a porre le basi per una sronigiogia assoluta. ETÀ DELLA PIETRA. L’uomo preistorico in Lombardia non lasciò grandi traccie di sè come in altri paesi, e perciò non è tanto facile determinare precisamente in quali epoche vi abbia Vissuto. — Al giudizio dai più fin’ ora emesso, pare che siasi stabilito sulla sponda dei laghi lombardi verso la fine dell’epoca della pietra e vi abbia durato lungo una parte dell’ epoca del bronzo; abbia poi esteso la sua dominazione sui territorii circo- stanti, e passando attraverso l’epoca del ferro sia venuto a legarsi coll’uomo della storia. Così stabilita una certa cronologia, quantunque molto relativa, vorrei indagare se propriamente a così ristretti limiti di tempo e di spazio sia stato ridotto il primo po- polo abitatore del nostro paese; mentre davvicino assai, altri popoli al paro di lui sel- vaggi e nomadi cercavano già, in mezzo alla rozza barbarie che regnava allora nelle caverne della Francia, in Toscana, in Romagna e nel Veneto, qualche mezzo di co- municazione commerciale onde sopperire collo scambio alla comunità dei bisogni. Intanto è necessario provare che l’uomo della prima età della pietra ha vissuto in Lombardia. — Questa affermazione ha certamente bisogno di molti fatti a suo sostegno, benchè anzitutto sia necessario restringere di molto i limiti entro cui potrebbe essere intesa la prima età della pietra per questo paese. — Da noi non è l’uomo così antico come quello del diluvium gris e del diluvium rouge in Francia che cacciava il Renne ed il Mammouth, e neppure l’uomo così rozzo come quello della valle della Somme: al più potrebbe essere l’uomo delle caverne che contrastava agli orsi ed alle fiere il loro covile, affrontandole col fuoco e colle scuri di pietra. Le caverne ad ossami di Lombardia fino ad ora esplorate, ne diedero è vero la lista di una bella serie di animali che le abitarono, tale da costituire una vera fauna che può stare a confronto a quella delle caverne ossifere le più celebri di altri paesi (1): — tra gli altri si notano quegli animali che vissero coll’uomo nelle caverne di altre parti d’Italia; ma da noi non furono ancora trovate sicure ed autenticate traccie dell’ uomo che divideva coll’ orso speleo la dimora di una grotta come nell’Ariège, nel Perigord, nell’ Hérault, ece. in Francia, nel Belgio, nel Vicentino, in Sicilia; nè io sapre iren- ‘ (1) Vedi SToPPANI, Paltontologie lombarde, ecc. , II M® serie. — CORNALIA, Mammifères fossiles. 2 10 C. MARINONI, dermi ragione della fonte a cui il signor Le-Hon attinse la notizia di tale fatto in Lombardia (1). Le caverne lombarde, per quanto mi sappia e per quante informazioni mi sia procurate, non offersero mai agli investigatori avanzi della industria umana, mai sto- viglie, mai selci lavorate. — Questo fatto non esclude la possibilità di poterne trovare un giorno; ma per intanto la prova è negativa e tanto più negativa per la caverna di Laglio sul lago di Como, nella quale le prime scoperte furono fatte dal dottor G. Ca- sella, che non vi rinvenne mai pur una selce, pur un coccio solo. Un altro carattere molto esclusivo si è che le caverne che furono abitate dalla razza umana primitiva, contengono sempre quantità di ossami rotti per il lungo allo scopo di estrarne la midolla. — Questo carattere, data anche l'assenza di veri avanzi umani e di oggetti dell'industria dell’uomo, è una specialità così marcata e sicura che non potrebbe sfuggire all'occhio di veruno. — Or bene, a Laglio, per dire della nostra caverna ossifera più conosciuta, in mezzo alle centinaja di femori, di omeri e di tibie degli orsi, forse gli unici dominatori del luogo, se si esclude qualche ruminante proba- bilmente venuto dopo a trovarvi riparo e tomba, non un osso fu trovato che offra la benchè minima traccia di intaccatura o di rottura fatta allo scopo e come si usava (2). — Le ossa sono intatte o erose dalle acque che per stillicidio sopra di esse cadeva; pochissime rotolate. — Il Buco dell'Orso sopra Laglio presenta di più tutti i dati di una vera caverna ossifera, non già di una caverna ad avanzi umani, apparendo essa per tutti gli argomenti geologici e paleontologici un deposito da sincronizzarsi all’epoca glaciale. La immane congerie di ossami che la caratterizzano, non ha nulla a che fare col depositi ossiferi, ove appajono le orme dell’uomo, le quali, benchè talvolta siano solo poche traccie, vi sono sempre evidenti, chiarissime, e per esse tutto parla in quelle grotte della presenza di questo re della specie. — Negli antichi ghiacciaj delle Alpi di reliquie umane non ne furono mai trovate nei depositi glaciali ai quali l’uomo deve essere posteriore come quello che venne a fondar palafitte nei nostri laghi morenici e sulle sponde dei bacini della Svizzera (3). Delle altre caverne lombarde non si può concludere diversamente non avendo nemmeno dato ciò che ne fornì quella di Laglio. I resti di due cranii sono tutti gli avanzi umani tratti dalle caverne e che presu- mibilmente potrebbero attribuirsi a questa epoca di alta antichità. — L’uno di questi ha (2) Nelia medesima seduta nella quale veniva pre- sentata al congresso di Vicenza codesta relazione, il (1) Il signor Le-Hon nel suo libro intitolato: L° hom- me fossile en Europe, ecc. Bruxelles 1867, a pag. 52 dice : « .... Dans le Vicentin la grotta du Chiampo, et celle de Laglio sur le lac de Còme, contenant des nombreux ossements de l’ours des cavernes mélés avec des silex taillés et les débris de poterie grossière, rare exemple de cette industrie rudimentaire à une àge aussi réculée de la race humaine. » Ed altrove a pag. 69 parlando della fabbricazione delle stoviglie all’ epoca del renne , cita ancora la ca- verna di Laglio come abitata dall’ uomo, colle parole: « Ces poteries mal cuites et toujours en fragments, ne sont pas les plus anciennes qui aient existé. On en si- gnale des vestiges dans trois cavernes de l’àge de l’ours; celle de Pondre et celles du Chiampo et de Laglio dans le nord de l’Italie. » prof. E. Cornalia, vi presentava a nome del prof. Re-. gazzoni di Como, un’ ulna di orso speleo trovata nella caverna di Laglio, con profonde traccie di intagli , at- tribuite all'uomo coevo dell’orso in quella grotta. Quan- tunque ciò sembri distruggere quanto dissi più sopra; mi è duopo confessare io pure, essere piuttosto convinto dall'opinione dei signori Strobel, Stoppani e Casella, che cotali intagli sieno affatto accidentali e moderni, e precisamente attribuibili agli strumenti con cui si ope- rarono gli scavi; e non già all’uomo preistorico che del resto non vi ha lasciato altre traccie di sè. (3) Stoppani, Note ad un corso annuale di geolo- gia, ecc. Milano 1866. Vol II, cap. 17. LE ABITAZIONI LACUSTRI IN LOMBARDIA. 196 una provenienza assai incerta; — l’altro cranio non meglio conservato'(la calotta dal foro occipitale fino alle arcate orbitali) venne donato al Museo di Milano come proveniente dal Buco della Tonda sopra Urio (lago di Como). Quantunque questa caverna abbia dati resti di animali insettivori e rosicanti per la maggior parte appartenenti a specie di una fauna spenta, il cranio in discussione all’aspetto si deve giudicarlo, senza dati di giacitura come è, un cranio assai recente di qualche sgraziato che vi cadde e perì ed al quale l’humus chelo copriva, e l'umidità del luogo diedero una tinta, un aspetto di sfa- celo, una facies direi di grande antichità. — Potrà essere antico, ma non è sicura- ramente preistorico. — L'altro cranio piuttosto, considerato anatomicamente, sarebbe per le sue dimensioni più ravvicinabile ai cranii antichi; ma troppo incerta ne è l’o- rigine per farvi dei commenti fondati (1). L'esistenza dell’uomo all’epoca dell'orso speleo e delle caverne ossifere, a mio credere è per ora ancor molto dubbia in Lombardia, come più dubbia ancora è per noi l’epoca del renne; ed amo di ripetere qui col professor Stoppani, che per lo meno in Lombardia l’uomo deve essere posteriore all’epoca glaciale, quantunque il nostro suolo offrisse in allora, come altre regioni, quei dati di condizioni di vita a che vi po- tesse sussistere una fauna che aveva per suoi tipi l Ursus spel@us, lElephas primige- nius, il Rhinoceros tichorinus, la Hyaena spelea, il Cervus megaceros, il Cervus alces, il Cervus tarandus? il Bos primigenius ed altri animali minori. A mio credere, in base a questi fatti, si deve sicuramente far cominciare l’età della pietra in Italia al principiare del nuovo periodo geologico, ed attribuirvi in linea cro- ‘nologica puramente relativa tutte le scoperte fatte nell’Imolese dallo Scarabelli e figu- rate dal Gastaldi nei Nuovi cenni (2), in Toscana dallo Strozzi e dal Cocchi, alla Spezia da Capellini, dal barone Anca nelle caverne di Sicilia, dal signor De-Bosis nella Marca d’Ancona, scoperte tutte già citate nella memoria del signor Gastaldi. — All'epoca molto primitiva di tali ‘oggetti io poi riferirei e per natura di lavoro, e per l’indole speciale di giacitura affatto sporadica, essendo sparse così a caso nel suolo e sepolte nelle alluvioni, le selci di Brescia a proposito delle quali riporto qui il brano dello stesso Gastaldi tolto dai. Nuovi cenni rimandando a quell’ opuscolo per le figure (3). « Nel 1852 il signor Gabriele Rosa di Iseo, in un articolo pubblicato sul giornale il Crepuscolo che stampavasi in Milano, dava conto del libro del Signor Boucher de Perthes Les antiquités celtiques et antédiluviennes, e terminava coll’annunciare che (1) Mentre cotesto lavoro era già consegnato alle stampe; mi pervenne notizia dell’essere stato scoperto nella Valletta di Machetto, a 3 chilometri a sud-est di Desenzano, un cranio umano accompagnato da al- cuni resti dello scheletro, da strumenti e scheggie di selce (raschiatoi), legni carbonizzati e da altri avanzi non dubbii di un'industria assai primitiva. Stavano tali oggetti, sepolti in un deposito di torba, che ora si scava per usi industriali , in uno spazio limitato offe- rente l’ aspetto di un’ antica palafitta. Mi è noto come il distinto signor P. P. Martinati stia apprestando la relazione di questa importante sco- perta, che segna una nuova stazione umana all'estremo limite orientale di Lombardia. Ulteriori indagini po- trebbero guidarci a nuove scoperte ed a trovare forse i rapporti tra la stazione umana antichissima del Ma- chetto e le altre stazioni dell’ epoca della pietra , con- statate nei dintornii di Guidizzolo e presso Brescia (V.il giornale L’Adige di Verona del 9 novembre 1868, n. 309. — Appendice). (2) B. GasraLDI, Nuovi cenni sugli oggetti di alta antichità trovati nelle torbiere e nelle. marniere del- tV Italia. Torino 1862. (3) B. GASTALDI, Opera citata, pag. 8, tav. VI, fig.-15, 16, 20, 21, 22, 23, 24. 12 C. MARINONI, nel settembre 1851 l'ingegnere Pietro Filippini, negli sterri praticati per la costru- zione della strada ferrata, fra la porta Torrelunga ed il borgo di Santa Eufemia presso Brescia, a quasi due metri sotto la terra vegetale, aveva trovato, in uno strato di ghiaja le apparenze di una fossa mortuaria, ed in quella carboni e cocci di vasi di terra friabilissima e frammenti di un coltello di selce. — Ho potuto avere per mezzo del signor G. Regazzoni un disegno di questi frammenti ....... ” L'aspetto grossolano dei frammenti di cotesto cuspide si adatterebbe alla maniera primitiva di lavoro della selce, cioè a grande scheggiatura, e l’occhio appena eserci- tato, riunirebbe subito a questo pezzo isolato varie altre armi di selce trovate in di- verse epoche dal Regazzoni nel comune delle Fornaci al sud-ovest di Brescia sotto un deposito di argille da mattoni a 3 o 4 metri di profondità. — Sono esse i cuspidi di freccie ed la punta di lancia figurate dal Gastaldi. Assai simili a quest’ ultima sono le due armi di selce già altrove da me citate, e che qui aggiungo in appendice quantunque non trovate precisamente sul suolo lom- bardo. — Queste due magnifiche punte di lancia, di un ovale allungato, sono l’ una di selce color giallognolo (tav. VII, fig. 17), l'altra di selce lattea, lavorate en- trambe a grande scheggiatura, e furono rinvenute sotto un potente strato d’ argilla da stoviglie insieme ad altre affatto simili a Calindasco presso Piacenza. Nessuno altro avanzo di umana industria, mi è noto, sia stato scoperto in Lombar- dia, riferibile a codesta epoca. — I depositi delle torbiere, e le stazioni lacustri essendo quelli che più che tutto ne devono interessare, alla rivista di essi mi accingo , raggrup- pando per ciascuna località le scoperte fatte, onde poter quindi, abbracciando d’ un solo sguardo tutta la Lombardia, dedurne quelle riflessioni che saranno del caso. La scoperta di armi in pietra presso Brescia, fra le torbe di Bosisio ed in altre località, nonchè la scoperta fatta nel 1859 dal professor Moro nelle torbiere di Mercu- rago presso Arona (sponda destra del Lago Maggiore) di una vera stazione lacustre preistorica (1) i cui avanzi d’industria vennero illustrati dal Gastaldi nei Nuovi Cenni citati e negli Archivi della Società degli antiquarii di Zurigo, avevano fatto rivolgere il pensiero ai laghi lombardi, nella supposizione che come quelli della Svizzera, ai quali tanto si collegano per somiglianza e relazioni topografiche, avrebbero potuto offrire abbondante messe ai nuovi studii, a nuove scoperte. — Di più aveva anche suscitata la smania l'annuncio che il signor Desor nel 1860 in compagnia del Gastaldi le avesse constatate sul Lago Maggiore (2), ed il signor De-Mortillet avesse creduto di trovarne sul lago d'Iseo (3). Ma questi primi tentativi erano riusciti vani, e fu solo nell'aprile 1863, in occa- (1) V. Il giornale IZ Nuovo Cimento. Anno 1860, die. — Lettre à M. Cornalia président de le Societé ita- mese di luglio. lienne des sciences naturelles. Atti della Società italia- (2) G. De-MORTILLET, Sur les plus anciennes traces na di scenze naturali. Vol. II. de l'homme dans les lacs et les tourdières de Lombar- (3) Idem, ibid. LE ABITAZIONI LACUSTRI IN LOMBARDIA. 13 sione che il signor Desor venne in Italia a cercarvi tra le antichità delle torbiere e le marniere il punto di contatto fra i tempi antistorici e la civilizzazione degli Etruschi, che fu decisa una partita preistorica al lago di Varese fra esso, il professor Stoppani e il signor De-Mortillet. Questa giornata fu coronata dal brillante risultato della prima scoperta di due grandiose stazioni lacustri in quel bacino, sancite dalla messe di al- cuni grossolani cocci, i primi che accontentarono l’ansietà di loro che tentavano le profondità di un lago lombardo per trovarvi seritto a chiare note quali furono i no- stri avi (1). — Lascio la storia dettagliata di questa scoperta che sarebbe un’ inu- tile ripetizione di quanto già ne scrisse il professor Stoppani nella sua prima rela- zione alla Società Italiana di Scienze Naturali (2). Incoraggiato da questi primi eventi fortunati, il prof. Stoppani spinse oltre le sue indagini, ed in un’altra gita nell’autun- no dello stesso anno, ebbe l’esito di nuove scoperte riguardo alle quali mi rimetto pure in tutto allo stesso suo secondo rapporto a detta Società (3). La scoperta della palafitta di Bardello (18 novembre 1863) si deve all’abate.G. Ran- chet di Biandronno, ed a lui pure, indefesso ricercatore, quelle posteriori di altre sta- zioni, sicchè oggi ammontano al numero non indifferente di sette, tutte assai bene auten- ticate e poco su poco giù nelle medesime condizioni. — Altro dei visitatori del lago di Varese, fu il capitano Angelo Angelucci, che occupò colà alcuni giorni allo scopo di indagini preistoriche, vi raccolse di molti oggetti che depose al Museo nazionale di artiglieria di Torino e scrisse alcune notizie dalle quali si può rilevare che di ben poco di nuovo gli fu dato arricchire la sua collezione (4). Ecco come anche da solo il lago di Varese, più nulla ci lasci da invidiare agli svizzeri sotto questo rapporto. — Esso ne ha fornito delle palafitte, esso ne ha dato degli avanzi di umana industria, e forse chi sa quanti ne serba ancora nascosti di questi monumenti che, quali anelli di una catena, legano il passato tenebroso dei no- stri primi avi a quei tempi in cui la storia quantunque ancora bambina segnò i suoi primi passi. i Illago di Varese a 235,551 piedi di altitudine ha una superficie di circa 15,993,400 metri quadrati e si estende nella sua lunghezza per metri 8800 da N. a S.; nella lunghezza media per metri 1818, nella maggiore per metri 4500 con una profondità massima di metri 26. — A tutt'oggi sette palafitte vi furono constatate ricche di avanzi dell’umana (1) Nel giornale Italie del 6 maggio 1863, il signor De-Mortillet diede il primo annunzio di tale scoperta. (2) STOPPANI, Prima ricerca di abitazioni lacustri. Relazione alla Società italiana di scienze naturali, letta nella seduta 31 maggio 1863. — Atti della Società italiana di scienze naturali. Vol V, pag. 154. (3) STOPPANI, Rapporto sulle ricerche fatte a spese della società nelle palafitte del lago di Varese e negli schisti bituminosi di Besano. Letto alla seduta 27 di- cembre 1863. — Atti della Società italiana di scienze naturali. Vol. V, pag. 423. (4) ANGELUCCI, Le stazioni lacuali del lago di Va- rese. Como 1863. Vedi anche Matériaux pour l histoire positive et philosophique de l'homme. Anno 2.9 1866, pag. 56 e 14 C. MARINONI, industria e perfettamente simili alle svizzere, divise in cinque stazioni quasi tutte lungo la sponda occidentale del lago. — Sono queste: | Desor la stazione di Bodo che comprende le 3 palafitte ? centrale | Keller (1), la stazione dell’ IsoZîno o dell'Isola Camilla, la stazione di Cazzago, la stazione di Bardello, la stazione di Gavirate. Ma il lago di Varese non fu il solo perlustrato; tutti i laghi della Lombardia ven- nero rovistati ed alcuni anche con felice successo. Nell'inverno del 1864 dall'abate Ranchet vennero scoperte due stazioni nel lago di Monate situate lungo la sponda oc- cidentale sotto Codrezzate, ed a cui diede i nomi di palafitta orientale e di palafitta occidentale. — Più tardi il professor Stoppani ne trovò una sul lago d’Annone, ed in un’altra occasione scoperse quelle dell’ Isola Lecchi e del golfo di S. Felice sulla sponda occidentale del Lago di Garda, non le sole, scoperte lungo quelle aperte spiaggie, es- sendone note una di fronte alla piazza forte di Peschiera, rilevata per la prima volta dal luogotenente Silber, ed vna nel golfo di S. Vigilio. — In seguito a queste località lacustri vanno annoverate le torbiere di Biandronno, di Cazzago, della Brabbia, di Mombello, ecc. su quel di Varese, Laveno e Sesto Ca- lende; Bosisio e Rogeno specialmente su quel di Como; Torbiato, Guidizzolo e Crema. Aggiungerò per ultimo che trovai citate ancora la Val-Cuvia ed il Mantovano. Queste sono le principali località preistoriche lombarde. — Qui incomincierò an- zitutto dal passare in rassegna quegli oggetti che vennero raccolti nei varii. punti illustrandoli sommariamente col raffrontarli coi tipi già conosciuti e pubblicati, e con- servandoli classati per località; così dopo tale rapida revista mi sarà più facile accen- nare quel complesso di fatti che meritano maggior attenzione e spargono luce sulla vita e sui costumi dei nostri primi padri nelle diverse età che attraversarono della pietra, del bronzo, e del ferro venendo fino ai tempi storici. LAGO DI VARESE. Stazione dell’ Esolino. La prima stazione umana antica scoperta nel lago di Varese fu quella dell’ Isolîno (21 aprile 1863 dai signori Stoppani, Desor e (1) Ho preferito adottare questi nomi invece di monumenti il nome di chi primo segnalò al mondo quelli dati dal signor Angelucci perchè con essi furono scienziato le antiche abitazioni lacustri, e di chi pri- per la prima volta denominate le palafitte della sta- mo ne promosse efficacemente la ricerca e lo studio in zione di Bodio dal prof. Stoppani, anche in ossequio Lombardia. al gentile pensiero di associare a’ quegli antichissimi LE ABITAZIONI LACUSTRI .IN LOMBARDIA, 15 Mortillet), o dell’ Isola Camilla come altrimenti la vorrebbe chiamata il capitano Angelucci. — Essa si trova all’est di Biandronno, accosta all’ Isolino già di perti- nenza della famiglia ducale Litta, e si diparte dalla punta nord-est dell’ isola spingen- dosi in direzione di mezzodì, costeggiando appunto il prolungamento meridionale del- l’isola verso il lato est, cioè verso il lago. — Vicinissima all’ isola, occupa una specie di quadrilatero obliquo di circa 200 metri di lunghezza avendone circa 30 di largo che si dirige un po’ da nord-est a sud-ovest occupando uno spazio di circa 6000 m.q. e secondando il lido paludoso che tocca quasi colla sua estremità di sud-ovest, sicchè in tempo di magra i primi piuoli possono restare in secco, essendo per di più ad una profondità di circa m. 1,50 dal pelo dell’acqua ad ordinaria elevazione (1). All'epoca della scoperta di questa palafitta le acque del lago erano assai intorbidate a causa di una piena straordinaria; in onta di ciò il carattere principale di queste sta- zioni, i pali, venne facilmente riconosciuto. Vi sono numerosissimi e se ne scorgono le testate affatto arrotondate e rose che appena appena si elevano in mezzo al suolo fangoso coperte dalla fina belletta argillosa del fondo. — Il professor Stoppani nel suo rapporto a proposito dell’ impianto di cotesta palafitta osserva come i ciottoli ed i massi gettati sul fondo avessero una certa disposizione regolare e tale come da formare qual cosa di analogo a dei cumuli circolari da cui sorgevano fitti i monconi, fitti così da rendere quasi l’immagine di un selciato: — ora quale doveva essere il numero di quei pali in uno spazio di circa 6000 m.q.? — Quello di più rimarchevole che abbiamo in questo fatto, si è che i piuoli, che hanno talora fino ad un piede di diametro e perciò sarebbero da considerarsi come dell'epoca della pietra, hanno tutta l’idea di prolun- garsi nell'isola. — Questo fatto non potrebbe avverarsi che qualora la palafitta fosse stata fatta con materiali quivi a bella posta trasportati ed ammassati sul fondo del lago o per meglio assicurare l’impianto dei pali, ovvero anche perchè, per la natura del fondo roccioso, non visi potesse realmente palafittare, come si osserva pei ténevières o steinbergs della Svizzera (a Monruz, a Hauterive, ecc.). — Cosa avressimo avuto in tal caso nel nostro lago? Una comunità di uomini che lavorarono a costruire la loro borgata nel bel mezzo di un lago portandovi massi di pietra ammucchiati in tanta quantità da sorpassare il livello delle acque venendo a formare così una vera isola ar- tificiale (2). — Lo stesso Desor in un suo articolo inserito nella Gazzetta di Ginevra (3) ebbe a proporre questa sua opinione, ed in tal caso, come oramai sembra essere ac- certato, l’isolotto il cui lido ora lambiscono le onde del lago di Varese sarebbe un’ isola artificiale come la piccola isola delle Rose nel lago di Starnberg e quelle dei laghi di Secon e di Inkwyl in Baviera. — Accennerò ancora quale una prova di più, a sostegno di tale opinione, perchè uno steinberg non rende strettamente neces- saria una vera palafitta con tutte le sue inerenti circostanze di isolamento e di di- (1) L’abate Ranchet ha calcolato che codesta pala- (2) DesoR, Les constructions lacustres du lac de fitta dista dalla riva, considerando il livello del lago Nceuchétel. Neuchatel 1864. in condizioni normali, metri 11; ed è profonda da 0,90 (3) Journal de Genève. Num. del 19 giugno 1864. a metri 1,95. 16 C. MARINONI, fesa, la grande vicinanza alla riva della palafitta dell’Isolino fino forse a congiun- gervisi direttamente, e la poca profondità quasi sempre uniforme a cui è piantata, le quali sono due circostanze che si accordano molto e rinfrancano l’ ipotesi che l'isola Camilla, la quale oggidì continua ad essere abitata e come sempre forse lo fu dacchè per la mano dell’uomo sorse in grembo alle azzurre onde del lago, sia una vera isola artificiale costrutta alla maniera dei crannoges dell’ Irlanda. A qual’ epoca appartiene la palafitta dell’ Isolino? — Dapprima fu opinione del signor Desor che questa fosse una stazione dell’epoca del bronzo. Allora non una selce vi era ancora stata rinvenuta e per dir vero neppure alcun utensile di metallo; ma si era arguito dalla forma e dagli ornamenti di frammenti di stoviglie che accenna- vano ad una certa cultura piuttosto avanzata in confronto a quelli trovati in altre stazioni preistoriche attribuite all’ epoca della pietra. Oggi però la scoperta di armi di pietra rinvenutevi, dando ragione all’ argomentare dalla speciale maniera di fab- bricazione della palafitta presso a poco a modo degli steîndergs, mi inducono a classarla fra le stazioni che ebbero origine durante l’epoca della pietra. Questo non esclude affatto che possa essere stata abitata anche durante l’ epoca del bronzo, e che allora vi si fab- bricassero stoviglie più accuratamente lavorate; ma credo che i pali sottili in confronto di quelli di altre palafitte constatate per dell’epoca della pietra, non siano una ragione per farla di data più recente, inquantochè le pietre ammassate dovevano essere un ben valido rinforzo contro 1 onda alla quale gli uomini della vera pietra opponevano pali fino di 30 centimetri di diametro. Venendo ora agli oggetti rinvenuti in questa stazione, dirò come fra i più pre- ziosi utensili sono certo i cocci di stoviglie fabbricate, come per tutte le altre sta- zioni lacustri, di quella specie di grès artificiale, un vero impasto di fina argilla con frammenti di roccie trite grossolanamente (quali sarebbero dioriti il cui uso era vol- garissimo , graniti, gneiss, serpentini, ecc.) con entrovi sparsi fino dei cristalli di feldspato. Le stoviglie di questa stazione però sono in generale di aspetto nerastro, hanno uno spessore assai considerevole, taluni fino da 15 a 20 millimetri, e sono per lo più di dimensioni rilevanti con una forma piuttosto svasata a fondo stretto, perfettamente circolari, reggentisi da sè sulla base affatto piana. — Lisciate assai, specialmente la superficie interna, sparse di pagliette di mica e ruvide di frammenti di feldspato, all’ e- sterno non presentano vaghezza di ornamenti, ma in cambio le forme le più diverse in particolar modo i vasi piccoli, sicchè sembrano destinati forse ad usi speciali. — Gli ornamenti si riducono in tutto a dei rialzi appiccicativi usufruttabili come anse a sostenere il vaso (tav. IIl, fig. 15). In quanto alle forme eccezionali ho notato i frammenti di due vasi che dovevano avere la forma di una sottocoppa (tav. III, fig. 18). — Lo stesso signor Desor dovette confessare che di tali vasi ergentisi su di un zoccolo o piedestallo concavo ad imbuto rovesciato nelle palafitte svizzere non ne furono mai trovati, e da noi ricompajono ancora solo nelle torbiere, a Sesto Calende e fra le antichità romane. Tutti questi frammenti sembrano aver provato, con. altri pochi, una leggiera azione di fuoco, anneriti come sono. La forma graziosa ed elegante di una scodella a fondo convesso con nel centro 1’ impressione di un dito fatta nella LE ABITAZIONI LACUSTRI IN LOMBARDIA. Ta pasta ancor molle per darle un punto d’ equilibrio è quella di un altro vaso a bordi rilevati quasi per formarne il labbro (tav. III, fig. 16). , Un assai strano utensile riferibile ai cocci di stoviglie è pure un piccolo cucchiajo (tav. III, fig. 14), bastantemente conservato, di un assai rozzo impasto, di color ros- siecio coperto da una patina biancastra; — quasi circolare, da un punto si vede evi- dentemente spezzato lù dove forse doveva esistervi un manico. Non ho trovato altro cui meglio assomigli che il cucchiajo figurato nei Pfah/bauten (3 Berict, tav. 4, fig. 5) della stazione lacustre di Yverdon, illustrata dal signor Rochat: vi corrispon- derebbe e per forma e per dimensioni; — le altre figure cui si potrebbe avvicinare (1) disegnano forme troppo diverse e troppo ricercate per poterle paragonare con quella del nostro cucchiajo, se veramente tale si possa giudicare (2). Recentemente poi in alcuni scavi fatti nell’Isolino si rinvennero frammenti di piccole stoviglie di un impasto assai fino con impronte di ornamenti lineari (tav III, fig. 1 e 17). — Ecco perchè dapprima si era creduto la palafitta dell’ Isolino essere dell’epoca del bronzo in confronto di quelle svizzere dell’ età della pietra: —- non si avevano avuti che vasi. Riepilogando qui la lista degli oggetti trovativi dappoi dobbiamo ben far retro- cedere codesta stazione all’ epoca della pietra. Diffatti oltre ai cocci sì rinvennero : Una punta di lancia in selce nerastra, accuratamente lavorata, lunga 65 mill., molto puntuta, tale da servire appunto come cuspide (tav. II, fig. 16). — In selce ancora alcune freccie del tipo ovale proprio delle stazioni lombarde (tav. II, fig. 12), e moltissimi raschiatoî o cultri (grattoîrs) di tutte le dimensioni, di tutte le forme, fatti di quella selce nerastra ricoperta da una patina bianca (tav. II, fig. 20 e 21). — Cotali scheggie sono più rozzamente foggiate qui che non nelle altre stazioni, e assomi- gliano molto a quelle trovate in altre località d’Italia (Vicentino, Napoletano, ecc.), attribuite ai primordii dell’ epoca della pietra. Inoltre va notato che una quantità enorme di frantumi scheggiosi di selce era sparsa sul fondo della palafitta. Due magnifiche azze vennero a completare la raccolta delle armi di pietra di co- desta stazione: l’ una, di un’ arenaria. serpentinosa grigio-bruna, è piccola, rigonfia e ben lisciata verso il margine tuttora tagliente (tav. IV, fig. 2); l’altra, assai più grande (misura 14 centimetri di lunghezza), è invece di uno schisto serpentinoso verdognolo, e conserva essa pure una magnifica pulitura ed un bellissimo filo (tav. IV, fig. 3). Appartiene questa alla collezione del dott. G. Negri, che la trovò nel 1867 sulla riva dell’Isolino, ed alla cui gentilezza debbo l’averla qui potuta figurare. Grande copia di ossa lavorate ad uso di punta o di scalpello a taglio obliquo (tav. II, fig. 36 e 37). (1) V. KeLLER, Pfahlbauten, 5 Bericht, tav. 10, (2) Nell’Appennino si usa ancora conservare il caglio fig. 15 di Robenhausen e del latte in piccoli recipienti affatto simili. Non avrebbe StAUB, Die Pfahlbauten der Schweizer Seen, pa- forse servito a qualche uso analogo? gina 48, tav. 3, fig. 14, di Thon. 3 18 C. MARINONI, Un pezzo di legno lungo circa 30 centimetri foggiato ad una estremità, all’ altra evidentemente aguzzato, e che avrebbe potuto benissimo servire usato come un pugnale. Alcune fusajole attraversate nel loro spessore da un foro regolare e affatto simili a quelle figurate per le palafitte svizzere. Una è appiattita, di arenaria grigiastra (tav. III, fig. 7), altre sono del solito impasto di grès o forse anche di terra cotta e di forma a preferenza globosa, scabre ed ineguali alla superficie (tav. III, fig. 869). — Ultimamente poi negli scavi fatti nell’ Isolino, coi frammenti di cocci che addietro in- dicai fu trovata una nuova fusaruola, avente una forma conica colla sua base piatta ornata di una serie circolare di impressioni; — è essa pure forata e fabbricata della solita pasta di grès; ma è cotta (tav. III, fig. 10). Un frammento di una piastrella di gneiss levigata, ciottoli impressionati, fram- menti di carboni e una quantità ingente di ossami rotti per il lungo e in piccoli pez- zetti (rifiuti del pasto), di denti di vari animali (cervo, capra, bue, e porco specialmente), completerebbero la lista degli avanzi umani trovati in questa palafitta. Dev'essere rimar- chevole fra gli altri un osso cilindrico, conservato dal signor De-Mortillet, e tratto dalla draga fino dal primo giorno, che mostra assai palesemente delle intaccature praticatevi con uno strumento tagliente, ed è rotto alle due estremità evidentemente nell’ intento di estrarne la midolla. Apparterrebbe esso ad un bue di piccola taglia, forse il Bos bra- chyceros. Ecco qui riuniti gli avanzi dell’uomo che fondò la stazione dell’Isola Camilla. — Un magnifico amo di bronzo poi, molto simile a quelli già trovati nei laghi svizzeri ed ora nella collezione del colonnello Schwab (Pfah/bauten 2 bericht, tav. 2), ne dice che quell’ uomo primevo era per di più anche pescatore (tav. III, fig. 28). Questo è il solo oggetto di bronzo proveniente di là; nè messo a confronto colle armi di selce e di pietra basta a ringiovanire la stazione dell’Isolino veramente degna di un popolo di Ciclopi, capace di fabbricarsi un’ intera isola per potervi stabilire la propria dimora. Stazione di Cazzago. — Precisamente di fronte a Cazzago è situata questa palafitta che il professor Stoppani chiama un tentativo di stazione. — Infatti i pali vi sono assai radi quantunque disposti su una estensione abbastanza grande. — Pochi denti dei soliti animali, alcune scheggie di selce e pochi cocci di una fattura gros- solana a forme grandi, sgraziate, proprie a richiamare un non so che di barbarie, (tav. III, fig. 20), sono tutto quello che può testificare che quivi una volta sorse una stazione umana. — Tutto è sepolto sotto il fango portatovi dall’onda del lago, che in un seno così mal riparato ebbe tutto l’agio di distruggere a poco a poco le orme lasciatevi dall'uomo, il quale si sarà ben presto persuaso a preferire a quel suo forse primo asilo il seno di Bodio riparato dai venti di nord-est. » Stazione di Bodio. — Contemporaneamente a quella dell’Isolino fu segnalata la stazione di Bodio che scoperte posteriori constatarono costituita da tre grandi pa- lafitte cioè: La Palafitta Desor a nord, appena dietro la punta di Bodio, che il signor Ange- lucci volle chiamare del Maresco. LE ABITAZIONI LACUSTRI IN LOMBARDIA. 19 La Palafitta Keller a sud-est di Bodio, o palafitta del Gaggio. La Palafitta centrale o delle Monete che è situata fra le due precedenti alla di- stanza di forse 800 metri dalle altre. Questa è la prima che fu scoperta e si presenta come una costruzione che circonda in giro un punto rilevato del fondo, disponendosi quasi a ferro di cavallo di 40 metri di diametro rassomigliandosi per questo a molte delle palafitte che si osservano nei laghi della Svizzera. Queste 3 stazioni distano dalla riva nemmeno una ventina di metri; si riproducono esattamente l’una nell’altra, salvo alcune particolarità per le quali si riconoscono facil- mente, e ripetono tutti gli accidenti osservati alla stazione dell’ Isolino. Anche qui un limo fangoso di ceneri, di carboni e di belletta si stende a coprire ogni cosa; investe i monconi dei piuoli e nasconde i numerosi massi di pietra che sono sparsi sul fon- do; — in onta a tutto ciò però è dove si sono fatte le più brillanti scoperte. Il predominio delle stoviglie è quello che caratterizza la stazione Desor sicchè si direbbe vi esistesse una vera fabbrica di terraglie. Poche scheggie di selce argillosa, qualche freccia del tipo ovale (tav. II, fig. 11) ed alcune ossa lavorate a punta, sono tutto ciò che richiama altra idea di quella dell'industria e dell’ arte dello sto- vigliajo, se pure questi non si serviva di quelle scheggie o di quelle ossa puntute per incidere i disegni che mano mano ideava nella sua mente ornandone le stoviglie, che foggiava colle sue mani. Ho poi figurato (tav. IV, fig. 4-11) alcuni dei cocci che possono valere a dare una precisa idea delle stoviglie di questa stazione, come fossero nella loro rozzezza accurate e come vi appaja specialmente, se si osserva la finitezza del bordi e delle anse, alcune forme delle quali sono più communi nelle marniere del Parmigiano, una certa cura, un certo progresso specialmente in confronto di quelle di Cazzago. — Tale progresso è evidente per la pluralità dei cocci di questa stazione; ma v’ ha di più che la palafitta Desor sola, fornì quei pezzi unici che possono dirsi propriamente ornati (tav. IV, fig. 4, 5 e 6). Il graffito e la punteggiatura in modo da figurarvi cerchi concentrici e linee oblique equidistanti coordinate a un pensiero semplice e geometrico, furono a quanto pare il primo modo di ornamentazione usata insieme a specie di ghirlande di piccole eminenze ottenute, come scrisse Mortillet, premendo col dito la superficie del vaso ancor molle; ma questo secondo modo pare piuttosto usato nelle stoviglie delle altre due stazioni. T'ali frammenti danno ancora una sufficiente idea delle anse di cui si munivano, consistenti semplicemente o in un breve rilievo laterale quale si osserva sui fianchi di alcune grossolane marmitte (tav. IV, fig. 9 e tav. V, fig. 4 e 5), o in una orecchia variamente foggiata (tav. IV, fig. 7 e 8 della palafitta Desor, tav. V, fig. 6 e 7 della palafitta centrale e fig. 10 della palafitta Keller), talora attraversata da un canale per passarvi una cordicella e sospendere il vaso (tav. V, fig. 7 della stazione centrale, tav. IV, fig. 9 della palafitta Desor), al quale scopo però serviva anche un semplice foro nella parete del recipiente (tav. V, fig. 3). Considerate nella loro generalità e nel loro complesso, ecco risaltare anzitutto all’ occhio un fatto notevole, che cioè le stoviglie rinvenute nelle palafitte del lago di Varese, richiamano pure in qualche modo le figure già date dal Gastaldi nei Nuovi Cenni di alcune stoviglie della stazione di Mercurago sul Lago Maggiore. — Infine 20 C. MARINONI, concluderò a questo proposito che i vasi s'impastavano qui precisamente come all’Isolino ed altrove dappertutto, si ponevano a cuocere al sole, e che nel processo di fabbricazione sembra si cominciasse dal fondo sempre di rilevante spessore e che attorno a questo, (tav. IV, fig. 12), l'artefice costruisse il vaso appiccicandovi poscia le anse e i cor- doni rilevati; ne smarginava il labbro (tav. V, fig. 2) o vi imprimeva quegli orna- menti che la fantasia gli suggeriva. — Ho riuniti tutti vicini (tav. IV e V) i più impor- tanti pezzi dell’arte ceramica di quei tempi scavati nelle tre palafitte di Bodio allo scopo di poter dare una esatta idea di essi. In complesso sono assai grossolani, piuttosto grandi, tutti uniformi di colore e di struttura; taluni anche sembrano aver subita qualche azione di fuoco, conservando, ancora attaccato, specialmente alla parete in- terna, un rivestimento di sostanza carbonizzata impastata con cenere. Dal confronto di tanti frammenti risulta la palafitta Desor portare il primato a questo riguardo, non solo per l'abbondanza straordinaria dei cocci, ma ancora perla ricchezza nella varietà delle forme e per il pregio degli ornamenti. La supremazia che tengono le stoviglie alla stazione Desor, è invece per le freccie alla palafitta centrale. — Più d'un centinajo di veri cuspidi in selce argillosa grigio-scura coi quali, assai raramente però, se ne incontrano alcuni di una selce rossa, vennero scavati dalla draga e la loro perfezione di lavoro, sopratutto per la finezza e lunghezza delle due appendici o ale (tav. II; fig. 1), e la varietà delle forme (tav. II, fig. 1-6 e 14) parmi stabiliscano una specialità degli antichi abitatori del lago di Varese. — La palafitta Keller restituì alla sua volta delle bellissime freccie a forme abbastanza strane (tav. II, fig. 7, 8 e 13) e di più ne diede anche di quelle altre a forma ovalare di selce argillosa olivastra così abbondanti alla palafitta centrale (tav. II, fig. 9 e 10), le quali forse meglio che abbozzi di freccia, per l’invariabilità della forma sempre puntuta ad un modo, sarebbero a considerarsi quali vere punte di giavellotto destinate ad uso più comune. I due tipi sui quali sono foggiate le freccie di selce del lago di Varese, sono an- cora quelli predominanti per tutta la Lombardia; — forme un po’ diverse appajono solo nelle torbiere. — Più comune è la forma triangolare col margine posteriore ad angolo rientrante sicchè ne ri- sulta }’ appendice di due alette laterali che una volta infitte nel corpo della vittima dovevano impedire l'uscita alla punta mortifera. Frammezzo a queste due ali sì avanza un’ appendice mediana, una specie di pedicello, che doveva servire per assicu- rare il cuspide probabilmente all’estremità di una canna come diffatti si potè riscontrare per alcune freccie della Svizzera (Keller, Pfah/bauten. II Band, tav. I fig. 5, ecc.). Tali punte pig. 1 . — Freccia di selce non sono mai più lunghe di 40 millimetri e dovevano fino olivastra. — Lago di Vare- 5 r È È Di se. Stazione di Bodio. — d’ allora essere molto pregiate se si considera il tagliente, la gr. nat. (coll. del Museo di lunghezza e la finezza delle alette, del filo e delle punte, per- cano) chè ad ottener tutto ciò era necessario un paziente lavorio a piccole scheggiature disposte quasi simmetriche, sì da averne armi lavorate con tanta precisione da dubitare della natura dei mezzi di quegli artefici della pietra. LE ABITAZIONI LACUSTRI IN LOMBARDIA. 21 Ciò è ancora suggerito dal numero considerevole di altre freccie più spesso di una selce olivastra o bionda, di quelle a forma semplice- i mente elittica, anch'esse taglienti e che hanno per carattere la mancanza di quell’ appendice per le quali si incannano, ed un lavoro a scheggiatura più grande e più obliquo che non nell’altre. — Tali scheggie per molto tempo si considerarono semplici ab- bozzi dell’ altra forma di quest'arme micidiale ; ma io non lo cre- do, poichè il lavoro, quantunque grossolano, vi è finito e nella sua rozzezza accurato specialmente sul tagliente dei margini, perchè hanno insomma un aspetto pel quale sono definibili per vere freccie come appare dalle figure citate. — Ed a questa 100 vinzi a $ 2A : Fio. 2. -- Freccia di selce convinzione mi attengo ancor più, poichè fortuna volle che fra Atl iiporemboigale La- go di Varese. — Stazione di Bodio. — gr. nat. (coll. del fossero di non finiti, per cui sopra di essi chiaramente sta —Museo di Milano). le molte centinaja di cuspidi pescati dalla draga, alcuni ve ne scritto il processo di fabbricazione delle freccie triangolari. I disegni che qui presento si riferiscono a questa osservazione, e mi pare il poterne dedurre che dalle scheggie di selce si foggiasse addirittura la forma triangolare e non l’ovalare, prima di tutto lavorando accuratamente la punta (fig. 3), in seguito Fig. 3, 4, 5. — Abbozzi di freccie per mostrare il progresso di fabbricazione. — Lago di Varese. — Stazione di Bodio. — gr. nat. (coll. del Museo di Milano.) nella parte grossa si cominciasse a far comparire le alette contemporaneamente im- pegnandosi al lavoro dell’ appendice posteriore (fig. 4 e 5), abbozzandole così, e così portandole a compimento. Di tali freccie non finite, e un numero ancor più grande di rotte, forse come par naturale rigettate perchè inservibili, ne furono trovate in quell’ arsenale, che così veramente si potrebbe chiamare, delle palafitte di Varese; e tutte attestano la forma tipica triangolare di primo getto e non mai al passaggio della forma ovale elittica alla forma di freccia compiuta (1). —— Io ritengo perciò i cuspidi ova- (1) Il signor ANGELUCCI nel suo opuscolo, Le armi - alcuni disegni riferibili a questa diversità originaria di pietra donate da S. M. Vittorio Emanuele II° al fra i due tipi sui quali sono foggiate le freccie di selce Museo nazionale d'artiglieria, Torino 1865, dà pure del lago di Varese. 22 C. MARINONI, lari delle vere freccie finite e destinate così all’ uso di armi; ma lasciata ogni ulte- riore quistione per progredire nella mia rassegna, dirò che tutti a Bodio raccolsero freccie in abbondanza e che il signor Angelucci fu tanto fortunato da rinvenirne una perfettissima di guarzo ora deposta al Museo d’ artiglieria a Torino. Pure di selce argillosa bruna è una purta di lancia lunga 72 millimetri (tav. II, fig. 15) di squisita bellezza ed un piccolo scalpello (ciseau) (tav. II, fig. 23) trovate nella palafitta centrale. Di raschiatoi (grattoîrs) se ne trassero pure in abbondanza dalla stazione centrale di Bodio fra i quali alcuni di un lavoro così finito da reggere al confronto di quelli che si recano oggidì dal Messico e usati da quegli Indiani (tav. II, fig. 17-19 e 22). — Ve ne ha di selce olivastra (tav. II, fig. 19) ricurvi e simili a quello di Mercurago riportato da Gastaldi nei Nuovi Cenni (Tav. I, fig. 10) e da Keller nei Pfal/bauten, e di piccolissimi come quello figurato alla tav. II, fig. 17, pure assai pregevole per essere di quarzo affumicato: gli altri sono più rozzi ma pure assai interessanti, ed i più grossolani si trovarono fra gli avanzi della palafitta Keller. — Ormai pare certo che tali raschiatoi servissero per ritagliare e raschiare i resti degli animali, però questi ‘Strumenti non erano i soli adoperati a segare le ossa, quei selvaggi possedevano anche delle vere seghe; — una sola come la più perfetta in confronto delle altre ne fi- gurai, rinvenuta alla palafitta centrale (tav. II, fig. 24): è di una selce rosso-bruna, e il suo profilo assai nettamente mostra l'alternarsi dei denti di una sega, sicchè una volta immanicate , come fu già ideato dal signor Troyon, per quelle trovate nelle sta- zioni lacustri svizzere dovevano magnificamente servire. Non diversamente che altrove anche qui un numero infinito di scheggie di selce argillosa e di quarzo jalino, scarti della fabbricazione delle armi, ricoprivano letteral- mente il fondo, formando colle ceneri, e coi carboni specialmente uno strato in cui erano anche sparse ossa rotte, rifiuto di pasto, ecc., quello strato che dicesi di anti- chità delle palafitte. A cotesti oggetti aggiungerò subito fra le armi le bellissime azze, da 8 a 10 cen- timetri lunghe, robuste per spessore e ben conservate perchè di pietra durissima, un grès serpentinoso o un vero serpentino, che furono scavate dalla draga alla palafitta centrale (tav. II, fig. 39, tav. III, fig. 13, tav. IV, fig. 1). — Il loro filo quantunque non perfettamente tagliente, è abbastanza forbito e levigato come in quella della stazio- ne Keller (tav. II, fig. 38) che è di serpentino verde scuro e piuttosto piccola; e si al- larga proporzionatamente dissegnando una curva piuttosto risentita. Vi si rinvennero pure brunitoî di serpentino, specialmente alla palafitta Keller, forse usati come oggidì le coti, dei cune pure di serpentino verde, un pestello da ma- cina in arenaria e dei ciottoli diversamente foggiati e impressionati. — Si adopera- vano allora le pietre da fronda (casse-téte) (tav. III, fig. 12) di arenaria serpentinosa, dura, pesante, fabbricate a modo delle fusaruole, ma senza foro. — Le solite fusayole di arenaria più o meno fina, di tutte le forme e di tutte le dimensioni abbondarono spe- cialmente alle palafitte Keller e centrale (tav. III, fig. 2, 3, 4, 5 e 6); ed in quanto al loro uso pare effettivamente che qui servissero per tendere le reti insieme ad altri pesi (tav. III, fig. 11) in modo particolare foggiati, nei quali si vede distintamente la doc- LE ABITAZIONI LACUSTRI IN LOMBARDIA, 23 ciatura fattavi allo scopo di assicurarvi meglio la fune; imperocchè non si hanno dati per credere che l’arte del tessere fosse da noi già nota come nelle stazioni lacustri svizzere, e siffatti utensili servissero nei telaj (1): — è però pure un fatto indubitabile che i medesimi oggetti devono aver servito agli usi i più diversi a seconda dei biso- gni che ogni dì più dovevano moltiplicarsi, e dei mezzi che più spesso non aumenta- vano in ragione della necessità. Ed è perciò che vediamo in mezzo alla loro barbarie, quegli uomini saper trarre profitto di tutto. — Le ossa del renne che noi troviamo lavorate in Francia all’epoca della prima pietra, sono qui sostituite dalle ossa gettate cogli avanzi dei pasti. — Con esse foggiarono punteruoli e punte di freccia approfittando indistintamente e delle piccole scheggie e di altre ossa un po’ voluminose, come le falangi, che foggiavano in oggetti più grossolani. Alcuni fra questi sono interessantissimi sotto ogni rapporto, ed alla tav. II ho riuniti quelli che riscontrai i più persuasivi per l’ importanza loro e per vedervi i progressi del paziente lavoro col quale ottenevano la desiderata forma sfre- gandoli sui brunitoi di pietra. — Sono della palafitta centrale quelli disegnati a tav. II, fig. 26, 27, 33, 34, 35; sono della palafitta Keller quelli a tav. II, fig. 25, 28, 29, 30, 51, 32. Porrò fine alla descrizione degli avanzi dell’ epoca della pietra di codesta stazio- ne, presentando i disegni di due oggetti di un uso inqualificabile, a meno che non fossero, come riterrei probabile, amuleti od ornamenti dell’ abbigliamento di qualcuno di quei selvaggi: — sono essi un anello di quarzite micacea trovato nella palafitta centrale, lucentissimo, levigato accuratamente, e di una finitezza di lavoro squisita (tav. III, fig. 22) che mi pare non potesse essere usato ad altro; ed un frammento di pietra schistosa, lavorato, sottile, con un foro da un lato per appenderlo (tav. III, fig. 23), trovato alla palafitta Keller. Ciò però che da ogni altra distingue la palafitta centrale di Bodio sono gli oggetti di bronzo, cioè: — due dardi di giavellotto che ponno assomigliarsi a qualcuno di quelli delle marniere, ma con modo diverso di ornamentazione (tav. III, fig. 26 e 27), un ago crinale a capocchia sferica (tav. III, fig. 25) e tre ami da pesca affatto simili a quelli usati oggidì (tav. III, fig. 30-32) ed identici ad un quarto trovato nella palafitta Keller (tav. III, fig. 29). — Questo bronzo ringiovanisce d’assai la palafitta di Bodio; e quan- tunque la faccia assistere durante un lungo lasso di tempo al progresso di parecchie diverse successive generazioni dei suoi abitatori, ciò non vuol dire, come alcuni opinarono, che abbia durato fino all’epoca romana perchè vi si scoprirono molte monete del tempo della potenza di Roma (2). (1) L'opinione che cotesti dischi forati di pietra o secolo della repubblica. — Trentatrè sono di famiglie di terra cotta sieno pesi per reti da pesca è autorizzata consolari (Afrania, Antonia, Calpurnia, Carisia, Clo- dal fatto che anche oggidì i pescatori del lago di Lu- dia, Cornelia, Cipia, Junia, Mescinia, Minucia,Sempro- gano si servono a tale scopo precisamente di fusajole nia, Vibia), e fra queste la più preziosa è quella della affatto simili. famiglia Mescinia quantunque molto logora; sei sono (2) Cotali monete romane saranno non meno di 130, legionarie di Marcantonio; nove triumvirali del tem- d’argento per la maggior parte, e tutte dell’ultimo mezzo po di Pompeo, Cesare ed Augusto, e sei imperiali di 24 C. MARINONI, Chiuderò la lista delle scoperte fatte in questa stazione, notando che dalla im- mensa quantità di ossami risultò doversi aggiungere agli animali trovati all’ Isolino, (bue, capra, cervo e porco) anche il cane ed il castoro, e che vi furono pescati semi di Corylus avellana. La stazione di Bardello è pure importante a notarsi. — Fu rilevata nell’au- tunno 1863 dall’ abate Ranchet, ed è costruita in una doppia linea di pali a tre metri di distanza l’una dall'altra, all’esterno più sottili, verso l’interno grossi e robusti non interrotti, rinchiudenti uno spazio libero affatto. — Dietro ‘questa doppia linea i piuoli sono disseminati senza regolarità come altrove prendendo una disposizione approssima- tivamente a ferro di cavallo. — È dessa sita a 300 metri dall’ emissario, a nord-ovest, è lunga una cinquantina di metri, quasi altrettanto larga, distante dalla riva da 5 a 6 metri e colle profondità minima e massima di metri 0,34 a metri 1,20 sotto il pelo ordinario dell’acqua (1). Questa stazione fornì qualche saggio di selce lavorata, le più rozze scheggie che portino l’ impronta della mano dell’ uomo, una fusajola di arenaria (tav. III, fig. 7) ed alcuni cocci assai guasti e distrutti, che danno l’idea di vasi piuttosto grandi e capaci, di grès assai grossolano, rossiccio, senza anse, fatti a mano e cotti al sole. A queste stoviglie va aggiunta una metà di una scodella di un grès finissimo nero (tav. III, fig. 19) a base non più piana ma convessa all’esterno, sicchè doveva reggersi solo per equilibrio, e un frammento di un tegolo d’arenaria grigia (tav. III, fig. 24), ornato da tante linee rilevate equidistanti con un foro presso il labbro per passarvi una funicella. — L'uso probabile di tale oggetto che porta evi- dentemente l’impronta della mano dell’uomo, ritengo fosse quello di peso, a meno che non servisse quale pendaglio d’ ornamento o fosse un amuleto. — La specialità di questa stazione è una ingente quantità di ossami di capra e di bue, in pezzi molto grossi, aleuni anche lavorati, ma per lo più soltanto spezzati per il lungo allo scopo di estrarne la midolla (tav. III, fig. 21). La stazione sotto Gavirate non offrì nulla di interessante. — E di sco- pertà molto posteriore alle altre e certo non fu ancora abbastanza esplorata per averne dati precisi e oggetti di umana industria. Lucci: Le stazioni lacuali, ecc. pag.9 ; e nel giornale La Rasseyna mensile di Varese, anno 1864, N.10 un articolo dell'abate Ranchet. (1) Il prof. Stoppani scrive nel suo 2.° rapporto es- ser questo il tipo che riunisce le palafitte delle Isole Augusto; — una è del Re Juba, più molte altre che per essere troppo logore non furono ancora determinate. — Tali monete non possono avere colle palafitte se non un rapporto affatto casuale: — in Italia è molto facile tro- vare oggetti delle epoche le più lontane e le più di- sparate accozzati in un sol punto. I Romani del resto dove non lasciarono le loro orme? Per dati più precisi su tali monete, vedi ANGE- Celebes disegnate dal Dumont-d' Urville a quelle dei laghi della Svizzera ristaurate dal dott. F. Keller. LE ABITAZIONI LACUSTRI IN LOMBARDIA. 25 LAGO DI MONATE Il piccolo stagno a settentrione di Biandronno non avendo offerto alcuna traccia presumibile di abitazione lacustre, il 28 aprile 1863 fu dai signori Stoppani, Desor e Mortillet tentata l'esplorazione del lago di Monate; ma la grande profondità di quelle acque chiuse per lo più tra pareti a picco, fece sembrare non avesse potuto questo bacino offrire spiaggie addatte a stabilirvi delle palafitte (1). Inutile fu pure ogni ri- cerca lungo le sponde del lago di Comabbio, quantunque più del suo vicino vi sì mo- strasse addatto; e tale disappunto è attribuibile alla chiusa della filatura Borghi che, avendo accresciuto sensibilmente il livello del lago, ne rendè certo più svantaggiose le condizioni per l'esplorazione. In onta però alle cattive prevenzioni, l'abate Ranchet potè nell’ inverno del 1864 scoprire sul lago di Monate, che non si era ghiacciato per la sua profondità, due sta- zioni situate lungo la sponda occidentale del lago, precisamente sotto Codrezzate a non più di 200 metri luna dall’ altra (tav. I, num. 2). — Queste due stazioni sono perfettamente analoghe fra di loro: la più orzentale è lunga circa 120 metri e larga 30, l'altra non occupa una metà di questa superficie, e ponno dirsi, piuttosto che palafitte, enormi mucchi di grossi ciottoli e di massi di pietra a poco più di due metri di profondità sotto il livello dell’ acqua. I piuolî però non vi mancano, sono di betula, perfettamente conservati, e benchè assai radi, attestano chiaramente l’ esi- stenza di una vera palafitta dell’ epoca della pietra (2). Ben pochi sono i resti di industria quivi rinvenuti: — due grossolane freccie di selce grigiastra del tipo più comune (tav. V, fig. 11 e 12), una piccola sega, scheggie di selce lavorata, pezzi di carbone ed abbondanti frammenti d’ossa di animali spaccate e ridotte in punta con qualche traccia di carbonizzazione ; più che tutto poi queste palafitte sono rimarchevoli per la strabocchevole quantità dei cocci di stoviglie, che per la natura dell’impasto fi- namente triturato e ricco di mica lucente, molto si rassomigliano a quelle delle stazioni lacustri dei laghi della Svizzera. — Dai frammenti di piccoli vasi, da specie di ciot- tole a fondo curvo come quelle usate durante l’epoca del bronzo nelle marniere, dalla materia meno grossolana, forse che non si debba trar indizio di una cultura più avanzata? — Ho procurato di figurare ciò che v' ha di meglio nella collezione del Museo di Milano (tav. V, fig. 13-19) per avere un’ idea precisa del tipo dominante in questa stazione come, altresì dei meglio conservati tentai idearne la ristorazione (fig. 13 e 18). (1) SroPPANI. — Prima ricerca di abitazioni la- (2) Atti della Società Italiana di scienze naturali, custri, ece. — Op. cit. vol. VI, anno 1864, pag. 29 e 30. 4 26 C. MARINONI, Pochissimi vasi hanno fregi consistenti in qualche ansa o in qualche leggiero rigon- fiamento per rendere più facile e sicuro il prenderli, qualche semplice rilievo, o delle dentature al bordo; fuori di questo, il liscio perfetto vi domina: — le stoviglie di questa stazione poi, pressoche tutte a fondo rotondo e convesso, portano nel centro, all’esterno, l'impressione di un colpo di dito grosso fatto a pasta ancor molle, e tale era certamente l’ unico spediente usato per determinare al vaso una certa stabilità di equilibrio. — Un fatto per ultimo va pure accennato, presentandosi qui più che altrove: — I vasi non furono cotti; ma ho potuto rimarcare che quasi tutti i cocci hanno su- bita qualche leggiera azione di fiamma che li annerì, e che il fondo è spesso insieme alla parete interna tappezzato da sostanze carbonizzate di origine organica. Infine la quantità delle ossa rotte e lavorate attestano la presenza nelle palafitte del lago di Monate di parecchie specie di animali che ivi dovevano vivere coll’ uomo domestiche; e quantunque non si siano potute determinare, giova credere che fossero quelle stesse che vivevano nelle circonvicine stazioni, i soliti ruminanti cioè ed il porco selvatico che furono compagni e nutrimento dei primitivi uomini. — Alcuni semi di cornus mas carbonizzati sono i soli rappresentanti del regno vegetale. Conchiuderò notando come dall’ esame dei materiali tratti dagli scavi fatti in queste stazioni e per l'indole della palafitta stessa, amerei riferirla indubbiamente all’ epoca della pietra. LAGHI DI BRIANZA. Le ricerche fatte dal professor Stoppani nel lago di Lecco e nei bacini circo- stanti furono sempre troppo infruttuose (1) per poter essere considerate e far annove- rare delle stazioni preistoriche del Lario; invece venne constatata dallo stesso l’ a- vanzo di una palafitta di forse 50 metri di lunghezza nel lago di Annone. Si presenta essa allineata parallelamente ad una serie di cumuli che occupano lo stretto che con- giunge i due laghi di Sala e di Annone (tav. I, n. 3), alla profondità di circa 2 metri. I piuoli rosi fin quasi a livello del fondo hanno tutta l’ apparenza delle antiche pala- fitte; ma il fondo soverchiamente torboso si è opposto finora a fruttuose ricerche. Un'altra stazione venne constatata all'Isola dei Cipressi nel lago di Pusiano (tav. I, n. 3) verso l’estremità settentrionale dell’ isolotto lungo il prolungamento di uno scoglio da 3 a 5 metri lontano dal lido, ove appajono sott’ acqua a mezzo metro di profondità, fra una congerie di massi di pietra, le testate dei pali sporgenti dal fango. — Sul lido (1) SToPPANI, Prima ricerca di abitazioni lacustri, ecc., op. cit. LE ABITAZIONI LACUSTRI IN LOMBARDIA. ; 2 di fronte, la spiaggia era seminata di scheggie di selce rossa e bionda; — un dente di Bos brachyceros Y abbozzo di un cuspide (tav. VI, fig. 15) e il frammento di un raschiatojo sono gli unici oggetti di qualche importanza, raccolti colle scheggie di selce fra quegli avanzi di una miserabilissima stazione di abitatori dell’ epoca della pietra. LAGO DI GARDA. L’ estremo limite orientale delle stazioni lacustri lombarde è il lago di Garda. — Le primissime scoperte si devono al signor Silber, luogotenente del genio militare austriaco, che, facendo eseguire dei lavori nel porto di Peschiera, scoprì quivi nel 1862 gli avanzi di una palafitta dell’ età del bronzo. — A tale scoperta tenne dietro nell’ aprile 1864 quella di stazioni lacustri sulla sponda occidentale del lago, nel golfo di S. Felice e all’ Isola Lecchi, fatta dal professore Stoppani. — Per ultimo vennero nello scorso anno segnalate, una palafitta nel seno formato dalla punta di S. Vigilio in faccia a Garda sulla sponda orientale, là dove il Monte Baldo bagna nel Benaco le sue pendici; ed altre sulla riva veronese scoperte nel 1863 dal dottor Alberti. Di que- st’ ultime palafitte, che furono solo fino ad ora accennate, non parlerò perchè non sufficientemente conosciute e perchè fuori del raggio delineante il confine che mi sono prestabilito (1). — Quelle che più m'importa registrare sono le stazioni della sponda occidentale e la palafitta di Peschiera. La palafitta di Peschiera è del massimo interesse. — Il signor Silber, dirigendo, come dissi, i lavori fatti in quel porto militare scoprì in uno spazio di pochi metri quadrati in mezzo al fango scavato a 7 od 8 metri di profondità sotto il livello dell’acqua, una grande quantità di oggetti di bronzo. — Sono essi specie di pugnali, punte di lancie affatto simili a quelle che furono trovate nei laghi svizzeri, aghi crinali analoghi @ quelli conservati nella collezione del colonnello Schwab, piccoli arpioni, coltelli, fibule e spirali tutto di bronzo ed una sfera di granito. — Tali oggetti giacevano sparsi in mezzo a buon numero di pali carbonizzati ancora infissi nel suolo, sepolti nel limo insieme a grandi pezzi di argilla nera senza forma che lo scopritore ritiene frammenti dell’ intonaco dei tugurii lacustri. La relazione del signor Silber è in- serita nelle Memorte della Società degli Antiquari di Zurigo (Keller P/ah/bauten, V. Bericht, pag. 140) dove gli oggetti sono disegnati alle tavole IV, V e VI (2). Questa (1) Anche il capitano Kostelitz raccolse nel lago di (2) Cotali oggetti in bronzo sono pure citati dal Garda oggetti d’ antichità remota che donò al Museo signor Strobel. (Degli avanzi preromani raccolti nelle imperiale di Vienna. ( Materiaua pour 1° histoire de terremare e Palafitte dell’ Emilia. Parma 1863.) l'homme, ecc. Anno 1°, pag. 188.) 28 ‘C. MARINONI, stazione è di un’ epoca molto avanzata inquantochè l’ arte idi lavorare i metalli era nota a quei popoli che già si fabbricavano col bronzo tutti i loro utensili da guerra e da caccia, e gli oggetti d’ uso casalingo. Le stazioni invece riscontrate dal professore Stoppani (1) lungo la riva occidentale del lago sono dell’ epoca della pietra. — Tutte riunite entro il Golfo di San Felice di Scovolo , sono riparate verso l’ aperto lago da una serie di scogli che dalla Punta di Manerba chiudono a semicerchio il golfo, tenendosi sempre a fior d’acqua, finchè ter- minano all’ Isola di Garda o Isola Lecchi che pure nel seno da essa formato diede ricetto ad una piccola colonia. Tre sono le stazioni del Golfo di San Felice: — una palafitta orientale vasta 120 m. q.; una palafitta centrale vicinissima al lido e che occupa una superficie da 80 a 90 m.q.; una stazione occidentale appena constatata. Le stazioni dell'Isola Lecchi sono due: — una orientale di circa 50 m.q., V altra occidentale di 40 m. q. di estensione. Tutte queste palafitte presentano gli stessi caratteri. Sono molto accostate al lido ed a poca profondità sotto il pelo dell’ acqua; i pali sono anneriti, grossi, ed appena appena i monconi si elevano al di sopra del livello del fondo. — La sola stazione dell'Isola Lecchi fornì indizii sicuri dell’epoca di quelle palafitte in molte scheggie di selce gialla ed in alcune di selce bruna sparse sul lido, fra le quali un raschiatojo (tav. VI, fig. 14); ed in molti frammenti di cocci simili per la natura della materia a quelli tratti dal lago di Varese. Le altre stazioni diedero solo qualche scheggia la- vorata. È molto poco: ma si deve considerare che nel Benaco, per la sua ampiezza e per la sua esposizione ai venti, le onde sono capaci di trasportare sulla riva delle vere dune, prova ne sono i regolarissimi cordoni littorali di ghiaja e di sabbia che stanno distesi sui suoi lidi; per la qual ragione è a immaginarsi quanto venne in sì lungo lasso di tempo o sepolto sotto gli apparati littorali del lago, o sperperato dal fran- gersi al lido dell'onda rabbiosa. — È quindi ancor molto che ne sia rimasto tanto da poter dire che le stazioni del lato occidentale del lago di Garda, furono abitate all’ e- poca della pietra. TORBIERE PRESSO VARESE. Passate così in rassegna le stazioni umane lacustri e riconosciutovi l’uomo dai suoi avanzi e dalle svariate manifestazioni della sua influenza, ora mi resta a ricer- (1) STOPPANI, Le antiche abitazioni lacustri del scienze naturali, vol. VI, anno 1864, a pag. 181. lago di Garda. — Negli Atti della Società italiana di LE ABITAZIONI LACUSTRI IN LOMBARDIA. 29 carne le orme in quegli altri depositi che si sono formati sotto i suoi occhi, nelle tor- biere. — Già ho detto come queste si estendono per tutta la Lombardia e specialmente al limite meridionale dei laghi; ed ora incominciando dal prendere in considerazione quelle che occupano le regioni al sud del Lago Maggiore, dove si incontrano pure nei seni riposti di Laveno e di Mercurago, accennerò in seguito a quelle che distendonsi ampiamente tutto all’intorno del lago di Varese specialmente dal lato di mezzodì e di ponente, nella regione montuosa della Valcuvia, e nello spazio tra il lago Ceresio ed il lago di Lugano venendo verso Como. Ecco qui riuniti in una lista, gli oggetti di umana industria rinvenuti in questa contrada : Nei dintorni di Laveno fu raccolta una accetta cuneiforme (marteau-hache) di serpentino verde (tav. VI, fig. 1) accuratamente forbita e tagliente da un lato, colla testa sferica, grossa, foggiata a martello e trapassata dall’ una all'altra parte da un foro conico di poco più di un centimetro di diametro dalla parte più larga, di mirabile rego- larità , fatto per assicurarvi un manico. Tale strumento è affatto simile ai mazzuoli dell’Imolese e di altre località d’Italia e della Svizzera; ma più che tutto si ravvicina alle armi di pietra della Scandinavia, riportandosi ad un’età molto primitiva dell’epoca della pietra. — Della stessa località pure alcuni sono frammenti di stoviglie rozzis- sime di terra bruciata, ed ossami di animali indeterminati. Nelle torbiere di Mombello e Cerro nello stesso seno del lago, al nobile signor Carlo Tinelli, in alcuni scavi che fece eseguire per il prosciugamento della torba, venne fatto di scoprire già fino dal 1865, una piccola sega di selce e più tardi nello scorso anno, le testate dei pali di una palafitta in mezzo ai quali erano sparsi dei grossolani cocci, un cuspide di lancia in piromaca cinericcia, un’ altra sega di selce, ossa di cervo, di capriolo, di capra hircus fossilis, e tre cannotti costruiti con tronchi incavati e lavorati principalmente verso le estremità che dovevano esserne la prua e la poppa. — Sono essi affatto simili a quelli già rinvenuti. dal Gastaldi nella torbiera di Mercurago; — uno si trova ancora per molta parte /errato in mezzo al deposito che costituisce la torbiera, gli altri sono conservati dallo scopritore insieme alle selci ed agli utensili di pietra nella sua villa a Mombello. sa Tali scoperte nella torba di Mombello e Cerro, ricordano perfettamente la palafitta ora in asciutto di Mercurago sull’opposta sponda del lago, il vero tipo delle torbiere a resti umani, che descrisse il signor Gastaldi nel suo lavoro. Il predominio di un’ industria affatto pri- mitiva, ne guida a concludere probabilissimamente per l’ esistenza in quel placido seno dell’uomo dell’epoca della pietra che per costumi e bisogni condivideva il dominio del lago Maggiore cogli abitatori dei limitrofi paraggi sfidando le onde su fragile navi- cella. Non starò quindi a ripetere qui per la torbiera di Mercurago la lista di una se- quella di fatti e di scoperte per altro già pubblicate dal Gastaldi (1); ma solo richia- merò l’ attenzione sulla comunanza dei bisogni e dei mezzi di quelle prime colonie, (1) GASTALDI, Opera citata, pag. 76 e seg., tav. I.® 30 i C. MARINONI, che appajono direi stereotipati negli avanzi da essi lasciati e nei resti diroccati delle loro dimore. Della torbiera di Brenno sono alcune armi state rinvenute sepolte con degli scheletri umani che però andarono gli uni seppelliti, le altre disperse, un’ armilla di bronzo fatta di un filo ravvolto a spirale in cui scorrono due anelli pure di bronzo (tav. VII, fig. 4), ed una fibula pur essa di siffatto metallo, piuttosto grande e vaga- mente lavorata (tav. VII, fig. 5). Egli è certo che cotali oggetti potrebbero essere di un’ epoca molto recente. — Qui inoltre mi è dato di poter aggiungere che il dottor Leopoldo Maggi riscontrò non dubbii avanzi dell’uomo delle epoche della pietra e del bronzo anche nei depositi torbosi della Valcuvia. Gli avanzi di umana industria da me figurati, furono pressochè tutti rinvenuti nelle torbiere che circondano il lago di Varese. — Di quella al sud di Biandronno sono due cuspidi di selce bianca opaca (tav. VI, fig. 3 e 4) del tipo triangolare; fidule di bronzo perfettamente fatte come quelle che si potrebbero foggiare oggidì colla loro spirale elastica ed un prolungamento fornito di docciatura per adagiarvi lo spillo, diversamente ornate (tav. VII, fig. 14) e ricoperte della loro patina di antichità; fram- menti di fili ravvolti a spirale, di catenelle di bronzo, di monili (tav. VII, fig. 13) identici pressoche in tutto e per tutto a quelli figurati da Desor fra gli oggetti tratti dalle palafitte del lago di Neuchàtel e nei Pfa/X/bauten di Keller (II Bericht tav. I, fig. 55 e 56 - III Bericht, pag. 102 tav. VII, fig. 19); uno spi//one per ornamento da testa (tav. VII, fig. 6); un anello di bronzo (tav. VII, fig. 15); e parecchi frammenti di stoviglie grossolanamente fatte e cotte al sole. — Una cert’ arte traspare da co- testi oggetti ed un certo gusto che richiama il progresso ed il grado di perfe- zione dell’ età del bronzo della vicina Svizzera, talchè si direbbe appartenere essi ad uno stesso popolo. Le illustrazioni poi date dal signor Desor degli avanzi di industria umana trovati nelle costruzioni lacustri del lago di Neuchatel, sovven- gono subitamente alla memoria di chi osservi anche per poco gli utensili di bronzo preistorici rinvenuti nelle torbiere lombarde. I depositi torbosi che si stendono al mezzodì di Cazzago sono pure ricchissimi di anticaglie delle epoche andate, talchè perfino i contadini che sono avezzi a trovarsele fra i piedi, le riconoscono perfettamente. — Al Museo di Milano si conservano prove- nienti da questa località, un’azza in serpentino verde di un liscio e di una perfe- zione di lavoro squisita (tav. VI, fig. 5); una fibula di bronzo così conservata da sem- brar uscita addesso dalle mani dell’artefice (tav. VI, fig. 18); molti frammenti di fili di metallo di varia grossezza ravvolti ed aggomitolati, forse preparati per fabbricarne ami; gli ultimi avanzi di una face di legno resinoso ancora carbonizzata, con intaccature rimarchevoli ; ed alcuni piccoli pezzi di legno quadrati o rotondi con un foro manu- fatto, taluni anche con ornamenti incisi (tav. VI, fig. 7-10), che assai probabilmente dovevano essere adoperati quali galleggianti per le reti alla maniera che servono oggidì i frammenti di sughero, a meno che quegli uomini non ne usassero, infilandone pa- recchi su delle cordicelle, a modo di collane o di pendagli come fanno i selvaggi del- l'America e dell’ Oceania. Della torbiera della Brabbia presso Varese, sono una piastrella discoide di bron- LE ABITAZIONI LACUSTRI IN LOMBARDIA. Sl zo forata (tav. VI, fig. 13), utensile d’ornamento, ed un’oggetto d'uso affatto ignoto for- mato da quattordici cerchielli di bronzo quadrangolari riuniti lungo due pernetti posti alle estremità intorno a cui si ripiegano e si ribadiscono (tav. VII, fig. 16). Il signor An- gelucci lo chiama uno spallaccio e gli attribuisce l’uso di un arnese di abbigliamento militare; ma nè presso i Romani nè presso i Barbari storicamente conosciuti che pas- sarono per la terra d’ Insubria, non pare fossero in uso di tali oggetti: — io ne figurai uno dei quattro rinvenuti dal signor Quaglia-Bene-Sperando di Bardello, appassionato rac- coglitore, che nella sua raccolta possiede ancora un magnifico paa/-stab ed un oggetto di bronzo nel quale sembra essere modellato l'osso astragalo del piede di un elefante. — La torbiera della Brabbia diede ancora una fusaruola di argilla cotta (tav. VI, fig. 12) trovata a 4 metri di profondità, frammenti di vasi in terra cotta, muniti dei loro manichi, in cui cominciano ad apparire forse le traccie di lavoro al tornio (tav. VI, fig. 11), e denti ed ossa di animali fra i cui il Bos Brackhyceros. Probabilmente hanno una medesima provenienza un ago di bronzo (tav. VII, fig. 18) ed alcuni altri frammenti di stoviglie di cui uno, col piede vuoto al di sotto, ho disegnato a tav. VI, fig. 6. — Oggetti dell’ età della pietra sono qui sparsi accanto a resti di una cultura molto più avanzata; però senza relazione di giacitura gli uni cogli altri. Se tale condizione impedisce di dedurre serii appunti per questi avanzi d’ indu- stria come per tutti quelli trovati negli altri depositi congeneri, pure ne attestano egualmente la presenza dell’uomo in un’ epoca molto remota della quale solo essi re- stano a rendere testimonianza. TORBIERE DELLA BRIANZA. Da Varese mi è neccessario saltare di pie’ pari fino alle torbiere lasciate in secco dal lago Eupili, bacino che, poi, per la separazione prodotta dagli interrimenti del fiume Lambro e l’ abbassamento delle acque si divise nei laghetti di Pusiano, d’Alse- rio e d’Annone (1). Antichissime sono le scoperte di armi nella torba di Bosisio. — Fu già fino dal 1856 pubblicata dai fratelli Villa nel giornale il Fotografo di Milano, la descri- zione di un cuspide di giavellotto in selce bianca e di un’ascia di quelle a bordi rilevati (paal-stab) di bronzo, della quale riporto la figura (tav. VII, fig. 7); furono essi trovati insieme ad altri cuspidi di selce dal signor F. Landriani, sepolti (1) È questa anche l’ opinione dell’ egregio signor sol lago, l' Eupili. — Veggasi in proposito anche: Re- ingegnere Elia Lombardini. — La storia stessa di DAELLI. Sull’ antico stato del lago di Pusiano, e le Plinio non accenna quivi prima del V secolo che un Storie milanesi del Corio e del Giulini. 32 C. MARINONI, a 3 metri di profondità. — A tali oggetti vanno ora aggiunte altre punte di freccia in selce di vario colore che si trovarono a diverse riprese nello scavare la torba, delle quali alcune ora si possono vedere al Museo di Milano (tav. VII, fig. 8,10 e 11) altre appartengono alla collezione dei fratelli Villa (tav. VII, fig. 9 e 12). — Come dissi parlando delle freccie della stazione di Bodio sul lago di Varese, quelle delle torbiere hanno forme un po’ diverse; la varietà presentata da queste di Bosisio ne è un esem- pio, quantunque per lo più si uniformino sempre ad un'idea tipo. In altre località vicine, come a Rogeno, abbondano di preferenza le stoviglie, di cui un coccio impastato finamente a mano, forse facendovi entrare anche dei frammenti di vegetali che poi gli procurarono un color bruno per l’ azione del fuoco o della loro scomposizione, appartiene con altri alla collezione Villa. — Quantunque non siano mancate le scheggie di selce, è però a notarsi che in queste torbiere (Bosisio, Rogeno, Maggiolino, ecc. ed in generale per tutti i depositi di analoga formazione contemporanea dell’uomo) insieme ai carboni ed agli avanzi di ani- mali i cui rappresentanti vivono pressochè tutti coll’ uomo, del quale ancora so- vente si incontrano i resti, e che vivono nei dintorni, non è difficile, nè a meravi- gliarsi di incontrarvi gli utensili più comuni, in uso anche oggidì, come per esempio nella torbiera di Casletto. — Egli è necessario saper ben discernere e comprendere quella storia che gli avanzi umani narrano a chi studia meno superficialmente, per- chè non si abbiano a confondere i depositi e non si abbia ad attribuire una spaven- tosa antichità ad oggetti forse sepolti jeri (1). In seguito a questi accennerò un mazzuolo di serpentino, tagliente, perforato nella sua parte grossa, trovato nei dintorni del forte di Fuentes presso Colico (tav. VI, fig. 2) ed un ago crinale di bronzo della torbiera di Sartirana presso Me- rate (tav. VII, fig. 3). TORBIERE DEL BERGAMASCO E DEL BRESCIANO. Dietro le colline formate dalla morena di Erbusco, si stendono dei depositi torbosi tutto all’intorno di T'orbiato. Sono queste le torbiere più conosciute nel Bergamasco dopo quella di Leffe in Val-Gandino, della quale nessun oggetto preistorico non venne mai citato, e che ora sono lavorate da una società di industriali. Alcune freccie ed un piccolissimo raschiatojo di selce bianca opaca sono tutto ciò che fino ad ora venne trovato di indizio umano in cotali depositi. — Alcune di tali freccie apparten- (1) G. B. ViLLA, Sulle torbe della Brianza, negli Atti della Soc. it. di sc. nat. Vol. VI, 1864, pag. 393. LE ABITAZIONI LACUSTRI IN LOMBARDIA. dd gono alla collezione del Museo di Milano (tav. VI, fig. 16 e 17), un’altra è deposta al Museo dell’ Istituto tecnico di Bergamo (1). Più ad oriente poi nelle vicinanze del Mincio, per tutta la contrada che si stende tra Castiglione delle Stiviere e Goito, regione depressa occupata un tempo da una palude come dissi addietro, dove ancor oggi sono molto frequenti le sorgenti d’acqua e non radi si incontrano dei filoni di una torba nera terrosa, sono abbondantemente sparse anticaglie d'ogni sorta. — A Guidizzolo vennero raccolti dal signor Guglielmo Mutti una freccia di selce gialla piuttosto lunga (tav. VI, fig. 19 a, 5), molto simile ad alcune di quelle già trovate nell’ Anconitano e figurate dal Gastaldi ( Nuovi cenni, tav. III, fig. 10); uno spé//one di bronzo, un ago crinale senza dubbio, formato da una laminetta che si svolge a spira con capocchia a disco (tav. VI, fig. 20); e parecchi frammenti di stoviglie in terra cotta. — A questi oggetti va aggiunta un’ azza di porfido verde, di quello che si trova comune nella Val-Sabbia, liscia e tagliente che fu rinvenuta in una tenuta detta Pozzenta in territorio di Ceresara (tav. VI, fig. 21). — Ancor qui vi ha miscela di avanzi di età diverse; e siccome in questi dintorni già fu raccolta gran copia di oggetti romani e di tempi posteriori, tanto più quindi sono interessanti quei pochi avanzi che, fra tutte le altre, rivelano epoche di antichità remote delle quali non si avrebbe diversamente sentore. Una nuova ed importantissima scoperta fatta non è molto nei dintorni di Desen- zano, non mi permette di passar oltre senza un breve cenno che la riguardi. — A tre chilometri sud-est di Desenzano, alla contrada Bornade nella valletta di Machetto sulla strada che conduce al Vaccarolo, 25 metri circa al disopra del livello del lago di Garda si distende, appena sotto la superficie del suolo, uno strato di torba della potenza di quasi un metro riposante sovra di un letto di argilla piena zeppa di tritumi di conchiglie lacustri. — Codesta torbiera è scavata oggidì per usi industriali, ed in essa giaceva sepolta un’ antica abitazione lacustre dell’ età della pietra. — Il dottor Gio- vanni Rambotti, che fu il primo a riconoscerla, potè raccogliervi in luogo i ragguar- stata dal calcare. Non saprei precisamente se ancora si possa prestare tutta la fede alle vedute del signor Rota; ma se il fatto, come ha tutte le apparenze di po- terlo essere, fosse verificato, sarà certo di non lieve guadagno per la scienza l'aver constatata una forma- zione di breccia ossifera a resti umani non ancora in- (1) Prendendo poi occasione dalla divisione direi quasi topografica e regionale di questo lavoro, aggiungerò qui in appendice una nuova località preistorica bergamasca, e quel che è più interessante, una giacitura antropo- zoica affatto nuova per la Lombardia. Il signor Matteo Rota di Bergamo, visitando i din- torni di Trezzo, ba or ora scoperto sotto Capriate sulla sponda sinistra dell'Adda, una specie di breccia ossifera che riempie i crepacci del conglomerato fluviale (ceppo). — In questa breccia trovò incrostato dal calcare un fran- tume di terra cotta di un vero impasto argilloso-micaceo, rosso per cottura al fuoco e molto simile ai cocci trovati nei dintorni di Guidizzolo attribuibili alle età preistori- che. — Vicino ad esso giacevano i frammenti del ba- cino, di varie ossa, e una porzione della branca destra della mascella inferiore di un bue di specie indetermi- nata, essa pure cementata e per la maggior parte inero- dicata perla Lombardia. Il coccio quantunque di terra cotta, non ha per nulla l'apparenza dei frantumi delle stoviglie usate oggidì; ma al contrario quella di un impasto abbondantemente micaceo, senza la benchè mi- nima apparenza di una vernice qualunque. Comunque però sia il fatto, la breccia ossifera entro ai crepacci di questo conglomerato essendo affatto indipendente dal resto della formazione , potrebbe qui essere presa in considerazione come rinserrante nel suo seno avanzi di industria umana e resti di mammiferi conviventi coil’ uomo. 5 34 C. MARINONI, devoli avanzi di uno scheletro umano fra i quali i resti di un cranio che già citai, istrumenti di selce ed altri oggetti indubbiamente lavorati dall’ uomo, portanti l’ im- pronta della sua mano, ed a rilevare dalla bocca degli scavatori alcuni dati sulla giaci- tura e disposizione di alquanti oggetti che andarono smarriti, e di certi pali appuntiti ed abbrucciati che stavano infitti nel suolo, dai quali si potrebbero dedurre tutte le appa- renze di una stazione su palafitta. Gli avanzi d’ umana industria che accompagnavano quel cranio, affatto normale e sotto ogni apparenza di età adulta, sono alcuni coltel- lini, pochi raschiatoj (grattoirs), scheggie di una selce di color bigio, un pezzo di arenaria faccettato con una certa accuratezza, e frustoli di legno mezzo arsi dal fuoco e carbonizzati. — Il dottor P. Martinati, dalla cui relazione (1) tolsi codesti appunti, ne inferisce che durante l’ epoca neolitica l’ uomo stabilì sua dimora al disopra di un piccolo bacino lacustre che disgiunto e indipendente dal lago di Garda esisteva nella valletta del Machetto, formatosi durante il periodo post-glaciale in mezzo alle morene frontali lasciate dal grande ghiacciajo che discendeva dal Tirolo; che coll’ avanza- mento del tempo il lago si colmò riducendosi alla torbiera ora rimasta testimone della sua presenza; infine che quest’ uomo non va confuso per età colla gente che durante l’ epoca del bronzo eresse stazioni sulle rive del Benaco. Io crederei di aggiungere una sola deduzione a quelle tirate dal signor Martinati in appoggio dell’ asserto già prima enunciato; che cioè, se veramente si presenta in simili condizioni la stazione umana del Machetto, questa sarebbe una prova di più che l’uomo si stabilì in Lombardia posteriormente all’ epoca glaciale, inquantochè anche quivi sarebbe venuto ad erigere le sue dimore al di sopra di un bacino morenico. CREMASCO Fra le scoperte preistoriche tuttora di una certa novità fatte in Lombardia è pure a notarsi quella di alcuni oggetti trovati, ora non sono molti mesi, in alcune terre del Cremasco dall’ egregio signor avv. Ugo Albergoni, a proposito dei quali non ho a riferire che quanto già feci noto in altra occasione (2). Tali oggetti sono: una punta di lancia in selce, tre vasi, un paal-stab, una freccia di bronzo, alcune figurine, una fibula ed altri oggetti di bronzo, che furono rinvenuti nei depositi superficiali a Vajano, Chieve e Monte-Cremasco all’ovest di Crema, ed a Ricengo, pochi chilometri a nord-est della città lungo il Serio (tav. I, num. 4). (1) Vedi la relazione di questa scoperta: Un’ abita- (2) MaRINONI, Di alcuni oggetti preistorici trovati zione preistorica presso Desenzano, inserita come ap- nei dintorni di Crema. Op. cit. pendice nel giornale L’ Adige”di Verona del giorno 9 novembre 1868, N. 309. LE ABITAZIONI LACUSTRI IN LOMBARDIA. 35 Osservando una carta topografica della Lombardia, egli è facile rilevare come Cre- ma ed il suo territorio, posti a cavaliere del punto di congiungimento del Serio col- l’Adda (tav. I, num. 1), in una bassa pianura, sieno in quelle stesse condizioni presso a poco in cui si trovano Guidizzolo, Castiglione e Volta, tali, perchè facil- mente estese paludi si impadroniscano del fertile territorio. — Se la cosa è in siffatti termini ai nostri giorni, e ne lo attestano 1 Mosî, avanzo di considerevole maremma, che si stendono a nord-ovest di Crema, doveva maggiormente verificarsi un tempo quando l’ artificiale irrigazione portata dall’ attivazione su grande scala dell’ agricol- tura non aveva prosciugate molte terre; e tanto più doveva esserlo in quei tempi re- motissimi nei quali la forza degli elementi prevaleva sull’ influenza dell’ uomo. — Tale fatio è chiaramente rilevato quando si osservi un’antica carta; e i eronacisti tutti che parlano della Lombardia verso il 100 D.C. e prima, discorrono di un grande lago, il Lago Gerundo, che si estendeva lungo la destra sponda del Serio, interminabile palude la quale, alimentata da sorgenti molto potenti, occupava tutto lo spazio che si stende dall’Adda al Serio ed è compreso tra il fiume Tormo a nord ed il Po a mezzodì. — Quel lago oggidì impicciolito e rappresentato dai Mosi, racchiudeva nel suo seno la storica Isola Fulcheria che corrisponderebbe precisamente a quello spazio di ter- reno alquanto elevato al disopra del livello delle circostanti bassure che sì estende da Pandino verso le foci del Serio (1). Le località di Chieve (anticamente Clevus), di Vajano ( Vajanum) e di Monte- Cremasco (Montes), d'onde provengono alcuni di questi oggetti, sono comprese nel pe- rimetro dell’antica Isola Fulcheria, come puossi rilevare anche da un passo del Mu- ratori (2), la quale forse un tempo deve essersi trovata in quelle stesse condizioni in cui si è potuto arguire siansi trovate molte altre isole dei laghi nostri, della Svizzera, della Baviera (3), ovvero più facilmente nelle condizioni delle limitrofe provincie del- l’Oltrepò e del Mantovano; di aver potuto offrire un sicuro asilo al primitivo Insubro che collo strale di pietra cacciava sulle sponde di quegli stagni, tendeva le reti in quei laghi, vi aveva stabilito sua stanza. Quantunque ben scarsi sieno gli avanzi raccolti, e più scarse ancora le notizie, io credo però che bastino a confermare il mio asserto: aver abitato quei luoghi l’uomo dell’ età antistorica, e che sovra le sue orme abbiano in tempi posteriori percorso il paese i Celti, gli Etruschi, i Romani ed altri popoli, lasciandovi tutti le impronte del loro passaggio. Intanto a Chieve fu trovato un cuspide di lancia in selce biancastra, lungo circa (1) C. CATTANEO, Notizie naturali e civili sulla Lombardia, vol. I, pag. 144. (2) MukaTORI, Antig. ital. tom. IV, pag. 231, dove dice: Haec autem sunt loca în Insula Fulkerii constituta, Palanzum, Pignanum, Montes Vajanum, Bagnoli, Clevus, ecc. (3) Pietro Terni patrizio cremasco, e segretario di Gian-Giacomo Trivulzi, che scrisse la storia di Cre- ma, esistente inedita ed originale presso il conte F. Sforza-Benvenuti ; ed Alemanno Fino scrittore di storie cremasche nel 1589, pertendono che Chieve de- rivi da Clavis, e vogliono che ciò venga dall’aver essa formato un’alta ripa del lago Gerundo, sostenuta da travi, ecc. Si videro, ora non sono molti anni, alcune di queste travi, da taluni osservatori considerate come vere palafitte. 36 C. MARINONI, 15 centimetri (tav. VII, fig. 1 a ?/, del vero). Fu esso rinvenuto a circa un metro e mezzo di profondità in un suolo non rimescolato; e quantunque quasi perfetto per lavoro a scheggiatura non molto grossolana, pure i suoi taglienti bene affilati presentano delle intaccature probabilmente derivate dall’uso. Non credo poter riferire quest’ arma ad alcuna di quelle forme che fino ad ora mi sono note, inquantochè è assai tozza di forme, colla sezione alla base grossa quadrangolare anzichè elissoide come in alcuni pezzi tro- vati nelle stazioni della Danimarca ai quali più di tutti si avvicinerebbe, e perchè con- serva sempre una costa mediana rilevata che va degradando verso i margini. Tale istrumento, se ben mi ricordo, stava seppelito in una terra torbosa ed è abbastanza tipico per dubitare d’attribuirlo all’ epoca della pietra. — In un altro punto presso Chieve fu pure trovato, a un metro di profondità nel suolo, un piccolo vaso di una pietra grigiastra molto analoga alla steatite, fornito di manico e lavorato al torno, per cui di un’epoca assai più recente. — Infine poco superiormente allo strato che rac- chiudeva la selce fu rinvenuta una /idbula di bronzo, ordigno di una cultura assai avanzata e quindi molto recente in confronto all’arme di pietra trovata a mezzo metro di maggior profondità. i La località di Vajano ha dato un piccolo vaso munito delle due anse, quasi per- fetto; — non lo conosco che dietro la scorta di un bruttissimo disegno dal quale potei riconoscerne la forma molto analoga a quella predominante nelle stoviglie delle mar- niere del Parmigiano. Credo meritevole di considerazione il fatto, che nell’ impa- sto d'argilla sono rinserrate alcune conchiglie, cosa che fino ad ora fu rare volte ri- scontrata. — Con questo vaso giaceva una lancia di bronzo probabilmente d'epoca molto posteriore. Questi due oggetti sono nella collezione del signor Ugo Albergoni di Crema. A Monte Cremasco, ad ovest di Vajano verso Pandino, furono trovate alcune pie- tre che, appoggiate luna all’altra, proteggevano pochi vasi di terra che pur troppo andarono dispersi e frantumati. Per ultimo venendo agli oggetti della località di Ricengo, sita sulla sponda si- nistra del Serio, circa quattro chilometri e mezzo al nord di Crema, annovererò anzitutto un bellissimo vaso lavorato a mano, munito di anse, composto di quel grès finissimo impastato d’ argilla, senza traccia di fuoco, proprio dell’ epoca del bronzo. Un magnifico paal-stab lungo più di 20 centimetri, coi suoi bordi rilevati (tav. VII, fig. 2), il margine superiore tagliato dritto e col tagliente pressochè rettan- golare come quelli delle marniere, gli giaceva dappresso. — Sono di questa stessa lo- calità, ma non confusi assieme delle figurine di bronzo, forse idoletti dell’epoca etru- sca, fili, frammenti di fibule e d’armille, oggetti di bronzo e monete certamente romane, or possedute in parte dall’ avvocato Albergoni ed in parte dal dottor Alcide Giavarina di Crema. Io credo però che il paa/-stab di un magnifico bronzo ed il vaso suaccennato, bastino a constatare che anche Ricengo possa essere stata un giorno una colonia degli uomini dell’epoca del bronzo. LE ABITAZIONI LACUSTRI IN LOMBARDIA. 37 SOMMA, GOLASECCA, SESTO-CALENDE, ecc. Toccati così di volo tutti quei punti dove in Lombardia furono raccolti avanzi delle antichissime età della pietra e del bronzo, non mi resterebbe ora che ad aggiun- gere qualche cosa sulle scoperte fatte nell’ altipiano di Somma e di Sesto-Calende, le quali mentre richiamano ancora la barbarie di un’ età selvaggia nella quale appena appena si aveva smesso l’uso degli utensili di pietra, danno a conoscere un certo pro- gresso nella civilizzazione di quegli abitatori, forse attinta dalle relazioni coi popoli limitrofi, per la quale l’uso esclusivo dei metalli venne a sostituirsi alla selce ed alla pietra, specialmente negli utensili da guerra, ed il ferro cominciò a fare la sua appari- zione quale elemento di prima necesità. — Lo spazio di questo territorio compreso tra Sesona, Sesto-Calende e Golasecca, può dirsi a buon diritto un vasto cimitero, seminato di tombe, di templi e di stazioni umane già state rovistate, descritte ed attribuite in più maniere (1); imperciocchè quivi a profusione si scavarono oggetti di tutte le età, dalle re- motissime fino ai tempi nel dominio esclusivo della storia e dell’ archeologia. — Oggidì però, per gli studii recenti del signor De-Mortillet, e come è altresì opinione del signor Desor, pare che quelle antichità debbano attribuirsi in parte almeno all’epoca del ferro. Cotali tombe sono pressoche tutte formate da una piccola camera sotterranea costituita da lastre di pietra rozzamente quadrate che si innalzano a formarne le pareti, tenute insieme e ricoperte da una lastra della stessa pietra di un sol pezzo che ne forma il tetto. Entro a queste cavità sono deposte delle stoviglie e delle urne cinerarie; ed accanto ad esse si trova sempre un piccolo vaso accessorio. Rozzamente fabbricati coll’ ajuto del torno, cotali vasi sono di un lavoro più finito e di una forma più ri- cercata di quella che appare nelle stoviglie del tempo del bronzo; hanno pareti sottilis- sime e sono ornati da scalfiture rappresentanti dei disegni geometrici di linee parallele orizzontali od oblique, decorrenti intorno al vaso, più o meno vicine le une alle altre. Da ciò si vede come l’arte ceramica vi avesse già fatto progressi, giacchè questi ornamenti, mentre da una parte tendono a conservare il tipo delle stoviglie dell’ e- poca del bronzo, dall’ altra richiamano in tutto e per tutto i vasi della stazione sviz- zera di La-Tène e di altre sul lago di Neuchatel dell’epoca del ferro; oltre a ciò l’ es- ser cotti al fuoco ed un color nero e rosso per una specie di vernice applicatavi al- l’esterno lisciato, li fanno rassomigliare moltissimo a quelli trovati nelle necropoli di (1) GIANI. — Battaglia del Ticino fra Annibale e Scipione. Milano 1824. 38 C. MARINONI, Marzabotto presso Bologna (1) ed in genere alle forme etrusche e romane. Di tali vasi alcuni sono descritti dal Gastaldi e provengono da Sant’ Anna e dai Groppetti presso Sesto Calende (2); altri dal Mortillet che sono. di Golasecca ed appartengono alla di lui collezione (3); altri ancora dall’ abate Giani, che pel primo scoperse ed illustrò (4) gli avanzi umani di questa località tanto famosa, quantunque erroneamente li attri- buisse ad epoche affatto storiche. — Infine accennerò come su qualcuno di questi vasi, compajono ritratte per la prima volta in Lombardia, le impressioni che quel- l’uomo ancor primitivo riceveva dalla natura animata che d’ogni intorno lo circon- dava. Oggetti svariati accompagnano questi vasi: sono essi per lo più fili, anelli, brac- cialetti, catenelle, fibule, spirali ed armi in bronzo, qualche fusajola di terra cotta, ed alcuni oggetti di ferro, quantunque in così poca quantità da lasciar al bronzo un assoluto predominio; — è a notarsi poi come non sia stata mai trovata alcuna moneta che potesse in qualche modo render ragione dell’ epoca alla quale poter con sicurezza attribuire questa stazione umana. — La collezione di tali oggetti la più bella e ricca è senza dubbio quella del marchese Della Rosa di Parma; però ve ne sono sparsi un po’ dap- pertutto. i Il signor De-Mortillet in seguito a queste scoperte ed agli studii che ebbe campo di fare in luogo, vorrebbe dedurre una certa analogia fra le tombe dell’ altipiano di Somma e Sesto-Calende e quelle della celebre località di Hallstadt presso Salzburg illustrata dai signori Ramsauer e Sacken, facendole di molto anteriori al VII secolo avanti l’ éra nostra. — Nessun’ altra località lombarda essendo venuta fin’ ora a porsi a fianco a queste allineate lungo 1’ alto del fiume Ticino, quantunque per esempio i dintorni di Crema offrano delle probabilità in proposito non trascurabili, egli è necessario per ora accontentarsi del poco che si è finora scoperto e riandando gli studii altrui, farne dei nuovi allo scopo di riuscire a saperne qualche cosa intorno ad un'età dei nostri progenitori che certamente ne tocca assai da vicino. — Quindi sen- za osar staccarmi da tanto autorevole opinione, nè da quella del signor Pigorini, che riguarda le sepolture di Vei, di Tarquinia, di Cervetri e di Vulci contemporanee di quelle di Hallstadt e di Golasecca, rimarcherò come l’ epoca del ferro a Somma ed a Sesto-Calende appaja per gli oggetti ivi raccolti e specialmente per le stoviglie, asso- lutamente più perfezionata che non in molte località del Parmigiano e dell’Italia cen- trale; con tutto questo però non vi si potè riconoscere neppure l’ ombra di lontane relazioni commerciali come nella celebre località del Salisburghese. — Crederei perciò di dover, per ora, attribuire questa stazione umana ai primordii dell'età del ferro senza voler specificare di più, quantunque certe analogie mi condurrebbero a credere che una (1) GozzADINI, Di un sepolcreto etrusco rinvenut plaleau de Somma, nel giornale Matériaua pour presso Bologna, pag. 8. l'histoîre positive et philosophique de l’homme, — (2) GASTALDI, Nuovî cenni, ecc.) pag. 75, tav. II, anno II, pag. 198 e 264. fig. 23, 24, 25, 27, 28. (4) GIANI, Op. cit., tav. 4. (3) G. De-MoRTILLET, Sepultures anciennes du LE ABITAZIONI LACUSTRI IN LOMBARDIA. 39 cotale influenza etrusca si fosse insinuata nei popoli allora radunati in quel punto della Lombardia e che quei coloni, cominciando a cedere all’ influenza di quella nazione civilizzatrice, ne addottassero a poco a poco anche gli usi edi costumi facendosi ogni di meno barbari; — però dagli uni agli altri havvi ancora un gran passo e forse solo le difficoltà dei mezzi di comunicazione in un paese ancora naturalmente selvaggio, sono state le cause che, producendo un certo isolamento, fecero sì, come vediamo og- gidì verificarsi istessamente per intere nazioni, che quelle prime colonie non si tro- vassero tutte contemporaneamente allo stesso grado della scala del progresso verso la vivilizzazione. E qui siamo nei dominii della storia. RIEPILOGO Giunto così al termine dell'escursione fatta alle varie località preistoriche di Lom- bardia, vorrei concludere ricercando quali corollarii scientifici si possano dedurre da tali scoperte, da questo accumularsi di fatti. Ormai è accertato che un uomo antichissimo visse in Europa nelle epoche ante- riori a quei tempi remotissimi fino alle cui nebbie ci conducono la storia, le tradizioni e l’archeologia, e sarebbe ridicolo il dubitarne di fronte alle prove incontestabili da esso lasciate, dal momento che se ne rinvennero i resti al pari di quelli di tutti gli altri esseri che nelle epoche geologiche trascorse comparvero sulla superficie del globo; — anzi v’ ha di meglio che l’ uomo, per quella molteplicità di mezzi di cui può disporre e che lo caratterizza, potè, a preferenza degli altri animali, moltiplicarsi, quasi direi allo stato fossile, stereotipato nelle infinite modalità della sua industria, di cui si rintracciano ogni giorno gli avanzi. — Ma come i resti degli animali fossili celandosi nelle viscere della terra a diverse profondità, possano in via affatto relativa attestarci una antichità maggiore o minore di tanti esseri ora scomparsi, per tracciare la storia delle origini dell’uomo sarà pur neccessario vedere fin dove si sprofondi nella serie geolo- gica, riuscire cioè a constatare le sue origini; e di là partire a contarne l’età. — Sono queste le difficili indagini alle quali molti s’accinsero in questi ultimi anni, e che spingendo gli studiosi sulle orme di Lyell, di Nillson, di Keller, li riuscì al punto di scoprire tanta e tale messe di umane reliquie da improntarne una formazione geolo- gica. I depositi che si sono formati al di sopra del pliocene e che si chiamarono per molto tempo col nome bastantemente largo di alluvioni antiche, sono quelli in cui deve ricercarsi l’uomo, in essi riscontrandosi appunto i risultati di quei dati cosmici che sembrano necessarii alla sua esistenza, improntati specialmente nella fauna e nella flora, che, salvo lievi differenze, possono dirsi le attuali, quelle ni cui immediato con- tatto anche oggidì si trova dovunque. C. MARINONI, LE ABITAZIONI LACUSTRI IN LOMBARDIA. 41 Per non riandare dunque un argomento già noto, e riuscire a tutt'altro scopo di quello che mi sono prefisso, accennerò in breve che, come per l’ Europa in generale, anche per la Lombardia dovrassi ritenere l’uomo come il più potente modificatore delle formazioni superficiali, apparso quasi direi jeri selvaggio e brutale come lo si scorge dagli avanzi suoi, e dovrassi ricercarlo negli ultimissimi depositi, quali le torbe che sono ap- punto in tutta attualità di formazione sul fondo dei nostri laghi, sepolto sotto le frane e gli scoscendimenti, nelle incrostazioni e nelle alluvioni, sotto i depositi morenici. — Diffatti in tali circostanze di giacitura si rinvennero tutti gli avanzi dell’ industria umana preistorica che furono finora raccolti in Lombardia; ed a queste va aggiunta e notata altresì la presenza delle abitazioni lacustri affatto identiche a quelle della Svizzera, della Baviera, ecc., fra i cui ruderi sarebbero rimasti sepolti sotto il limo e la belletta i più preziosi documenti per la storia delle umanità, se il genio e l’acu- tezza d’ osservazione di un uomo, quale è il signor F. Keller, non avesse saputo leg- gervi a chiare note l'impronta della mano dell’ uomo e le diverse fasi successive della sua civiltà primitiva, ed aprire in tal modo un nuovo campo agli scienziati indicando loro una novella fonte di ricerche, per giungere ad istabilire una giusta storia crono- logica del globo. La presenza dell’ uomo preistorico in Lombardia è ormai un fatto constatato. — Gli avanzi della sua industria che si riscontrano ogni dove, ne sono una prova palmare ed oggidì puossi ben asserire che una raccolta preistorica lombarda esiste; — ma però quantunque gli oggetti raccolti negli scavi fatti a spese della Società italiana di scienze naturali, sieno stati il fondamento di una collezione che, deposta al Museo Civico di Milano, si pensò poi ad arricchire mano mano colle nuove cose trovate, col continuo raggranellare di ogni scheggia, coll’occuparsi di ogni minimo oggetto, portando ognuno il proprio obolo alla raccolta preistorica lombarda, ormai arricchita delle specia- lità di tutto il paese; io ritengo che ancora assai poco siasi fatto per cominciare a ti- rarne delle conseguenze, dei dati assoluti, come si è potuto fare per altre contrade; e che sarebbe tuttora immaturo lo slanciarsi nel pelago delle induzioni. Però vi hanno fatti costanti, fatti spiccati, che ponno richiamare per la Lombardia alcune analogie con quanto si è già riscontrato in altre località, in base alle quali sarebbe possibile tessere qualche brano della storia delle prime comunità insubre modellandola su quella di al- tri popoli, i quali nelle stesse circostanze dovettero certamente vivere coi medesimi mezzi ed avere gli stessi bisogni. I ragguardevoli avanzi di un’ industria umana affatto primitiva, raccolti nelle tor- biere, parlano da molto tempo in favore di un’ antichissima popolazione incola della nostra contrada; ma più che questi ne dicono le consecutive scoperte dei ruderi di vaste stazioni lacustri, veri magazzeni di umane antichità, le quali d’ analogia in ana- logia ne guidano a concludere, non diversamente che per altrove, quali fossero cioè questi abitatori e come vivessero. In conseguenza di ciò, se lo stato di civilizzazione, di progresso, e quindi anche l’ età approssimativa di un popolo non si possono meglio studiare che dagli avanzi della sua industria, l’ età delle abitazioni lacustri lombarde dovrassi, meglio che da ogni altro cronometro, dedurre dalla natura e dall’ arte delle reliquie che vi si trovarono associate; e per esse le nostre palafitte sono in tutto e 6 42 C. MARINONI, per tutto riferibili non solo a quelle della Svizzera, colle quali più che analogia esiste identità, ma ancora a quelle di tutti gli altri paesi, in quelli almeno in cui tali inda- gini vennero praticate, imperocchè la civiltà delle palafitte può dirsi a buon diritto una civiltà europea. — Fra queste reliquie quindi, le più interessanti delle quali ho addietro descritte, notando a ciascun passo quei ravvicinamenti che mi parvero più aggiudicabili, ricercherò fin dove mi sarà dato con sì scarsi elementi quale sia quel rapporto che, legando popolo a popolo, potrà spargere luce sulla ragione e sul modo di essere dei primitivi abitatori del nostro paese, quale sia infine quell’ anello che con- giunge le età geologiche della Lombardia alle età storiche. Intanto le palafitte-tipo per noi, sono quelle del Lago di Varese. -— Tutte cotali abitazioni lacustri, nonchè quelle degli altri bacini fatta eccezione del Lago di Garda, si rassomigliano perfettamente, e per tutte si può dire che il fondo del lago pare d’ un tratto rilevarsi, dove in mezzo ad un ammasso di ciottoli d’ogni foggia e dimensione sorgono i monconi dei piuoli sporgenti dal fondo di pochi centimetri, essendochè tutta la parte che restava libera nell’acqua venne decomposta e distrutta dalla lenta azione dell'onda, colle loro teste in forma di coni più o meno acuti, posti sulla loro base e ri- coperti di fango e di alghe. — È questo il modo di presentarsi attualmente delle pa- lafitte; e da noi pure è nella vicinanza immediata dei piuoli, frammezzo a cotali mon- coni, che si trovano esclusivamente gli avanzi della umana industria, insieme ad una quantità immensa di ossami sprofondata e sepolta sotto un limo bianco, viscido, te- nace, fetido, intatto da migliaja d’ anni, fatto di tutto ciò che accenna all'uomo anti- chissimo e selvaggio: — carboni spenti, scheggie di selce ed armi di pietra, cocci di stoviglie, ossa di animali, tutto vi è agglomerato a formare lo strato dì antichità che in media potrà avere uno spessore di circa 20 centimetri e che risulta dal rigetto dell’ antichissima stazione (1). — In questo strato preistorico sarebbero quindi a ri- scontrarsi letteralmente non solo i ruderi, ma ancora il rigetto ordinario della pala- fitta; quel limo sarebbe un vero fango organico prodotto dalla decomposizione degli avanzi organici e nel quale, come è anche opinione del professor Stoppani, entra quale parte integrante la cenere. — Vi abbondano evidentemente i carboni spenti; e se questo è un fatto valido a sostenere la tesi ormai appoggiata dai più della distruzione delle pa- lafitte per incendio, sembrerebbe naturalissimo che al disopra degli avanzi di industria sepolti al tempo che la palafitta era ancora abitata, si debba appunto stendere uno strato di carboni e di ceneri, avanzi del fuoco , che tutto coprono e conservano. — Questo fatto che venne constatato per le stazioni della Svizzera, dove si trovarono carbonizzati pali, porzioni di tettoje, ecc., e che per la Lombardia avrebbe qualche importanza di pro- (1) Dapprima qualche oggetto venne trovato alla su- | terono così conservarsi intatti, al sicuro del contatto perficie del fango; ma la maggior parte sta in esso sepol- dell’aria e favoriti dalle qualità antisettiche delle parti ta, e quelli raccolti rompendo la melma sono sempre i torbose del limo. meglio conservati. Le armi e gli utensili di bronzo po- LE ABITAZIONI LACUSTRI IN LOMBARDIA. 43 babilità per la sola stazione di Peschiera dell’ epoca del bronzo inoltrata, per le pala- fitte dell’Isolino di Bodio e per tutte quelle altre stazioni che si scopersero sul lago di Varese, per quelle del vicino lago di Monate e per le stazioni di Mercurago sul lago Maggiore, trae spiegazione da altre circostanze: — quei carboni non sono i resti dei pali, i tetti delle capanne incenerite; ma debbono piuttosto considerarsi come gli avanzi degli antichi focolari, inquantochè non radi si incontrarono fra di essi, come p. e. a Monate, i frammenti abbrustoliti di ossami, rigetti del pasto, rifiuti di cucina. E questo è un fatto generale riscontrato in tutte le stazioni lombarde, se si eccettuino le sole palafitte del lago di Garda dove, per le condizioni speciali di un ampio bacino dominato dai ventie dall’ onda, le traccie delle palafitte sono, si può ben dire, sepolte sotto le dune che le onde di quel piccolo mare accumulano sulla riva. Ora a mio credere queste medesime condizioni generali di essere che si riscon- trano per le palafitte nei laghi, debbono pur ritenersi per quelle che trovansi ora in asciutto nelle torbiere. — Diffatti circostanze affatto simili a quelle riscontrate dal Gastaldi e dal Moro nelle torbiere di Mercurago offrono, per le identiche condizioni, le torbiere di Mombello e di Cerro esplorate in questi anni dal nobile signor Carlo Tinelli, dove si trovarono palafitte in asciutto; e non sarebbe improbabile di rinve- nirne in altre località comè a Gagnago, a Conturbia, nelle torbe di Angera e di Sessa, a Laveno, a Torbiato, ecc., essendochè il modo di presentarsi di tutti questi depositi è dovunque lo stesso. Il lago che si estendeva anticamente su quelle terre, vi ha ammucchiati i suoi sedimenti di legnami che vi sono abbondantissimi specialmente là dove era lo sbocco nel lago (così appunto ad Angera, Sessa, Mercurago e Mom- bello); ma di più vi ha che, inferiormente a questi depositi di torba, particolar- mente in quei luoghi dove si rinvennero traccie di avanzi umani, si stende spes- sissime volte fra la torba e la marna sottoposta, una materia nera e viscida la quale essiccata si sfalda, e che potrebbe essere appunto considerata come l’ equivalente dello strato di antichità, stato sepolto e conservato sotto il suolo torboso (1). Questo in via topografica: considerando poi la forma dei diversi ruderi delle sta- zioni lacustri ora rinserrati nelle torbiere, nulla davvero se ne può dedurre. — Lo stato della palafitta in secco di Mercurago, che il professor Gastaldi descrive distesa- mente nei suoi Nuovi Cenni ecc., e le file di piuoli infitti nella torba di Mombello e Cerro rilevati dal signor Tinelli, se sono un indizio certo dell’esistenza di tali palafitte, nulla di più ne attestano di quello che i monconi sul fondo di un lago. Egli è duopo dunque per noi fidarsi alla grande analogia colle palafitte svizzere, e quindi imma- ginare pei nostri laghi dei paesaggi simili a quelli che il signor Keller ideò per il lago di Zurigo, circondati da monti coperti da foreste estese abitate da animali fe- roci dei quali alcuni tipi sono scomparsi; dipingerci le rive dei laghi, in allora ba- (1) Questa materia nera, venne dal sig. dottor G. Om- — Vol. III, pag. 4; processo verbale della seduta 3 boni riscontrata anche nelle torbiere a mezzodì di Va- febbrajo 1861). rese (V. Atti della Società italiana di Scienze naturali 44 C. MARINONI, cini più ampi, circondate da paludi e da stagni; e sopra le acque quasi fluttuanti le borgate fabbricate di rami e di giunchi sostenute al di sopra dell'onda da pali, asili ai nostri avi contro i nemici e le bestie feroci. Oggidì non è più il caso del muovere quistione sull’ opportunità di questo fatto ormai giustificato per la scienza; invece devo aggiunger l’altro, pure accertato da noi, che grandi ed immensi cumuli di sassi servivano a fortificare quelle aeree co- struzioni contro il furore dell’onda. Noi lo abbiamo veduto verificarsi nelle stazioni del lago di Monate, nelle stazioni di Bodio e di Bardello e più che tutto nella pala- fitta dell’ Isola Camilla sul lago di Varese, per la quale si è fino arrivati alla conclu- sione di un’ intera isola fabbricata artificialmente, ond’ è che l’ Isolino di Varese an- drebbe a fondersi cogli steînbergs della Baviera. Pure, in onta a tutto questo, alcuni vollero rifiutare il fatto delle abitazioni erette al disopra delle acque, trovando strana la poca profondità a cui furono piantate le nostre in confronto alle palafitte svizzere. — Questa circostanza, che per altro sarebbe tale da poter essere un forte ostacolo alla opinione che fossero stazioni erette al disopra delle acque, e che, ragionando superfi- cialmente, condusse a false conclusioni, trova una spiegazione in ciò, che il lago di Varese, in epoca non molto lontana nel 1809, subì l’artificiale abbassamento di me- tri 1.80, il quale abbassamento sommato alla prima diminuzione generale delle acque quando rimasero per essa in asciutto le torbiere, a mio credere, potrebbe sommare ad una profondità conveniente per delle stazioni lacustri. Tale opinione è precisamente l’opposto di quella emessa dal signor Angelucci nel suo opuscolo citato, il quale senza essersi curato nemmeno di procacciarsi le necessarie informazioni sui lavori tecnici di abbassamento stati eseguiti anche in tempi affatto recenti, dice francamente che le acque di Varese dovevano un tempo essere più basse del livello a cui ora si scorgono i monconi dei pali, concludendo ad un subîto innalzamento dell’acqua del lago. Tanto allora valeva di dire che le palafitte erano state fatte sulla terra ferma e non sul lago, per la qual ragione questa opinione deve essere assolutamente rigettata; — d'altra parte abbiamo le profondità non trascurabili alle quali sono piantate le stazioni degli altri laghi e più principalmente di quelli di Monate e di Garda, di 7 a 8 metri, che attestano an- cora l’erroneità dell'idea del signor Angelucci, la quale del resto non darebbe nes- suna ragione delle palafitte ora in asciutto nei depositi torbosi di Mercurago, di Mom- bello e Cerro evidentemente abbandonati colà dalle acque del Verbano, e di quella nella torba del Macchetto presso Desenzano. Queste abitazioni lacustri intanto esistono in Lombardia, in tutti i laghi e special- mente a Varese, rappresentate da quegli stessi ruderi, improntate a quelle stesse con- dizioni di essere che altrove; ed ecco come il nostro lago di Varese dia una mano, per gli avanzi delle sue costruzioni lacustri, da una parte ai laghi di Zurigo, di Bienne, di Neuchàtel e della Baviera; dall’ altra alla stazione lacustre di Fimon nel Vicen- tino (1) e forse, spingendosi più verso mezzodì, alla palafitta di Castione scoperta da (1) Lroy, Le abitazioni lacustri dell'età della pietra nel Vicentino. — Venezia 1865. LE ABITAZIONI LACUSTRI IN LOMBARDIA, 45 Strobel, a quelle del Reggiano trovate dal Chierici, a quelle di Parma e di Paullo scoperte ed illustrate dal Pigorini, le quali segnerebbero appunto 1’ ultimo lembo, fin dove arrivarono in Italia verso mezzodì le abitazioni lacustri. Quale destinazione avessero quegli antichissimi stabilimenti è difficile di concepire, giacchè non ne danno sufficiente ragione nè gli oggetti in esse scoperti nè la pluralità dei fatti da essi presentati. Fossero pure semplici abitazioni, magazzeni, o luoghi di riparo o di convegno, quello che importa si è che in mezzo ai ruderi di essi non mancarono delle reliquie che attestassero l’uomo in quella fase sociale di stato sel- vaggio per cui passa ogni umana famiglia. — L'uomo edificò quelle costruzioni e vi stabilì sua dimora lasciandovi le sue orme nelle selci, nelle stoviglie, negli avanzi della sua industria, dei suoi banchetti, e quivi si costituiva in società per la prima volta in Lombardia civilizzandosi a poco a poco. L’uomo cercava allora coll’arco alla mano il covo dei suoi nemici, le fiere, nei re- conditi delle foreste che ammantavano tetramente le pendici delle prealpi e le uc- cideva colla tagliente pietra; — l’abitatore della palafitta, cacciatore per natura, non si sarà misurato solo cogli orsi, ma forse anche allora le passioni avranno provo- cate le guerre e l’uomo avrà avuto bisogno di armi per difendersi, o per imporre il suo dominio ad altri uomini. — Il fatto si è che quegli uomini usavano delle armi come ci usano anche i popoli selvaggi d’oggidì, e che le troviamo nei depositi preistorici nei quali da noi sovrabbondano le armi di pietra, mentre rare sono quelle di bronzo; il ferro era ancora assolutamente sconosciuto ai nostri avi abitatori di pa- ludi. Le ascie di pietra colle freccie di selce e colle ossa agguzzate, sono i soli arnesi che ne attestino le guerre di quelle epoche antichissime; le sole due freccie di metallo trovate a Bodio sono un fatto troppo isolato, e per quanto siano fregiate certamente non indicano l’ età delle spade di bronzo e delle armi svizzere fabbricate con arte corretta. Questa deficienza di armi di metallo a che ne conduce? — @ priori a ragio- nare in favore di una età della pietra; ma vi ha di più: i mazzuoli forati per rice- vervi un manico, le azze lisciate e levigate di roccie talora durissime, le freccie e gli utensili di selce di una perfezione squisita e di una maestrfa di lavoro non indiffe- rente, mostrano uno sviluppo incontestabile nell’ arte di lavorare la pietra, e attestano una vera civiltà della selce che ebbe il suo primo sviluppo fra i coloni di Varese. L'azza era sicuramente lo strumento che serviva agli usi i più diversi; ma quegli uomini avevano altresì delle seghe e dei cultri foggiati in sottili lamelle, a bordo den- tellato e tagliente adattati all’ ufficio di raschiare, fabbricati abilmente foggiando a colpo la selce, staccandone i frammenti con particolare maestria. — E qui viene a capello una quistione: — d’ onde traevano quegli artefici il materiale sì abbondante- mente lavorato? — A Varese le freccie, gli oggetti di selce e tutte le scheggie sono di una piromaca grigiastra che sicuramente ‘veniva in gran copia estratta dalle marne cretacee che circondano il lago, nelle quali roccie è sparsa abbondantemente in ar- nioni. Quivi è inoltre meritevole d’osservazione l’altro fatto, dell’essere cioè molto scarsa la selce rossa, chè doveva prendersi più lontano nel calcare silicico giurese; e ciò concorda perfettamente coll’altro fatto che la selce rossa e bionda si vede di preferenza usata là dove il paese circostante si stende fra le formazioni geologiche del- 46 C. MARINONI, l'epoca giurassica, come a Pusiano; imperciocchè è naturale che quegli uomini iso- lati nelle loro borgate e forse senza relazioni commerciali nemmeno coi più vicini popoli, dovessero usare quello che loro dava il proprio suolo, il loro piccolo mondo. Così nelle palafitte del lago di Garda la selce è esclusivamente gialla, per certo pro- veniente dal Tirolo, e che arrivò forse erratica colle morene fino a Guidizzolo insieme ai porfidi verdi della Val-Sabbia che quivi furono lavorati in azze affilatissime. Parlando poi delle stazioni di Bodio descrissi già minutamente ed a lungo le rozze stoviglie usate da quel popolo; — or bene, tutti gli utensili casalinghi, le fusa- ruole di arenaria, le ossa appuntate, gli ornamenti, concordano perfettamente colla rozzezza dei vasi che per verità non possono neppur chiamarsi di terra cotta, fabbri- cati come sono di quell’ impasto grossolano di roccie triturate in cui primeggiano le dioriti appalesate specialmente dal tritume di amfibolo cristallino e di feldspato (1). Tali vasi attestano pure l’epoca della pietra, e solo si potrebbero paragonare alle note olle di Casola nell'Appennino, dove si fabbricano anche oggidì stoviglie irregolari alla loro superficie, fatte senza il torno, cotte al sole e di gran spessore. — Già dissi come tale sovrabbondanza di vasi in confronto di altri oggetti suggerisca l'idea che quei pacifici coloni si saranno forse dedicati all'industria dello stovigliajo; giacchè si è visto come i diversi generi di oggetti di industria, che sono stati scoperti, non tutti proven- gono nella stessa abbondanza da tutte le palafitte, e come i cocci di stoviglie ab- biano in certe stazioni un vero primato sovra il resto. È vero che attaccando molta importanza a queste differenti specie di giacimenti e spingendo l’induzione all'estremo, si verrebbero a creare delle officine per gli utensili di bronzo, di altre per le stovi- glie, di altre per la fabbrica delle freccie e così via; ma ad ogni modo non è senza interesse il verificare un fatto importante, questo della localizzazione delle industrie, che venne osservato anche nelle stazioni della Svizzera; nè credo andar errato tro- vandolo ripetuto anche in quelle della Lombardia. Tanta copia di oggetti tutti riferibili ad una stessa cultura, di un’ epoca nella quale la civiltà era sì poco avanzata da essere ancora completamente ignoto l’uso di alcun metallo, attestano che il materiale più importante nell'industria di quei primi tempi dovette essere la pietra, alla quale oggi più non si dubita aver ricorso gli uo- mini nei loro bisogni; imperocchè dagli studii di dotti archeologi sappiamo che le armi e gli utensili di pietra sono, fra i resti della umana industria, quelli che certamente risalgono alla più remota antichità, a quel periodo di tempo che si può considerare (1) È questa un’altra evidentissima prova del come quegli uomini primitivi approffittassero di ciò che tro- vavano nel paese da essi abitato per fabbricarsi i loro utensili. A Varese, per esempio, furono certamente ‘ado- perati a questo scopo i materiali che si incontrano nelle morene addossate ai colli che formano la sponda occi- dentale del lago, ivi lasciate un tempo dal ghiacciajo che scendeva dalle regioni del S. Gottardo. E tali materiali dovevano essere appunto dioriti, e gneiss quivi abbondantemente sparsi allo stato erratico. Le relazioni commerciali cominciarono a svilupparsi solo sulla fine dell’epoca della pietra introducendo anzitutto il bronzo. LE ABITAZIONI LACUSTRI IN LOMBARDIA. 47 come l'infanzia dell’umanità, e che più tardi non si usarono che in un certo grado assai ristretto presso alcune nazioni (1). Continuando il perfezionamento della umanità, venne un tempo nel quale s’in- cominciarono a conoscere i metalli, ed anche in Lombardia apparve l’ aurora di una novella epoca nella quale si impiegò il prezioso bronzo anzitutto a farne gli utensili di prima necessità, ami ed armi; poi oggetti di ornamento, fibule, spilloni ed armille. L’amo, unico oggetto di metallo trovato all’ Isolino e scoperto poi anche a Bodio, fu certamente il primo bronzo che un popolo dedito per necessità alla pesca foggiava nello strumento ad essa il più indispensabile; ed è per questo che comparve già u- sato assai tempo prima della nuova era, dai pescatori dell’ Isolino e di Bodio nelle pa- lafitte di Varese, cioè in piena età della pietra. Trovata una volta la maniera di la- vorare il nuovo elemento, rare, preziosissime apparvero, come a Bodio, le prime armi e i primi ornamenti, mentre ancora si lavorava la pietra foggiandola nei più svariati oggetti; nè la rivoluzione portata dal nuovo elemento introdottosi fu, come di solito, repentina ed i possessori di utensili di pietra continuarono a farne uso probabilmente anche nella successiva età, senza che per questo si debba ammettere che abbiano continuato a fabbricarne. Fu quando il bronzo divenne più comune che si cominciò a lavorarlo nei più artistici ornamenti, veri modelli di un’ arte il cui progresso sì era sviluppato cogli istinti del lusso e di una certa ambizione; ed a quest’ epoca si riferi- risce quell’apogéo dello sviluppo dell’ arte bronzaria che caratterizzò 1’ intera epoca specialmente in Svizzera. Questa osservazione infine potrebbe in qualche modo ren- der ragione del miscuglio di oggetti di bronzo e-di pietra tanto comune da noi, ai quali cominciarono ad aggiungersi quelli di legno e le terre cotte: — è inoltre da 0s- servarsi a questo proposito ed a quello della diversa preponderanza di questi ele- menti, che le armi di bronzo come più recenti sono anche più diffuse, che quelle di legno facilmente dovettero andar distrutte, e che quelle di pietra cadute sul fondo delle palafitte quando queste erano abitate vi restarono, e per la distruzione delle borgate vi rimasero sepolte. Forse qualche primitiva capanna, sfuggita al disastro, sussistette al principio dell’ epoca del bronzo e di là gli abitatori si spinsero sulla terra ormai asciutta per stabilirvisi definitivamente durante l’ultima parte di quell’ età e restarvi durante quella del ferro e i tempi successivi, lasciando allora sulla terra ferma le impronte del loro passaggio, della loro esistenza. Durante l’ epoca della pietra dunque, sulle sponde dei nostri laghi si erano già stabilite colonie di uomini, e nella: successiva età del bronzo un popolo industre, non ignaro di arti, aveva quindi abitato lungo le bassure dei nostri pantanosi piani la- custri guadagnando mano mano il dominio sulla terra che il lago gli abbandonava ritirandosi nei suoi attuali confini. Quest'uomo passava una vita divisa fra la caccia, (1) Mentre Tacito e Plinio ci narrano dei barbari del capo 68) un passo dove dice che: gli Etiopî armavano nord d’ Europa che armavano le loro lancie e le loro le loro freccie con punte di pietra durissima. freccie con punte di osso, trovasi in Erodoto (libro XII, 43 C. MARINONI, la pesca e la cura della propria capanna, e quantunque meno evidentemente di quello che a Robenhausen e per la Svizzera, dove lo provano i sepolti magazzeni di ce- reali, ecc., i nostri abitatori dovevano pur essere agricoltori al paro degli Svizzeri e di quelli delle terremare dell’ Emilia, perocchè lasciarono tracce di una tal vita a pro- vare che avevano esteso il loro dominio sulla terra ferma limitrofa alle loro. sta- zioni; — e quì voglio accennare alle scoperte fatte dal signor Gastaldi di ruote e d’altri utensili nella torbiera di Mercurago. Cotali utensili di uso esclusivamente agricolo ne guidano a con cludere, indipen- dentemente da queste scoperte, che un certo numero di animali vivesse avvicinando l’uomo, e che alcune piante maturassero i loro frutti a tutto suo vantaggio. La pre- senza inoltre di alcune specie di animali, quali il bue, la capra ed il montone, i cui ossami si può dire dominano per quantità su quelli di tutti gli altri, depone in favore di un genere di vita veramente da colono, che doveva essere affatto analogo a quello degli Svizzeri vicini, i quali addomesticarono quelle stesse specie i cui resti si rac- colgono fra gli avanzi delle nostre palafitte. — Forse da noi quegli animali non sa- ranno stati totalmente ridotti ancora alla domesticità, tuttavia nell'economia della vita dell’uomo d’allora vi entravano come parte principale, fornendolo di nutrimento. E diffatti fra i rifiuti di pasto rappresentati dagli ossami che la draga trasse dalle stazioni lacustri sono da annoverarsi le seguenti specie : Cane ( Canis familiaris? o Canis lupus?) ; Castoro (Castor fiber fossilis Gieb.); Cervo (Cervus elaphus fossilis R.); Capriolo (Cervus capreolus fossilis R.); Capra (Capra hircus fossilis Gieb.); Montone ( Ovis sp.); Bue (Bos brachyceros R., e forse con esso il Bos domesticus Auct.); Porco (Sus scropha palustris R.) ; Una vertebra di pesce. Tutti questi animali sono ancora quegli stessi che compajono nelle torbiere alla cui fauna però bisogna togliere il Castoro, ed aggiungervi (1): Volpe (Canis vulpes fossilis Gieb.); Cavallo (Equus sp.); Un'altra specie di porco (Sus ferox Waldh.); Un metatarso di uccello di specie indeterminata; Alcuni molluschi (Lymneus, Cyclas, Valvata, ecc.): infine un femore di vomo rinvevuto nella torbiera di Rogeno. Non è questa sicuramente la lunga lista di animali descritti da Riitimeyer, nè di tutti quelli che vissero coll’ uomo primitivo; sono sole le poche specie che con- (1) Vedi StoPPANI, Paléontologie lombarde. II. serie: — CORNALIA, Mammifères fossiles. LE ABITAZIONI LACUSTRI IN LOMBARDIA. 49 divisero coll’ uomo le stazioni preistoriche dei nostri laghi comparendo nei rifiuti dei suoi pasti. Tali specie accennano evidentemente non ad una casuale presenza, come potrebbe essere quella derivata dalla caccia, ma ad una vera educazione del bestiame: — il cervo, il capriolo, dicono è vero una razza di cacciatori; ma il bue, abbondan- tissimo, il montone, la capra, e più di tutti il cane, quantunque raro, mi sembra at- testino ad una vera vita dedita alla pastorizia ed alla agricoltura. È poi di sommo in- teresse il vedere come già di tali specie alcune siano da porsi nella serie delle specie spente (Bos brachyceros, Sus scropha palustris, Capra hircus); altre sieno emigrate dalla Lombardia in lontane regioni come il castoro ed il Sus ferox, altre infine come siano state quasi distrutte mano mano dall'uomo, come il cervo ed il capriolo che in Lombardia non si incontrano più allo stato di libertà, il che del resto è quello che vediamo effettuarsi ogni giorno. Fra i vegetali poi la differenza fra la flora attuale a quella d’ allora è pressochè insensibile. — Si trovarono carbonizzati nelle palafitte dei semi: di Cornus mas e di Corylus avellana; nelle torbiere vennero raccolti strobili di Pinus sylvestris, legno di Taxus baccata, ecc. Troppo pochi sono ancora gli argomenti in proposito ; ma quasi si potrebbe affermare che la flora di quel tempo antichissimo doveva essere ancora quella d’oggidì, inquantochè ben poche differenze sono a notarsi dai botanici come avvenute nei tempi storici. — I legnami delle costruzioni non si poterono mai definire con sicurezza perchè sempre oltremodo guasti; tuttavia vi si riconobbe la quercia, il castagno, ed il pino comune. — Tutta la differenza potrà risultare dall’ e- same delle torbe; ed io ritengo si ridurrà all’accantonamento un po’ diverso della flora attuale in seguito alle modificazioni del clima, se pure queste avranno sufficientemente influito su di essa. In quanto ai resti umani, tranne quel poco che ho accennato a proposito delle ca- verne, niente di più v'è a concludere. — Mancano dei dati sicuri sui quali fondare la questione; nè l'ispezione di un cranio non bene autenticato, nè quel poco che si sa intorno ai resti umani rinvenuti nella torba del Macchetto, bastano a dar fondamento alle indagini intorno alla razza donde scaturirono i primitivi Insubri. Forse ancora, collo stato attuale delle scoperte preistoriche in Lombardia, i migliori termini di con- fronto potrebbero essere le usanze ed i costumi di quelle società primitive, ed in tal caso i nostri progenitori trarrebbero le loro origini da quello stesso popolo che venne a stabilir sua dimora al di sopra dei laghi della Svizzera; sarebbero infine un popolo immigrato. Dove ne conducono tutti questi fatti? Lo scopo delle indagini da me tentate non era di rifare la storia di un’ epoca ancor involta nella nebbia del tempo e dell’ignoto; ma bensì di constatare dei fatti di somma importanza per la scienza. — Un’antica po- polazione esistette in Lombardia che aveva per abitudine di attendarsi sui laghi, per il che piantavano dei pali e sovra di essi, come è tuttora addottato da certe popolazioni selvaggie, erigevano 1 loro villaggi dei quali ancora sì possono incontrare i ru- deri. — Un deposito di ossami e di avanzi d’industria evidentemente umana in mezzo a cotali ruderi di palafitte, non può essere un accidente, essendo un fatto che può dirsi veramente europeo; e perciò, anche per la Lombardia, dovrannosi cercar i rapporti Ii 50 C. MARINONI, che legano questi due fatti e fissarli, tali rapporti, per venirne a capo della storia di quelle popolazioni. Applicare alle nostre stazioni lacustri i dati coi quali il signor Desor classò le palafitte dei laghi svizzeri è assolutamente impossibile, inquantochè, per esempio, il primo carattere di tutti, quello dei pali, manca affatto da noi, tanto è vero che la stazione dell’ Isolino nel lago di Varese era stata dapprima creduta dell’ età del bronzo perchè vi si era scoperto l’amo, e perchè pareva fabbricata su pali sottili in confronto delle stazioni svizzere dell’ età della pietra; mentre invece essa va a fon- dersi precisamente cogli sfeindergs, che sono caratteristici della prima età. — Do- vendo perciò concludere appoggiandomi sopra caratteri generali di confronto, porrò anzitutto sott’ occhio il fatto risultante da tante indagini che cioè: abbiamo a Varese una riproduzione perfetta delle palafitte svizzere riferibili a quell'epoca che sta a ca- vallo fra la età della pietra e la successiva del bronzo. Fissando quindi una certa serie cronologica nelle stazioni preistoriche lombarde, riferirei esclusivamente all’ epoca della pietra: la stazione dell’ Isolino sul lago di Pusiano, quelle allineate nel golfo di S. Felice e all'Isola Lecchi sul lago di Garda, e probabilmente la stazione del Macchetto presso Desenzano ; ulteriori studii però in- dicheranno meglio l’età di questa. Le stazioni tutte del lago di Varese, di quello di Monate, del lago Maggiore, le torbiere in genere, nonchè i depositi del Cremasco, ecc., daterebbero dalla fine del- l’ epoca della pietra e rappresenterebbero l’ epoca di transizione fra le due età della pietra e del bronzo, durando per lungo lasso di tempo in questa seconda età; — esclu- sivamente dell’epoca del bronzo poi sarebbe la stazione di Peschiera, ed alla stessa età si potrebbero riferire Ricengo presso Crema e le torbiere tutt’ all’ intorno di Va- rese; — dell'epoca del ferro infine: Sesto-Calende, Golasecca, ecc. Da queste conclusioni vedesi chiaramente come dovrassi trattare esclusivamente di una cronologia affatto relativa. — Dei veri dati che ne potessero servire quali punti di partenza per fissare delle epoche precise in Lombardia non ne furono trovati ed anzi qui meno che in Svizzera ed altrove, per cui l’ unica cronologia che fino ad ora potrassi tentare sarà una cronologia geologica nella quale, considerando l’associa- zione degli oggetti e l’ ordine di sovrapposizione come l’ ordine essenzialmente cro- nologico per quei luoghi dove non vi fu rimescolamento, non crederei troppo azzar- doso di poter stabilire per l’ epoca antropozoica lombarda il seguente quadro espri- mente un tentativo di cronologia sincronica delle età preistoriche in Lombardia; cro- nologia, come dissi già, molto relativa e senza presunzione: timeuIagenb o trerziosod TUSIIIL ntropozoico o recente (Stoppani) Pliostocene (1) pospliocene (Lyell) ' / | LE ABITAZIONI LACUSTRI IN LOMBARDIA. Epoca storica (Stoppani) Epoca \ preistorica < (Stoppani) Epoca glaciale (Stoppani) Lombardia Formazioni attuali o della super-) Romani, Etruschi, Gal- ficie.. . . Età del ferro ! Età delbronzo » ! Fauna attuale . | Palafitte, terrema- re e torbiere. Stazioni umane molto primitive, prima apparizio- ne del metallo e della terra cotta. Fauna qualche spe- cie spenta. (Bos brachyceros. Bi- son priscus,ete.) 2.2 età della | pietra Palafitte, terrema- re e torbiere, ece. Fauna qualche spe- cie spenta. (Bos brachyceros. Bi- son priscus, etc.) Età della pie- tra \ (Nessunatrac- cia di metallo) 1. età della pietra Caverne e breccie ossifere conavan zi di umana indu- stria. Fauna posterziaria (Elephas primi- genius, Rhinoce- ros leptorhinus, etc.) li, ecc. .|Stazioni dei primi abi- tatori della Lombar- dia appena antece- denti le epoche sto- riche certe. —- Gola- secca, Somma e tom- be di Sesto-Calende. Mantova? Palafitta di Peschiera. Cremasco (bronzi di Ri- cengo, Vajano, ecc.). torbiere (Varese). Stazioni lacustri di Bo- dio (lago di Varese). | \ È di bronzo delle dello, Cazzago, Bo- dio, ecc.) e torbiere. Lago di Monate. Lago di Pusiano. Lago di Garda. Oggettidi pietra trovati nelle torbiere di Bo- sisio, Torbiato, ecc. Selci di Guidizzolo, Crema e stazione umana del Macchet- to, ecc. Selci lavorate, sporadiche. (Brescia, ecc.) (GRES lacustri del la- go di Varese (Bar- 51 Altre Svizzera parti e altri d’ Italia paesi Etruschi. Palafitta di La-Téne Necropoli di/nel lago di Marzabotto.| Neuchàtel , tombe di Hallstadt. Terremare? Marniere e| Palafitte Terremare {dei laghi di del NeuchAtel, Parmigiano|Bienne, ecc. Modenese, ecc. Palafitte del Palafitte dei laghi Parmigiano Piemonte, Vicentino, ecc.; Calindasco p. Piacenza; selci di Imola , An- cona, Napo- litano, ecc. Sicilia, To- scana, ecc. specialmen- tedi Zurigo, NeuchAtel, ecc. (Bavie- ra, ecc.) Francia. Alluvioni dellaSonna. Caverne e stazioni, al- la base dei Pirenei. 52 C. MARINONI, Messa così di fronte l’ età preistorica lombarda a quella delle altre parti d’ Europa sincronizzandola in qualche modo, ne risulta ancora più chiara la mancanza di dati sufficienti per basare la quistione di una cronologia assoluta. — Si vede che diverse civiltà si succedettero contemporaneamente in tutta l'Europa prima della più antica civiltà italiana; ma quando? — Per la Lombardia l'impronta di tale civilizzazione si potrebbe riassumere in quei pochi corollari che dalle indagini fatte si potrebbero de- durre e che vorrei così formulare: i 1. La Lombardia fu abitata in tempi remotissimi, anteriori ad ogni tradizione ‘e però posteriori al ritiro dei ghiacciai entro ai loro attuali confini, da una razza umana aborigena o no, questo non lo si può per anco sapere, che ha vissuto ai piedi dei nostri monti, sui nostri laghi, al di sopra di palafitte da essa stessa costrutte, e che vi ha vissuto nel medesimo tempo che i Castori presentemente rifugiati in regioni più fredde e quasi scomparsi dall’ Europa, il Bos bBrackyceros, il Sus scropha pa- lustris, il Capra hircus fossilis, ecc. specie ora affatto spente, e ad altri animali rappresentati da rari discendenti rifugiati sulle vette delle Alpi. 2. Questi primi abitatori non conoscevano l’uso dei metalli, e non lo conob- bero per molto tempo ancora. — Le loro armi erano quindi di pietra levigata e di selce lavorata, i lori utensili e le loro stoviglie fatti con ossa di animali foggiate a se- conda dello scopo, o di un impasto di roccie triturate; ma sempre di materiali che si trovavano nel paese, non mai o ben dubbiamente di pietre importate da lontano. 8. Abitarono dapprima in riva ai laghi, non mai nelle caverne. Che solo più tardi, allorchè per gli Etruschi cominciò 1’ introduzione del bronzo, fatti più audaci e sicuri dei nuovi mezzi, cominciarono a ritirarsi sulla terra, pur sempre restando vicini ai laghi dove serbavano sulle palafitte i loro magazzeni, dove taluni avranno ancora continuato a dimorare (Peschiera); e che infine allorchè col crescere della civiltà conobbero il ferro, abbandonarono del tutto i laghi e si ritirarono sui luoghi elevati in riva alle acque che avranno occupate le basse (Sesto-Calende). A quest’ epoca corrisponderebbe il grande sviluppo delle marniere: — è vero che in Lombardia man- cano i depositi antropozoici che per l’ epoca dovrebbero corrispondere a quelli schie- rati sulla riva destra del Po e che furono così bene illustrati dai signori Strobel e Pigorini; però, se fino ad ora da noi non si conoscono vere marniere, vorrei qui aggiungere come sia stato trovato nelle bassure presso Mantova qualche cosa di molto analogo. 4. Essi vivevano principalmente dei prodotti della caccia e della pesca; — de- diti altresì all'agricoltura, pare abbiano ridotto in domesticità alcune specie di animali dalle quali traevano nutrimento, rompendone le ossa per succhiarne la midolla. 5. Appena introdotto il bronzo ancora nei primi tempi, cominciarono ad usare armi di metallo ; e solo durante l’epoca del bronzo molto avanzata, adoperarono co- testo prezioso elemento a farne oggetti di ornamento dai quali traspajono segni evi- denti di un certo istinto di lusso e di una certa cultura e gusto di arte. 6. Il commercio non venne che assai tardi a mettere in relazione le varie po- polazioni fra di loro. Forse anche la barriera delle Alpi sparì davanti al bisogno che sentivano gli abitanti delle borgate ai piedi dei due versanti di communicazione, LE ABITAZIONI LACUSTRI IN LOMBARDIA. 53 di relazione. — Con tutto questo nessuna traccia di rito religioso tranne forse quello dei morti, i cui avanzi pare custodissero gelosamente, già nella età del ferro, in appo- site necropoli. Eccoci così arrivati al termine che mi era prefisso. Ma se i nostri progenitori furono propriamente selvaggi, e se per lungo succedersi di anni e fors’ anco di secoli vissero in tale stato, prima che la storia cominciasse a segnare colle sue note incan- cellabili le vicissitudini dell’ umanità, come si risponde al bisogno dell’ animo nostro ed alla curiosità di sapere come nacquero e da chi? — I depositi gravidi degli avanzi della loro industria e dei loro costumi, nonchè delle reliquie di quegli animali che vissero coll’ uomo, stanno là a testificare altamente un’ età antropozoica, un’ età per l’uomo di grandissima antichità, e sono ancora così evidenti da sembrarci di vedere i nostri antenati. Raccogliendo su di essi il pensiero puossi a buon diritto dire con Morlot: « Nous nous transportons aînsi dans le passé de notre espèce » (1). — Ma si può egli dire colle parole dell’ egregio professor De-Filippi (2) che, d'ogni intorno affluiscono fatti che ci obbligano a respingere la origine della schiatta umana molto più addietro nella serie dei secoli che non sì credesse dapprima? Non è possibile dalle osservazioni fatte fin qui dedurre un saggio di cronologia assoluta. — Si può dire che l’ uomo non discende nemmeno sì basso nella serie delle formazioni geologi- che, da toccare le sabbie subapennine, occupando soltanto i depositi più recenti del periodo quaternario nascosto nelle caverne, sepolto nelle antiche alluvioni, nei depo- siti torbosi, lacustri e vulcanici formatisi posteriormente al grandioso cataclisma del- l'epoca glaciale; ma dopo tutto questo non si può dir di più. Da noi in Lombardia l’uomo non è così vecchio come in altre regioni italiane (Toscana, Vicentino, Sici- lia); non abitò mai nelle caverne; ma cominciò, già al possesso di una certa civiltà, ad erigere i grandiosi monumenti delle sue palafitte, monumenti dell’uomo preisto- rico che si collegano per invisibili anelli mano mano ai più antichi segnalati dall’ ar- cheologia (3). (1) MorLoT. — Leon d’ouverture d'un cours sur state trovate nelle palafitte svizzere ; e dimostra come la haute antiquité. — Lausaune 1861. in Francia ed in Svizzera l’ età del bronzo finì paral- (2) De FiLipPI. — L'uomo e la scimia. lela ai tempi della repubblica romana. (Pigorini, (3) Il chiarassimo dott. L. PiGORINI riporta al tem- Abitazioni lacustri della Svizzera, inserito nel gior- po delle prime invasioni barbariche nell’ Elvezia, al- nale Rivista contemporanea, Torino 1864. Vol. 37, cune spade della collezione del colonnello Schwab, che pag. 420.) Vedi anche per tutte queste questioni: Stop- i signori Troyon e Keller facevano di età più rimota, pani, Note ad un corso di geologia, vol. 2, cap. XVI. AIN i dA ta 7 Ù Miniero Mn. Tavola I. 1. Topografia generale delle località preistoriche di Lombardia. 2. Schizzo topografico delle stazioni dei laghi di Varese, di Monate e del territorio circostante. DL idem dei laghetti di Pusiano e di Annone e delle torbiere del Piano d’Erba. 4. idem delle stazioni preistoriche presso Crema. ; 5. Topografia delle stazioni lacustri del lago di Garda. ; NB. In questi schizzi, il punto rosso indica quelle località dove furono trovati avanzi d’ industria umana. — il segno: P indica età della pietra; B indica età del bronzo; PB presenza di avanzi di amendue queste età. dn noni.Le abitaziom lacustri in Lombardia ecc.ecc. dB. Varese! Monia Cara ) S@alesto lalendo ) { T 3 7 sz: veg = 3 î S ui Duavenni Z'hizzo (Puegrefico generale dette al 5645 ono) Stazioni presslarione dell'ombra i SIMS sl ) Lol. Fi Adda. > en 2) DIGZ SA Uopogio 290000 Du FOIS \_- Ò ZI si deg _ == x ea = E Au = to eil. È la - NESS fl = si Ù ca Sa A aa - IS a =; = 3 — "a : lee ue Le abitazioni Jacustrmi in Lombardia ecc ece. on _ " i Mem della Socdit2di Set Nat Vol IVN°3 Tav. 1? Vhiavenna ZSehizzo IGpuogrefica. geniale delle Stazioni presstariione delle Lombarde 9) i 1 Bellinzona) ME ETA J PRE RT fg , le Mabuna fl HI casi $ Sy elekyumo S dA 7 30 VELIZZA VLZZAI Masio | he \nna p ; i Sira to, R) ‘ O Brescid Da Dre vi \ì 3 \ 3 (ON ì rela J f SY ogliera pagaia delle sluzione: bacCovtro UerLagiie di Varese e de No onate/ tia 6 = e = i LOR ) Dì Dia d' Hedello\l< d Copograf ta delle patefiite ALAZIZZARA Suoiaro € Atnone. È rn ESSE, STala 700/006 È | &/ ; Za "RR di Copografia zZe Slazionii (intro del Lago di Gorda Ù c 27 a Po Mem* della Soc 112di Se© Nat Vol IV.N®5 Tav. 1? fia delle patifito deo doglie 6 Suviano) 10) 2 Aunone, (\ i A. £ 7 (NE Lai lasraro 5 ; \\ 4 N Ò \ Ò ZII (e \ @ iii Oygroiigo i Ugg (bieveldf DA a od 3 1 77, A 1 [ EQ dele Nlaanua erano: del Lago di Garda ( ( @|Sersecore L0zzolerngo C E VERITA —_-_—_—tCcÉ Tavola II. Fig. 1-8, 13 e 14. — Cuspidi di freccia di forme diverse, a tipo triangolare, in selce argillosa. — Lago di Varese, palafitte della stazione Bodio. — Gr. nat. Fig. 9-11. — Cuspidi di freccie a tipo romboidale pure in selce argillosa. — Lago di Varese, pa- lafitte della stazione Bodio. — Gr. nat. Fig. 12. — Idem, idem. — Lago di Varese, stazione dell'Isola Camilla. — Gr. nat. Fig. 15. — Punta di lancia, in selce argillosa. — Lago di Varese, stazione Bodio, palafitta cen- trale. — Gr. nat. Fig. 16. — Altro cuspide di lancia in selce nerastra. — Lago di Varese, stazione dell’ Isola Ca- milla. — Gr. nat. Fig. 17. — Piccolo raschiatojo (grattoir) in quarzo jalino affumicato. — Lago di Varese, stazione Bodio, palafitta centrale. — Gr. nat. Fig. 18, 19 e 22. — Raschiatoi in selce argillosa di forme diverse. — Lago di Varese, stazione Bo- dio, palafitta centrale. — Gr. nat. Fig. 20, 21. — Idem, idem. — Lago di Varese, stazione dell'Isola Camilla. — Gr. nat. Fig. 23. — Scalpello (ciseau) tagliente in selce argillosa. — Lago di Varese, stazione Bodio, pa- lafitta centrale. — Gr. nat. Fig. 24. — Sega (scie) in selce argillosa rosso-bruna disegnata anche col suo profilo. — Lago di Varese, stazione Bodio, palafitta centrale. — Gr. nat. Fig. 25-32. — Ossa lavorate ed appuntate. — Lago di Varese, palafitte della stazione Bodio. — Gr. nat. Fig. 33. — Punteruolo in osso lavorato. — Lago di Varese, stazione Bodio, palafitta centrale. — Gr. nat. i Fig. 34, 85 — Idem idem. — Lago di Varese, stazione Bodio, palafitta Keller. — Gr. nat. Fig. 36, 37. — Ossa lavorate e ridotte a punta. — Lago di Varese, stazione dell'Isola Camilla. — Gr. nat. Fig. 38. — Piccola azza di serpentino verde oscuro. — Lago di Varese, stazione Bodio, palafitta centrale. — Gr. nat. Fig. 89. — Azza di un’arenaria serpentinosa durissima, disegnata anche col suo profilo. — Lago di Varese, stazione Bodio, palafitta centrale. — Gr. nat. Gli originali esistono nella collezione del Museo Civico di Milano. azioni lacustri inLombardia ecc.ece. Mem® della Soc*1t* di Se*nafi Vol IVN:3TavIF DIL BI al enne Marinoni dis.dal vero Paravicini dis.im Li LitL.Ronchi. i Neg di TRINO x NISROR lego Le È Tavola III. Fig. 1 e 17. — Frammenti di stoviglie in grès artificiale assai finamente impastato, rinvenuti in alcuni scavi fatti nell'Isola Camilla del lago di Varese. — ?/, della gr. nat. Fig. 2-4. — Fusaruole di diverse forme e dimensioni in arenaria. — Lago di Varese, stazione Bo- dio, palafitta centrale. — Gr. nat. Fig. 5, 6. — Idem in terra cotta. Lago di Varese, stazione Bodio, palafitta Keller. — Gr. nat. Fig. 7. — Fusaruola in arenaria. — Lago di Varese, stazione dell’ Isola Camilla. — Gr. nat. Fig. 8, 9. — Fusaruole globose in terra cotta. — Lago di Varese, stazione dell’ Isola Camilla. — Gr. nat. Fig. 10. — Fusaruola di forma conica colla faccia piana ornata da impressioni, trovata nell’Isolino del Lago di Varese coi cocci sopra citati. — Gr. nat. Fig. 11. — Peso per reti in arenaria. — Lago di Varese, stazione Bodio, palafitta centrale. — Gr. nat. Fig. 12. — Fusaruola non perforata di arenaria durissima. — Potrebbe essere una pietra da fionda (casse-téte). — Lago di Varese, stazione Bodio, palafitta centrale. — Gr. nat. Fig. 13. — Azza di un’arenaria serpentinosa assai dura. — Lago di Varese, stazione Bodio, pala- fitta centrale. — Gr. nat. Fig. 14. — Piccolo utensile (cucchiajo ?) assai rozzo, impastato di grès. — Lago di Varese, stazione dell’ Isolino. — Gr. nat. Fig. 15, 16 e 18 — Frammenti di stoviglie in grès artificiale finamente lavorato portanti l’ impronta di una certa cultura. — Lago di Varese, stazione dell’Isola Camilla. — ‘/, della gr. nat. Fig. 19. — Frammento di vaso in grès artificiale. — Lago di Varese, palafitta a Bardello. — '/, della gr. nat. — La linea punteggiata ne figura la ristorazione. Fig. 20. — Idem, assai rozzo. — Lago di Varese, palafitta a Cazzago. — ‘/, dalla gr. nat. Fig. 21. — Osso spaccato. — Lago di Varese, palafitta a Bardello. — ‘/, della gr. nat. Fig. 22. — Anello (amuleto?) in quarzite micacea. — Lago di Varese, stazione Bodio, palafitta centrale. — Gr. nat. Fig. 23. — Pendaglio (ornamento) in pietra schistosa. — Lago di Varese, stazione Bodio, palafitta Keller. — Gr. nat. Fig. 24. — Oggetto d’uso incerto, forse un peso da reti in arenaria lavorata. — Lago di Varese, palafitta a Bardello. — ‘|, della gr. nat. Fig. 25 — Ago crinale di bronzo. — Lago di Varese, stazione Bodio, palafitta centrale. — Gr. nat. Fig. 26, 27. — Punte di freccie in bronzo. — Lago di Varese, stazione Bodio, palafitta centrale. — Gr. nat. Fig. 28. — Amo in bronzo. — Lago di Varese, stazione dell’isola Camilla. — Gr. nat. Fig. 29-32. — Ami diversi in bronzo — Lago di Varese, palafitte della stazione Bodio. — Gr. nat. Gli originali esistono nella collezione del Museo Civico di Milano. > dD (È (© (È la DaT( ) I in Lom tazioni lacustri 1 I AENSIO inoni Mar age Tavola IV. Fig. 1. — Azza di serpentino verde a taglio molto ottuso. — Lago di Varese, stazione Bodio, pa- lafitta centrale. — Gr. nat. Fig. 2. — Idem rigonfia in arenaria serpentinosa rinvenuta sulla riva dell’ Isolino, lago di Varese. — Gr. nat. l'ig. 3. — Idem in schisto talcoso verde rinvenuta pure sulla riva dell’Isolino, lago di Varese. — |, della gr. nat. (coll. del sig. dott. Gaetano Negri). Fig. 4-6. Frammenti di vasi in grès a grossi elementi, con ornamenti e impressioni segnate a graffito. — Lago di Varese, stazione Bodio, palafitta Desor. — ‘/ della gr. nat. Fig. 7-10. Frammenti di vasi con anse di varie forme. — Lago di Varese, stazione Bodio, palafitta Desor. — ‘/, della gr. nat. Fig. 11. — Frammento di vaso in grès grossolano ornato da un cordone in rilievo. — Lago di Va- rese, stazione Bodio, palafitta Desor. — '/ della gr. nat. Fig. 12. — Fondo di vaso in grès. — Lago di Varese, stazione Bodio, palafitta centrale. — 4/, della gr. nat. Gli originali esistono nella collezione del Museo Civico di Milano. 2 IO] DI [Cub T ntazioni l Ll tel 7 SURE inoni Mar S = aravici D 2A al vero dis.d TELEA Marino ao Mn si Tavola V. Fig. 1, 2. — Frammenti di stoviglie in grès artificiale con ornamenti in rilievo. — Lago di Va- rese, stazione Bodio, palafitta centrale. — '/, della gr. nat. Fig. 3. — Frammento di ‘un piccolo vaso in grès grossolano con foro nella sua parete in cui pas-. sare una funicella che supplisca all’ ansa. — Lago di Varese, stazione Bodio, palafitta centrale. — ‘/ della gr. nat. Fig. 4-9. — Frammenti di vasi di varia grandezza in grès grossolano, muniti di anse di diverse forme. — Lago di Varese, stazione Bodio, palafitta centrale. Fig. 10. — Frammento d’ansa di un vaso. — Lago di Varese, stazione Bodio, palafitta Keller. — ‘|, della gr. nat. Fig. 11, 12. — Cuspidi di freccia in selce grigia. — Stazioni del lago di Monate. — gr. nat. Fig. 18, 18 e 19. — Frammenti di stoviglie i meglio conservati in grès artificiale finissimo. — Sta- zione del lago di Monate. — ‘|, della gr. nat. — La linea punteggiata rappre- senterebbe la forma dell’ oggetto ristorato. Fig. 14-17. — Altri frammenti di varie forme e dimensioni di stoviglie in grès. — Stazioni del lago di Monate. Gli originali esistono nella collezione del Museo Civico di Milano. L ; SvAa Varinoni (OREN Paravicini dis.inbi È pucia PRESA Ud “ Tavola VI. Fig. 1. — Azza-mazzuolo di serpentino verde (marteau-hache) perforato. — Della torbiera presso Laveno. — Gr. nat. Fig. 2. — Idem in serpentino perforato, rinvenuto presso il forte di Fuentes in Pian di Colico (Lago di Como). — '/, della gr. nat. Fig. 3, 4. — Cuspidi di freccia in selce bianca opaca della torbiera a mezzodì di Biandronno. — Gr. nat. Fig. 5. — Azza di serpentino verde, della torbiera presso Cazzago. — Gr. nat. Fig. 6. — Frammento di vaso rinvenuto con altri cocci in un deposito di torba. — Gr. nat. Fig. 7-10. — Pezzi di legno lavorati e traforati, adorni di intagli, impiegati probabilmente all’ uso di galleggianti per le reti, o di ornamenti. — Della torbiera presso Cazzago. — Gr. nat. Fig. 11. — Ansa di vaso in grès finissimo. — Torbiera della Brabbia. — */, della gr. nat. Fig. 12. — Fusajola in argilla. — Torbiera della Brabbia. — Gr. nat. Fig. 13. — Piccolo disco forato (amuleto od ornamento) di bronzo. — Torbiera della Brabbia. — Gr. nat. Fig. 14. — Raschiatojo (grattoir) in selce gialla della palafitta dell’ Isola Lechi, Lago di Garda. — Gr. nat. Fig. 15. — Scheggia di selce gialla lavorata, della riva del lago di Pusiano. — Gr. nat. Fig. 16, 17. — Freccie di diversa forma in selce bianca opaca. — Torbiera di Torbiato presso Iseo. — Gr. nat. Fig. 18. — Yibula in bronzo perfettamente conservata. — Torbiera di Cazzago. — Gr. nat. Fig. 19, a-b. — Freccia di selce gialla vista nel lato superiore in a e inferiormente in d. — Gui- dizzolo nella Provincia di Brescia. — Gr. nat. Fig. 20. — Spillone in bronzo ravvolto a spirale trovato a Guidizzolo nella provincia di Brescia. — Gr. nat. Fig. 21. — Azza in porfido verde, trovata a Ceresara presso Guidizzolo. — Gr. nat. Gli originali esistono nella collezione del Museo Civico di Milano. EPA iii TINA Ple n vii E Moi î Li bal . Ù ) . è tu ‘ ” . È , Li PIT) RIA EDO d. BI Tavola VII. Fig. 1. — Cuspide di lancia in selce biancastra trovato a Chieve presso Crema. — */ della gr. nat. (coll. dell’ avv. Ugo Albergoni di Crema). Fig. 2. — Paal-stab in bronzo trovato a Ricengo presso Crema. — '/, dalla gr. nat. (coll. idem). Fig. 8. — Ago-crinale in bronzo. — Torbiera di Sartirana presso Merate. — Gr. nat. (coll. del Museo di Milano). Fig. 4, D. — Armilla e Fibula in bronzo. — Torbiera di Brenno. — Gr. nat. (coll. idem). Fig. 6. — Spillone in bronzo della torbiera di Biandronno. — Gr. nat. (coll. idem). Fig. 7. — Paal-stab in bronzo della torbiera di Bosisio. — ‘/, della gr. nat. (Proprietà del signor Landriani). Fig. 8 e 11. — Cuspidi di freccia in selce rozzamente lavorati della torbiera di Bosisio. — Gr. nat. (coll. del Museo di Milano). Fig. 10. — Punta di freccia in selce varicolore della torbiera di Bosisio. — Gr. nat. (coll. idem). Fig. 9 e 12. — Punte di freccia di selce della torbiera di Bosisio — Gr. nat. (coll. dei fratelli Villa di Milano). Fig. 13. — Monile di bronzo. — Torbiera di Biandronno. — Gr. nat. (coll. del Museo di Milano). Fig. 14. — Fibula in bronzo. — Torbiera di Biandronno. — Gr. nat. (coll. idem). Fig. 15. — Anello in bronzo della torbiera di Biandronno. — Gr. nat. (coll. idem). Fig. 16. — Oggetto in bronzo d’uso ignoto. — Torbiera della Brabbia. — !/ della gr. nat. (coll. del signor Quaglia Bene Sperando di Bardello). . 18. — Ago crinale in bronzo trovato nella torba. — Gr. nat. (coll. del Museo Civico di Milano). g. 17. — Arma di selce giallognola variegata trovato a Calindasco presso Piacenza. — Gr. nat. (coll. del Liceo cantonale di Lugano). READ i Kar, : n " ° 5 - n Li: = e =) vd (e) PANIC È SERRA 8 TRS n T £ InonI.L Mar SUNTO DEI REGOLAMENTI DELLA SOCIETÀ Scopo della Società è di promuovere in Italia il progresso degli studj relativi alle scienze naturali. La Società si aduna in sedute ordinarie e straordinarie. Le ordinarie si tengono una volta al mese, eccettuati settembre e ottobre; le straordinarie, ogni volta che lo creda opportuno la Presidenza o il Consiglio d’Amministrazione. La Società tiene inoltre ogni anno una riunione straordinaria in qualche luogo d’Italia preventivamente scelto, alla quale, oltre i socj, possono prendere parte attiva: 1.° i rappresentanti da Corpi scientifici ; 2.° gli invitati od ammessi dalla Presidenza. Il numero dei socj è illimitato: si distinguono in onorarj, effettivi e corrispondenti. I socj effettivi pagano italiane lire 20 all’ anno. La proposizione per l'ammissione d’un nuovo socio deve essere fatta e firmata da tre s0cj effettivi. I socj effettivi che non mandano la loro rinuncia almeno tre mesi prima della fine dell’anno sociale (che termina col 31 dicembre) continuano ad essere tenuti per socj : se sono in ritardo nel pagamento della quota di un anno, e, invitati, non lo compiono nel primo trimestre dell’ anno successivo, cessano di fatto di appartenere alla Società, salvo a questa il far valere i suoi diritti per le quote non ancora pagate. Le Comunicazioni e Memorie presentate nelle adunanze possono essere stampate o negli Atti della Società o nelle Memorie, per estratto o per esteso, secondo la loro estensione ed importanza. La cura delle publicazioni spetta alla Presidenza. o Gli Atti si danno gratuitamente ai socj. Le Memorie non si danno gratuitamente ai socj, ma si vendono loro a prezzo minore di quello fissato per le persone estranee alla Società. Per i loro prezzi si veda la quarta pagina di questa copertina. Tutti i soej possono approfittare dei libri della biblioteca sociale, ritirandoli per un dato tempo a casa, purchè li domandino alla Presidenza e ne rilascino regolare ricevuta ” Si possono comperare i volumi EI, IV, V, VI, VII, VENI e IX degli Atti, al prezzo di lire 20 cadauno. Si potranno avere direttamente dai Segretarj della Società. | Per i socj attuali, i quali desiderano avere i volumi corrispondenti agli anni an- teriori a quello in cui hanno cominciato a far parte della Società, e li domandano direttamente ad uno dei Segretarj, è prezzi sono ridotti alla metà. Prezzo della presente Memoria Peri sog na e Per gli estranei alla Società . . » 12. — I socj ponno abbonarsi alle Memorie pagando la somma di Lire 10, oltre alla quota annuale. — Questa somma è portata a Lire 11 per i socj che vogliono rice- vere le Memorie fuori di Milano, ma nel Regno, per la posta. Il numero delle Memorte corrispondenti ad un volume e ad un anno è indeterminato Il primo volume, pubblicato nel 1865, verrà rilasciato al prezzo di Lire 10 a tutti i socj che si abboneranno al volume II del 1866. In seguito, pei socj che non fanno l’ abbonamento nei primi sei mesi dell’anno, e pei non soc], il prezzo dei volumi sarà maggiore, e precisamente come verrà indi- cato sulla coperta di ognuno di essi. Le Memorie sono in vendita in Milano, presso la Segreteria della Società, el a ii MEMORIE DELLA SOCIETA ITALIANA DI SCIENZE NATURALI Tomo IV, N. d. NUOVI AVANZI PREISTORICI IN LOMBARDIA. STR TE NEO IRE I SOIT A ENI ERE I e PL MINI RI PAIR È È sd RR NN I CNR II IE PES EI AIA INDIA PEIRCE . To» si si iinccnità, CARI elia +} 2.° RELAZIONE DI CAMILLO MARINONI DOTTORE IN SCIENZE NATURALI ASSISTENTE AL MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE IN MILANO. sanita CON 2 TAVOLE. MILANO bo COI TIPI DI GIUSEPPE BERNARDONI O \1871. : PRESIDENZA PEL 1871 Presidente, Dott. EmiLio CORNALIA, Direttore del Museo Civico di Milano, ecc., via del Monte Napoleone, 36. Vice-Presidente, AntoNIO VILLA, via della Sala, 3. (ST StoPPANI, Prof. di Geologia nel R, Istituto Tecnico supe- Segretarj riore in Milano, via dell’Annunciata, 2. Î CamiLLo MARINONI, dottore in scienze naturali, via Pesce 20. i . { Ing. EmiLio SPREAFICO, via Cordusto, 19. Vice-Segretarj N. N. Cassiere, GIUSEPPE GARGANTINI PIATTI, via del Senato, 14 MEMORIE DELLA SOCIETA ITALIANA DI SCIENZE NATURALI Tomo IV, N. 5. NUOVI AVANZI PREISTORICI IN LOMBARDIA. 2.° RELAZIONE DI CAMILLO MARINONI DOTTORE IN SCIENZE NATURALI ASSISTENTE AL MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE IN MILANO. CON 2 TAVOLE. MILANO ° COI TIPI DI GIUSEPPE BERNARDONI 1871. de Asi de Snenr i NUOVI AVANZI PREISTORICI IN LOMBARDIA. Allorquando nel 1868 ebbi l'opportunità di presentare alla terza riunione straor- dinaria della Società Italiana di scienze naturali, che ebbe luogo in Vicenza, una relazione sulle abitazioni lacustri e sugli avanzi di umana industria scoperti in Lom- bardia (1), procurai che il mio lavoro soddisfacesse alle esigenze della scienza, coll’es- sere il più completo possibile. Ma lo studio delle origini dell’uomo aveva ricevuto anche da noi un potente impulso, ed appassionati investigatori avevano tratto dalle nuove indagini argomento a studii di non comune importanza. Il dottor Vincenzo Giacometti pubblicava intanto, quasi contemporaneamenie alla stampa del mio lavoro, la relazione di alcune scoperte paleoetnologiche (2) fatte nel Mantovano; e per vero mi trovai assai soddisfatto di averle nel mio scritto pre- conizzate, nella quale prevenzione ebbi anche la fortuna di incontrare nelle idee e nelle deduzioni dei chiarissimi professori P. Strobel e L. Pigorini. Anch'io non mi stancai di tener dietro allo sviluppo delle scoperte preistoriche in Lombardia, ed oggi mi gode di esser riuscito a raggranellare nuovi materiali illu- strativi di questa provincia italiana, e di poterli discutere in questa breve nota. Se- guace di quella scuola che si prefigge di osservare e di paragonare tra di loro i mol. teplici prodotti della industria umana, per riuscire a constatarne il modo di sviluppo da’ suoi primordi fino all’ altezza di perfezionamento cui giunse col volger di secoli e di vicende, in questa esposizione, come altra volta, mi limiterò a sancire nuovi fatti speciali, che si vanno moltiplicando ogni dì sotto gli occhi di tutti, e che verrò con- siderando dietro la scorta degli assiomi più accettati nella discussione scientifica in- torno all’antichità dell’ uomo. Trattenendo pertanto le mie indagini entro quegli stessi limiti, non mi discosterò neppure da quel metodo di esposizione che già altra volta ho adottato; anche perchè (1) MARINONI, Le abitazioni lacustri e gli avanzi (2) GIACOMETTI, Relazione intorno ad alcune .di umana industria in Lombardia: nelle Memorie scoperte paleoetnologiche ultimamente fatte nelle -della Società italiana di Scienze naturali, Tom. IV, adiacenze di Mantova. — Mantova, 1869. n.° 3. — Milano, 1868. 4 C. MARINONI, così mi sarà lieve fatica provare la continua ripetizione di quegli stessi fatti che atte- stano per la Lombardia le età della pietra, del bronzo e del ferro. Lo studio delle nuove armi di pietra, dei manufatti di selce e degli ultimi bronzi trovati da noi, non- chè le attive ricerche e le osservazioni raccolte, si accordano a puntino ton quei co- rollarj scientifici che trassi a conclusione dei miei primi studj sulle varie località pre- istoriche della Lombardia. E se lasciamo in disparte le esagerazioni e le questioni di \ alta antropologia, nelle quali non è prudente entrare essendo troppo pochi e troppo incerti i resti umani dissotterrati sul suolo insubre (1), i nuovi avanzi hanno impor- tanza soltanto perchè sono materiali che attestano nuovamente un’ età del ferro la quale p q senza dubbio diede la mano alle epoche storiche, antichissime sì ma accertate, e le altre due età del bronzo e della pietra che si sineronizzano perfettamente e si paral- lelizzano alle contemporanee del limitrofo Piemonte, dell’ Emilia, del Veneto e della Svizzera, colla cui civiltà le recenti scoperte fatte in Lombardia servono di anello. — Una tale sintesi, come più sopra ho accennato, è appieno concordante alle convinzioni ed ai risultati dedotti da’ miei primi stud}. I confini :faturali ed amministrativi limiteranno ancora per me la Lombardia: in- tendo dire le Alpi, il Mincio ed il Po che la circondano a settentrione, all’est ed a mezzogiorno; ed a ponente, che la dividono dal vicino Piemonte, il lago Maggiore ed il suo emissario, il fiume Ticino. Movendo dalle sponde di questi toccherò anzitutto delle nuove scoperte che si fecero nelle stazioni giù conosciute ed illustrate , nell’in- tendimento di completarne la storia: — dirò in seguito di quei depositi e di quelle località che non furono bastantemente illustrate, o che vengono per la prima volta a figurare come stazioni umane sulla carta topografica della Lombardia al principio della attuale epoca geologica. (1) Cotali resti umani sono principalmente i due cranii già da me citati nell’ accennata prima rela- zione, ai quali si aggiunsero quello rinvenuto alla stazione del Macchetto presso Desenzano -e quello delle torbe di Valcuvia di cui diede notizia il pro- fessore L. Maggi. Di questi due ultimi non fu per anco pubblicato lo studio, per cui su di essi non si può per ora basare ipotesi alcuna; ma degli altri due che ebbi campo di osservare e misurare a mio agio, giacchè appartengono alla collezione antropo- logica del Museo civico di Milano (n.° 11 e 12), posso quasi assicurare essere pronunciatamente dolicoce- falo quello proveniente dalla Caverna sopra Urio, e l’altro pure appartenere allo stesso tipo, quantunque le forme più grossolane e l’ossa robuste accennino ad un passaggio alle forme dei cranii brachicefali. Ho però già ripetutamente detto come pochissimo calcolo si possa fare su di essi, inquantochè la loro provenien- za è troppo incerta, nè assicurato è alcuno dei dati circa la loro giacitura in quei depositi di grotte ove si rinvennero. — Nella collezione del Museo di Milano ho pure trovato un altro cranio meglio con- servato dei due suindicati e accennato sul catalogo come proveniente dal terreno erratico di Lombardia (n.° 42); ma neppur questo, accompagnato da no- tizie tanto vaghe, ed alquanto anomalo per uno sviluppo dei seni frontali e delle ossa zigomatiche, può esser preso a fondamento di un’ opinione sulle razze primitive che abitarono la Lombardia, giacchè ha tutto l’aspetto di un eranio recentissimo. — Dun- que i cranii del Macchetto e di Valcuvia, i soli che- finora posseggano una provata autenticità, sono an- che i soli che possano per ora portar luce su quistione tanto vitale; ma pur troppo v'è per ciascuno un precedente tutt’ altro che favorevole al tipo brachi- cefalo : quantunque non studiato profondamente, quello del Macchetto si mostrò a prima vista piccolo sì, ma regolare e giusto, appartenente ad un indi-- viduo adulto e comune; quello poi della Val-Cuvia fu tratto da un sepolereto di data sicuramente sto- rica, per cui io lo vorrei piuttosto aggiungere alla numerosa serie dei resti umani tratti dalle tante tombe più o meno antiche che furono in ogni punto rinvenute in Lombardia. STAZIONI PRESSO VARESE ED ALTRE GIA’ CONOSCIUTE. Prendendo le mosse dalle sponde del Verbano, è mio debito ricordare anzitutto che la abitazione lacustre di Mercurago, stata scoperta nell’anno 1860 dal prof. G. Moro, venne anche di recente illustrata dal chiarissimo cav. B. Gastaldi (1) negli utensili nuovamente trovati e conservati alla scienza dal signor L. Maffei, direttore dei la- vori per l’estrazione della torba in quell’antico bacino lacustre. Tali oggetti, sono freccie di selce, spilloni di bronzo, vasi e utensili di legno; ma rimando agli studii pubblicati in proposito chi bramasse aver notizie precise intorno a codesta stazione, avendone io citate qui le ultime scoperte per addentellarvi quelle fatte nella limitrofa regione del Varesotto. Dalle torbiere di Mombello e di Cerro, che fanno riscontro a quella di Mercurago sulla opposta sponda del lago Maggiore, e nelle quali si erano prima (1865) abbon- dantemente raccolti non dubbii avanzi di umana industria, nessuna notizia mi per- venne di scoperta appena appena interessante, forse perchè l'estrazione della torba ‘ non fu ivi attivata su grande scala. Neppure le torbiere che circondano il lago di Varese furono esplorate in questi ultimi tempi con profitto della paleoetnologia. — Per certo di utensili di bronzo e di pietra se ne saranno rinvenuti; ma a mia conoscenza non pervennero, per quante instanti ricerche abbia fatte. Approfitterò però di questa occasione per accennare che il prof. Capellini ebbe la cortesia di comunicarmi come al Museo di Berlino esistano alcuni oggetti, dagli antiquarii tedeschi ritenuti per diademi, affatto analoghi a quello figurato nella mia precedente memoria (2) a tav. VII, fig. 16, uno dei quattro rin- venuti nella torbiera della Brabbia presso Varese, e che io pure riteneva un orna- mento, ma d’uso ignoto. Non posso ancora convenire che tali bronzi lombardi abbiano potuto servire a un simile ufficio, sebbene siano più rozzi di quello trovato nelle torbe di Schussenried che si vede nella collezione paleoetnologica di Stuttgard. Del lago di Varese, sulle cui sponde furono discoverti i più incliti monumenti delle età preistoriche, le palafitte, intorno alle quali particolarmente ho intessuta la (1) GAastALDI, Iconografia di alcuni oggetti di cenni sugli oggetti di alta antichità trovati nelle remota antichità rinvenuti in Italia : nelle Memo- torbiere e nelle marniere dell’Italia. Torino, 1862. rie della R. Accademia delle Scienze di Torino, (2) MARINONI, Le abitazioni lacustri, ecc. — Serie II, Tomo XXVI, 1869. — GASTALDI, Nuovi Op. cit., pag. 31. 6 C. MARINONI, mia prima relazione, non ho a citare alcun ritrovamento nuovo, od importante; e tutto quel poco si riduce ad alcune indagini fatte alla palafitta centrale in faccia a Bodio, le quali fruttarono alcune freccie, una sega, pochi raschiatoi e parecchie scheggie di selce, fusaiole, cocci di stoviglie, ossami spezzati, ecc., che sortirono dragando fra i piuoli (1). Alcuni di quei frammenti di stoviglie sono di finissimo impasto argilloso e presentano aderenti a sè le tracce evidenti di sostanze carbonizzate ; altri cocci sono invece più grossolani e comuni, e fra questi merita d’essere segnalato un frammento di vaso, che per il lungo uso logorato e forato in un punto, venne ristaurato da qualcuno di quei primi artefici, che turò il foro con nuova argilla, ma di impasto non comune. — I fram- menti di una scodella assai grossolana e tutta quanta pertugiata sul fondo attirarono la mia attenzione, tanto più che di utensili affatto analoghi ne furono rinvenuti nelle marniere del Parmigiano, e sono stati riferiti dal prof. Strobel come stacci inservienti alla fabbricazione del cacio (2); tali frammenti sono troppo guasti e erosi per poter dare un giudizio preciso sull’ uso probabile cui avrà servito quell’arnese. Questi og- getti sono ora tutti deposti nella collezione paleoetnografica del Museo di Milano, e lab. Ranchet continua ad attender con cura allo studio di quelle stazioni umane la- custri, che nutrono la lusinga di veder un giorno spargersi nuova luce sull'uomo delle palafitte di Lombardia. Anche fra le montagne che al nord di Varese ergono le loro cime formando la catena delle Prealpi lombarde, si incontrano dei depositi di torba, dalla quale furono estratti avanzi di umana industria primitiva: — accennando a questa contrada, mi è caro poter completare la mia relazione colle scoperte fatte nella Val Cuvia dal dott. Leopoldo Maggi, il quale le pubblicò nello scorso anno (3). Nella torba di alcune formazioni di origine lacustro-glaciale che si estendono a nord-est della valle, fra Santa Maria di Cuveglio ed il paese di Cavona, furono rinve- nuti gli avanzi di una palafitta preistorica, cioè: pali, stoviglie, carboni, e frammenti di oggetti di metallo, ferro e bronzo. — Il giudizio dato dal dott. Maggi sincronizza le torbiere ed i depositi umani della Val Cuvia a quelli di Mombello e Cerro che si trovano al suo sbocco nella vallata del lago Maggiore; nonchè a quelli di Mercurago, sull’opposta sponda del lago, dove già da tempo una copiosa messe di avanzi attesta le abitazioni lacustri. Lo stesso prof. L. Maggi mi comunicava poi per lettera come possegga nella sua collezione, provenienti da quella vallata, un’ accetta di giada nefritica, trovata in Ar- cumeggia, paese posto a metà dell’ altezza del monte di Vergobbio, e bronzi, utensili di ferro e cocci di vasi di argilla e di schisto talcoso, raccolti insieme a monete di bronzo, rame ed argento, non lungi da un sepolereto fatto di lastre di gneiss, nel quale (1) Vi si scoprirono nuovamente molte monete (3) MAGGI, Di una abitazione lacustre in Valcu- romane d’argento, fra cui più abbondanti quelle via: nei Rendiconti del R. Istituto Lombardo di riferibili ai tempi di Giulio Cesare. Scienze e Lettere, Serie III, Vol. III, pag. 221. — (2) STROBEL, Avanzi preromani raccolti nelle Milano, 1870. terremare e nelle palafitte dell’ Emilia. — Parma, 1864, pag. 7, tav. IV, fig. 4. NUOVI AVANZI PREISTORICI IN LOMBARDIA. 7 si rinvennero un cranio ed altre ossa umane. Qui si tratta, piuttostochè di età anti- storiche, di avanzi di antichissimi tempi storici; e di questi ne abbiamo dappertutto in Lombardia di interessantissimi , che per altro non debbono essere trascurati. Delle altre torbiere, già conosciute per fortunate ricerche paleoetnologiche, citerò quella di Bosisio che circonda il lago di Pusiano, dalla quale si ebbero nuovi cuspidi di freccia fatti di selce variegata, e di cui quello che figuro a tav. I, fig. 1, perchè di una forma non per anco riscontrata in quella località, si vede nella collezione prei- storica del museo di Milano (n.° 895), ed è dono del prof. A. Stoppani. Ho vedute altre punte di freccia, fabbricate con selce argillosa bianca opaca, che provengono dalle torbiere di T'orbiato, al sud dellago d’Iseo; e so che altre molte, forse un centinajo, sono tuttora possedute dai proprietarii dei dintorni. Quella che ho dise- gnato appartiene al museo dell'Istituto professionale di Bergamo, e mi fu gentilmente comunicata dal prof. P. Polli (tav. I, fig. 2). — Molti raschiatoj e moltissime schegge vidi e raccolsi io stesso entro i tagli fatti in quel banco torboso per le escavazioni in corso. Il prof. L. O. Ferrero, che per molti anni consecutivi visitò la provincia berga- masca, mi comunicava inoltre che gli indizii probabilissimi di una palafitta, cioè pali aguzzati ed impiantati, esistevano in un piccolo deposito di torbe che si trova in Val Brembilla, a sinistra andando in Val-Taleggio. Io non potei personalmente verificare il fatto, nè constatare questa stazione che sarebbe nuova in Lombardia ; ma so che quella torbiera è anche indicata per esservi stato raccolto un bel cranio di cervo fossile, che però andò disgraziatamente perduto.. LAGO DI COMABBIO. Scrissi nella prima relazione come fosse riuscita inutile ogni ricerca di palafitte lungo le sponde del lago di Comabbio ; ma in seguito a nuove indagini anche questo punto della Lombardia va notato nelle carte delle età antistoriche per una stazione di terraferma. Fu nell'estate dello scorso anno 1869 che il signor cav. Francesco Margarita, sindaco di Comabbio, facendo dissodare un suo campicello posto affatto in riva al lago, si imbattè a scuoprire un antichissimo tumulo; e sui ragguagli che ebbe la bontà di comunicarmi io ne riferisco qui la descrizione. Era quel tumulo fabbricato con lastre di pietra voluminose, addossate e sovrapposte nel modo il più rozzo, tanto da formare una piccola cameretta quadrata e tutta chiusa, delle dimensioni di metri 0,50 per me- tri 0,25 e fonda poco più (tav. I, fig. 5). — Giaceva sepolta a pochi centimetri sotto il terreno vegetale del campo lavorato (una specie di ronco scaglionato che discen- deva fino al lago), e conteneva del terriccio, certamente infiltratosi attraverso le fes- sure lasciate dalla rozzissima copertura mal connessa, al quale erano misti dei boli di terra giallastra ferruginosa. 8 C. MARINONI, Quel tumulo, che aveva ancora tutta l'apparenza di non essere mai stato profa- nato, rinchiudeva un piccolo vaso, del quale ho disegnato l’ unico frammento conser- vato e rimasto di tutto quel monumento, che i contadini sperperarono e distrussero. Tale coccio (tav. I, fig. 3) è di quella stessa pasta argillosa con granelli di feldspato, di cui sono fabbricate le stoviglie raccolte fra i ruderi delle palafitte nel vicino lago di Monate (1); ed il vaso cui apparteneva doveva essere piccolo, fabbricato a mano e senza il tornio, ornato di un grossolano graffito tracciato mediante un’ acuta scheg- gia, ed incompletamente cotto, avendo ricevuto dall’azione del fuoco, più che altro, un leggero annerimento. Era in parte ripieno di una terra nera particolare che andò perduta. Vicino al vaso e sul pavimento di quel dolio stava un ciottolo di serpentino verde (tav. I, fig. 4), rozzamente foggiato sulla forma di un mazzuolo, e spezzato verso il margine tagliente. Siffatto arnese, quantunque rozzissimo, non poteva trovarsi là rinchiuso per accidente, essendo i ciottoli e le armi di serpentino assai rare anche nelle altre stazioni umane dei dintorni. Dopo la attenta considerazione di cotali avanzi, la ragionevole induzione fa sup- porre essere essi, resti di un tumulo dell’ ultimo periodo della pietra, la cui forma, le cui dimensioni ed il cui posto furono perfettamente rilevate dallo scopritore, il si- gnor Margarita. Il piccolo vaso avrebbe dunque potuto essere un’urna cineraria, ac- canto della quale si sarebbero sepolte delle armi, costumanza che si sa essere stata praticata nelle contemporanee epoche preistoriche presso diversi popoli. In Lombar- dia poi sarebbe indubbiamente questo il primo tumulo scoperto riferibile ad un'epoca tanto lontana, dacchè quelle di Somma, Golasecca e Sesto Calende appartengono ad una età molto più recente, come ne attestano gli utensili di ferro in essi rinvenuti. Lo stesso signor Margarita ha pure fatto dono al Museo di Milano del modello in gesso di un bellissimo paa/stab (n.° 898), lungo circa due decimetri, di bronzo (tav. I, fig. 6), dissotterrato lavorando nella torbiera che fiancheggia il lago di Comabbio. L'originale si trova presso il signor Quaglia-Bene-Sperando di Bardello. VAPRIO. Un altro paalstab pure di bronzo fu raccolto da uno scavo in riva all’ Adda fra Canonica e Fara presso Vaprio, e in seguito donato al Museo di Milano (n.° 896) dal signor C. Rossi (tav. I, fig. 7). Questo è piccolo, colle alette rilevate, liscie, ed un tagliente affilatissimo e robusto: — è certamente fra i meglio conservati che si conoscano e dei più finiti per lavoro, quantunque verso la testa presenti ancora la rozzezza del getto di fusione. — La patina verde particolare dei bronzi antichi lo ricopre tutto quanto. (1) MARINONI, Le abitazioni lacustri, ecc. — Op. cit., pag. 25. NUOVI AVANZI PREISTORICI IN LOMBARDIA. 9 CAPRIANO (Prov. di Como). Ho figurati a tav. I, fig. 8-14, parecchi oggetti di bronzo che formarono già l’ar- gomento di una breve comunicazione da me fatta nel maggio 1869 alla Società italiana di Scienze naturali. Gli interessantissimi oggetti meritano di essere il meglio possibile illustrati, e perciò trascrivo qui quella mia nota (1), aggiungendovi i disegni dal vero ed in grandezza naturale. L’egregio avvocato nob. Giuseppe Casanova nel far dissodare alcuni terreni tuttora incolti e torbosi, non avendo trascurate quelle indagini e quelle cure che potessero condurre a qualche scoperta importante, è riuscito a conservare codesti avanzi dell’ an- tichissima industria dell’uomo, rinvenuti nei suoi possedimenti, e che donò al Museo di Milano per aumentare gli elementi della collezione preistorica lombarda originale ivi iniziata (n.i 845-849). Furono tali oggetti trovati in ter. ritorio di Capriano poco lungi da Re- nate, proprio nel cuore degli ameni colli di Brianza. — Non rari sono in questa località i depositi torbosi, avanzi di antichi paduli lasciativi dal fiume / Lambro mano mano che si ritraeva nell’ attuale suo letto, e dai suoi con- fluenti che dai poggi circostanti discen- dono ed in esso mettono foce prima che a passi nella incassatura che da sè stesso Fi olussano si erose ripidissima presso Briosco e Co- sta d’Agliate. Dove appena appena la movenza del suolo dà luogo ad una bassura anche incon- cludente, o ad un po'di pianura, eccoci subito su di un suolo molle, soffice, elastico che accenna a formazioni torbose, le quali in certi punti si stendono perfino per breve tratto sui fianchi della collina. L'industria approfitta come può di quelcombustibile fossile formatosi appena jeri, e lo scava per alimentare 1 fornelli delle numerose tratture di seta dei dintorni, ridu- cendo così il suolo migliorato e più addatto agli scopi dell'agricoltura (2). In parecchi punti del territorio di Capriano (specialmente andando verso Renate) sono attivate di ua Ù greavasio "A f ci n _iRomans fat) all nrosio = Topografia di Capriano. (1) MARINONI, Nuova località preistorica del- © epoca del bronzo in Lombardia: negli Atti della Soc. it. di Sc. nat., Vol. XII, fase. I, pag. 170. — Milano, 1869. (2) A_ Renate si scavava la torba nelle proprietà dei conti Annoni; ma quei lavori vennero abbando- nati, chè non si poterono prosciugare perfettamente le torbiere. Vedi G. B. ViLLa, Sulle torbe della Brianza: negli Atti della Soc. it. di Sc. nat., Vol. VI, pag. 393. — Milano, 1864. 2 10 C. MARINONI, cotali escavazioni, e da una di esse, di proprietà del signor G. Casanova (1), furono tratti a poco più di 2 metri di profondità, dove giacevano sepolti in mezzo alla torba, gli interessantissimi oggetti di cui parlo. Codesti avanzi sono: un ago crinale, una fibula, tre braccialetti, un pendaglio ed una spirale, tutti di un bel bronzo, di colore piuttosto chiaro, alquanto alterato alla superficie, ricoperta in certi punti come da un intonaco rugginoso. — A primo aspetto cotali ornamenti arieggiano oggetti molto analoghi trovati in Svizzera (2), come pure si potrebbero confondere cogli oggetti provenienti dalle marniere del Parmigiano ; però fra gli avanzi dell’epoca del bronzo scoperti in Lombardia, conservano un tipo a sè, un marchio che li distingue. L’ago crinale (fig. 8) per forma richiama perfettamente quelli della stazione di Auvernier sul lago di NeuchAtel, e presenta delle linee spirali rilevate che lo adornano in un modo assai elegante nel tratto che sta più vicino alla capocchia; la fidula (fig. 9) presenta lo stesso modo di ornamentazione, che mi pare ottenuto riducendo quella por- zione dell’ oggetto prima in un’ asta perfettamente quadrangolare, quindi avendo a questa fatto subire una torsione per cui ne risultò che gli spigoli divennero una serie di coste rilevate decorrenti in spira. Questa fibula poi conserva ancora perfettamente un ricurvo pel quale la parte accuminata possiede juna certa elasticità e la punta si adatta in un uncino appiattito all'estremo opposto (3). È molto strano un pendaglio (fig. 10) formato di tre cerchi concentrici traforati, riuniti da stanghette in croce e che aveva un foro speciale per appenderlo, foro che. mostra l’uso prolungato cui servì quella sorta di amuleto, o di pendaglio che si voglia chiamarlo; non è simile, ma analogo a quelil trovati nel lago di Neuchàtel e in altri laghi della Svizzera (4). I tre braccialetti (fig. 11-13) mi sembrano pure molto inte- ressanti, perchè, quantunque foggiati in un cerchio aperto a modo di ferro di cavallo, come sono tutti i braccialetti preistorici, questi invece di essere cordoni metallici più o meno grossi e più o meno ornati, sono sottili lamine di bronzo di diversa larghezza, adorne l’ una da 7, l’altra da 4, e la più piccola da 3 cordoni rilevati decorrenti nel senso della lunghezza, e ciascuno disegnato a leggiere punteggiature. Per ultimo farò osservare riguardo alla spirale (fig. 14), come mi abbia sugge- rita l’idea, fosse questo l’ornamento che rappresentava allora l'anello ; inquantochè si adatta perfettamente alle dita, e richiama molto bene la forma di certi anelli fatti di una larga lamina foggiata a spira, o anche da un vero nastrino d’oro spirale che si usano portar alle dita anche oggidì specialmente dalle persone facoltose del contado milanese. TIR IN (1) Altri comproprietari sono la famiglia Visconti edi marchesi Del Mayno, nelle cui tenute la torba viene tuttora scavata senza però gran profitto. Chi sa che in quegli scavi non si facciano nuove scoperte ! (2) Richiamano infatti alla memoria certe figure dei Pfahlbauten di Keller e delle Constructions lacustres du Lac de Neuchatel di Desor. (3) Fra gli oggetti di bronzo rinvenuti nella pa- lafitta di Peschiera vi ha una fibula identica a questa di Capriano. Vedi KELLER, Pfallbauten, 5 Bericht. Zirich, 1863, pag. 140, tav. VI, fig. 6. (4) Oggetti d’ornamento affatto analoghi esistono nella raccolta del colonnello Schwab a Biel che fu- rono trovati nelle palafitte dei laghi di Biel e di Neuenberg. Vedi KELLER, Pfahlbauten, 2 Bericht. Zirich, 1858, pag. 150, tav. II, fig. 39-49. NUOVI AVANZI PREISTORICI IN LOMBARDIA. 11 Tali avanzi di un’ industria antichissima, fabbricati con un bronzo di perfetta qua- lità, e trovati sepolti fra le torbe in un suolo vergine non rimaneggiato , ed in tutto raffrontabili ad oggetti consimili trovati in altri paesi e anche in Lombardia, indub- biamente attribuiti all’ uomo antico aborigeno, portanti però l'impronta di un certo gusto, di ambizione e di lusso; mi confermano nell'opinione che all’ epoca del bronzo colonie di naturali Insubri vivessero nel nostro paese. Nella maggior parte delle sta- zioni lombarde gli oggetti di bronzo furono disotterrati unitamente ad avanzi della antecedente epoca della pietra, che in questi depositi hanno il sopravvento; ma a Ca- priano fino ad ora traccie di questa antichissima età non venne fatto di trovarne: — perciò, considerando anche la natura degli oggetti e l’uso a cui erano destinati, que- sta stazione sarebbe da riferirsi a quell’ epoca in cui il bronzo divenne più comune e si cominciò a lavorarlo nei più artistici ornamenti. Anzi inclinerei a riferirla piuttosto a quell’epoca che corrisponde all’apogeo dello sviluppo dell’arte bronzaria che carat- terizzò in Lombardia quest'epoca, e porrei Capriano di fronte a Crema, Peschiera e Guidizzolo, ed in parte all’epoca del bronzo nelle torbiere di Varese. BAGNOLO e REGONA presso SENIGA (Provincia di Brescia). La provincia di Brescia ha fornito due nuove stazioni umane: Bagnolo e Seniga. A circa 13 chilometri al sud di Brescia si stendono dei terreni paludosi, incolti, a fondo torboso chiamati (anche. Il prof. Elia Zersi percorrendo per studj botanici la lanca di Bagnolo, nel frugare col coltello alla base del margine di un fosso scolatore alla profondità di metri 1,44 sotto la superficie, trasse dal terreno smosso, dove gia- ceva in posizione quasi orizzontale, un’ arme di pietra (tav. I, fig. 15). È questa di selce argillosa bionda, pellucida, a macchie opache e verdiecie, come quella che si trova in arnioni negli strati calcareo-marnosi dell’epoca cretacea sui colli di Urago e Mella, e di cui sono anche i manufatti litici trovati non molto lungi a Guidizzolo. Seb- bene spezzata, si assomiglia in tutto alle armi trovate a Calindasco presso Piacenza ed a quella rinvenuta dal Regazzoni nelle vicinanze di Brescia: è lavorata a grande scheggiatura, coi bordi taglienti, e non esito di riferirla al periodo archeolitico della età della pietra. — Debbo alla cortesia dello stesso prof. Zersi di aver potuto illustrare tanto prezioso oggetto. Nella pianura, circa un trenta chilometri a mezzodì di Brescia, e precisamente al punto di confluenza del fiume Mella nell’Oglio, si trova la contrada di Regona, una frazione del comune di Seniga (mand.° di Verolanova). Quivi, nelle circostanti campa- gne per opera del sacerdote Giambattista Ferrari di Fenil-lungo vennero in diverse riprese, nello spazio degli ultimi dodici anni, dissotterrati e raccolti moltissimi og- getti riferibili in parte ai tempi preistorici. — A me però pervenne notizia della nuova stazione umana soltanto nello scorso anno 1870, e mi reputo fortunato di essere 12 C. MARINONI, stato il primo a riconoscere in quelle rozze anticaglie l'impronta dell’uomo primi- tivo anteriore alle età storiche; nonchè di avere svelato ed additato a quell’intel- ligente sacerdote, nel quale ho trovata la più franca cortesia, la via a seguirsi nelle indagini nuove che fruttarono la scoperta di una messe svariata di oggetti cui mi è dato di poter così illustrare. Ecco da registrarsi per la Lombardia una novella stazione umana ricca di monumenti importantissimi, e che indefessamente ricercata ne potrà guidare su quella strada che conduce a scoprire l’ anello di congiunzione fra i tempi storici ed antistorici dell’Italia settentrionale. Prima però di parlare degli oggetti raccolti, gioverà conoscere le condizioni di suolo di quel paese, imperocchè in esse si troveranno le ragioni di molti fatti e della particolare giacitura di quegli avanzi di umana industria. — La contrada di Re- gona giace precisamente in quello spazio che è compreso fra i due fiumi Mella ed Oglio, e verso il vertice dell’angolo formato dalla loro confluenza. — È naturale che, sotto il punto di vista geologico, quel ter- reno debba essere una formazione di tra- Topografia di Seniga. sporto quivi ammucchiata dai due fiumi che facevano le loro rapine a monte per de- porre alla foce. Infatti il paese (esteso 600 metri da N a S e circa 700 da O a E) si presenta come un altopiano formato da strati di argille azzurre e di marne giallastre sovrapposte, talvolta sabbiose, sparse di conchiglie subfossili di Helix, Lymnea, Pa- ludina, Bytrinia, Planorbis, ecc., attraversate da radici esilissime di vegetali che si fanno centro di noduli e concrezioni ferruginose, e sulle quali posano direttamente po- chi centimetri di terriccio vegetale. Insomma, un vera alluvione fluviale che ha rag- giunto un'altezza di 7 od 8 metri almeno, e verso il Mella anche una potenza mag- giore sopra l’attuale livello delle acque, le quali, dopo di aver formati tali depositi, li hanno anche profondamente solcati terrazzandoli. Io penso ancora che le acque dell’Oglio e del Mella, le quali anche oggidì in tempi di piene straordinarie si confondono al di là dell’arginatura, in età lontane quivi si distendessero, a cagione di uno sbarramento più a valle verso la foce, in una specie di bacino palustre, in seno del quale vennero deposti gli strati quasi perfettamente orizzontali di sabbie e marne. Su quelle sponde sollevate presero poi stanza le popolazioni primitive che avevano appunto abitudine di stabilirsi lungo i corsi d’acqua, e sullo stagno devono aver edificata una palafitta, fin- chè un giorno, e chi sa quanti secoli dopo, il fiume spazzò via l'ostacolo, vuotossi il bacino e prosciugò, e le acque stabilirono il loro corso solcando i propri fanghi e ter- razzano le proprie alluvioni. I Di siffatte successive trasmutazioni quel paese porta anche oggidì l’impronta ca- ratteristica, giacchè ivi si vedono delinearsi nettamente tre terrazzi: l'uno a poca. al- tezza sopra il pelo dell’ acqua e che è tuttora in formazione, l’altro a 400 metri più indietro verso la pianura, sovrastante di circa 5 metri il primo, e che per un certo tratto è sostenuto dall’ arginatura che difende le campagne dalle invasioni della fiumana; il NUOVI AVANZI PREISTORICI IN LOMBARDIA. 13 terzo poi, che è molto più alto, torreggia forse di un 15 metri al disopra del fiume Mella che lo rode alla base. Questi terrazzi alluvionali io ritengo che sono del resto coordinati ad altri che si vedono sulle sponde dell’ Oglio più a monte, su quelle del- l’Adda, del Ticino e del Po, fiumi che per il sollevamento postglaciale della Lom- bardia furono costretti a rodere il proprio letto ed a terrazzare le proprie alluvioni (1). Or bene: un deposito di origine fluviale che fu in seguito rimaneggiato da una corrente, è tutto quello che si può dire di caotico; e pertanto non è a_ meravigliarsi se anche i depositi di Regona sono sifattamente confusi che pur troppo non è più pos- sibile riconoscervi traccia alcuna di quella juxtaposizione colla quale l’azione sedimen- tare delle acque avrà deposti gli strati alluvionali e l’uomo di età meno antiche avrà sotterrati coi suoi rifiuti gli avanzi delle generazioni che lo precedettero su quel suolo. — I moderni lavori agricoli per spianare e dissodare il terreno, finirono di produrre la generale confusione; ma sotto le zolle smosse dall’aratro cominciarono ad apparire i cocci di stoviglie, poi le armi di selce; ed ecco tutta quanta rivivere nei suoi avanzi un'antichissima dimora umana. Venendo ora a discorrere degli avanzi dell’ umana industria che furono raccolti in quel suolo, distinguerò anzitutto quelli che vi rimasero sepolti in tempi a noi assai vicini ed ai quali io non darò importanza maggiore di quanto convenga all’indole di questa relazione, da quelli che furono abbandonati dall’ uomo non per anco del tutto - incivilito, o da quello dell'età della pietra. — Anche a Regona adunque, come in mol- tissime altre località del suolo lombardo, furono raccolti abbondantissimi avanzi dei tempi del medio-evo e del dominio romano. Sono spade di ferro logorate i primi, vasi lucerne, pstere, ornamenti di bronzo o monete i secondi; ma questi si raccolgono di preferenza sul più alto terrazzo, e precisamente nei campi detti Cozzaghe, Chiosino, Formighere, Pomello, Castellaccio e C'astelletti, situati a nord-est di Fenil-lungo, che congiungono questo altipiano di Regona al limitrofo territorio di Seniga, dove pure furono dissotterrati moltissimi avanzi dell’arte ceramica romana, anticaglie d’ogni sorta e buon numero di monete dei consoli e degli imperatori di Roma (2). (1) STOPPANI, Note ad un corso annuale di Geo- logia, ecc. — Parte II, Geologia stratigrafica, Capo XVIII, pag. 220. — Milano, 1867. (2) Io stesso ho potuto consultare a mio agio cotali avanzi presso lo scopritore sac. G. E. Ferrari a Fenil-lungo di Regona e assumere molte ed inte- ressanti notizie anche dall’agente comunale di Se- niga signor Angelo Barbieri, raccoglitore amantissi- mo delle antichità del proprio paese. Riassumo qui in calce e brevemente alcune note fatte in propo- sito nel mio taccuino di viaggio e quelle notizie che possono essere di maggior interesse per 1° archeo- logo che volesse illustrare questa nuova località. Nel campo detto alle Cozzaghe lo stesso sac. G. B. Ferrari fece di sue braccia in diverse riprese 13 assaggi, ed al disotto della terra coltivata trovò ceneri e carboni, fra cui stavano, a quanto pare, commisti alcuni pochi frammenti di ossa brucicchia- te, e cocci di vasi romani cotti e verniciati. — In quattro di quelle buche non si rinvenne nulla che fosse rimarchevole; dalle altre furono tratti i se- guenti oggetti. 1% buca. — Un vaso romano frantumato, pochi cocci sottilissimi di argilla non ancora cotta, fram- menti di bronzo fuso, una lama di ferro, un dischetto di terra cotta affatto simile a quelli che si conoscono sotto il nome di fusajole, ed una manata di scheg- gie d’ ossa combuste che stavano sparse nella cenere tra il vaso e le pareti della buca. 2% buca. — Parecchi cocci di vasi figulini di terra cotta con bassorilievi figurativi, ed altri di ar- gilla non cotta, frammenti di bronzo e una rozza lama di ferro. 3.2 buca. — Una fuseruola di terra cotta mista 14 C. MARINONI, Ma assai interessanti sono pure le stazioni preistoriche che furono scoperte in questa località: ivi si possono constatare i resti di due dimore, delle quali l'una più antica è stabilita sul primo terrazzo a 50 metri dal fiume, situato in un campo nominato il Chiavichetto, a mezzodì del cascinale di Fenil-lungo che fa parte delle proprietà del P. L. Congrega Apostolica di Brescia; l’ altra in un campo detto Ca del Dosso a set- tentrione di detto cascinale e posto sul pendîo che sale al terrazzo più elevato, a circa 400 metri di distanza; — ma questa è assai meno antica (1). La dimora del Chiavichetto giace nell'angolo sud-est di un campo coltivato e per poco si estende in un prato posto a levante detto Praz? del Palazzo, che ad esso è limitrofo, sebbene ne sia separato da una strada, occupando in tutto un’area di pochi metri quadrati di superficie. Ivi, allorchè si dovettero intraprendere lavori di trasporto di terra per rinforzar argini, apparvero gli avanzi d’umana industria disseminati in una terra nerastra, appicaticcia; e d’ allora si ritrovano e si raccolgono visitando quel luogo dopo giorni di pioggia o facendovi eseguire una profonda aratura. Molti di tali oggetti mi fu dato esaminare e studiare ed i più importanti ho dise- gnati alla tav. II; altri invece, che furono tratti dal suolo durante la stampa di questo lavoro, mi servirono a stabilire confronti specialmente coi consimili raccolti nelle ter- remare del Mantovano e dell’Oltre-Po parmense. Sono frecce di selce argillosa, gial- lognola o grigiastra, analoga a quella che si trova in rognoni entro a certi calcari a tritume pietroso, un vaso lacrimario perfettamente conservato e che stava riposto tra le ceneri, disteso orizzontalmente colla bocca volta verso delle scheg- gie d’ossa brucicchiate, ed una moneta indecifrabile. 4% buca. — Una patera verniciata e infranta. 5% buca. — Parecchi pezzi di carbone, due fusa- ruole, cocci di un vaso di impasto nerissimo e fram- menti di ferro. 62 buca. — Una lampada romana di terra cotta e un pezzetto informe di bronzo. 7% buca. — Un vaso lacrimario e due fiaschi di terra cotta romani con ornati a linee punteggiate ; ma però spezzati. 8® buca. — Una moneta simile alle romane più comuni, ma assai logora, patere e vasi infranti, ed una fuseruola. 92 buca. — Una lama di ferro, un piccolo fiasco e un vaso lacrimario ben conservati, adagiati sopra il solito pugno di cenere e di ossa abbrustolite. To non intendo pronunciare un giudizio su questi ritrovamenti, essendo per nulla competente in ma- teria archeologica e per di più non avendo in luogo eseguite delle indagini accurate; — arrogi che quel campo fu ancora chi sa mai quante e quante volte sconvolto dall’ aratro, il quale, mentre decapitava quei tumuli e distruggeva gli avanzi dei nostri avi, ha sparso d’ogni intorno quei frantumi di vasi che hanno poi guidato alla scoperta degli antichi se- polcreti. Tuttavia io non credo d’allontanarmi troppo dalla probabilità ritenendo che questi saggi dovranno condurre col tempo alla scoperta di una stazione romana anche sulla parte più alta dell’ altipiano di Regona. Così pure dovrà essere del Campo Ca-vrante fra Regona e Seniga, dove, movendo il terreno as- sai nero nel suo angolo sito a mezzodì, furono rac- colti gli avanzi di una pietra da macina, mattoni, im- mensa copia di cocci figulini rossi, una moneta rife- ribile per certo a quelle che si dicono di famiglie consolari e in addietro anche molti bronzi. Coneluderò che molte sepolture ritenute volgar- mente romane esistono nelle terre di Seniga e dei dintorni, e che quivi, essendo la posizione natural- mente molto adatta e fortificata, fu una colonia ro- mana, la quale venne a imporsi agli abitanti e sparse all’intorno le proprie orme, confondendole anche con quelle degli Insubri, che li avevano pre- ceduti. X (1) È degno di rimarco anche il fatto che pure nelle ghiaje del fiume Mella si rinvengono talora cocci di vasi neri analoghi a quelli delle stazioni, i quali, a mio avviso, potrebbero provenire da de- positi situati più a monte e che sono mano mano discoverti e rosi dalla corrente del fiume, che poi tutto travolge in basso. Ne ho veduti io stesso, e presentavano segni evidenti del subito rotolamen- to; come ho pure veduti ossami di Bos, denti di Equus, un corno di Cervus, ecc., con probabilità ri- feribili alle specie quaternarie, che erano stati rac- colti fra le ghiaje del fiume, come i frantumi di stoviglie suddette. cena NUOVI AVANZI PREISTORICI IN LOMBARDIA, 15 marnosi dei colli bresciani ed a quella di cui sono fabbricati i manufatti litici raccolti nelle marniere di Bigarello e di Pomella ad est di Mantova. Ve ne ha di quelle a cuspide trian- golare e di ovalari, molte intiere di differenti dimensioni ed alcune spezzate; una poi è fra tutte le altre rimarchevole perchè di una selce di color violetto, cui per la prima mi occorse di incontrare. Vi si deve aggiungere una grande quantità di abbozzi di freccie e di scheggie delle stesse piromache e un frammento lavorato di quarzo jalino cristallizzato, limpidissimo. Raschiatoî pure di selce vi furono raccolti in abbondanza, e si rinvennero anche i noduli che servivano a staccarne i piccoli cultri. In quel mede- simo campo giacevano una sega di selce argillosa, tre accette di serpentino verde: l'una levigatissima fino ad esser lucida ma spezzata ai due capi, l'altre più piccole ben lisciate ed ancora abbastanza taglienti; ed un’ azza grossa, robusta, più grossolana, di arenaria serpentinosa verdastra. Un lisciatojo o brunitojo affatto simile a quelli trovati nelle palafitte di Varese e come quelli di un serpentino verde oscuro, levigatis- simo; e sassi e frammenti diversi, per lo più ciottoli di calcari marnosi lisciati giace- vano pure sul terreno di quella stazione. — Parecchi carboni e un frammento di corno di cervo lavorato sono da aggiungersi a questo elenco. Tali avanzi autentici dell'età della pietra neolitica sono accompagnati da una straordinaria quantità di vasi spezzati da far supporre che ivi avesse esistito una fabbrica di stoviglie preistoriche, rimarchevole per la lunga durata, od almeno per il numero dei suoi artefici. — Molti di tali cocci (labbri, fondi, pareti e manici di vasi) sono grossolani assai, di forme svariate, con traccie di ornamenti, lavorati a mano e senza l’ajuto del tornio, usando una pasta argillosa commista ad un tritume siliceo, che fu poi indurita al calor del sole, o malamente cotta a una scarsa fiamma. Sif fatte stoviglie io attribuirei pure alla fine dell’età litica; ma con esse furono rinvenuti altri cocci che certamente appartenevano a vasi fabbricati con maggiore accuratezza, di impasto più fino, neri, moltissimo ornati da fregi, da manici e da anse di una bizzarra varietà di forme, fra cui alcune canaliculate, altre lunate, ecc., come appunto si raccolgono nelle terramare mantovane e in quelle del Modenese a S. Ambrogio, Gorzano, ecc. (1). Alcune fusajole comuni, di forma svariata, e una grossissima, un po’ cotta alla su- perficie, nonchè parecchi oggetti di terra cotta d’un uso indecifrabile, quali sareb- bero dischetti (2), pallottoline sferiche, pezzi di argilla foggiati in mattoni ma profonda- mente erosi e solcati dalle acque (3), c certi tubetti lunghi pochi centimetri, ecc.; furono pure quivi dissotterrati insieme a molti frammenti di altre stoviglie rosse per cottura al fuoco, le quali sono sicuramente di data più recente e probabilmente appena ap- pena dei tempi preromani — Il rinvenimento poi di parecchi oggetti di metallo, cioè di due freccie, una di rame ed una di bronzo, di cuspidi di giavellotto, dei frammenti di una falce, di aste, di capocchie e di aghi crinali interi pure di bronzo, di due pendagli, (1) CANESTRINI, Oggetti trovati nelle terremare sajole furono pure raccolte in un campo a Rondi- del Modenese: nell’Arch. perla Zoologia, ecc. Vol. 4, neto sul lago di Como. . fasc. I, 1866. Modena. (3) Tali frammenti non avrebbero potuto essere (2) Dischetti di terra cotta affatto simili, e fu- i focolari delle distrutte capanne? 16 C. MARINONI, di spirali e di varj frammenti o pezzetti informi di bronzo colato, spiegano la miscela dei vasi di diversa fattura, rendendo più evidente che mai quel miscuglio di oggetti di differenti età cui accennava in principio, prodotto dall’ azione delle correnti che indubbiamente in tempi antichissimi, ma però posteriori all’ epoca del bronzo, tutto quanto rimaneggiarono quel deposito. Il Chiavichetto di Regona fu adunque una stazione umana preistorica dalla fine dell’ età della pietra in poi. Lo attestano gli avanzi di industria dissepolti da quel suolo; ma se questi non bastassero, una prova novella la abbiamo nei resti ossei di animali che giacevano sotterra coi vasi, colle selci e coi bronzi. Per verità moltissimi sono affatto indeterminabili perchè spaccati, frantumati, rosicchiati e perfino alcuni ermente cremati; — in onta a tutto ciò, ho potuto constatare per tali ossa la pre- legg senza delle seguenti specie (1): Bos taurus Linn. (Bue domestico) rappresentato dalle ossa, specialmente degli arti o da denti isolati, tutte appartenenti ad individui giovani, e di piccole proporzioni, per cui potrebbe invece essere benissimo il Bos brachyceros Riit. Capra hircus domestica Rit. (Capra comune); ‘Cervus elephus Linn. (Cervo); Cervus capreolus Linn. (Capriolo); Equus caballus Linn. (Cavallo); Sus scropha domestica Linn. (Porco comune); che indicano l’uomo dedicato all'allevamento degli animali domestici. — Tanti avanzi organici sepolti in un terreno umido dovevano pure aver influenza sulla natura del suolo ; e diffatti la terra raccolta da questo deposito è nera, appiccaticcia, grassa, ed uliginosa, senza però essere soverchiamente fornita di sostanze organiche e mista a ceneri e carboni che vennero raccolti insieme alle ossa leggermente abbrustolite e coi vasi semicotti. — Altri frammenti ossei pure indeterminabili presentano invece un principio di trasmutazione in turchese organica, certamente per la penetrazione di fosfato di ferro e di rame che le ha colorate in un bleu verdastro intenso. Avanzi affatto analoghi fornirono alcune esplorazioni tentate nelle località di Ca- stellaccio, campo sul più alto terrazzo verso il Mella, dove si raccolsero raschiatoi e scheggie di selce in discreto numero insieme a cocci figulini e reliquie di ossa abbru- ciate; di Formighere e di Pomello, site lì per lì, che diedero pure qualche fram- mento di stoviglia e qualche selce. La stazione di Cà del Dosso è invece, come dissi, assai più recente. Quivi il suolo, come risulta alla analisi chimica, è formato per la gran parte da ceneri, ed è sparso d’ ogni intorno abbondantemente di frammenti di stoviglie nere e rosse. Quantun- que pure fra questi ve ne siano di rozzi e grossolani quanto mai, i pochi esemplari (1) Mi servirono per questa determinazione le opere di Cuvier, Riitimeyer, ece., ed il confronto cogli scheletri del Museo di Milano. NUOVI AVANZI PREISTORICI IN LOMBARDIA. . 17 che ho scelti per essere figurati e tutti quelli che si raccolsero, fanno giustamente pensare che l’arte ceramica vi avesse già fatto un immenso progresso introducendo il tornio non solo, ma anche la pittura delle stoviglie. — L'influenza etrusca si vede far capolino da siffatti avanzi d’ industria, ed io non dubito che gli abitatori della contrada di Regona (1) avranno appreso da quel popolo eminentemente civilizzatore quei perfezionamenti che a poco a poco introdussero nella fabbricazione dei loro vasi. Questi infatti nella nuova abitazione appajono di forme più spesso piccole, fatti colla terra di cenere, alcuni anche muniti di anse e di manici, altri invece coloriti sempli- cemente a guazzo, o tinti in nero e leggermente cotti. Nessun altro utensile fuorchè qualche fusajola di impasto analogo, poche tracce di oggetti di ferro, il fondo di un vasetto di bronzo (2) e numerosi frammenti di vasi e tegole di una fabbrica riferibile all’età romana, venne fino ad ora raccolto in questa seconda stazione; e neppure per tali avanzi di epoche certamente diverse si potè notare alcuna regolare sovrapposizione; ma invece apparve lo stesso miscuglio cao- tico del Chiavichetto. Anche a Pomello e Formighere, che sono quasi sullo stesso al- tipiano di Cà del Dosso, si raccolsero vasi e bronzi analoghi. Da queste poche osservazioni che io credo non del tutto inutili, mi pare risulti abbastanza accertata la stazione umana di Regona presso Seniga, al confluente del Mella nell’Oglio. — Questa contrada cominciò ad essere abitata nei tempi preistorici durante il periodo neolitico dell’epoca della pietra da quelle stesse genti che si stabi- lirono nei Mosi di Crema, e lungo le correnti fluviali del Mantovano. Quivi si soffer- marono anzitutto sui bordi di un padule, nei punti oggidì chiamati Castellaccio, Po- mello e Formighere, dove si raccolsero selci rozzissime; dipoi e fors' anche contempo- raneamente fondarono la stazione palustre del Chiavichetto in riva all’ Oglio. Codesta dimora io la suppongo una vera palafitta, interrita man mano, ed alla quale attribui- sco una storia affatto analoga a quella tanto brillantemente dettata dai signori Pigo- rini e Strobel per le stazioni umane delle terramare parmensi: infatti le istesse armi, il medesimo progresso nell’arte delle stoviglie, carboni, ceneri, e le ossa di quegli stessi animali che appunto in quelle si trovarono. Al disopra dello stagno del Chiavichetto quelle primitive famiglie abitarono per un così lungo tratto di tempo che l’uso del bronzo incominciò a sostituirsi a quello della pietra; — verso quest'epoca suppongo sia avvenuto lo svuotamento della palude, essendosi l’ Oglio aperto uno sbocco che de- terminò presso a poco anche l’ attuale suo letto, ed i coloni abbandonarono la prima dimora trasportando i loro lari 400 metri più lontano, sul secondo terrazzo , là dove monumenti nei territorii limitrofi cremasco e cremo- nese come a Calvatone, e più a nord su quel di Verolanova a Guidizzolo e in altri punti del Bre- sciano e del Mantovano. (1) Dalle contrade più orientali gli Etruschi vennero a spargersi mano mano nelle pianure della Lombardia fino al piede delle Alpi, lasciando in più luoghi i monumenti del loro passaggio, come occorrerà riscontrare anche parlando delle stazioni mantovane. In quanto poi alle traccie di civiltà ro- mana cui si viene accennando in queste righe e nelle seguenti, sono esse ancor meglio conosciute dagli archeologi che ne scoprirono abbondantissimi (2) Questo però io ritengo assai più recente degli altri avanzi, perchè foggiato con una lamina distesa e battuta. Vi fu raccolto anche un fermaglio di cla- mide in bronzo dorato. 18 i C. MARINONI, oggidì è il campo chiamato Ca del Dosso. Questa e molto più il sovrastante altipiano di Regona continuarono ad essere abitati e furono probabilmente teatro di guerre e di lotte al tempo delle invasioni dei Galli, degli Etruschi, e ancora all’epoca della conquista romana, essendo collocata su di un terreno difeso da natura come un campo trincerato. — Alle nuove indagini ed a’ nuovi studj la conferma di codesta opinione. MANTOVA. Le stazioni state scoperte nel Mantovano, e già sospettate dagli illustri esplora- tori delle terremare dell’Emilia, sono fra le più evidenti tracce dell’uomo preistorico sulla sinistra sponda del Po, e fra quelle che fanno raffronto all’ uomo delle terremare e delle palafitte del Parmense. — Furono esse segnalate sul principio del 1869 con una dotta memoria letta all'Accademia Virgiliana dal dott. Vincenzo Giacometti (1), il quale potè far eseguire dei fruttuosi scavi e raccogliere una messe abbondantissima di avanzi dell'industria umana, nonchè degli animali che costituivano la fauna da cui l’uomo era circondato in quelle dimore. Però quel lavoro, pieno di pregi per l’esat- tezza e la diligenza delle deduzioni in esso esposte, manca di figure illustrative, per cui più volte non riesce possibile farsi un’idea chiara degli avanzi descritti e trovati. Aveva in animo pertanto io stesso di supplire a tale mancanza, aggiungendo a questa relazione delle nuove scoperte fatte in Lombardia, l'illustrazione di una quantità di avanzi tratti da quelle stazioni e che il chiariss. sacerdote Francesco Masè, arciprete di Castel d’Ario, ebbe la cortesia di mettere a mia disposizione. Ma essendo pervenuta a mia cognizione che i signori V. Giacometti e dott. P. P. Martinati hanno pure ra- dunati nuovi materiali che stanno ordinando per renderli di pubblica ragione a mezzo della stampa, credo ora anche di interpretar meglio il desiderio dell’arciprete Masè, lo scopritore di tutti gli oggetti che mi fu dato studiare (2) e lo stesso che ne fornì gran parte al dottor Martinati e molti anche al sig. Giacometti, di mettere a loro di- sposizione i materiali che ho radunati, onde rendere così possibile un lavoro più com- pleto, prodotto dallo sforzo riunito di parecchi collaboratori. DEC In questa relazione adunque io mi atterrò a quanto vi ha di finora conosciuto, rileverò le diverse stazioni della provincia mantovana, fra le quali alcune di recente scoperta, e farò richiamo solo a quei fatti più salienti e generali che potranno rispon- dere alla illustrazione delle altre contrade lombarde dove si incontrarono avanzi di umana industria, e specialmente di quella di Seniga, la quale per età, grado di civi- lizzazione e per altri caratteri è in stretto rapporto colle stazioni delle rive del Mincio. (1) GIACOMETTI V: Ielazione intorno ad alcune Masè, per la generosità e cortesia colla quale ha scoperte ultimamente fatte nelle adiacenze di Man- messi a mia disposizione i risultati delle sue scoperte, tova. — Mantova, 1869. nonchè ai sig. Nuvolari e Giacometti che mi for- (2) Approfitto di questa occasione per far qui ‘nirono notizie e materiali. pubblici ringraziamenti all’arciprete don Francesco ar Ba NUOVI AVANZI PREISTORICI IN LOMBARDIA. 19 Gli oggetti di alta antichità raccolti fino ad oggi nella provincia di Mantova, e di cui mi giunse notizia, sono: un cuspide di selce gialla ed un ago crinale di bronzo raccolti presso Guidizzolo; un'azza di porfido rinvenuta nei dintorni di Ceresara (1); un’arma in forma di punta di lancia lunga quasi 20 centimetri, di piromaca bian- castra lavorata a scheggiatura comune, dissotterrata nel 1862 da un contadino a poca profondità in un banco di terra calcareo-argillosa, sul fondo Torre nel comune di Marmirolo; due cuspidi di freccia, l’una in piromaca rossastra e l’altra di calcedonia lavorata, dissotterrate a un metro di profondità nel 1866, mentre si faceva la strada da Castellucchio a Ronchelli sulla frazione di Sarginesco (2). Ma oltre queste armi sporadiche, probabilmente dell’epoca archeolitica, si deve più che ad altro assegnare importanza alle grandi stazioni di Bigarello e di Castel d’Ario, e a quella ancora della Garolda che saranno da riferirsi ad epoche molto recenti, giacchè vi si raccolsero resti di un'industria di tempi appena preromani. Le terremare di Bigarello e di Castel d’Ario, a poche miglia all’est nord-est di Mantova giacciono nell’avvallamento dell’antico Tione e lungo le sponde del canale Molinella, estendendosi su di un.tratto di paese abbastanza vasto per comprendere delle ioni minori delle quali dir stazioni minori delle que ò ONE ° . . = 6A D) iNESeguito Fecha Qui,Mumeroi cavie i senato dere SN VR o ni Ne BONFERRARO nell'ordine della loro scoperta. Ag ec DE E Se ne conoscono oggidì sette, È G, Ei a cioè: > = 4ULUMBE, o ; » x QEUTA 1.° La stazione palustre FONEgOERAA Ò aLe BOS di Bigarello sulla destra della 6 fs Molinella, circa due miglia a /È N nord-ovest di Castel d’Ario, ed È è in proprietà del conte Tom- Topografia di Mantova (3). maso Murari. 2.° Quella di Castellazzo, parrocchia di Carzedole e comune di Bigarello, di proprietà del conte Saraceni di Trento. 3.° Pomella. Comune e parrocchia di Castel d’Ario, sulla destra e affatto in riva della Molinella, in una proprietà della signora Carolina Boldrini. 4.° La stazione di Casazza sulla sponda destra e presso l'alveo del canale Al- legrezza un po più a mezzodì dell’abitazione di Castellazzo, però in comune e par- rocchia di Castel d’Ario. — Appartiene egli agli eredi dell'ing. Petralli. 5.° Susano presso l'alveo De Morta nella sinistra della Molinella, comune e (1) MARINONI: Le abitazioni lacustri ecc., op. cit. (3) I numeri segnati in questo schizzo topogra- (2) GIACOMETTI. Relazione intorno ad alcune sco- fico, servono ad indicare approssimativamènte il po- perte, ecc., op. cit. — Vedi anche Matériaua pour sto delle singole stazioni. l’histoire de l'homme, 1368, vol. 4, pag. 300. 20 C. MARINONI, parrocchia di Castel d’ Ario da cui dista circa mezzo miglio e posseduta dall’ex-duca di Mode na. 6.° S. Cassiano, in comune di Roncoferraro ; 4 miglia a mezzodì di Castel d’A- rio, in una proprietà del dott. Vincenzo Giacometti. 7.° L'abitazione di Franciosa lungo l'alveo Cornaola su quel di Villimpenta e della quale è proprietario il sig. Giovanni Nuvolari. Debbo poi al signor Giacometti se mi giunse notizia di alcuni oggetti figulini, simili a quelli delle terremare, rinvenuti a S. Cassiano presso Cavriana fra le colline di Volta, e degli avanzi di un’altra stazione palustre alle Corrazze di S. Pietro in Valle lungo il Tione nel Veronese; ma di queste finora non si ha maggior contezza. Inoltre è mio debito di ricordare qui, come fosse noto che in un campo presso Castel d’Ario, fossero pure stati dissotterrati alcuni cocci figulini identici affatto ai più grossolani di Bigarello ed un magnifico paa/stab in bronzo (1). Di tutte queste stazioni non furono ancora esplorate profondamente quelle di Ca- sazza e di De-Morta; però anche in quelle località si trovano delle evidentissime tracce dell’uomo, ed io stesso ebbi campo di osservare e studiare non pochi avanzi dell’ in- dustria umana e frammenti di ossa di animali raccolti fra quei ruderi. I due depositi poi di S. Cassiano e di Franciosa non sono vere terremare come a prima giunta po- trebbe far supporre l’aspetto degli oggetti ivi rinvenuti; ma soltanto dei depositi ro- mani e fors’anco non dei più remoti. Ecco ora il riassunto delle scoperte fatte. La terramara di Bigarello*è quella che fu già illustrata dal Giacometti (2). Giace in una piccola valle di erosione scavata fra le alluvioni glaciali terrazzate dal Tione e dal Tartaro a nord-est di Mantova, nelle valli Ostigliesi. Il monticulo che una volta vi esisteva (3) venne appianato per adattarvi una risaja, ed in quel punto il suolo è tuttora uliginoso, quantunque all'analisi chimica sia risultato povero di sostanze or- ganiche. Gli scavi attuati fecero sortire cuspidi di freccie, coltellini, seghe e raschiatoi di selce, nonchè una stragrande quantità di scheggie e di nuclei di piromaca con traccie di un lavoro. a scheggiatura. Un lisciatojo, cunei e martelli sono gli altri manufatti litici, e furono tratti dai ciottoli erratici portati nelle valli dell’ Adige e del Mincio dal ghiacciajo che copriva le Alpi tirolesi e che abbondantemente furono anche raccolti nella terramara ed esportati come eccellente materiale da costruzione. — Vi furono trovate altresì fusajole di terra cotta, moltissimi cocci di stoviglie terrose, nericcie, fabbricate a mano coll’argilla del paese e adornate con graffiti, anse e manici delle forme le più svariate, ed altri resti di vasi di terra che sono rossicci, cotti e la- vorati al torno, o di pietra ollare. In mezzo a queste vestigia dell’umana industria si raccolsero un corno di cervo . (1) GIACOMETTI. Relazione, ece., op. cit. (3) Quel posto conserva tuttora presso i villici (2) GIACOMETTI. Relazione, ecc., op. cit.— Questi il nome di dos d’Ze pignate (dosso delle pignatte), studii io qui brevemente riassumo, e tutti gli avanzi impostole certamente pel numero stragrande di cocci da me esaminati di codesta stazione mi conferma- che quivi si trovano dispersi. rono pienamente nelle vedute dello scopritore. NUOVI AVANZI PREISTORICI IN LOMBARDIA. 2a cinciscato da intagli, ed ossa di mammiferi rotti per il lungo, frantumati e qualcuno anche in parte rosicchiato, che si riconoscono per essere di Cervus elaphus, Cervus capreolus, Bos brachyceros, vis aries, Sus scropha ferus, palustris e domesticus. Altre ossa poi sono con molta probabilità riferibili al Bos trockoceros, alla Capra hircus, al cavallo ed al cane. Le altre sei stazioni, riportate nell'elenco, sono di scoperta più recente; anzi di alcune di esse si hanno solo degli indizi, e pertanto non erano state ancora accennate precisamente da alcun autore. Considerate poi tutte queste stazioni sotto un punto di vista generale, appare come si accordano, quali più, quali meno, con quella di Bigarello per gli stessi avanzi di industria (selci, scheggie, cocci di vasi, ecc.), per i resti dei medesimi animali (Bos brachyceros, Sus scropha, Cervus elaphus, Cervus capreolus, Capra hircus, Ovis aries, ecc.), i medesimi materiali adoperati, infine le medesime condizioni di suolo e di giacitura che si ripetono per ciascuna, fino a risultarne un marchio che le caratte- rizza tutte fondate da una stessa popolazione. Pure io ritengo fermamente che ivi siano rappresentate ancora diversissime epoche, come appunto appalesano le selci di Po- mella, Bigarello e di Casazza indubbiamente dell'età della pietra, ovvero siccome si può dedurre da un aspetto tutto romano degli avanzi, stoviglie sopratutto, raccolti a S. Cassiano, Franciosa, ecc.; miscuglio di civiltà proclamato già dagli studiosi delle terremare poste sull’altra sponda del Po. Le scheggie di selce ed i pochi manufatti di pietra che ricordano i tempi anti- chissimi del periodo neolitico, e che per altro non mancano nè alla Franciosa, nè a Casazza, le stazioni come ho detto di più recente data e che per essi diventerebbero assai antiche, scompajono dinanzi al numero dei vasi che sono gli avanzi più ab- bondantemente sparsi, e sulla cui identità, piuttosto che rassomiglianza, di forme, lavorìo e natura dell’impasto argilloso, si può fondare l'ipotesi della contemporaneità, delle diverse stazioni mantovane. Ma per chi ben osserva la maggior parte di siffatte stoviglie accenna ad una certa coltura; le terre cotte poi, nere, graffite, i vasi di pietra ollare, e anche i più grossolani di Bigarello e Castel d’Ario sono affatto analoghi a quelli rinvenuti nel tumulo sepolcrale della Garolda, riferito indubbiamente all’ epoca etrusca; quindi sarebbero monumenti di un’età compresa entro i limiti dei tempi sto- rici. — Un solo paalstab è di bronzo; ma di ricontro abbiamo le ossa di bue, di ca- pra e di pecora, di porco, di cavallo e di cane che attestano aver quivi accompa- gnato l’uomo una fauna quasi tutta vivente ed alla quale appartengono molte delle specie domestiche: Meglio d’ogni altro io so come siano stati scarsi in mia mano i materiali paleo- etnologici tolti da queste stazioni, e come non abbia potuto far soggetto delle mie os- servazioni gli esemplari meglio conservati; lo studio però che ho fatto degli avanzi di industria trovati nelle Valli Ostigliesi mantovane mi conducono a concludere che anche quivi, come a Seniga ed altrove, vi dovette un tempo esistere la sovrapposi- zione di parecchi strati contenenti avanzi di diverse epoche successive dalla età della pietra, che appare anche nelle selci sporadiche di Guidizzolo, Mafmiro- lo, ecc., fino a quei tempi che sono riferiti alle epoche gallo-etrusca e romana. 292 C. MARINONI, Sfortunatamente coll’ andare dei secoli le correnti d’acqua che solcano quel territorio e che hanno rimestato terrazzando quel suolo di indole morenica, distrussero la juxtaposizione dei monumenti delle varie età, ed i livellamenti di suolo operati di poi e anche recentemente per scopi agricoli, hanno finito qui pure di produrre la più ge- nerale confusione. — Ciò non pertanto, parlando di queste stazioni umane, io inclinerei a generalizzare le vedute del signor Giacometti sulla marniera di Bigarello, estenden- dole anche alle altre stazioni. Se gli oggetti raccolti e la condizione uliginosa del suolo fanno ritenere che il dosso delle pignatte non fosse che una stazione palustre, l’analogia di condizioni e di giacitura fa supporre altrettanto a Castellazzo, a Pomella, a Casazza dove alcune famiglie che venivano dalle contrade poste più a nord-ovest si stabilirono verso il finire dell’epoca della pietra, e colle loro generazioni vi abi- tarono durante l'età del bronzo e le successive, estendendosi mano mano, e tentando fondare colonie nei territorii limitrofi a Castel d'Ario, Susano, S. Cassiano e Franciosa, dove anche oggidì appajono i segni della loro dimora. E questo fatto ho detto che trova conferma nei risultati ottenuti dai signori Pigorini e Strobel per le terremare del Parmense, ad alcune delle quali potrebbero essere paragonate (1). Le costumanze di quelle popolazioni sicuramente pacifiche troverebbero una ragione nel difetto di armi in confronto degli utensili casalinghi come sono le fusajole e le stoviglie, le quali per vero dire sono sempre numerose nelle stazioni antistoriche lombarde; ma altrove con esse si raccolgono sempre abbondanti anche le freccie di selce, le scuri di pietra, e le ossa agguzzate come fra le palafitte del Lago di Varese. — Qui invece 1 resti conservati di animali, tutti domestici parlano sempre più in favore di un popolo che, come quello delle colonie emiliane, si era dedito alla agricoltura ed all’addomesticamento degli animali, trascorrendo così fino nell’età del ferro durante la quale gli Etruschi in- vasero le paludi mantovane e vi apportarono la loro civiltà. — Il tumulo della Garolda sito un po’ ad oriente di Castel-d’Ario, è appunto riferito dagli archeologi a quel gran popolo eminentemente civilizzatore che 1200 anni circa prima dell’ èra volgare invase l’Italia settentrionale e dappertutto lasciò le impronte del suo passaggio (2). — Da quell'epoca la contrada mantovana continuò ad essere abitata dalle genti gallo- etrusche come le contemporanee marniere dell’ Emilia, Marzabotto, Vadena e la sta- zione di Regona nel basso Bresciano; e su quel suolo ie nuove genti continuarono @ lasciare le loro spoglie e le loro impronte fino ai tempi della invasione romana, per cui quelle terremare sarebbero appunto da considerarsi più che altro dei depositi ad avanzi preromani. (1) La terramara di Castelnuovo di sotto nell’ E- per lavoro, materia, forma, ecc. a quelli delle milia è quella che più di tutte rassomiglierebbe alle terremare di Bigarello e Castel d’ Ario; per la terremare mantovane. — Lo stesso taglio di armi, gli qual ragione si può ben ritenere che anche durante stessi ornamenti alle stoviglie, glistessi animali, ecc. l’età dell’ oro dell’ arte ceramica etrusca, si siano (2)I vasi raccolti nel tumulo della Garolda men- foggiati dei vasi grossolani e di uso più comune. tre sono certamente etruschi, sono affatto identici CONCLUSIONE. Non posso chiudere questa breve rassegna delle nuove reliquie umane dissotter- rate in Lombardia, senza far rilevare quel nesso che le riunisce alle precedenti scoperte. L'età dell’antichissima pietra e l’uomo delle caverne coevo dell’ Ursus spelaeus, non furono per anco constatati in Lombardia; soltanto si hanno degli avanzi riferibili a quell’industria che caratterizza la fine del periodo archeolitico: sono questi le selci rozzamente lavorate a grande scheggiatura di Bosisio, T'orbiato, Brescia, Bagnolo, Crema, Guidizzolo, Marmirolo e Sarginesco. — La stazione del Macchetto forse; ma con maggior certezza le abitazioni lacustri di Varese, Monate, Pusiano e del Garda, sl potrebbero riferire al periodo neolitico, dal quale, spingendosi attraverso tutto quanto un lunghissimo tratto di tempo si mantennero fino nell’età del bronzo. — Il tumulo di Comabbio, dovrebbe pure datare da quest'epoca che merita essere considerata come un periodo di una civiltà tutta affatto speciale, di una vera civiltà lacustre. — In Lombardia, come ho già detto, si devono riportare ai tempi del bronzo, talune delle palafitte di Varese e la più parte dei moltissimi oggetti raccolti nelle circostanti torbiere della Brabbia, di Biandronno, Cazzago e Comabbio, fra le torbe di Brenno e - nei depositi della Val-Cuvia. Ma altri indizii, e ben più certi, si hanno ancora nelle torbe di Bosisio, non che in quelle di Capriano presso Renate, ed alla palafitta di Peschiera dove per arte e buon gusto ci troviamo, per il nostro paese, all’apogeo di quei tempi che sono improntati dalla civiltà dell’epoca del bronzo. Pure non vanno dimenticati il piccolo paalstab di Vaprio che si riunisce ai bronzi interessantissimi rinvenuti nei Mosi di Crema; nè quello trovato a Castel d’ Ario ed altri oggetti del prezioso metallo raccolti a Guidizzolo e nella stazione di Regona. — Per essi e per l'abitazione lacustre di Peschiera il periodo del bronzo è constatato anche nelle con- trade più orientali della Lombardia. Le stazioni di Somma, Golasecca e Sesto Calende attribuite alla età del ferro, e quindi posteriori alle epoche sopraindicate, furono ritenute fino adesso le ultime sta- zioni umane lombarde riferibili ai tempi preistorici; ma gli oggetti tratti dalle terre- mare allineate sulla riva sinistra del Po, parlano in favore di un popolo che era in possesso di un’arte avanzatissima come sarebbe quella attribuita agli Etruschi. Io DA C. MARINONI, NUOVI AVANZI PREISTORICI IN LOMBARDIA. ho invano faticato a rintracciare quei legami che dovevano avvicinare le antiche popolazioni insubre ai Galli ed agli Etruschi che per i primi invasero la pianura lombarda; sgraziatamente tanto le terremare mantovane che quella di Regona, più interessante ancora, furono sconvolte e rimestate dalle correnti fluviali che anche oggidì le costeggiano, e dai lavori agricoli che finirono di distruggere la juxtaposi- zione degli strati ed avanzi di industria umana. Le reliquie delle diverse generazioni che si sono mano mano succedute, sono anche improntate di caratteristiche indelebili, e queste varranno allorchè nuove scoperte avranno moltiplicati i materiali in mano agli studiosi: oggidì, a mio credere, sarebbe ancora troppo azzardato il concludere diversamente da quanto mi permisero di fare le mie poche osservazioni in proposito, cioè: Una razza d’uomini d’ignota provenienza, deve aver abitata la Lombardia durante il periodo archeolitico dell’età della pietra. — Probabilmente durante il periodo neo- litico dalle Alpi scesero, delle genti che avevano l'abitudine di stanziare sui laghi, e lasciarono le loro lacustri dimore solo durante l’epoca del bronzo allorchè erano provve- duti di mezzi di difesa più efficaci. In questo periodo di tempo si stabilirono solidamente sulla riva sinistra del Po, e probabilmente passarono anche sulla destra sponda a fon- dare le stazioni del Parmense. In queste nuove dimore furono le popolazioni insubre soggiogate dai Galli, dagli Etruschi coi quali popoli facilmente si addattarono, e frui- rono della loro civiltà non dimenticando però del tutto le costumanze primitive. — I Romani conquistarono nuovamente il paese e fecero scomparire ogni traccia di bar- barie, i di cui avanzi ci vengono in oggi restituiti insieme a quelli degli ultimi con- quistatori, per ritessere la storia del nostro passato. Tavola I. Fig. 1. Cuspide di freecîa in selce argillosa biancastra. — Torbiera di Bosisio. — Gr. nat. (coll. del Museo i di Milano, n.° 895). Fig. 2. — Punta di freccia in selce argillosa bianca opaca. — Torbiera di Torbiato presso Iseo. — Gr. nat. (coll. del Museo dell’ Istituto Tecnico di Bergamo). Fig. 3. — Frammento di vaso graffito raccolto nel tumulo presso il lago di Comabbio. — '/, della gr. nat. (coll. del Museo di Milano, n.° 900). Fig. 4. — Ciottolo di serpentino foggiato rozzamente in mazzuolo raccolto nel tumulo presso il lago di Co- mabbio. — ‘/, della gr. nat. (coll. del Museo di Milano, n.° 899). Fig. 5. — Disegno del tumulo di Comabbio da uno schizzo. Fig. 6. — Paal-stab in bronzo trovato nella torbiera di Comabbio. — ‘/, della gr. nat. (coll. del sig. Quaglia- Bene-Sperando di Bardello). Fig. 7. — Paal-stab in bronzo raccolto in uno scavo presso Vaprio d’Adda. — ‘/, della gr. nat. (coll. ciel Museo di Milano, n.0 896). Fig. 8. — Ago-crinale in bronzo Fig. 9. — Fibula in bronzo dissepolti dalle torbe di Capriano presso Renate (prov. di Como). — Fig. 10. — Pendaglio in bronzo Gr. nat. (coll. del Museo di Milano, n.i 845-849). Fig. 11-13. Braccialetti in bronzo Fig. 14. — Spirale in bronzo Fig. 15. — Arma di selce argillosa giallastra proveniente da Bagnolo (prov. di Brescia). — Gr. nat. (l’origi- nale esiste presso il prof. Elia Zersi a Bergamo). Marinoni- Nuovi avanzi preistori ni vl ECO — a SRI pito ‘Mem? della Soctitdì Scs nati VoLIVA®5.Tav.I Marinoni dis.dal vero mm Lit L.Konchi Tavola II. Avanzi di umana industria rinvenuti nella contrada di Regona presso Seniga, al confluente del Mella nell’ Oglio (Prov. di Brescia). Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. STAZIONE DEL CHIAVICHETTO (fig. 1-25). 1. — Accetta di serpentino lisciato (fronte e profilo). — ‘/, della gr. nat. 2. — Accetta di arenaria serpentinosa lisciata (fronte e profilo). — '/, della gr. nat. 3-5. Raschiatoj di varie forme in selce argillosa giallo-grigiastra. — Fig.3 e 4 a gr. nat., fig.5a ‘/, del vero. 6. — Sega di selce argillosa giallastra. — Gr. nat. 7-9. Cuspiîdi di freccia in selce argillosa giallastra lavorate a scheggiatura. — Gr. nat. 10-11. Frammenti di vasi leggermente cotti fatti di impasto argilloso. — ‘/, della gr. nat. 12. — Fondo di un vaso nero, non cotto e a impasto finissimo. — ‘|, della gr. nat. 13. — Frammento di parete di un vaso fregiato di grossolana ornamentazione. — ‘/, della gr. nat. 14. — Coccio di un piccolissimo vaso di forma non comune e con piede. — '/, della gr. nat. 15. — Coccio di un vaso a pareti adornate con rilievi a'bitorzolo — ‘|, della gr. nat. 16-19. Anse di vasi di varie forme, riferibili perfettamente a quelle trovate nelle terremare dell’ Emilia. (Vedi Canestrini: Oggetti delle terremare modenesi, ecc.) — ‘/, della gr. nat. 20. — Fusaruola forata di terra semicotta, di grandi dimensioni. — ‘/, della gr. nat. 21-22. Pendagli: — ornamenti in bronzo. = gr. nat. 23. — Freccia in rame. — ‘/, della gr. nat. 24. — Freccia in bronzo. — ‘/, della gr. nat. 25. — Punta di giavellotto in bronzo, con foro per assicurarlo all’asta. — ‘/, della gr. nat. STAZIONE DI CA’ DEL DOSSO (fig. 26-31). Fig.26. — Fusaruola non forata e disegnata, fatta di terra e cenere. — ?/, della gr. nat. Fig. 27. — Dischetto di terra cotta. — ‘/; della gr. nat. Fig.28. — Frammento di un piccolo vaso disegnato a graffito e fatto con un miscuglio di cenere. Fig. 29-30. Frammento di piccoli vasi fatti con miscuglio di cenere, ornati di dipinti a guazzo.— ‘/, della gr. nat. Fig.31. — Frammento di piccolissimo vaso fatto al tornio e con terra cotta. Tutti tali oggetti sono raccolti presso il proprietario sac. GrOvaNNI BATTISTA FERRARI a Fenil-lungo di Regona. Marinoni. Nuovi avanzi preistorici ecc. Mem® della Socèit* di Sctnat: VoLIV. N°5.Tav.Il | ] Marinoni dis, dal vero Paravicini dis.in Lit. Lit.L- Ronchi Ho |} SUNTO DEI REGOLAMENTI DELLA SOCIETÀ Scopo della Società è di promuovere in Italia il progresso degli studj relativi alle scienze naturali. La Società si aduna in sedute ordinarie e straordinarie. Le ordinarie si tengono - una volta al mese, eccettuati settembre e ottobre; le straordinarie, ogni volta che lo creda opportuno la Presidenza o il Consiglio d’ Amministrazione. La Società tiene inoltre ogni anno una riunione straordinaria in qualche luogo d’Italia preventivamente scelto, alla quale, oltre i socj, possono prendere parte attiva : 1.° i rappresentanti dei Corpi scientifici ; 2.° gli invitati od ammessi dalla Presidenza. Il numero dei socj è illimitato: si distinguono in onorarj, effettivi e corrispondenti. I socj effettivi pagano italiane lire 20 all’ anno. i La proposizione per l’ ammissione d’ un nuovo socio deve essere fatta e firmata da tre socj effettivi. I. socj effettivi che non mandano la loro rinuncia almeno tre mesi prima della fine dell’ anno sociale (che termina col 31 dicembre) continuano ad essere tenuti per s0cj: se sono in ritardo nel pagamento della quota di un anno, e, invitati, non lo compiono nel primo trimestre dell’anno successivo, cessano di fatto di appartenere alla Società, salvo a questa il far valere i suoi diritti per le quote non ancora pagate. Le Comunicazioni e Memorie presentate nelle adunanze possono essere stampate o negli Att? della Società o nelle Memorie, per estratto o per esteso, secondo la loro estensione ed importanza. La cura delle publicazioni spetta alla Presidenza. Gli Atti si danno gratuitamente ai s0cj. Le Memorie non si danno gratuitamente ai socj, ma si vendono loro a prezzo minore di quello fissato per le persone estranee alla Società. Per i loro prezzi si veda la quarta pagina di questa copertina. 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In seguito, pei socj che non fanno l’ abbonamento nei i prim e pei non socj, il prezzo dei volumi sarà maggiore, e precisamente come cato sulla SIZE di ennio, de essi. dui br, 18 GIA DR DADA i ROL «E Sdi a E du (4 RITO Dan tun SENT RIBRAt EMMA MET emo f li VELCAN, e i n È i a 3 dRTA tl 5 Ma, k Der E Mp4 du VANTI BOI i) A DITA Ù Vl: [abile IPOD Wiedio ct 3 N pani RINO ) î UEIELO. MAMA e) ca " h ii " x N OI AI ni È Ve IRA N Ar : i i) ; î i N } Î A nea MUST RUN SINO fia O OVAMUTEAI MIO uo | @ee——P—___—_— Suetedi, «diede JD) DI) > — )))_ PD). a du ) "1 DI») NO, 4 > ) DDD DPI » BoMED I Vv» d) DI 1075) 20020 dd 1) )) E 5 ) 1) DIRI PI PD DI / E ) Dpr DD ) } bo ) 9) ) ». ì) >) NEDO) DI > IMI ») » >. gi SO DL }) L Db )»i D ) v- ‘D000P))) D ))) Ae JO 2) }6).) D ))) DD) )” >: Mm)» I» ))) ) ») DID PI DID PID) P Id i LOI 2». IO) )D _DD ) )} » )))) DI ) O) _ I IPP ))0P_I 5- Reid DI )b. DD PZ 22). ) Y )J PO JESI » DD I ” > DI ) 33 DPI) i dd. 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