RI Va AAT n ni T M O \ i Fi x ti , x D mm o i; INT AFFETTI DELL'ACCADEMIA DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI (CX Mo DI Rarermo PRA bri ti Die, EI ACCADEMIA SCENE CERERE RARE DI DI PALERMO NUOVA SERIE VOLUME V. PALERMO UFFICIO TIPOGRAFICO DI MICHELE AMENTA 1379 Perchè in questa Città sede antica di studj gli Scienziati Italiani s° adunano a tenere il XII Con- gresso, l Accademia Palermitana di scienze, lettere ed arti pubblica col favore del Municipio il quinto volume dei suoi A tti. 29 agosto 1875, Ai termini dell’articolo 39 delloS tatuto V Accademia non si rende garante delle opinioni, de’ sistemi e delle dottrine comprese ne’ discorsi de’ suoi componenti quì pubblicati. TAVOLA DELLE MATERIE Elenco de’ Socj, Proemio. CLASSE DI SCIENZE NATURALI ED ESATTE Monterosato — Nuova Rivista delle conchiglie del Mediterraneo. ‘Inzenga — Discorso sull'origine singolare di una nuova varietà d'arancio. Doderlein — Descrizione di una specie di pesce, del genere esotico Lobotes preso nelle acque de’ con- torni di Palermo. Corrao — Memoria sul progresso delle marine da guerra. CLASSE DI SCIENZE MORALI E POLITICHE Maggiore-Perni — Memoria sull’ imposta fondiaria ed il progetto della perequazione. Di Menza — Menioria sul duello leale ed il duello sleale. CLASSE DI LETTERE ED ARTI Di Giovanni — Discorso intorno agli eruditi Siciliani del secolo XV e ad alcune opere lessigrafiche latine e volgari de’ secoli XIV e XVI. Matranga — Meinoria circa le pergamene greche più antiche finora conosciute in Sicilia. Di Maggio — Saggio storico-critico sul quarto volume degli annali di Pietro Ranzano. Notizie sugli studj scientifici e letterarj di Sicilia nel secolo presente — Maggiore-Perni Economia politica. La Mantia Scienze Giuridiche. Di Giovanni Filosofia. Di Bartolo Scienze Sacre. Meli Arti del disegno. Piatania Musica. Estratti di altri lavori accademici. Nota Cacciatore — Quadro meteorologico dell'anno 1874. Catalogo de’ libri presentati in dono all'Accademia. si )=d W AIA i IPA RODE, ML “AR gi n, (E sd 0] eri sv a di me pai trai (aa ta, ELENCO DEI SOCJ _—__—_—_—_———_ v->r—‘te __—— PROMOTORE L’ Ill, Cav. EMMANUELE NOTARBARTOLO di San Giovanni Sciara Sindaco della Città di Palermo. PATRONO IL MUNICIPIO PALERMITANO. PRESIDENTE Il Signor GIUSEPPE DE SPUCHES Principe di Galati. VICE-PRESIDENTE Il Professore NICOLO’ CERVELLO. SEGRETARIO GENERALE Il Professore GIUSEPPE BOZZO. TESORIERE Il Professore ANTONIO MACALUSO. O 20 2 O Ud dI SH De O SOCJ ATTIVI DHT CLASSE DI SCIENZE NATURALI ED ESATTE . TopARO prof. AcostINo, Direttore. . PorcarI barone AnceLO, Anziano. . Lo Cicero prof. GiusEPPE, Anziano. . CoppoLa prof. GIUSEPPE, Segretario. . ALBEGGIANI prof. GIUSEPPE. . BroLo duca FEDERICO, LANCIA. . CacciaToRE prof. GAETANO. . CAcoPARDO prof. SALVATORE. . CALDARERA prof. FRANCESCO. . CANNIZZARO prof. STANISLAO. . CerveLLO prof. NicoLò. . MacaLUSO prof. ANTONIO. . GEMMELLARO prof. GAETANO. . InzENGA prof. GIUSEPPE. . NAPoLI prof. FEDERICO. . PiccoLo prof. GiroLAMO. . RAFFAELE prof. GIOVANNI. . TaAccHINI prof. PIETRO. . ZAPPULLA prof. MICHELE. CLASSE DI SCIENZE MORALI E POLITICHE . Bruno prof. Giovanni, Direttore. . RarsaupI can. prof. MicHELANGELO, Anziano. . MacgioRE-PERNI avv. FRANCESCO, Anziario. Di Menza consigliere GiusEPPE, Segretario. . ARDIZZONE dott. GIROLAMO. . Corrapo cav. LANCIA. . DELTIGNOSO prof. avv. GAETANO. . LUIGI prof. SAMPOLO. . GUARNERI avv. ANDREA. . La MANTIA consigliere VITO. . Marino dott. GIUSEPPE. . MauRIGI marchese Giovanni. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19 Mazza consigliere Lurcr. ORLANDO consigliere Dieco. TuraNo monsignor Domenico. Turrisi barone Nicolò. UGDULENA prof. GiusEPPE. VANNESGHI presidente GAETANO. G. B. avv. Rurro. 20) dI > dala HKHKYH 2 O toa wWOH (N 00 19 SCI ATA CLASSE DI LETTERE ED ARTI Di Giovanni prof. Vincenzo, Direttore. La Luma dott. Ismoro, Sopraintendente Gene- rale degli Archivî, Anziano. . COSTANTINI avv. GIOVANNI, Ansiano. VILLAREALE prof. MARIO, Segretario. Bozzo prof. GiusEPPE. CAVALLARI prof. SAVERIO. Cusa cav. prof. SALVATORE. DAITA prof. GAETANO. Di Marzo ab. GIoaccHINO. GALATI principe GiusePPE DE SPUCHES. MELI prof. GIUSEPPE. MoxTALBANO can. prof. GIUSEPPE. . PAscA canonico CESARE. . PeREZ consigliere FRANCESCO. . SALINAS prof. ANTONINO. . SANFILIPPO canonico PiETRO. . Isporo Sac. CARINI. . Amico prof. Ugo ANTONIO G. B. F. prof. BasiLe. 20° SOCJ EMERITI Barone Vito D’ Oxnpes REGGIO. Avv. FILIPPO SANTOCANALE. Cav. FrancEsco DE BEAUMONT. " E vuoto il posto per la morte del comm. Domenico Peranni. ** E vuoto il posto per la morte del prof. P. Carmelo Pardi. Cav. Francesco LANDOLINA RIGILIFI. MarcHEsE di VilLareNA MorTILLARO VINCENZO. Prof. MARIANO PANTALEO. Prof. Filirpo MacGIAcoMO. Barone BartoLomeo D’Onpes Rao. Dott. FERDINANDO BARONE. Comm. Prof. VINcENZO CRISAFULLI. Ab. DomeENICO GRAVINA. Prof. FiLippo VILLARI. SOCJ ONORARI Conte Franc. PaoLo Lanza di Trabia. Principe di Comitini MicHELE GRAVINA. Principe di Manganelli AnToNIO PATERNÒ. Principe di Lampedusa GiuLio Tommasi. Conte di Almerita Lucio Tasca. Canonico Francesco Ragusa. Cav. GiovannI FRACCIA. Avv. Vincenzo Di Marco. Proc. Gen. Pietro CASTIGLIA. Dott. Tommaso La Russa Prof. Filippo EvoLa. P. SaLvarorE Lanza di Trabia. Marchese di SAN GIACINTO. SOCJ CORRISPONDENTI COLLABORATORI Prof. ANTONIO GIARDINA. Prof. FRANcEScCO PiGNocco. Dott. GiusePPE CACCIATORE. Dott. Spata GIUSEPPE Prof. ANGELO AGNELLO. Barone RAFFAELE STARRABBA. Sac. MARCO ANTONIO SPOTO. Cav. FeLIce FARDELLA di Ripa. Avv. PIETRO GRAMIGNANI. Avv. ANTONINO ZEREGA. (Cav. RAFFAELE PALIZZOLO. Dott. GAETANO LA FATA. 5) Avv. PaoLINO MALTESE. P. Filippo MATRANGA. Prof. GIUSEPPE ARCULEO. Dott. GiusePPE PITRÈ. Dott. SEBASTIANO REYES. March. GAETANO CELESIA. Maestro Pietro PLATANIA. Signora CoNncETTA FILETI RAMONDETTA. Sac. Prof. SaLvatoRE Di BARTOLO. Cav. FiLippo MINOLFI Sac. Vito Vaccaro. P. Luici Di Maccio. Prof. Simone CoRLEO. Ingegnere dott. Giuseppe Cimino. Consigliere FRANCESCO SALUTO. Prof. Pietro DODERLEIN. ENRICO Ragusa. Sac. Luici PALOMES. Prof. GaETANO-LAa LoGgia. Prof. EMMANUELE PATERNÒ. S0CJ CORRISPONDENTI NON RESIDENTI Cardinale Gaspare GRASSELLINI. Cav. LeonARDO Vico. DorTToR Minà LALUMBO FRANCESCO. Prof. Giuseppe CAscio-CORTESE. Dott. Minà LA GRUA ANTONIO. Cav. RAFFAELE Busacca. Prof. Filippo PARLATORE. Dott. FRANCESCO AccoRDINO Prof. ANDREA ARADAS. Prof. FRÀNcESCO TORNABENE. Cav. LeopoLpo Der RE. Commendatore MicHELE CELESTI. Prof. ANGELO SECCHI. Prof. Giuseppe MERCURI. Consigliere Vincenzo Cacioppo. Consigliere Vincenzo ERRANTE. Prof. FRANCESCO FERRARA. Vito BELTRANI. Cav. NicoLò ANZALONE. Prof. FRANCESCO ACRI. Dott. GiusePPE BIONDI. Prof. GiusepPE Romano. Prof. Pietro FONTANA. Consigliere FrRANcESco CRISPI. Cav. FiLippò STURZO. Prof. MicHELE AMARI. ‘ Canonico GiusePPE VAGLICA. Prof. Giov. BatT. DE Rossi. Cav. CEsARE CANTÙ. Prof. GiusEPPE ZURRIA. Dott. VINCENZO SCARSELLI. Prof. GiovANNI CARRUCIO. Cav. ANNIBALE DE GASPARIS, Dott. GIrusEPPE SENSALES. Prof. EmiLio CORNALIA. Prof. ORLANDINI ZUCCAGNI. Prof. SILVESTRO CENTOFANTI. Prof. GiusepPE FERRARIO. Sac. Corrapbo SBANO. Conte INNoccENZO GUAITA. Cav. ANTONIO ARIETTI. Cav. CATIELLO GAETA. Cav. CESARE GUASTI. MaRrIANO GRASSI. ALronso ERRERA. GiuLio ALBERGO. DoMENIcO VENTIMIGLIA. F. G. ARABIA. Prof. Pietro SBARBARO. Sig.* TreoLINDA FRANcESCI PiGNoccHI. Prof. FRANcEScO DENZA. FRrANcESCO PRUDENZANO. Comm. FRANCESCO ZAMBRINI. Ab. Luici Tosti. Cardinale ANTONINO DELUCA. Vito FORNARI. SAVERIO BALDACCHINI. Dott. FRANcESCO PICONE. Prof. GIOVANNI SANTINI. Conte GIOVANNI CITTADELLA. Prof. FEDELE LAMPERTICO. Prof. FRANCESCO RIZZOLI. Prof. FRANcESco BrIoscHI. Dott. Giacinto NAMIas. Dott. FRANcESCO BEGGIATI. Dott. G. B. ERCcOLANI. Dott. IsAiA GRAZIOLI. Prof. GIOVANNI SCHIAPARELLI. Dott. GiuLio CARCANO. Dott. Luicr CREMONA. Cav. DomENICO MARCHETTI. Comm. Lurci LUuZzzaTTI. Ab. JACOPO ZANELLA. Prof. Dieco VITRIOLI. Avv. PasquALE CONFORTI. Conte Luici PASSERINI. Prof. FELICE CASORATI. Cav. GrAcINTO CARENA. Prof. SALVATORE BETTI. Prof. Lupovico PASSARINI. Cav. GrroLaMo FLORENA. Marchese Lurci CESARE PAVISSEICH. Conte CarLo DEMETRIO FINOCCHIETTI. Cav. MATTEO CHINCHELLA. Avv. Pier AMBROGIO CURTI. Commendatore CASIMIRO ZERILLI. Bar. Corrapo AREZZO Maestro ENRICO PETRELLA. Prof. E. FERGOLA. Dott. Giovanni DE BricnoLE Di BRENOTT. Prof. Giacomo ORLANDO. Prof. Giacomo RACIOPPI. Sac. GiusePPE CASTRONOVO. Prof. GAETANO GHIVIZZANI. Conte GioaccHiNo RASPONI Conte GIOVANNI ARRIVABENE. Marchese Cino Capponi. Can. GIUSEPPE JANNELLI. Prof. MaurIZzIo PoLizzi. Prof. BENEDETTO MAROTTA. P. DEMETRIO CAMARDA. Conte TERENZIO MAMIANI. Prof. TomMASO VALLAURI. Prof. Vincenzo LILLA. Dott. ATTILIO HoRtis. Avv. ArRIGO HoRtIs. Prof. Augusto CONTI. Prof. Giovanni DuPRÈ. Conte Prof. EmiLio WoLFF. Conte Giuseppe Rossi. Prof. Giacomo FERRAZZI. Dott. GAETANO DI GIOVANNI. Comm. ALFREDO BAccARINI. Cav. ANTONIO CATARA LETTIERI. Cardinale Giovan BATTISTA PIATRA. Conte CarLo BELGIOIOSO. Prof. Giusto BELLAVITIS. Dott. I'eRDINANDo DE LESsEPs, Parigi. V. Huco, Parigi. Cav. IppoLiro Passy, Parigi. Prof. ApoLFo HoLm, Lubecca. Cav. Prof. CarLo WiTTE, Halle. Sig. Dott. C. VEssELOFSKI, S. Pètersbourg. M. L. BLIN, San Quintino. M. JosepH Barnes, Washington. M. Houssarp, Zours. W. VAN WocLrì, Harlem. Auc. FRAcois Le JoLis, Cherbourg. Jos Hrary, Washington. CnarLes Voot, Ginevra. Jos K. Barnes, Wushington. Consigliere Lurc1 MAScHEK, Zara. D. Enrico Nist, Bruxelles. D. C. LAGERBERG, Liegt. Conte TH. De Puyvma:rGre, Metz. Prof. FELICE LIEBRECHT, Liegi. Prof. I. BERGMANN, Strasburgo D. AmepEo Roux, Puy de Dome. Prof. A. MEZIERES, Parigi. Signor Grorcio DeNIs, Londra. Dott. ALessanpro Ross, Toronto (Canadà). Dott. GIovaNNI IEFFREYES, Londra. C. HFINZELMAN, Berlino. Prof. ALcronso LE Roy, Liegi. Prof. Giorgio DE FRENNE, San Quintino. Prof. CarLo Du Pont, Bruxelles. Prof. ErnEsTOo QuETELET, Bruxelles. Prof. ALFonso FAvRE, Ginevra. Conte SERGIO STRAGANOFF, Pietroburgo. Cav. Ceco Pusazor, San Fernando. ISTITUTI R SOCIETA: SCIENTIFICHE CHE SONO in corrispondenza di doni e comunicazioni CON L'ACCADEMIA UONMISSIONERDISAGRICOLTURAVEGPASTORIZIA. o Palermo AccapEMIA DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI. ........... . ..+ Aci-Reale ACCADEMIANGIOENIA DI SCIENZE NATURALI... 0... Catania IICCDENIASOI SCIENZE (E VIEIMERE O Napoli Rls nituT0MLOMBARDO N o RI I A I Milano ACCADEMIA DI SCIENZE... ..... OE e So i Li or Bologna ISTIRUMONDISS CIENZE MIUEPTERESEDVARDINA: (nno Venezia SOCIELANDINSGORIA INATURALERO. O . Trieste AAANEOPDISS CIENZE ES IUETTERE AO PO Bergamo INCCADEMUSEDIRIETTERE GIA Pisa INCCADEMIAIDE NISIOGRITICI Si RO Siena ACCADEMIA UDINSCIENZE VE LETTERE ERE Vicenza R. AccapEMIA DI ARCHEOLOGIA E LETTERE... ...... DAT Napoli RAPACCADEMVAGDELUALGRUSCAN IO e Firenze RAFACCADEMPAEDIESNORINOI I N n I I Torino NCCADEMTAMDE INVOVIRICINCEIR O Mo Roma ACCADENTAMAISICOMEDICO=STAPISTICA O O e Milano RISIITUIONDIASCIENZE NE MIECTERK UN N. O Venezia A Società pr AcricoLTURA, Screnze, LeTTERE ED ARTI . Istituto ORNITOLOGICO DEL CANADÌÀ . . IsrITUTO DI ZOOLOGIA E DI BOTANICA . . Società EnromoLoGIcA BELGA . . Società pi Scienze, LerTERE ED ARTI. . .... Società IMPERIALE DE’ NATURALISTI. . . . .. AccapeMiA peLLE Scienze E BeLLE LETTERE. . . Istituto DI SCIENZE NATURALI. Società DE’ NATURALISTI. IMPERIALE REALE ACCADEMIA DI SCIENZE... . . . Università REALE . Istituto Essex... ... ACCADEMIA CONNECTICUT . Società RexLE DI VITTORIA. . . ..\.... ISTITUTO COMPARATIVO ZOOLOGICO . . LL Società DI SCIENZE E Lemreget Re Società DI Storia NATURALE... {..h Commissione DI SratISTICA DEGLI S. U. . ..... SocreTtÀà ZooriLA TRIESTINA . . \\........ ISOIIUTO DUE RO ACCADEMIA ION RA N O ACCADEMIA DI SCIENZE E LETTERE . ......... R. Istituto .Gmosoieon =... AccapeMiA DI Scienze E LETTERE... ........ ATENEO DI Scienze Fisicne e MATEMATICHE . . ——— —=z7a>s"f@È6éort-<——_ . Tours . Toronto . Vienna . Bruxelles . San Quintino . Mosca .. Rouen . Ginevra . Hermannstat . S. Pètersbourg . Cristiania . Salem Nuova Haven . Melbourne . Cambridge . Apt . Boston . Filadelfia . Trieste . Parigi . +. Londra . Montpellier . Ungheria . Harlem . Bruxelles ea n o PR ATI PROEMTO (Conto reso de’ lavori dell’anno 1874) Una circostanza singolare che accresce il pregio della nostra Accademia è l'avere sua sede in questa nobile Casa ; la quale a vanto ci accoglie, da che più ne splende, quasi non dissi, per fama e per bellezza. Colà i nostri autori, colà si adunarono la prima volta in quella Regia ove apparve la prima Monarchia ereditaria d’Italia, e’ successori, al soccorrere di tante varie vicende, ora nelle aule dei Vescovi, ora ne’ palagi de’ Baroni, uomini eglino dotti e fautori dei dotti ; insino a che dalle stanze dell’ultimo dove era loro avvenuto di riunirsi, quì gli amministratori della Città caramente li chiama- rono, e’ Pandolfina e’ Castelnovo e’ Lampedusa, l’uno con l’altro bene cumulando ; tal che alla fine solo ad essa potesse essere dato di stare, quando tutte le altre erano cadute, nè più erano risorte. L’Accademia e la Città formarono indi un insieme, di varia e vaga luce amicamente insertandosi; e, dirò le parole testè scritte da Augusto Conti rendendoci grazie di averlo fatto de’ nostri: « come « Palermo è tra le prime città d’ Italia , così l'Accademia Palermi- «tana è tra le prime Accademie del bel paese. » La letizia di tanta gloria è alimentata dagli stedîì, ne’ quali di continuo ci occupiamo; da quelli segnatamente nei quali nel caduto anno ci occupammo. Ogni cosa in esso ebbe sembiante di non sappiam quale altero e insieme giulivo. Fummo lieti ricordando il pregio avutoci nell’anno D ch’era andato; lo fummo celebrando il sesto centenario, di colui, la cui anima l’Alighieri con bella antonomasia chiamò vita, di lui angelo delle scuole di volo tutto sublime; e celebrando il quinto centenario del più gran lirico moderno, che la lingua del sì locò su ferma base, e’ studì antichi e la filosofia levò in alto grado. Animati da tale sentimento movevano di qua i nostri, lungo il corso dell’ anno; l’uno a rappresentarci in Padova ed in Arquà al famoso centenario , unico Siciliano che sia ivi convenuto , l’altro a rappresentarci in saloni ggiore negli onori resi al ti E poichè gli studj astronomici sono degli studj scientifici i più coltivati fra noi, e la Specola e l'Accademia sì tra loro si amano e si riflet- tono, vedemmo noi tocco d’ eguale sentimento il nostro socio Tac- chini quando testè fu sollecito di venirci a recare le ultime sue pub- blicazioni, prima d’andar sino in India per essere con gli altri dotti ad osservare il passaggio di Venere innanzi al sole: fenomeno impor- tantissimo, che vale a determinare finalmente la distanza della terra dal « Ministro Maggior della Natura. » E ’1 precedente al seguente anno providamente comunicandosi, die’ il 1874 al 1875, che, all’ impulso del Ministro della Pubblica Istru- zione, unissero ancora eglino i nostri soc] le loro forze a quelle de’ socj dell'Assemblea geografica d’Italia, in occasione dell’esposizione geo- grafica di Francia; e che dovessero partecipare alla pompa del divino Michelangelo in Firenze, ed a quella del grande Ariosto in Ferrara, ed all’altra in ultimo del padre della nostra prosa in Certaldo. Lasciate dunque , o rinomati Colleghi, che io, con cuore per tutto ciò del pari lieto , scegliendo fior da fiore, vi riferisca i più cospicui lavori dell’anno che or ci volse le spalle, li quali porgeranno il passo ai lavori dell’anno ch’ora ci viene incontro, tendendo tutti a tenere in alto il bene avvisato nostro nome. 5 Assiduo il socio Cavallari al nobile suo ufficio ci parlò in bel modo degli scavi da lui fatti in Selinunte, del nuovo tempio espia- torio d’ingresso alla necropoli greca di Maricalunga all’ Occidente del Selynos, esempio unico sinora conosciuto nell’archeologia greca e ci parlò delle altre nuove cose trovate, e delle monete particolari che porgono lume alla storia delle nostri arti e della nostra civiltà. Quindi il socio Galati ci erudì illustrando varj oggetti archeologici 3 inediti e non ancora spiegati; taluni a noi appartenenti : un musaico romano ritrovato nel territorio di Carini; un quinario romano ed un terzo di soldo aureo di Costantino Barbato; alcune iscrizioni antiche ritrovate in Cervia, e tre argille greco-sicule, con apposite tavole che della pubblicazione accrescono il valore. Nè a ciò contento comunicò in seguito all'Accademia la scoperta d’un altro musaico in Carini, il cui esame sarà poi eseguito: mentre altri lavori archeologici con affetto ci promette, egli che sì ci presiede, e in ogni guisa ci giova. Dopo di loro il socio Basile, che ci avea in sulle prime ragio- nato sull’origine de’ tempi dorico-siculi rimandata ad epoca anteriore alla venuta delle colonie greche nell’ Isola, ci seppe in ultimo abil- mente ragionare dell’antico edifizio in piazza Vittoria. Ne segnò la età, ne propose i supplimenti, ne indagò con giusta critica lo scopo; rinnovando ancora il voto, che i preziosi resti di là tolgansi e altrove sì conservino. E col culto delle arti fu il culto delle lettere , entrambe gioja della vita e suo valido sostegno. Alla nostra festa pel centenario del Petrarca il socio Segretario Generale esaltò la grandezza d’ animo del Poeta, con raro esempio d’affetto, che pure, in qualunque modo, dovrebbe essere frequente. In appresso il socio Pitrè lesse sulle tradizioni della novella in Sicilia. Erudite ricerche oggi tanto in onore, da lui felieemente ese- guite in questa terra dov’esse recano abbondevol messe, perchè terra di un popolo di vivo sentire e di mente tenacissima, che tali eser- citazioni pianamente avvantaggiano. E colle produzioni lette le pro- duzioni divulgate, e a noi offerte dal Cusa, dal Di Giovanni, dall’Ami- co, dal Vaccaro giovarono tutte variamente al pregio delle classe che s’ occupa nel bello. A metterci in più vaghezza s’udirono l’una e Palira volta versi greci e latini, ed ancora italiani; del Galati, del Vaglica, del Montalbano, dell’Amico, del Beaumont, del Pardi, della Ramondetta di San Mar- tino. Questa nota soave della nostra Accademia, che ella mai non irascuri, come altre Accademie d’oltremonti non trascurano, echeggiò per tal modo lo scorso anno nel rimanente d’Italia, che il Tomma- seo vi rispose diviatamente con le lodi: «per essa (così egli scrisse), « dimostrasi la Sicilia disposta a continuare ed ampliare le arti che « sono sua gloria, e rivendicare all’Italia l’onore degli stud} eleganti Li « che per tradizione e per istinto è sua eredità. » Oltre il di lui sepolcro cò risuonano nell’animo queste lodi; ed ora che le classiche lettere al di là de’ monti con gran cura si tengono, anzi sì usano, sino a recitarsi sui teatri le composizioni de’ Greci e de’ Latini, è debito riconoscere questo nostro vero Vestibolo di rispetto degnissimo , . dove con tanto zelo conserviamo il sacro foco, spegnendosi il quale gli uomini decadono. La classe di scienze morali ci emulò prodemente. Il socio Carini nella solenne tornata pel centenario dello Aquinate, fece suo argo- mento il merito dell’alto Dottore e la gloria venutane all'Italia con fama e reverenza di tutto il mondo incivilito; sì che il socio Lanza potè quivi soggiungere, levandoci in meraviglia, che la testa preziosa di lui che aveva raccolto tanto tesoro d’ idee , in Tolosa dove ha luogo, non sia stata già distrutta nel 1789 insieme alle altre cose più sacre, sol per la possa d’un gran nome che sino attutò la più rea furia d’abisso. Il socio Di Menza ritornando dal campo col premio de’ vincitori quando combattè chi d’ oltre monti ci aveva calunniato, mosse quì con più animo contro colui che aveva tolto la lealtà dal duello. Disse che sarebbe il più gran bene della Società se di mezzo a lei il duello si sbandisse; ma disse che, sino a che ciò finalmente non si ottenga, si eseguisca ‘almeno il duello ne’ termini di lealtà, affinchè questo avanzo del medio evo non si muti in assassinio. Il socio Maggiore-Perni presentò all’Accademia un lavoro dili- gente su’ movimenti statistici di Palermo dal 1861 al 1871 avvalo- rato da sani e sicuri princip). Il socio Di Giovanni lesse sugli scritti di filosofia morale del Petrarca, omaggio al grande Italiano nel suo quinto centenario, che altrimenti dato in luce abbiamo ancora apprez- zato ad onor dell’Accademico. Il socio Bruno alzò la voce al fervor delle due scuole in cui si dividono gli Economisti. Fido al tenore col quale la teoria aveva da tanto tempo professata, sì mostrò degno di essere uno dei fonda- tori della Società Adamo Smith creata a difendere la libertà nella scienza, solo per la quale può essa vivere e fiorire. L’ aveva pre- corso il socio Ferrara ; l’ un dopo l’ altro valenti a sostenere una teoria, sin dalle prime, più che in altro luogo d’ Italia, promulgata D in Sicilia per opera del Balsamo ammaestrato in Inghilterra, come rammentò il Bruno; una teoria che in questa Accademia era stata ben coltivata per opera dello Scrofani e d’altri parecchi, come sog- giunse il Di Menza; una teoria per vero che non dovrà mai essere rigettata; considerando alla fine, anco in Economia, che gli errori nell’esercizio della libertà, anco quando ve ne siano, possono correg- gersi, e che non debbono giammai fare odiare la libertà. All’ aspetto di questa nominanza in materia di scienze morali, cui consuonarono i lavori offertici da’ socj d’Ondes, la Mantia, Van- neschi, Sampolo e Saluto, cui consuonò altresì 1’ importante teoria sulla collisione delle leggi del venerando socio Cilluffo rivelata con lodevole cura e svolta con ammirevole affetto del socio Di Bartolo, ed all’eco di evviva concordi, che tutti a questo Consesso per tali stud} ritornano, si addoppia in noi la maraviglia in osservare, che uomini da senno sien potuti venire nella sentenza di coloro che le Acca- demie, più le morali, vogliono abolite. Ciò che in Grecia ed in Roma, ciò che in Italia, di poi, e via in in ogni parte, è stato per lungo cor- rere di secoli creato, mantenuto , ingrandito per {discipline d’ ogni sorta, di cui è stato sempre saldo fondamento, ciò vogliono togliere, piu per la morale, eterno vincolo della umana convivenza ? Ed ora, (ci perdoni queste parole chi è mai dall’opposto) se per l'esame delle scienze vive della natura la classe di scienze fisiche ed esatte può rifulgere nelle Accademie per la identica via di esse forze; se, leg- gendo nella piacevole forma della bellezza d’ ogni sorta e nel sorriso della natura, la classe di lettere ed arti vi può ancora rifulgere , come potrà mai mancare a rifulgervi con le leggi eterne che colti- vano la scienza del bene e’ suoi immutabili effetti, la classe che nelle Accademie l’esercita e le illustra ? Questo ora nella nostra con propr] lavori hanno provato i Nostri. Oggi più che altro par che si desideri temperanza, che le Accademie insegnano per la efficace via della parola. Lontane dalle parti, locate naturalmente al di sopra di ciò che possa nuocere o impedire, le Accademie per ogni specie agli uomini arrecano decoro, essendo al chiaro vedere , al retto sentire ineffabile conforto. Lo intende oggi l’Italia, più che già non l’abbia inteso, e l’ Accademie vi fioriscono, più che non sieno fiorite; e là nella Città dei Sette Colli, essendone a capo Terenzio Mamiani che oggi nominiamo nostro Socio, oggi una eletta di \valentuomini ride- 6 sta in nuove sedi lo spirito di quel sommo, che diede il nome onde s’ appellano questi dotti Convegni. E l’esaminare e lo scrutare animando lo spirito degli Accade- mici nella classe di scienze naturali ed esatte, udimmo lungo l’andato anno la gagliarda voce del socio Guaita intorno all’Ippica Siciliana, correndo i tempi dopo ì favolosi. Il quale si mostrò ognor più affet- tuoso della prisca storia dell’Isola, sì che ci lasciò nel desiderio di conoscere le altre parti dell’erudito suo libro. Dopo di che il socio Tac- chini ci comunicò le sue osservazioni, e quelle del socio Secchi, contro la teoria ciclonica del Faye presidente della Società Astronomica di Parigi intorno alla formazione delle macchie del sole; e di più i suoi calcoli sull’aerolite di luglio 1874. E 1 socio Gemmellaro a cui già demmo di fare le osservazioni paleontologiche sovra alcuni oggetti discopertisi in Carini, comunicò i suoi studj sul peltoceras transversarium delle provincie di Palermo e di Trapani; specie che offre novità e rarità, aumento nella scienza, della quale il nostro socio è assai benemerito. E "1 socio Inzenga , indefesso alle meditazioni agronomiche ci porse un caso raro di trasformazione vegetale, e ’1 socio Montero- sato, dopo i primi suoi saggi sulle conchiglie del Mediterraneo, dopo le accoglienze ancora fattegliene da’ più savj uomini d'Europa, già è sollecito a porgercene una nuova rivista; cui terran dietro altri studj sul catalogo delle conchiglie di Montepellegrino e Ficarazzi viventi nel Mediterraneo che per le nuove scoperte, e per più esatte iden- tificazioni riesciranno importanti. Si aggiungono a maggior pregio i doni scientifici di Ross, di Liaiz, di Agassiz, di Colbeau, di Cava- lier, di Tommasi ; e di Paternò e di Rizzoli e di Corbelli e di De Bosis, e di Melena e di Secchi, e di altri molti; che tutti mostrar- veli sarebbe assai difficile. | Il qual vanto de’ lavori della classe di scienze naturali ed esatte, mi porta a farvi guardare ancora con maggiore alterezza questo nostro quarto volume degli Atti grave di eccellenti memorie d’ogni classe, ricco di belle tavole; con molto di nuovo e d’importante, quale da un’ Accademia si aspetta, quale i sapienti, e italiani e stranieri hanno già ritrovato, proclamando concordi che la Sicilia alle an- tiche glorie bene aggiunge le nuove. 7, E dopo l'ammirazione de’ nostri multiplici travagli viene il mesto ricordo di coloro de’ nostri che nell’ anno scorso trapassarono. Ci attristammo per la morte del buon Monsignor Bagnara e per quella dell’antico avvocato Criscenti; come in ultimo con molto affanno per la morte dell’egregia Elisa Ziliotti da Padova di lodevole ingegno , ammirevole per eletta dote di civile e morale costume, posta qui a reggere uno de’ più ragguardevoli istituti , il cui governo è diretto da due de’ nostri con lode. Insieme a che di là dai mari e dai monti venne suono di dolore all'Accademia amarissimo. Si spensero il Conte Gustavo La Doulcette de Pontcoulant, e il Prof. Casimiro Comte in Francia, si spense il celebre Adolfo Quetelet nel Belgio , il cui richiamo quì fece il socio Brolo. E ci dolse insino all’ anima il veder togliersi per morte dal nostro albo Nicolò Tommaseo e Fran- cesco Guizot. L’uno savio critico, più che per origine, italiano per cuore, poeta, e prosatore eccellente, cui il carico degli anni e delle sventure non fransero | anima vigorosa, che tutta sino all'ultimo versò in dotte pagine. L’altro uomo di stato famoso, pubblicista sa- pientissimo, la cui storia della civiltà tn Europa è uno dei libri più insigni che sieno stati pubblicati in nostra età. Poi ritornando alla letizia mi sia permesso di terminare la mia narrazione con un carissimo ricordo. Oggi fa un secolo, o Soci] Illustri, che Giovanni Meli il più grande poeta di Sicilia , uno dei più grandi poeti di tutta l’Italia, oggi fa un secolo, leggeva quì ai nostri antecessori la lirica e la buccolica che sono i migliori suoi canti. Nato egli nel 1740, entrato nel 1770 nella nostra Accademia eretta a fugare i vizj di Arcadia, meditando noi attentamente sul corso della sua vita, lo veggiamo con l occhio della mente discen- dere quì dalle campagne di Cinisi, dove, medico de’ Casinesi , era solito dimorarsi , ed in quegli anni bear quest’ aure de’ modi tutti grazia che lo fecero ovunque riconoscere un altro Teocrito ed un altro Anacreonte. In questa Accademia , in questa sala, egli cantò la primavera e l'estate, e gli occhi, e ’1 labro di vaga fanciulla , e la sventura e la morte di Palemone. La lingua siciliana, la prima forma del parlar materno, fu dal nostro Socio resa gentilissima, e dal continente d’Italia, come che allora in tanta scarsezza di commerc], e da tutta l'Europa, gli fa un grido unanime d’applausi, che non potrà mai cessare. NUOVA RIVISTA DELLE CONCHIGLIE MEDITERRANEE MEMORIA DEL SOCIO MARCHESE DI MONTEROSATO Letta nella tornata del 24 gennaro 1875 Nuove osservazioni e nuove scoperte mi hanno indotto a pubblicare un più corretto e completo catalogo delle conchiglie Mediterranee, che, riformato ed ac- cresciuto potrà dare ai conchiologhi una buona idea del numero delle specie e delle varietà di esse sin’ ora trovate nei nostri mari. Nessun altro lavoro di questo genere racchiude un tal numero di specie e di varietà. Queste ultime hanno anch’ esse il loro posto nella creazione. __ Il numero relativamente considerevole delle novità conchiologiche ottenute nelle grandi profondità di alcuni punti del nostro bacino e con sì limitate ri- cerche, tanto dai nostri che degli esteri naturalisti, chiaramente dimostra quante altre forme a noi sconosciute ci restino forse ancora da scoprire e da registrare nei cataloghi allorchè il Mediterraneo sarà intieramente esplorato dal punto di Vista malacologico. Quanti e quanti altri fatti non potranno mutare le teorìe ri- petute volte esposte ed accettate sulle regioni, sulle zone, sulle correnti ed an- che sui terreni di terziaria formazione? È oramai riconosciuto che una gran parte delle conchiglie plioceniche viva tutt'ora nei nostri mari; ma nello studio comparativo di una immensa quantità di questi fossili con le conchiglie attual- mente viventi nei mari d’Buropa, ho appreso, che sovente le apprestate identi- ficazioni sono un piége o una mistificazione per gl’inesperti cultori della nostra 9 NUOVA RIVISTA fauna. Non si è mai abbastanza circospetti nel ravvicinare due animali di luogo e di epoca differente, quantunque una specie possa estendere il suo habita? sino a regioni da noi lontane e che le conchiglie terziarie abbiano saputo sopravvi- vere alle parziali trasformazioni del fondo del mare ed ai sollevamenti del no- stro suolo. Argomenti in favore della uniforme distribuzione geografica dei molluschi nei mari d'Europa, ci vengono tutti i giorni apprestati dalle scoperte di animali dello Spitzberg e delle Canarie—due punti estremi della regione artica e della regione lusitanica—i quali vivono riuniti nel Mediterraneo sebbene ripartiti in differenti zone. Le zone poco profonde offrono poco uniformità. La zona subter- restre (1) e la zona littorale, che sono state diligentemente esplorate in tutte le nostre coste, offrono minore uguaglianza nelle diverse regioni, perchè risentono di più l’ influsso del clima ed hanno i loro particolari abitatori. La zona lami- nare produce un insieme di specie che partecipa di tutte le zone, ma ogni spe- cie presenta delle peculiari varietà ed è spesso ornata dei più vivi colori. I mol- luschi di questa zona vanno soggetti alle volte a periodiche disparizioni. Noi mon conosciamo la causa di questo fenomeno. La zona coralligena è ben defi- nita ed ha specie ad essa caratteristiche. Le sue conchiglie sono lucide o forte- mente scolpite e spesso prive di colorito. La zona degli abissi è uniforme in tutte le nostre latitudini ed i molluschi vi sono ugualmente diffusi. La tempe- ratura delle acque e la pressione batimetrica producono animali per lo più pic- coli, i quali s’internano nel fango o ricoprono il letto del mare. Alcami rimon- tano alla superficie delle acque dove galleggiano in qualche definita stagione ed in certe ore del giorno. La maggior parte abita costantemente il fondo e varie specie sono provviste di grandi occhi. La supposta rarità delle specie dipende dal più o meno di possibilità che noi abbiamo di penetrare nei loro antri, dove al certo sono abbondantemente sviluppate. I molluschi, in generale, sono assai prolifici. La fecondità sembra maggiore in quegli esseri che hanno una organizzazione meno complicata, e nella scala del regno animale diminuisce a misura che questi esseri si vanno perfe- zionando. Nei molluschi nei quali l’ organizzazione è più semplice la fecondità raggiunge il massimo grado, e l’uomo, ch’è il più perfetto degli animali, è uno dei meno prolifici e va soggetto a innumerevoli disordini nella sua economia. Qualche specie di mollusco bivalve dà annualmente più rampolli di quanto è composta l’intiera popolazione della Sicilia. To sono in effetto perfettamente convinto che in qualsiasi punto del Medi- terraneo e dell’ Adriatico ad una data profondità saranno trovate le medesime (1) Nuova appellazione usata da Mr. Vaillant per designare 1’ area che comprende i molluschi marini, che vivono fuori dell’acqua o che sono soltanto bagnati dalla maréa e dalle onde. DELLE CONCHIGLIE MEDITERRANEE 3) specie, le quali alla loro volta si estendono senza interruzione sino alle regioni settentrionali dei mari Europei. Tutte le recenti osservazioni tendono a confer- mare questa ipotesi, onde non è senza una ferma convinzione che io prevedo la presenza di alcune specie Atlantiche qui non ancora trovate e che non fo espressamente menzione delle località speciali di quelle specie, che reputo gene- ralmente sparse da un punto all’altro del Mediterraneo ed in tutte le direzioni. Alcune delle nostre specie sono circumpolari. Poche, pochissime sono quelle lo- calizzate, e queste stesse diventano in minor numero per le ricerche già prati- cate. Il Cardium hians, ch'è creduto un abitatore di un sol punto delle coste Algerine, è stato recentemente dragato nel golfo di Napoli con l’ animale a 30 metri di profondità. Si potrà dunque conchiudere, che la nostra fauna non è del tutto cono- sciuta e che non è ancor tempo di dare alla luce una grande e costosa pubbli- cazione — oramai divenuta necessaria —la quale poco dopo la sua comparsa di- venti insufficiente e monca delle notizie le più importanti. Per raggiungere que- sto scopo e per riunire tutti i dati necessarii per la eompilazione di un sì grande lavoro è indispensabile il concorso di tutti i naturalisti ehe occupano un’ alto posto nella scienza e che nutrono per essa un vero e spassionato culto. Ma pur troppo un perfetto accordo non esiste fra gli stessi ed è assai deplorabile che uno spirito di scissura soffii talvolta ad animare meschine emulazioni e gare in- dividuali, là dove non dovrebbe prevalere rivalità di uomini o di cose Ma sapienza e amore e virtute. Delle specie e varietà incluse nel seguente catalogo quattro soltanto non sono state da me verificate e queste sono: Trochus pygmaus, T. pumilio, Mo- nodonta glomus, e Chemmitzia obliquata, tutte specie Philippiane non più ri- trovate. Il 7. pygmaus, secondo il suo autore, non è perlaceo. Il 7. pimilio annunziato nel catalogo di Aradas e Benoit, è il 7. Drepanensis di Brugnone, una piccola ed ombelicata specie delle coste di Sicilia e di Algeria. Il 7. pumi- lio di Philippi è più grande, non è ombelicato ed appartiene ad altro tipo. Il T. pumilio di Sauvage e Rigaux (Journ. Conchyl. 1874, p. 352), è differente ed è giurassico. Il Clanculus glomus, (Monodonta) Ph., è generalmente creduto come una varietà del C. Jussieui, ma pure fu con somma accuratezza descritto dal suo autore, il quale gli assegnò caratteri non posseduti da nessuna delle nostre tre specie di questo genere. Le aggiunzioni specifiche sono numerose. L'Accademia Palermitana di Scien- ze, Lettere ed Arti, che ha voluto accogliere questo lavoro nei suoi atti, ha di- sposto. che fosse accompagnato di una tavola dove saranno rappresentate alcune nuove forme sulle quali credo dovere attirare l’attenzione dei naturalisti. 4 i * NUOVA RIVISTA Le aggiunzioni generiche sono di qualche importanza. Nelle bivalvi abbia- mo: Phaseolus, (1) Jeffreys ms., per una piccolissima conchiglia della tribù delle Nucwlide, larga due millimetri e che rassomiglia alla, Leda (Yoldia) fri- gida. Il tipo di questo genere è una non così piccola specie, ancora indescritta, che abita le più grandi profondità dell’ Atlantico. La conformazione della cer- niera—tre denti obliqui a ciascun lato—potrà facilmente farla distinguere dalla Leda e dalla Malletia o Solenella, ch° è anche una importante e recente addi- zione alla nostra fauna. La incastratura dei denti del Phaseolus rammenta quella dell’ Arca (Cucullea?) pectunculoides e le sue cartilagini sono interne. Nel genere Malletia. al contrario il ligamento è esterno, lineare e prominente. Simile diffe- renza notasi tra i generi Limopsis e Pectuneulus e tra Crassatella ed Astarte. Una microscopica specie di Phascolus l'ho dragato a 210 metri presso Palermo. Essa è una delle più piccole bivalvi e la sua dimensione eccede appena quella della Argiope capsula, Jeffr., un estremamente piccolo Brachiopode dei mari d’ Inghilterra. Il genere Hindsia di Deshayes, è stato da poco tempo annoverato come vivente. Il Dr. Fischer sostituì a questo nome quello di Vasconia, che ho adat- tato, perchè esiste un genere Hindsia di Adams, ch'è anteriore a quello di, De- shayes e che appartiene ad un genere di gastropodi. Nesis (2), è un nome proposto da me per una conchiglia vicina alla Me- sodesina e alla Ervilia e che ha il cardine diverso di quello di ogni genere da me conosciuto. La presenza del genere Verticordia (3) nel Mediterraneo è confermata dal- l’apparizione di altre specie. Il genere Pholadomya è uno degli acquisti che dobbiamo alle investiga- zioni degl’Inglesi per l’impalso ed i mezzi apprestati dalla Royal Society di Lon- dra. Noi non possiamo vantare sin’ora nessuna nazionale società privata o sus- sidiata dal governo, che abbia per iscopo l’ avanzamento delle scienze. Valve e frammenti della Phroladonya Loveni, Jefîr., furono dragate a 1456 braccia nelle coste d’Algeria ed anche a più considerevole profondità in quelle del Portogallo. La Pholodomya era soltanto conosciuta allo stato vivente per una specie molto apprezzata delle Antille, la P. candida di Sowerby. La nostra specie è più pic- cola, ma non è meno preziosa. Forse la sua presenza nel Mediterraneo è cono- sciuta sin dal 1843, s'essa è, per come può giudicarsi dalla diagnosi, la Thra- (1) Nome da molto tempo usato in Botanica. (2) Una Ninfa; il nome pure di una piccola isola presso Napoli. (3) Verticordia, S. Wood ms. (1844)= Hippagus, Ph. [(1844, non Lea (1836) = Crenella, Brown 1827)|= Trigonulina, D’Orbigny (1846) = Pecchiolia, Meneghini (41852)= Lyonstella, Sars (1858). La Pecchiolia argentea (Chama? arietina, Brocc.), ha grande rassomiglianza pel suo cardine con alcune specie del genere Diceras. DELLE CONCHIGLIE MEDITERRANEE i 5 cia pholadomyoides di Forbes (Rep. Egean invert. p. 191); ed esisteva con cer- tezza allorquando furono deposti gli strati più recenti del pliocene, avendone io. stesso trovato una non completa valva nelle argille di Ficarazzi presso Pa- lermo. La P. hesterna, J.Sow.=P. candidoides, S. Wood, fossile del Crag d’In- ghilterra, è affine ma assai più grande. Le conchiglie del Mar Nero e del Mar Caspio, che sono state attribuite al genere Pholadomya possono essere riguar- date come appartenenti alla famiglia delle Cardiide e come tali le ho classificate. Le aggiunzioni generiche agli univalvi sono di minore importanza. L’ Ar- chitea del Prof. Achille Costa (più correttamente Archyt@a o. Architea), è un misto di varii generi. La sua forma è in grande quella di una MoMeria, ma l’opercolo non è di una sostanza consistente o calcarea come in questo genere, e somiglia invece a quello del Solarium. L' embrione è come nel 7rochus. Il tipo è VA. cafenulata dello stesso autore, anico esemplare a me noto, dragato all’isola di Capri. La Delphinula elegantissima di Philippi, fossile di Calabria, è congenere. Il Cyclostoma? delicatum, Ph. (Janthina delicata e forse anche J. primigenia, Seguenza) fossile di Messina, è stato con dubbio riferito da Mr. Jeffreys alla specie nominata dal Prof. Costa, ma è con certezza specificamente e genericamente distinto. Il genere Cioniscus di Jeffreys, può essere riguardato come un sottogenere di Aclis. Il carattere generico trovasi nella conformazione dell’apice, il quale è com- ‘posto di due a tre giri globulari, che hanno una scultura diversa del rimanente della conchiglia. Menippe, Joffr., è pure una sezione dli Aclis. Questo nome era stato usato per un genere di Crostacei e fu perciò sostituito dall’ autore con quello di .Pherusa. Però non bisogna confonderlo con Phedusa di H. e A. Adams, ch'è un sottogenere di Clausilia. I nomi somiglianti sono alle volte 0g- getto di confusione. MiMeria, Polia (4) ed Ervilia, tre nomi di conchifere, la prima delle (quali esotica, sono stati usati per inavvertenza o per errori tipografici in vece di Molleria, Pollia ed Ersilia, tre generi di gastropodi, il primo e l’ul- timo dei quali soltanto Europei. Nella famiglia delle Pyramidellide abbiamo anche Tiberia, nuovo nome ma- noscritto propostomi da Mr. Jeffreys in onore del Dr. Tiberi. Il tipo è la mia Pyramidella minuscula (2). La differenza attribuita da Mr. Jeffreys tra Pyra- midella e Tiberia consisterebbe nella presenza in quest’ ultima di un ombelico, carattere, che secondo lo stesso non trovasi nelle vere Pyramidelle. Il posto assegnato nella classificazione sarebbe tra la Pyramidella ed il Niso o Bonellia. Tanto il carattere che il posto furono indicati a Mr. Jeffreys dallo stesso Dr. Tiberi sul terreno malacologico. Ma quantunque io provi una grande esitazione (1) Polia, D’Orb.= Ceratisolen, Forbes. Polia, Delle Chiaje, è un genere di Anellidi. (2) Ved. Journ. Conchyl. 1874, p. 263. i NOLA? NSA de n E Pe di VS ME DIRT E RR ARI E Ln A o E 7 -' VETTOORIOE NT a ERO IA I LETTI PAIR RI RICREA DIE DORTI APNEA 6 NUOVA RIVISTA nel non voler concordare con le vedute di questi miei maestri nella scienza, pure non posso fare a meno di rammentar loro che alcune tropicali specie di Pyramidella o di Obeliscus, sono provvedute di ombelico. Simili esempii si tro- vano in ognuna delle sezioni del genere Odostomia. L’Aclis ascaris e VA. su- pranitida, che senza dubbio appartengono allo stesso genere, sono distinguibili l’una dall’ altra principalmente pel carattere dell’ ombelico, ch'è mancante nella prima delle due cennate specie, mentre è assai sviluppato nella seconda. Essendo tuttavia dolente di non potermi associare alla idea dei due nominati scrittori e volendo pur sottoscrivermi ad un giusto omaggio pel Dr. Tiberi, io voglio sem- plicemente riguardare il nuovo ed inedito genere 7iberîia come una sezione di Pyramidella, nella quale potranno essere incluse tutte quelle specie viventi o fossili, nostre od esotiche che sono fornite di un ombelico. Il genere Odostomia è stato da me ugualmente suddiviso per facilitarne le ricerche ad esempio di molti scrittori, ma io confesso che tale metodo è pura- mente artificiale e mostra vieppiù come la natura rifiuti di adattarsi ai nostri sistemi. La riunione di tutti i gruppi del genere Odosfomia sotto un sol nome sembrerà tanto più naturale se si estenderanno le nostre osservazioni all’ ani- male costruttore della conchiglia, nell’esame del quale troveremo un importante e costante carattere. Clark, uno dei più esperti anatomisti, ha osservato, che l’apice capovolto della conchiglia e il dente alla columella , producono invaria- bilmente un animale con occhi immersi nel centro della base dei tentacoli, o più usualmente nell’ angolo interno di essi. Ora, le Odostomie, che sono tutte heterostrophe e che hanno un dente più o meno sviluppato alla columella, mo- strano tutte la medesima tendenza nella posizione degli occhi dei loro animali. Io non so se questa osservazione potrà adattarsi a tutti quei generi che pos- siedono uno dei due succennati caratteri. ma nel presente caso è un argomento di più per non permettere di tirare una vera linea di separazione fra Odosto- mia e Turbonilla e fra questa ed Eulimella. Io potrei ancora discutere sulla importanza di taluni generi e sulla poca utilità di varii altri, ma il seguente catalogo, suppongo, ch’ esprimerà sufficien- temente il mio giudizio su tutte le quistioni generiche che ci riguardano e quindi senz’ altro conchiudo ringraziando a nome della scienza tutti i conchio- loghi che mi hanno giovato dei loro consigli nella formazione di questo mio in- trapreso lavoro. D DO - Di CA. TELOGO DELLE CONCHIGLIE MEDITERRANEE BRACHIOPODA . Terebratula vitrea, Born (Anomia) e var. minor=T. affinis, Cale. G.(4) AU . T. (Terebratulina) caput-serpentis, Lin. (Anomia). GC. Atl. e Nord-Atl. Circumpolare. Megerlia truncata, Lin. (Anomia). Monstr.=T. monstruosa, Sc. GC. AU. . Platydia anomioides, Sc.e Ph. (Orthis, A844)=? T. appressa, Forbes (1843). C. Atl. e Nord-Atl. Monst.=Morrisia Davidsoni, Eud. Des!ong.(1865). C. At. Argiope decollata, Chemn. (Anomia)=T. urna-antiqua e T. cardita, Risso. L.G. Atl. e Nord-Atl. . A. cuneata, Risso (Terebratula) e var. albicolor. L.G. AU. . A. Neapolitana, Sc. (Terebratula, A833)=? T. cordata, Risso (1826). L.C. . A. lunifera, Ph. (Terebratula)=T. cistellula, S. Wood. GG. AtL e Nord-Atl. . Thecidium Mediterraneum, Risso=Thecidea? Spondylea, Sc. G. At? 10. Crania anomala, Miller (Patella)=Anomia turbinata, Poli=C. ringens, e C. rostrata, Honing. G. Atl. e Nord-Atl. (4) Abbreviazioni: —S, zona subterrestre; Lt, zona littorale; L, zona laminare; C, zona coralli- gena; A, zona degli abissi. At1., Atlantico, dalle Canarie, Madéra e le Azzorre sino alle coste meridio- nali d’Inghilterra e quelle della Irlanda; Nord-Atl., Nord-Atlantico o la regione boreale e parte della regione artica. UE 12. 8 i NUOVA RIVISTA . CONCHIFERA Anomia ephippium, Lin. Var. squamula, var. aculeata ed altre varietà de- scritte da Philippi. Lt.L.CG.A. Atl e Nord-Atl. i A. patelliformis, Lin. Lt. Var.=? A. orbiculata, Brocc.=A. striata, Lovén (non Brocc.). L.C.. Atl e Nord-Atl. i . Ostrea edulis, Lin.=0. cristata, Born.=0. lamellosa, (Brocc.) auct.=0. Cyr- nusî, Payr. Juv.= 0. depressa, Ph. Var.=0. hippopus, Lamk. Lt.L. Atl. e Nord-Atl. | . 0. plicata, Chemn.=0. stentina, Payr. Lt. Atl. . 0. cochlear, Poli e albinismo. L.C.A. Atl. e Nord-Atl. . Spondylus gederopus, Lin. Var. aculeata e var. inermis. Lt.L.C. Atl. . S. Gussoni, 0.G. Costa. C. Atl. PA . Pecten pusio, Lin. (Ostrea)= 0. multistriata, Poli e var. Lt.L.C. Atl. e Nord-Atl. . P. varius, Lin. (Ostrea) e var. Lt.L.. Atl e Nord-Atl. . P. opercularis, Lin. (Ostrea) e var.=0. sanguinea, Poli= P. Audouinii, Payr. L.G. Atl e Nord-Atl. . P. glaber, Lin. (Ostrea). Var.=P. sulcatus, Lamk. (non Born) e altre va- Mero Ibid VAI . P. pes-felis, Lin. (Ostrea). L.G. Atl . P. inflerus, Poli (Ostrea)=P. adspersus, Lamk.=P. Dumasti, Payr. Var. e monstr. L.G.A.. Atl. e Nord-Atl. . P. flexruosus, Poli (Ostrea)=P. ORO phus, Bronn. Var. e monstr. bis- infleca. L.C. Atl. . P. Bruei, Payr.= P. leptogaster, Brus. G. Atl? Nord-Atl (Jeffreys, col nome di P. aratus, Gm.). . P. Philippii, Récluz=P. gibbus, auct. (non Lin.)=? Ostrea dubia, Brocc.= P. scabrellus, Lamk. L.G. Atl. . P. hyalinus, Poli (Ostrea). Var.4, succinea. Var.2, costata ed altre nu- merose varietà. L.C. . P. striatus, Muller= P. rimulosus, Ph. G. Atl. e Nord-Atl. ‘ . P. Hoskynsì, Forbes = P. fimbriatus, Ph.= P. imbrifer, Lovén. A. Mar Eséo (Forbes). Atl. e Nord-Atl. . P. vitreus, Chemn. (Pallium)=P. Gemellarii-filùi, Biondi. GC. Atl. e Nord- Al. Var. abyssorum. A. Palermo 210 metri! Atl e Nord-Atl . P. Testa, Bivona=P. furtivus, Lovén e var. L.C. Atl e Nord-Atl. . P. similis, Laskey=P. pullus, Gantr.=P. p SAL, auct. (non v. Miinster). L.CG.A. Atl e Nord-Atl. 33. s4. 35. 36. 31. 38. 39. 40. LA. 49. 13. 4h, 45. 16. LT. 13. 19. 50. 54. 52. 59. DELLE CONCHIGLIE MEDITERRANEE 9 Pecten (Pleuronectia) levis, Jefîir.—Rep. Brit. Assoc. London 1873, p. 112 (Pleuronectia). C. Coste di Tunisi 45 fathoms (Jeffreys). Simile al pre- cedente, ma più convesso ed internamente radiato. Differente della PI. lu- cida, Jeffr., Atl. e Golfo di Messico. P. (Pleuronectia) fenestratus, Forbes = P. inequisculptus, Tib. = P. Phi- lippîi, Acton=P. Actoni, v. Martens. La valva inferiore= P. concentricus, Forbes=P. antiquatus, Ph. L.C.A. Atl P. (Vola) maximus, Lin. (Ostrea). L. Algeria, Corsica e coste di Pro- venza. Atl. e Nord-Atl. P. (Vola) Jacoba@us, Lin. (Ostrea) e var. L. AtL Lima squamosa, Lamk. Lt. Atl. L. inflata, Chemn. (Pecten). Lt.L. At. L. hians, Gm. (Ostrea) var. tenera. L. Atl. e Nord-Atl. L. Loscombii, G.B.Sow.=L. bullata, (Turton) Ph.=L. clausa, Dan. e Sand. L.C.A. Atl. e Nord-Atl. L. (Limea) elliptica, Jeffr. L.C. Atl. e Nord-Atl. L. (Limea) subauriculata, Montagu (Pecten)=L. (Limatula) clongata, For- bes. L.G. Atl e Nord-Atl. L. (Limea) subovata, Jeffr. ms. G.A. Palermo 90-210 metri! Atl.—Az- zorre 1000 f. (Jeffreys). Prossima alla Lima ovata, S. Wood, fossile del Crag e di M.° Mario, ma assai più fragile, tre o quattro volte più grande ed ornata di segni concentrici di accrescimento. L. (Limea) crassa, Forbes= Limea Sarsii, Lovén. C.A. Atl. e Nord-Atl. Avicula Tarentina, Lam.= Mytilus hirundo, Lin. pars. L.G. Atl. e Nord-Atl. | Pinna nobilis, Lin.=P. muricata, Poli. Juv.=P. vitrea, auct. Lt. P. pernula, Chemn.=P. Philippii, Maravigna. Lt. AU P. rudis, (Lin.) Jeffr.=P. Gemellarii, Marav. Var. 4, = P. pectinata, Ph. (non Lin.)=P. Aradasîi, Marav. Var. 2,=P. truncata, Ph.=P. Philippti, Arad. (non Marav.). Monstr.=P. Joenia, Arad. L. Atl. e Nord-Atl. Mytilus edulis, Lin. Var.4,=M. Galloprovincialis, Lamk. Var. 2,=M. Slavus, Poli. Var. 3,=M. pellucidus, Pennant. Var. 4,=M. hesperianus, Lamk. ed altre locali varietà. Lt. Atl. e Nord-Atl. M. pictus, Born. Lt. Malta (Mamo, /ide Garuana); coste di Spagna (M’An- drew); Algeria (Weinkauff). Atl. M. minimus, Poli e var. S. Atl. (Fischer). M. lineatus, Gm.=M. crispus. Cantr.=M. Baldi, Brus. Lt. Var. minor- solida. S. Coste di Provenza (Martin); Palermo! MU. (Modiola) barbatus, Lin. e var. Lt. Atl. e Nord-Atl. 2 65. 64. 10 NUOVA RIVISTA” 54. Mytilus (Modiola) phaseolinus, Ph. (Modiola)= Modiola levis, Dan. e Sand. L.C. Atl. e Nord-Atl. i . M. (Modiola) Adriaticus, Lamk. (Modiola)=Mytilus Cavolini, Se. L. Atl e Nord-Atl. . M. (Modiola) incurvatus, Jeffr.=? Modiola incurvata, Ph. A. Coste d’Al- geria 152, f. (Jeffreys). . (4) M.(Dacrydium) vitreus, (Modiola?) (Holbòll) Moller=Modiola pygmea, , Ph.=Dacrydium vitreum, Torell. A. Mediterraneo? Atl. e Nord-Atl. . M. (Dacrydiuwm) hyalinus, Monterosato. L.C.A. Palermo e altri punti del Mediterraneo; riunito sin’ ora col precedente, dal quale differisce per la dimensione e per la forma. Atl? . Lithodomus lithophagus, Lin. (Mytilus). Lt. . L. caudigerus, Lamk. (Modiola). Lt. Malta (Garuana); Algeria (Weinkauff, come L. aristatus). At]. . Modiolaria marmorata, Forbes (Mytilus)= Modiola Poliana, Ph. L.A. Atl. e Nord-Atl. . M. costulata, Risso (Modiolus) = Modiolus subpictus, Cantr. Lt.L. Atl. e Nord-Atl. . M. agglutinans, Cantr. (Modiolus) =Modiola vestita, Ph.=M. abscondita, Arad.=M. zizyphina, Caruana. Lt.L. Algeria (Weinkauff ed altri); Malta (Cantraine, Philippi ed altri); Alessandria (Gaudion); Adriatico (Rigacci). M. Petagne, Sc. (Mytilus)=Modiolus barbatellus, Cantr. Lt. Atl M. subclavata, Libassi—Mem. conch. foss. Palermo 1859, p. 13. f. 7 (Mo- diola)= Modiola gibberula, Cailliaud (1865). Lt.L. Coste di Provenza (Martin); Palermo (Brugnone). Atl.— Baja di Bilbao (Fischer); Pouliguen (Cailliaud); Canarie (M’Andrew); Madéra (Watson). Arcinella sandalina, Doderlein, foss. . Crenella rhombea, Berkeley (Modiola). L.C. Atl . C. arenaria, Martin ms. (Modiola). L.A. Coste di Provenza (Martin); Pa- lermo e S. Vito 90-120 m! . Nucula sulcata, Bronn.=N. Poliî, Ph. CG.A. Atl. e Nord-Atl. . N. nucleus, Lin. (Arca) e var. Lt.L.C. Atl. e Nord-Atl. . N. nitida, G.B.Sow. L.CG.A. AL e Nord-Atl. . N. tumidula, Malm = N. pumila, Lovén ms. A. Coste d’ Algeria 1456 £. (Jeflreys); Palermo 210 m! Atl. e Nord-Atl. . N. tenvis, Montagu (Arca). CG.A. Atl. e Nord-Atl. Var.=MN. decipiens, (4) Le specie che non portano numero progressivo non sono state ancora trovate nel Mediter- raneo, ma s’indica la loro presenza come probabile. 90. 91h DELLE CONCHIGLIE MEDITERRANEE 161 -Ph.=N. convexa, Jeffr. C.A. Coste d’Algeria 40-1456 :£. (Jeffreys); Pa- lermo 2140 m! . Leda pella, Lin. (Arca). L.G. Atl . L. commutata, Ph. (Nucula, 1844)=? Lembulus deltoideus, Risso (1826). L.G. Atl . L. acuminata, Jeffr.=L. Messanensis, Seguenza ms. A. Med. 340 f. (Jef- freys). Atl e Nord-Atl. . L. (Yoldia) tenuis, Ph. (Nucula) = L. pygmea, auct. (non v. Miinster). E A. At e Nord-Atl. L. (Yoldia) producta, Monterosato=? Y. abyssicola, Torelll A. Palermo 210 m! Nord-Atl? L. (Yoldia) lucida, Lovén (Yoldia). A. Coste d’Algeria 1456 f. (Jeffreys); : Palermo 210 m! Atl. e Nord-Atl. Differente della Nucula pellucida, Ph., ri quale è stata riferita. L. (Yoldia) frigida, Torell (Yoldia)=Y. nana, Sars. A. Palermo 240 m., abbondante e sviluppata! At... e Nord-Atl. . L. (Yoldia) oblonga, Jeffr.—Rep. Brit. Assoc. 1873. p. 112. A. Coste d’AL geria 1456 f. (Jeffreys). . L.(Yoldia) subrotunda, Jeffr.—Rep. Brit. Assoc. 1873, p. 112. A. Coste d’Algeria 1415 f. (Jeffreys). Forma rotonda, singolarissima. . L. (Yoldia) microscopica, Jeffr. ms. A. Palermo 240 m! AtlL—Baja di Biscaglia (Jeffreys). . Phascolus ovatus, Jeffr. ms. A. Palermo 240 m! Atl (Jeflreys). . P. tumidulus, Monterosato nov. sp. A. Palermo 2410 ml . Malletia cuncata, Jeffr.— Rep. Brit. Assoc. 1873, p. 112 (Solenella). A. Coste d’Algeria 1415 f. (Jeffreys). . M. obtusa, Sars—On some remarq. ecc. Cristiania 1872, t. 3, f. 41- 20 (Yol- dia). A. Med? Atl e Nord-Atl. . Pectunceulus glycimeris, Lin. (Arca). Juv.=P. punctatus, Gale. L.G. AU e Nord-Atl. . P. pilosus, Lin. (Arca). Juv. Loy lineatus, Ph. L.G. Atl . P. violacescens, Lamk. Lt.L. (Aut. . Limopsis anomala, Eichw. (Pectunculus)=P. pygma@eus, Ph. (non v. Min- ster). GC. Corsica (Jeffreys). . L. aurita, Brocc. (Arca). A. Banco dell’ Avventura 92 f. (Jeffreys); Pa- lermo 210 m! Atl. e Nord-Atl. . L. minuta, Ph. (Pectunculus)=L. borealis, Woodw. ms. A. Med? Atl e Nord-Atl. Arca Noe, Lin. Lt. Au. A. tetragona, Poli e var: L. Atl e Nord-Atl. "ha £, A NG dic Ad "a VE RETIO 19 NUOVA RIVISTA 92. Arca barbata, Lin. Lt. Atl. 93. A. Polii, Mayer — Cat. syst. foss. tert. Zurich 1868, p. 75 =A. antiquata, auct. (non Lin.)=A. diluvii, auct. (non Lamk.). Var. grandis. GC. Monstr. =A. Weinkaujfi, Crosse sec. Tiberi. L.G. Atl 94. A. lactea, Lin. e var. Lt.L. Atl. e Nord-Atl. 95. A. clathrata, Defr. (1846)=A. imbricata, Poli (1791-95) non Bruguière (47789) e var. (Ci Atl. 96. A. scabra, Poli=A. nodulosa, (Miller) Jeffr. C. Atl. e Nord-Atl. 97. A. obliqua, Ph. (non Reeve) = A. Korenii, Danielssen. C.A. Atl e Nord-Atl. 98. A. (Cucullea?) pectunculoides, Sc. L.C.A. Atl. Var. septentrionalis; più grande ed obliqua—cfr. Brit. Conch. V, t. 30, f.3. A. Palermo 240 m! Atl. e Nord-Atl. 99. Galeomma Turtoni, Sow. Lt. Atl. 100. Solemya togata, Poli (Tellina)=S. Mediterranea, Lamk. e var. minor= S. velum, Say=S. borealis, Totten. L. Atl. Nord-America. 1041. Lepton squamosum, Montagu (Solen). L.C. Coste di Spagna (M’Andrew). Atl. e Nord-Atl. 102. L. nitidum, Turton e var.=L. converum, Alder. L.C.A. Atl. e Nord-Atl. 103. L. subtrigonum, Jeffr. ms.—ved. Fischer in Les fonds de la mer, Févr. 1873, p. 84, t. 2, f. 140. C.A. Mar Toscano (Appelius e mio gabinetto); Pa- lermo 90 m! Atl.—Cap-Breton (Fischer). 104. L. solidulum, Monterosato nov. sp. GC. Palermo 90 m! —. L. lacerum, Jeffr. ms.— ved. Fischer —/. c. p. 84, t. 2, f.11. A. Med? Atl.—Cap-Breton (Fischer). 105. L. (Neolepton) (4) sulcatulum, Jeffr. L.G. Atl 106. L. (Neolepton) Clarkie, Clark. A. Palermo 130 m! Atl e Nord-Atl. 107. L. (Neolepton) obliquatum, Monterosato nov. sp. A. Livorno (Uzielli e mio gabinetto); Palermo 90 m! —. L. (Neolepton) glabrum, Fischer-1. c. p. 83, t. 2, {.9. A. Med? Atl— Cap-Breton (Fischer). 108. Vasconia rotunda, Jeffr. ms. (Scintilla?). A. Palermo 130 m! Atl. (Jeffreys). —. V. crispata, Fischer—!. c. p. 83, t. 2, f. 7 (Scintilla). A. Med? Atl.— Cap-Breton (Fischer). —. V.Jeffreysiana, Fischer! c. p. 83. t. 2, f.8 (Hindsia). A. Med? Atl. Cap-Breton (Fischer). (4) Nuovo nome sezionale, che propongo per le specie oblique o rotondate del genere Lepton, le quali hanno una scultura concentrica o che sono raramente levigate. 109. 110. AAA 112. Ao 114. 115. 116. TUNE 118. 119. 120. AZ 1922. 123. 124. 125. 126. 127. 128. 129. DELLE CONCHIGLIE MEDITERRANEE 13 Montacuta substriata, Montagu (Ligula). Var. levis e monstr. L. Atl. e Nord-Atl. M. semi-rubra, Monterosato — Notiz. Conch. Medit. 1872, p. 20. L. Pa- lermo 90 m! M. cuneata, Jeffr. ms. A. Palermo 160 m! Atl. (Jeffreys). M. Dawsoni, Jeffr.— Brit. Conch. II, p. 216 e V, p. 178, t, 34, f. 7. A. Palermo 190 m! Atl? Nord-Atl1.—Shetland e Norvegia (Jeffreys); Groenland (Moller); Spitzberg (Torell). M. tumidula, Jeffr. A. Palermo e S. Vito 90-210 m! Atl. e Nord-Atl. M. bidentata, Montagu (Mya)=? Arcinella levis, Ph. L.G.A. Atl e Nord-Atl. M. ferruginosa, Montagu (Mya)=Erycina? anodon, Ph.=Thracia elon- gata, Ph. e var. oblonga. L.CG.A. Atl e Nord-Atl. M. convera, Monterosato nov. sp. A. Algeria (Weinkauff, come Kellia Geoffroyi); Palermo 110 ml! Scacchia elliptica, Sc. (Tellina)=Lucina oblonga, Ph. L. AU. S. ovata, Ph. L. Livorno (Appelius); Palermo (Philippi); Trapani! S. phaseolina, Monterosato nov. sp. A. Palermo 110 m! Atl.— Cap- Breton (Fischer). Sportella recondita, Fischer—!. c. Mars 1872, p. 49, t. 2, f. 3 (Scintilla) (4) — Phytina Benoitiana, Jefîr. ms. C.A. Catania (Benoit); Palermo 110 ml! Atl— Cap-Breton -Fischer-. — ved. Note e correz. in Notiz. Solarii Medit. Palermo 1873, p. 12. S. abscondita, Monterosato nov. sp. A. Palermo 110 m! Lasea rubra, Montagu (Cardium)= Bornia seminulum, Ph. e var. pallida. S.Lt. Atl e Nord-Atl. Bornia corbuloides, Ph. (1836)=Cyclas Sebetia, O. G. Costa (1829). L. Atl. Kellia suborbicularis, Montagu (Mya)= Bornia inflata, Ph. e var. lactea. L.C. Atl. e Nord-Atl. K. Geoffroyi, Payr. (Erycina)= Bornia complanata, Ph. L. AtL.—Vigo (M’Andrew). Loripes lacteus, (Lin.) Poli (Tellina)=Lucina leucoma, Turton=L. Des- maresti, Payr. Var. luteola e var. angulata. Lt. Atl. L. fragilis, Ph. (Lucina)=Lucina bullata, Reeve. L. AI. L. divaricatus, Lin. (Tellina) = Lucina commutata, Ph.= L. pellucida, Caruana. L. Atl. Lucina borealis, Lin. (Venus) = Tellina radula, Montagu. L.G. Atl e Nord-Atl. (1) Il Dr. Fischer nella stessa opera (Févr. 1873, p. 84) cambiò questo generico nome in Sportella. 14 i NUOVA RIVISTA 130. 131. 132. 133. 134. 135. 136. 437. 138. 139. 440. 441. 142. 143. 144. 145. 146. AAT. 148. 149. 150. 454. 152. 153. A54. 155. 156. 457. 158. Lucina spinifera, Montagu (Venus) e var. minor. L.C AU. e Nord-Atl. L.(Jagonia) reticulata, Poli (Tellina)=L. pecten, Ph. (non Lamk.). Lt. Atl. Woodia digitaria, Lin. (Tellina)=Lucina digitalis, Ph. L.G. Atl. Axinus flexuosus, Montagu (Tellina). G.A. Atl. e Nord-Atl. Var. Goul- - di. A. Palermo 240 m! Atl. e Nord-Atl. A. granulosus, Jeffr. ms. e var. A. Napoli (Acton e Tiberi); Palermo e S. Vito 90-240 m! Atl. (Jeffreys). A. Croulinensis, Jeffr.=A. pusillus, Sars. A. Atl. e Nord-Atl. A. Eumyarius, Sars. A. Palermo 240 m! Atl. e Nord-Atl. A. intermedius, Monterosato nov. sp. A. Palermo 190-240 m! A. ferruginosus, Forbes (Kellia). G.A. Atl e Nord-Atl. A. oblongus, Monterosato=? Kellia transversa, Forbes. A. Mar Egéo? (Forbes); Palermo 210 m! A. dilatatus, Monterosato nov. sp. A. Palermo 240 m! A. cycladius, S. Wood (Kellia). G.A. Sepa (Acton); Palermo e S. Vito 90-190 m! Atl. e Nord-Atl. A. transversus, Bronn (Lucina). L.G. Med. 340 f. (Jeffreys); coste di Provenza (Martin); Palermo e isola di Lampedusa! Atl. Diplodonta rotundata, Montagu (Tellina)= Venus lupinus, Broce.=D. lu- pinus, Broon=D. dilatata, Ph. L.G. Atl. e Nord-Atl. D. intermedia, Biondi—Atti Ace. Gioenia 1859, p. 117, f..3=D. lupinus, Ph. (non Bronn). GC. Catania (Biondi, Aradas); Palermo 190 m! D. trigonula, Bronn=Tellina trigona, Sc.=D. apicalis, Ph. L.C. AU. Cardium hians, Brocc. G. Algeria. Napoli (Cap. Gaudion e mio ga- binetto). C. aculeatum, Lin. e var. alba. L. Atl e Nord-Atl. C. erinaceum, Lin. e var. alba. L. C. echinatum, Lin. e var. Deshayesii. L.C.A. Atl e Nord-Atl. C. paucicostatum, Sow.=C. ciliare, auct. (non Lin.). L. AL . fuberculatum, Lin. e var: alba. Lt.L.G. Atl. e Nord-Atl. C. papillosum, Poli=C. planatum, (Renier) Brocc. L.G. Atl. e Nord-Atl. Var. obliguata. L. Dalmazia (Brusina). C. eriguum, Gim.= (0. subangulatum, Sc. Lt.L. Atl. e Nord-Atl. Var. ik, —=C. Siculum, Sow.= €. stellatum, Sue Di VAtL Var.2X— € pas vum, Ph. Lt.L. Atl. i GC. fasciatum, Montagu. L.G. Atl e i C. nedosum, Turton=C. scabrum, Ph. C. Atl. e Nord-Atl. 1 C. minimum, Ph.=? C. punctatun, Brocc. G.A. Atl. e Nord-Atl. C. edule, Lin. e varie forme locali. Lt. Atl. e Nord-Atl. C. oblongum, Chemn.=0. sulcatum, Lamk.. L. i Q DELLE CONCHIGLIE MEDITERRANEE | 15 159. Qardium Norvegicum, Spengler. L..G. A. Atl e Nord-Atl. Var. mi- nor. L. Atl? (A). i ! 160. Cardita antiquata, Lin. (Chama)= C. sulcata, Bruguière (1789-92) non Solander (41776). Lt. Atl. | 161. €. aculeata, Poli (Chama) e var. L.G. At. 162. ‘C. calyculata, Lin. (Chama). Lt. At. 163. C. trapezia, Lin. (Chama) e. var. rosea. Lt. Atl. I ‘164. C.:corbis, Ph.=C. minuta, Sc. Var. rosea e var. punctata. L.G. AU. 165. C. incurva, Jeffr.—Rep. Brit. Assoc. 1873, p. 112. A. Coste di Tripoli (Dr. Carpenter). 166. Cypricardia lithophagella, Lamk.=(C. Renieri, Nardo= Coralliophaga se- tosa, Dunker. G. Var.=Byssomya Guerini, Payr.= Venerupis Romani, Galc. GC... Atl. 167. Chama gryphoides, Lin. e var. L.G. Atl 168. C. gryphina, Lamk. e var. Lt. i 169. Isocardia cor, Lin. (Chama). L.G.A. Atl. e Nord-Atl. 170. Verticordia granulata, Seguenza= V. multicostata, A. Adams. A. Med. 130 f. (Jeffreys); Palermo 210 m! Atl. e Nord-Atl. (Jeffreys). Giappone! 474. V. insculpta, Jeffr.—Rep. Brit. Assoc. 1873, p. 112. C.A. Coste d’Alge- ria 40-80 f. (Jeffreys); Palermo 210 m., assieme a due frammenti di un’al- tra specie di questo genere, probabilmente riferibili alla Pecchiolia arenosa, Rayn., figurata nel Bullettino Malacologico Italiano 1870, t. 6, f. 4 a. d. L'una e l’altra differiscono dalla Lyonsiella abyssicola, Sars., ch’ è Atl e Nord-Atl. —. V. acutecostata, Ph. (Hippagus)=V. cardiiformis, Sow.= H. verticordius, S. Wood=V. Deshayesiana, Fischer=V. Japonica, A. Adams. A. Med? Atl. e Nord-Atl. (Jeffreys). Giappone! 172. Astarte fusca, Poli (Tellina). Juv.=A. affinis, Cantr. L.C. At 173. A. (Gouldia) (2) triangularis, Montagu (Mactra). L.C. Atl. e Nord-Atl. Var. 1, margine integro. Var. 2,=?A. parvula, S. Wood. L.C. (4) Si possono aggiungere le seguenti specie di Cardium se il Mar Nero si considera come una parte del Mediterraneo :— C. (Didacna) Eichwaldi, Kryn. (crassa, Eichw.). GC. (Monodacna) pseudo-cardium, Desh. (pontica, Eichw.). G. (Adacna) plicatum, Eichw. (Pholadomya). Anche nel Mar Caspio. C. (Adacna) coloratum, Eichw. (Pholadomya). Anche nel Mar Caspio. (WOODWARD). (2) Questo nome può essere correttamente impiegato come un sottogenere di Astarte. Il suo li- gamento è esterno, carattere assegnato da C.B.Adams, ch’ è il fondatore del genere Gouldia. i osta 6 2? ( RL AVE A iii 16 NUOVA RIVISTA 174. Astarte (Gouldia) pusilla, Forbes=A. parva, S. Wood. A. Mar Egéo— Naxos (Hoskyn, f. Forbes); Med. 340 f. (Jeffreys). Atl 475. A. (Gouldia) bipartita, Ph. (Lucina?). L.C. Atl. 176. Crassatella planata, Cale. (Astarte)= Gouldia modesta, H. Adams. (G. Tu- nisi e Tripoli (M’Andrew e Dr. Carpenter). 177. Circe minima, Montagu (Venus) e var. L.C. Atl. e Nord-Atl. 4178. Venus verrucosa, Lin. e var. Lt. Atl. 179. V. Casina, Lin. L.C. Atl. e Nord-Atl. Var. 4,= V. cygnus, Arad. e Benoit; non Cytherea cygnus, (Lamk.) Weink.=C. nobilis, Sow., ch'è eso- tica. Var. 2, depressa, juv.= V. Rusterucci, Payr. GC. Var. 3, globosa. (Q. 180. V. multilamella, Lamk. (Cytherea)=C. rugosa, (Bronn) Ph. CG.A. Atl. 184. V. effossa, Bivona. L.C. 182. V. Gallina, Lin. Lt. Atl e Nord-Atl. 183. V. fasciata, Da Costa (Pectunculus) e var. L.C. Atl. e Nord-Atl. 184. V. ovata, Penn.=V. radiata, Brocc. L.C.A. Atl. e Nord-Atl. 185. V. rudis, Poli = Cytherea Venetiana, Lamk. e var. = C. Mediterranea, Tib. ms. L.C. AtL 186. V. (Dosinia) exoleta, Lin. e var. L. Atl. e Nord-Atl. 187. V. (Dosinia) lupinus, Poli. L.C. Atl e Nord-Atl. 188. V. (Cytherea) Chione, Lin. e var. L. Atl. e Nord-Atl. 189. Tapes decussatus, Lin. (Venus). Var. e monstr. Lt. Atl. e Nord-Atl. 190. 7. edulis, Chemn. (Venus)=V. virginea, auct. (non Lin.) Lt.L.G. Atl. e Nord-Atl. 191. 7. aureus, Gm. (Venus). Lt. Atl e Nord-Atl. Var. 1,= V. leta, Poli =V. Beudanti, Payr. Var. 2,= V. picturata, Req. Var. 3,=V. Pallei, Reg. Var. 4,=V. nitens, Sc. e Ph. ed altre varietà. L. 192. T. geographicus, Gm. (Venus). Var. sazicola e numerose varietà di co- lorito. Lt. 193. 7. pulchellus, Lamk. (Venus). Lt. Algeria (Deshayes, Weinkauff). 194. Lucinopsis undata, Penn. ( Venus)= V. incompta, Ph. L.C. Atl. e Nord-Atl. 195. Gastrana fragilis, Lin. (Tellina). Lt. Atl. e Nord-Atl. 196. Tellina Cumana, 0.G.Costa (Psammobia)=T. Coste, Ph. Lt.L. Atl 197. T. planata, Lin.=T. complanata, Gm. Lt. Atl. 198. 7. nitida, Poli. Lt. 199. 7. squalida, Pult.= T. depressa, auct. (non Lin.). Lt. Atl. e Nord-Atl. Var.=T. Daniliana, Brus. Dalmazia (Brusina). | 200. 7. ezigua, Poli e var. Juv.=T. lucida, Desh. Lt. A4#1 e Nord-Atl —. T. Balthica, Lin. =? T. bicolor, Req. Lt. Med. e Adr? (auct). Atl. e Nord-Atl. Circumpolare. 201. 7. fabula, Gronov. Lt.L. Atl. e Nord-Atl. 202 203. 204. 205. 206. 207. 208. 209. 210. 2A. 212. 218. 219. 2920. 2921. 292. 293. 224. 295. 226. 227 228 DELLE CONCHIGLIE MEDITERRANEE 407] Tellina compressa, Brocc.=T. striatula, Cale.= T. strigilata, Ph. A. Co- ste d’Algeria (Jeffreys). Atl T. donacina, Lin. Var. minor; var. unicolor, ecc. L. Atl e Nord-Atl. T. distorta, Poli. Lt. Atl T. pusilla, Ph. (non Gm.). L.C. Atl e Nord-Atl. T. pulchella, Lamk. Lt.L. T. serrata, Brocc.=T. Brocchii, Cantr. L.G. Atl T. (Arcopagia) balaustina, Lin. Lt.L.C. Atl e Nord-Atl. T. (Arcopagia) crassa, Gm.=? T. ovalis, Req. L.G. Atl. e Nord-Atl. Psammobia costulata, Turton e var. L.G. Atl. e Nord-Atl. P. Ferroensis, Chemn. (Tellina). L.C. Atl. e Nord-Atl. P. vespertina, Chemn. (Lux) e var. Lt. AtL e Nord-Atl. Var.=P. in- termedia, Desh.= P. costata, Hanley. L. Algeria (Weinkauff). Atl. Var.?= . P. Weinkawujffi, Grosse. L. Algeria (Weinkauff). 213. UA. 215. 216. DAT. Donax trunculus, Lin. e var. flaveola. Lt. Atl. D. venusta, Poli e var. alba. Lt. AtL e Nord-Atl. D. semistriata, Poli = D. fabagella, Lamk. Lt. D. polita, Poli (Tellina)=D. complanata, Montagu. L. Atl. Mesodesma cornea, Poli (Mactra) = Amphidesma donacilla, Lamk. e var. Lt.L. Atl Ervilia castanca, Montagu (Donax)= Erycina pusilla, Ph. L.G.A At e Nord-Atl. Nesis prima, Monterosato nov. sp. A. Palermo 110 m! Atl.—Cap-Bre- ton (Fischer). Mactra glauca, Born = M. helvacea, (Chemn.) auct.= M. Neapolitana, Poli. Lt. Atl. M. corallina, Lin.= M. inflata, (Bronn) Ph. Var. 1, minor. Var. 2,= M. intermedia, Aradas.. Var. 3, Pauluccie = M. Paulucci, Arad. e Ben. Ognuna di queste forme ha la sua varietà lactea. Lt. Atl? Il nome di M. stultorum è applicabile alla conchiglia Atlantica, ch'è differente. M. subtruncata, Da Costa (Trigonella)= M. triangula, Renier. Lt.L. Atl. e Nord-Atl. Lutraria elliptica, Lamk. Lt.L. AtL e Nord-Atl. L. oblonga, Chemn. (Mya)=L. solenoides, Lamk. Lt.L. Atl L.(Eastonia) rugosa, Chemn. (Mactra). Lt. Algeria (Weinkauff, Hidalgo); Malaga e Gibilterra (M’Andrew). Atl Scrobicularia piperata, Gm. (Mactra). Lt. Atl. e Nord-Atl. S. Cottardi, Payr. Juv.=? T. rubiginosa, Poli. Lt. S. (Abra) alba, W.Wood (Mactra). Lt.L. AU e Nord-Atl. Var. 1,= 3 229. 230. P e ira € P. bi 18 NUOVA RIVISTA Tellina longicallis, Sc.; juv.=Ligula profundissùna, Forbes. A. Var. 2, =Erycina tumida, Brus. Lt. Scrobicularia (Abra) prismatica, Montagu (Ligula)=E. angulosa, (Renier) auct.=£. Arade, Biondi. L.C.A. Atl. e Nord-Atl. S. (Abra) nitida, Miller (Mya)=Amphidesma intermedia, Thompson=S. fenuis, Ph. A. Atl. e Nord-Atl. . S. (Abra) tenuis, Montagu (Mactra)= Erycina trigona, Brus. Lt. Atl. e Nord-Atl. . S.(Abra) ovata, Ph. (Erycina)= Syndosmia segmentum, Récluz. Lt. At. . Solecurtus strigilatus, Lin. (Solen). Lt.L. Atl . S. candidus, Renier. L.C. Atl. . S. multistriatus, Sc. (Solen). L.C. Atl. e Nord-Atl. . S. antiquatus, Pult. (Solen)=S. coaretatus, auct. L.G.A. Atl. e Nord-Atl. . Solen vagina, (Lin.) auct.=S. marginatus, Pult. Lt. Atl e Nord-Atl. . S. (Ensis) siliqua, Lin. e var. minor. Lt. Atl e Nord-Atl. . S. (Ensis) ensis, Lin. var. minor. Lt. Atl. e Nord-Atl. . S. (Cultellus) pellucidus, Penn. e var.=S. fenuis, Ph. L.A. Atl. . S. (Ceratisolen) legumen, Lin. var. minor. Lt. Atl. . Pandora inequivalvis, Lin. (Tellina)= P. rostrata, Lamk. e var.=? P. oblonga, Ph. L.C.A. Atl e Nord-Atl. . P. obtusa, (Leach) Ph. L.C.A. Atl. e Nord-Atl. . Lyonsia Norvegica, Chemn. (Mya)= Tellina coruscans, Sc. e var. elon- gata. L.CG.A. Atl. e Nord-Atl. . L. formosa, Jeffr.— Rep. Brit. Assoc. 1873, p. 112. A. Coste d’ Alge- ria 1456 f. (Jeffreys). Atl. (Jeffreys). . L. argentea, Jeffr. ms. A. Palermo 120 m! Atl. (Jeffreys). . Anatina (Cochlodesma) pretenuis, Pult. (Mya)=A. truncata, Lamk.=A. oblonga, Ph. L.A. Atl e Nord-Atl. . A. (Cochlodesma) Parlatoris, Calcara — Giornale L’ Occhio, an. V, p. 143 e Cenno Moll. viv. e foss. Sicilia 1845, p. 10. A. Palermo 210 m! Pros- sima al C. Leanum, Conrad, dell’America del Nord. . Thracia pubescens, Pult. (Mya). L.A. AL . T. papyracea, Poli (Tellina)=Amphidesma phascolina, Lamk. Lt.L. At. e Nord-Atl. . T. convexa, W.Wood (Mya)=T. Maravigne, Arad. e Cale.=T. ventricosa, Ph.=7. trigona, Arad. L.C.A. Atl. e Nord-Atl. . T. corbuloides, Desh.. L. Juv.=7. ovalis, Ph. . T. distorta, Montagu.(Mya)= T. Casani, Arad. e Cale. = T. fabula, Ph. Lt.L.A. Atle Nord-Atl. . Poromya granulata, Nyst e Westend. (Cordula)=P. anatinoides, Forbes 259 256. . N. obesa, Lovén. A. Coste d’Algeria a varie profondità (Jeffreys). AtL 267. 268. 269. 270. 271. 272. 273. 21. 275. 276. DITTE 278. DELLE CONCHIGLIE MEDITERRANEE 19 —Cumingia Parthenopea, Tib. L.G.A. Atl. e Nord-Atl. Non Cordula? granulata, Ph., fossile di Germania. Neera abbreviata, Forbes=N. vitrea, Lovén. A. At. e Nord-Atl. N. costellata, Desh. (Corbula). L.G.A. Atl. e Nord-Atl. e Nord-Atl. . N. rostrata, Spengler (Mya) = N. attenuata, Forbes. JISGHARBOCATE e Nord-Atl. . N. cuspidata, Olivi (Tellina) e var. = N. arctica, Sars. L.C.A. Atl e Nord-Atl. . N. jugosa, S.Wood = N. lamellosa, Sars. A. Palermo 240 m! Atl. e Nord-Atl. . Pholadomya Loveni, Jeffr.— Rep. Brit. Assoc. 1873, p. 112=? Thracia pholadomyoides, Forbes (1843). A. Coste d’ Algeria 1456 f. (Jeffreys); « Cap Artemisium »? (Forbes). Atl (Jeffreys). . Corbula gibba, Olivi (Tellina) e var. L.G.A. Atl e Nord-Atl, . C. revoluta, Brocc. (Tellina). G. Taranto (0.G.GCosta. f. Philippi); Pa- lermo (Benoit); Livorno (Caifassi e mio gabinetto). . C. (Corbulomya) Mediterranea, 0.G.Costa. L. Atl. . Mya (Sphenia) Binghami, Turton (Sphenia) e var. elongata. L. At . Panopwa glycimeris, Born (Mya)= P. Aldrovandi, Ménard de la Groye. Lt. In Sicilia, locale presso Catania nel fango. Atl. — Coste del Porto- gallo (M’Andrew). Saricava rugosa, Lin. (Mytilus). Var. A,= Mya arctica, Lin. Var. 2, —=$S. gallicana, Lamk. ed altre intermedie forme. Lt.L.G.A. Atl e Nord- Atl. Circumpolare. S? plicata, Montagu (Mytilus). L.C.A. Atl e Nord-Atl. S? angulata, S. Wood (Sphenia, 1840)= Arcinella carinata, Ph. (1844)=? Mytilus carinatus, Brocc. (1814)—ved. Journ. Conchyl. 1874, p. 255. A. Palermo 90-120 m! Venerupis irus, Lin. (Donax). Var. rosea, bicolor, tricolor ecc. Lt. AU. V. LaJonkairii, Payr.=V. decussata, Ph. Lt. Petricola lithophaga, Retz. (Venus). Lt. AU Gastrochena dubia, Penn. (Mya)=G. Polii, Ph. Lt.L.G. AtL Pholas (Dactylina) dactylus, Lin. e var. gracilis. Lt. Atl e Nord-Atl. P. (Barnea) candida, Lin. Lt. Atl. e Nord-Atl. P. (Barnea) parva, Penn. C. Algeria (Weinkauff, Tiberi). Atl. Xylophaga dorsalis, Turton (Teredo). L.G.A. Atl. e Nord-Atl. ‘ Teredo Norvegica, Spengler= 7. Bruguwieri, Ph. Lt. Atl. e Nord-Atl. Var. =T. divaricata, (Desh. ms.) Fischer. 20 NUOVA RIVISTA 279. Teredo navalis, Lin. Lt. Atl. e Nord-Atl. 280. 7. pedicellata, Quatrefages. Lt. Atl 281. T. minima, (De Blainville) Jeffr.= 7. palmulata, Ph.= T. Philippii, Fi- scher. Lt. È 282. Clavagella aperta, Sow.=C. Sicula, Delle Chiaje. Lt.L. 283. C. Melytensis, Broderip=0. angulata, Ph.=? C. balanorum, Sc. Lt. SOLENOCONCHIA 284. Dentalium vulgare, Da Costa=D. tarentinum, Lamk. e var. Lt.L. Atl. 285. D. dentalis, Lin. L.G. Var. 1,=D. novem-costatum, Lamk. L.C. AtL Var. 2, disjuncta. Lt. 286. D. Panormitanum, Chenu=D. Lessoni, G.B.Sow. (non Desh.)—ved. Journ. i Conchyl. 1874, p. 256. C.A. 287. D. agile, Sars = D. incertum, Ph. (non Desh.). A. Banco dell’ Avven- tura 92 f. (Jeffreys); Palermo 210 m! Atl. e Nord-Atl. 288. D. filum, G.B.Sow.=D. gracile, Jeffr. A. Atl. 289. D. rubescens, Desh. e var. albida. L.C. 290. Siphodentalium (4) Lofotense, Sars. G.A. Atl. e Nord-Atl. Var. major. A. Palermo 2410 m! 291. S. (Entalina) (2) tetragonum, Brocc. (Dentalium)= D. quinquangulare, Forbes. G.A. Atl. e Nord-Atl. 292. Dischides bifissus, S.Wood (Dentalium). L.G. Atl. 293. Helonyx (3) Jeffreysii, Monterosato = Cadulus subfusiformis, Jeffr. (non Sars)—Brit. Conch. V, p. 196, t. 8, f. 6 e t. 104, f. 3. Apertura anteriore obliquamente troncata; base o apertura posteriore compressa, leggermente intaccata a ciascun lato. G.A. Med. 50-100 f. e Mar Egéo 130-250 f. (Jeffreys); Napoli (Acton, De Stefanis, Tiberi); Palermo e S. Vito 90-200 m! Atl. e Nord-Atl. 294. H. subfusiformis, Sars— Mal. Jagtt. p. 24, t. 6, f£. 36-44 (Siphonodenta- Lium). A. Palermo 210 ml Nord-Atl. Più piccolo e meno gibboso del precedente; apertura anteriore troncata; apertura posteriore non compressa, (1) Sincopato da Siphonodentalium—ved. Journ. Conchyl. 1874, p. 258. (2) Notiz. foss. M. pell. e Ficar., p. 27. ; (3) Io preferisco di adottare definitivamente il nome di Helonyx, Stimpson (Amer. Journ. of Conch. Vol. I, p. 63), per quelle specie che sono state riferite al genere Gadus. Rang, ch’è il fon- datore di quest’ultimo genere, lo comprese nella classe dei Pteropodi. Deshayes ne rettificò la defini- zione e lo incluse nelle Dertalide, ma vi riunì molte specie fossili del bacino di Parigi, che pos- sono appartenere a varie sezioni. Inoltre Gadus è stato usato anteriormente in Ictiologia. 303. 304. 305. 306. 307. 308. 309. DELLE CONCHIGLIE MEDITERRANEE 2A circolare e non intaccata.. Var. LT piccolissima, abbenchè adulta. A. Palermo 210 m! . Cadulus ovulum, Ph.—Moll. Sic. II, p. 208, t. 27, f. 21 (Dentalium). Fos- sile di Sicilia e di Calabria; non ancora trovato nel Mediterraneo. Il ca- rattere generico trovasi nell’ apertura posteriore, la quale è internamente marginata. L'orlo di questa parte è merlato. Questa specie potrà distin- guersi dal i . C. cyathus, De Crist. e Jan—Cat. rer. nat. p. 1 (Creseis)=D. ovulum var. attenuata, Monterosato — Notiz. Conch. foss. M. pell. e Ficar. p. 27. Fos- sile in varii punti del pliocene. Più piccolo del precedente, nè così gib- boso nel mezzo della sua parte dorsale. Questa è la specie ch’ è stata in- dicata come vivente nel Mediterraneo. GASTROPODA . Chiton olivaceus, Spengler=(. sulcatus, Risso=C. Siculus, Gray e var. ru- bra, viridis, violacea ecc. Lt. . C. rubicundus, 0.G.Costa=C. pulchellus, Ph. (non Gray)=(C. Philippi, Issel. L.G. Var. phaseolina; carena ottusa, colore dominante il verde. Lt. . C. Rissoi, Payr.= C. Meneghinii, Capell. = C. Mediterranevs, (Gray ms.) Reeve. Lt.L. . C. cinereus, Lin. var. alba = C.. Algesirensis, Gapell. = C. granoliratus, P.Carpenter ms. Lt.L. Atl e Nord-Atl. . C. furtivus, Monterosato (1872)=? C. ruber, (Lin.) Loowe var. L. . C. marginatus, Penn.=C. variegatus, Ph. L. Atl. e Nord-Atl. 301. 302. C. Polii, Ph.=C. Caprearum, Sc.=? C. Euplee, 0.G.Costa. Lt. C. levis, (Penn.) Montagu var.=C. corallinus, Risso=(C. scytodesma, Se. =C. Dorie, Capell. Juv. = €. stigma, 0.G.Costa. L.G.. Atl. e Nord- AJO, VEOs 000 IO C. cancellatus, (Leach ?) G.B.Sow. L. Dalmazia (Brusina); coste di Pro- venza (Martin); Palermo! Atl. e Nord-Atl. C. Cajetanus, Poli. Lt. Atl C. (Acanthopleura) Hanleyi, Bean =(. str igillatus, S. Wood = €. mendi- carius, Migh. e Adams. G.A. Livorno (Caifassi); Napoli (Acton e De Ste- fanis; Palermo 190 m! AtLe Nord-Atl. C. (Acanthochites) fascicularis, Lin. e var. gracilis. Lt. Atl. e Nord-Atl. C. (Acanthochites) discrepans, Brown. Lt. Atl. Var. 4, /lava. Lt. Var. IAA I Patella ferruginea, Gm. e var. Rouxii. Lt. P. Lusitanica, Gm.=P. punctata, Lamk. Lt. At. 340. 11. 312. 313. 44. 315. 3146. 317. 318. 319. 320. 321. 322. 323. 324. 325. 326. 327. 928. 329. M306 334. 332. 338. 394. 335. 396. 397. DI NUOVA RIVISTA Patella corulea, Lin. e var. Tarentina, aspera, scutellaris, fragilis ecc. S.Lt. Atl. Teciura virginea, Miller (Patella) var. = Lottia unicolor, Forbes. L.(. Atl. e Nord-Atl. T. fulva, Muller (Patella). G. Tripoli (Dr. Carpenter, /. Jeffreys). Propilidium ancyloides, Forbes (Patella) = Rostrisepta parva, Seguenza. GC. Napoli (Acton). Atl. a Nord-Atl. P. scabrum, Jeffr. — Rep. Brit. Assoc. 1873, p. 112. A. Banco dell’ Av- ventura 92 f. (Jeffreys). Emarginula fissura, Lin. (Patella)=E. elata, Libassi. G. Atl. e Nord-Atl. E. conica, Schum. = E. rosea, Bell= E. Coste, Tib. L.C. Atl e Nord- Atl. Var.=£. pileolus, Mich. L. Atl. E. tenera, Monterosato—Notiz. Conch. Med. p. 30 (E. rosea var. tenera). L.C. Coste di Provenza (Martin), del Piemonte (Doria); Palermo e S.Vito! Atl.—Cap-Breton (Fischer); Madéra (Watson). E. cancellata, Ph. = E. squamulosa, Arad. L.C. Nord-Atl. — Herm (Jeffreys). E. Adriatica, 0.G.Costa. L.G. Atl.—Cap-Breton (Fischer). E. elongata, 0.G.Costa Lt.L. Atl E. Huzardi, Payr. e var. = £. Cusmichiana, Brus. = E. fissurelloides, Nardo ms. L.C. E. solidula, 0.G.Costa. L.(. Fissurella costaria, Bast. e var. Lt.L. F. Greca, Lin. (Patella) e var. Lt.L. Atl. F. nubecula, Lin. (Patella) e var. Lt. Atl F. gibba, Ph. Lt. Atl. Var. 4, depressa. Lt. Var. 2, dorsata. L. Capulus Hungaricus, Lin. (Patella). Var. alba, rosea e monstr. L.G.A. Atl. e Nord-Ail. Calyptrea Chinensis, Lin. (Patella). Var.41,= C. Polii, Sc. L.G. Atl. Var. 2,=C. spirata, Nardo ms. L. Adr. Crepidula unguiformis, Lamk. L.Q. C. Moulinsi, Michaud. L.G. Haliotis tuberculata, Lin. e var. striata, glabra ecc. Lt. AU. Schismope cingulata, 0.G.Costa—Microd. Med. 1864, p. 61, t. 42, p8e9 (Scissurella) e var. Lt.L. Scissurella crispata, Flem. L. Atl.eNord-Atl. Var.=$S. aspera, Ph. C.A. S. costata, D’Orb. e var.=S. levigata, D’Orb. Lt.L. Cyclostrema Cutlerianum, Clark. (Skenea). L.C.A. Atl. e Nord-Atl. C. nitens, Ph. (Delphinula). L.G.A. Atl e Nord-Atl. C. serpuloides, Montagu (Helix) = Delphinula levis, Ph. L.G. Atl. e Nord-Atl. 338. 999. 340. BUT. 342. 954. 355. 356. 357. 358. 359. DELLE CONCHIGLIE MEDITERRANEE 23 Cyclostrema conspicuum, Monterosato nov. sp. A. Palermo 210 ml C. exilissimum, Ph. (Delphinula). L.C. GC. Jeffreysiù, Monterosato (Circulus) = Circulus formosissimus, Bru- gnone. L.C. C. turritum, Monterosato nov. sp. (Molleria?) A. Palermo 90 m! Circulus striatus, Ph. (Valvata?)= Solarium Philippii, Gantr. = Delphi- nula Dumynii, Req. L. At. Var. 1,=Adeorbis supranitidus, S. Wood. C.A. Med? Atl.—Baja di Tangeri (Jeffreys). Var. 2,=A. #ricarinatus, S.Wood = Delphinula triangulata, Rayn. e Ponzi = D. costata, Dan. e Sand. L.G. Adr. . Trochus (Margarita) amabilis, Jeffr. A. Med? Atl. e Nord-Atl. . T. (Margarita) marginulatus, Ph.= Solarium nitidum, Arad. A. Med? . T. (Margarita) Ottoi, Ph. A. Med? Atl. e Nord-Atl. (Jeffreys). . T. (Margarita) peregrinus, Libassi (Solarium). A. Med? . T. (Gibbula) magus, Lin. e var. L.C. Atl . T. (Gibbula) albidus, Gm. e var.=T. Biasoletti, Ph. Lt. Adr. Algeria (Weinkauff, come 7. Saulcii, D’Orb.). . T. (Gibbula) fanulum, Gm. e var. L. . T. (Gibbula) Guttadauri, Ph. e var. L.C. . T. (Gibbula) biangulatus, Eichw.= T. ditropis, S.Wood. GC. Fuori Al- gesiras 1-15 f. e coste d’Algeria 51 f. (Jeffreys); Palermo 40 m! . T.(Gibbula) Fermonii, Payr. Lt: AU. Var. depressa e var. celata. Lt. Coste di Siria e di Barbaria. . T. (Gibbula) varius, Lin. e var. Lt. Atl . T. (Gibbula) villicus, Ph. e var. Lt. AL . T. (Gibbula) leucopheus, Ph. Lt. . T. (Gibbula) cinerarius, Lin.=T. Philippii, Arad. Lt. Coste di Pro- venza (Artufel). Atl. e Nord-Atl. . T. (Gibbula) tumidus, Montagu var. minor. Lt. Atl Var.=7. Ra- ketti, Payr. Lt. T. (Gibbula) Drepanensis, Brugnone—Miscell. Malach. Palermo 1873, p. 43, f. 24. L. Algeria (Artufel); Trapani (Brugnone); Pantelleria! T. (Gibbula) turbinoides, Desh.=T. helicoides, Ph. e var. Lt. Atl T. (Gibbula) Adansontii, Payr. Lt. Var.=T. Adriaticus, Ph. e altre va- IN Ab T. (Gibbula) Spratti, Forbes. Lt. Coste di Siria (Forbes e M° Andrew); Tunisi ! T. (Gibbula) obliquatus, Gm.= T. umbilicatus, Montagu = 7. semiglobo- sus, Arad. Lt. Coste di Provenza (Martin, Artufel e Verkriizen). T. (Gibbula) umbilicaris, Lin.=T. fuscatus, Gm. Lt. Atl. Var. patula. Lt. Coste di Siria e di Barbaria. ; 360. 361. 362. 363. 361. 365. 366. 367. 368. 369. 370. 371. 372. 373. SIL. 315. 376. 317. 378. 379. 2 NUOVA RIVISTA Trochus (Gibbula) Richardi, Payr.=Phorcus margaritaceus, Risso. Var. e monstr. Lt. T. (Gibbula) divaricatus, Lin.=Monodonta Lessoni, Payr. Lt. T. (Gibbula) rarilineatus, Michaud — Descrip. coq. viv. 1829, p. 7, f. 12 —T. Cossurensis, Calc. ms. Lt. Atl T. (—?) gemnulatus, Ph.= T. Wiseri, Cale.=? 7. scabrosus, Jeffr. G.A. At? Nord-Atl. (Jeffreys). T.(——_—? pygmeus, Ph. L? Magnisi (Philippi). T.(————_?) bithynoides, Jeffr. ms. A. Palermo 190 m! Atl. Jef- freys). T. (Trochocochlea) turbinatus, Born = Monodonta fragarioides, Lamk. e Vari vl: T. (Trochocochlea) articulatus, Lamk. (Monodonta). Var.=T. mutabilis, Ph. ed altre varietà. Lt. Atl T.(Zizyphinus) conulus, Lin. L. Atl. Var. 1,=7. zizyphinus, Lin. L. Atl. e Nord-Atl. Var. 2,=7. conuloides, Lamk. L. Atl. Var.3,=7. cin- gulatus, (Brocc.) Ph. Lt. Var. 4,=7. violaceus, Risso. L. Var. 5,= T. dubius, Ph. L. Var. 6,=7. Laugieri, Payr. Lt.L. Atl T. (Zizyphinus) Gualterianus, Ph.= T. levigatus, Ph. e var. violacea, albida ecc. L.C. T. (Zizyphinus) granulatus, Born. L.C.A. Atl. e Nord-Atl. T. (Zizyphinus) suturalis, Ph. A. Coste d’ Algeria a varie profondità (Jeffreys). Atl. T. (Zizyphinus millegranus, Ph. = T. miliaris, (Brocc.) auct. GG. AU. e Nord-Atl. T. (Zizyphinus) turgidulus, Brocc.=T. Montagui, W.Wood = T. parvu- lus, Ph.=T. Cyrne@us, Req. L.C. Atl. e Nord-Atl. Var.=T. tumidulus, Arad. L.C. T. (Zizyphinus) striatus, Lin. Lt.L. Atl e Nord-Atl. Var. 1,=7. Sar- torîî, Arad. Lt. Var. 2,= 7. Ruscurianus, Weink. Lt. Var. 3,=7. Gravesi, Forbes. Lt. Var. 4,=T. depictus, Desh. Lt. Var. 5, sma- ragdina. Lt. Var. 6, picta. L. Var. 7, purpurea. L. ecc. ecc. T. (Zizyphinus) exasperatus, Penn. Lt.L. Atl e Nord-Atl. Var. 4, mi- nor-rubra. L.G. Var. 2, excavata. Lt. Coste di Siria, ed altre nu- merose varietà. T. (Zizyphinus) unidentatus, Ph. Lt. e var. Coste di Siria e di Bar- baria. T. (Zizyphinus) pumilio, Ph. L. Napoli (Philippi). Clanculus corallinus, Gm. (Trochus) e var. atra. Lt.L. Au. C. cruciatus, Lin. (Trochus)= Monodonta Vieilloti, Payr. Var. rosea e var. candida. Lt. 399. 400. DELLE CONCHIGLIE MEDITERRANEE 25 . Claneulus Jussieui, Payr. (Monodonta). Lt. Var. rosea. Lt. Coste di Siria e di Barbaria. Var. 2,=7. Blainvillii, Cantr.=? 7. varians, Desh.=? T. nebulosus, Ph.=? T. Mediterraneus, Wood. Lt. Var. 3, striata. Lt.L. . C. glomus, Ph. (Monodonta). L? Palermo (Philippi). . Craspedotus Tinei, Cale. (Monodonta)=M. limbata, Ph. Juv.=T. horridus, 0.G. Costa. Pullus= MHeliciella costellata, 0.G.Costa. G. Atl. e Nord-Atl? . Turbo rugosus, Lin. e var. armata. L.G. At. . T. filosus, Ph. (Trochus)=T. glabratus, Ph. A. Med? Atl e Nord-Atl. (Jeffreys). . T. sanguineus, Lin. L.C. Atl. Var. alba Dalmazia (Brusina). . T. Romettensis, Seguenza. A. Coste d’Algeria 207 f. (Jeffreys). . Phasianella pulla, Lin. (Turbo) e var. picta, bicolor, tricolor, lineata @eos I AL . P. tenuis, Mich.=P. intermedia, Sc. e var. scripta, punctata, zig-3ag ecc. L. Atl . P. speciosa, v. Milhfeld (Turdo) e var. atra, sanguinea, viridis, li- neata ecc. L. ). Fossarus costatus, Broce. (Nerita). C. Atl.—Cap-Breton (Fischer). Var. 1, patula. C. Var. 2,=Turbo minutus, Mich.=F. clathratus, Ph.=F. sulcatus, S.Wood.. L.C. At . F. ambiguus, Lin. (Helix)=F. Adansonii, Ph. S.Lt. Atl. Var. ecostata =F. La Noci, Baudon. S.Lt. . F. granulum, Brugnone — Misc. Malach. Palermo 1873, p. 13, f. 25. L.C. Trapani (Brugnone ed altri); S.Vito! 2. F. azonus, Brusina (Stomatia)=F. Petitianus, Tib.= Natica Crosseana, Klec. ms.= Lacuna parvula, Martin ms. L.C. Atl . F. excavatus, Monterosato nov. sp. A. Palermo 90-110 m! . Ersilia Mediterranea, Monterosato (Lacuna). L. Sicilia! . Littorina neritoides, Lin. (Turbo). S. At. e Nord-Atl. . L. punctata, Gm. (Turbo)=L. Syriaca, Ph. S. Coste di Siria, Algeria, Spagna meridionale. Sicilia—Agosta (Brugnone, col nome di Turbo Siculus). . L. rudis, Maton (Turbo, 1807) var. patula, Jeffr.=T. saxatilis, Olivi (1792). 5. Lagune Venete, diverse varietà di colorito (Olivi, Nardo, Stalio ed al- tri); Mar Nero (Middendorff). Atl. e Nord-Atl. . Hela (A) tenella, Jeffr. (Lacuna). A. Med. 340 f.(Jeffreys); Palermo 210 m! Atl. e Nord-Atl. H. glabella, Monterosato nov. sp. A. Palermo 120 m!. Rissoa auriscalpium, Lin. (Turbo) e var. levis. Lt. L. (1) Nome anteriormente usato per un genere di Crostacei. 4 404. ‘102. 103. 404. 405. 406. 407. 408. 409. 410. LAI. 4192. 113. 144. 445. 416. 417. 118. 419. 490. ADI. 26 — NUOVA RIVISTA Rissoa membranacea, Adams( Turbo). Lt.L. Atl e Nord-Atl. Var.1,=R. elata, Ph. Lt. Var. 2,= R. fragilis; Mich. Lt. . Var. 3,= R. grossa, Mich.=R. venusta, Ph. Lt. Atl. e Nord-Atl. Var. 4,=R. oblonga, Desm. Lt.L. Var. 5,=. ventricosa, Desm. Lt. R. monodonta, Bivona. Lt.L. Atl. R. parva, Da Costa: (Turbo)=? R. obscura, Ph. Lt. Adr. (Brusina, col nome di ft. cerasina). Atl. e Nord-Atl. R. radiata, Ph. Var. 4,= R. plicatula, (Risso) Schwartz. Var. 2,=. simplex, Ph. Lt.L. R. pulchella, Ph.=R. saline, Stossich. Lt. R. lineolata, Mich.=R. Ehrenbergii, Ph.=R. Venonensis, Brus. L. Var. levis=Paludina Benzi, Arad. Lt. R. albella, Lovén e var. Sarsii. L. Palermo! Atl. e Nord-At]. R. pusilla, Ph.= R. nana, Ph. Var. major e var. rufa. Lt. AU. (Fi- scher). Non Turbo pusillus, Brocc., ch'è una Rissoina, nè Bulimus na- nus, Lamk., ch'è una Rissoa fossile dei dintorni di Parigi. R. inconspicua, Alder e var. L.C. Atl. e Nord-Atl. I. marginata, Mich. L. Coste di Provenza (Michaud, Martin ed altri); Adr. (Brusina). R. similis, Sc. Lt. Var. 1,=R. apiculata, Dan. e Sand.. Lt. Var. 2,= R. rubrotineta, Dan. e Sand. Lt. Var. 3, l@vis. Lt. At. Var. 4,=R. costulata, Alder (non S.Wood). Lt. Atl. e Nord-Atl. Var. 5,=. deco- rata, Ph. Lt.L. Var. 6,=. Guerini, (Récluz) Schw. L. Var. 7,=R. Fraunfeldiana, Brusina. Lt. Ed altre numerose forme. I. variabilis, v. Muhlf. (Turbo). Lt. Au. Var. A,fasciata. L. Var.2, = R. splendida, Eichw. e numerose locali varietà. Lt. Monstr.=f. stran- gulata, Brus. Lt. R. violacea, Desm. e var. minor. Lt.L. Atl R. carinata, Da Costa (Turbo)=R. labiata, Ph. L. Atl. Var. minor- ecarinata. L. i | R. laclea, Mich. L. Atl R. cancellata, Da Costa (Turbo)=R. crenulata, Mich. Lt.L. Atl. e Nord- Atl. Var. minor. Lt. {quia R. subcrenulata, Schw. ms. (Alvania)=R. Oceani, (D’Orb.) Jeffr. e var. fasciata. Lt. R. cimea, Lin. (Turbo) e var. Lt. AU R. calathus, Forbes. L.C. Coste di Provenza (Martin). Atl. e Nord-Atl. R. clathrata, Ph.=R. Venus, (D’Orb.) Hòrnes. CU. R. reticulata, Montagu (Turbo) = R. Beani, Hanley. L.G. Atl e Nord- Atl. Var.=. Marie, (D’Orb.) Hornes. Lt.L. 430. 443. DELLE CONCHIGLIE MEDITERRANEE 27 . Rissoa cingulata, Ph. C. Palermo (Philippi e varie collezioni). . R. cimicoides, Forbes=R. sculpta, Ph.=R. intermedia, Arad. CG.A Atl. e Nord-Atl. . R. dictyophora, (Ph.) auct.=Alvania Weinkauff, Schw.. L.G. Atl. . R. Lanci, Cale.=R. Philippiana, Jeffr. e varietà di colorito. Lt.L. Var. —=Alvania tessellata, Schw.=R. angulata, Seguenza ms. C. . R. Caribea, D'Orb.— Hyst. Cuba 1853, p. 21, t. 14, f. 31-33 = Alvania subareolata, Monterosato. L.G. Atl Var. asperrima. G. Paler- mo 35 m! . R. Zetlandica, Montagu (Turbo). G. AH. e Nord-Atl. . R. costata, Adams (Turbo) =R. exigua, Mich. L.CG. Atl. e Nord-Atl. . R. Teste, Avad.=R. reticulota, Ph.=R. abyssicola var. conformis, Jeffr. C.A. Atl.—Cap-Breton (Fischer). Var.=. abyssicola, Forbes. A. Pa- lermo 240 m! “Nord-Atl. R. elegantissima,, Seguenza ms. = R. abyssicola var. obtusa, Jeffr. A. Med. 310 f. (Jeffreys); Palermo 210 m! Var. major. A. Paler- mo 190-210 m! . R. punctura, Montagu (Turbo)=? R. textilis, Ph.=R. Insenghe, Cale.= R. striatissima, Rayn. e Ponzi. L.C.A. Atl e Nord-Atl. . R. subsoluta, Arad. —Descr. foss. Gravitelli 1847, p. 77. A. Coste d’Al- geria e Malta a grande profondità (Jeffreys). Atl. e Nord-Atl. . È. substriata, Ph. A. Coste di Provenza? (Martin). Atl.—Baja di Tan- geri (Jeffreys). . R. electa, Monterosato—Journ. Conchyl. 1874, p. 261. A. S.Vito 200 ml i. R. dilecta, Monterosato nov. sp. A. Palermo 210 ml . R. Montagui, Payr. Lt. Atl Var.1,=Alvania Schwartziana, Brus. : Lt. Var. 2,= R. Peloritana, Arad. e Ben. Lt. Var. 3,=A. lineata, (Risso) Schw.=4. corrugata, Brus. e col. albus. Lt.L. Var. 4, minor. Lt. Ed altre locali varietà. . R. aspera,:Ph. Lt. Adr. Var. major. Lt. Coste di Barbaria! . È. scabra, (Ph.) auct. e var. Lt. Var. major. Pantelleria! . R. Canariensis, D’Orb. — Moll. Ganar. 1837, p. 78, t. 6, f. 5-7= Alvania mutabilis, Schw. Lt. At . fi. rudis, Ph. Var. levigata e var. rufa. L. . R. tenera, Ph. L.C. . R. Watsoni, Schw.— ved. Watson, Proc. Zool. Soc. London 1873, p. 375, t. 35, f. 44. L. Gli esemplari del Mediterraneo non hanno le strie spi- rali così rilevate come in quelli di Madéra, ma Je evoluzioni hanno la me- desima progressione. R. semistriata, Montagu (Turbo) = R. subsulcata, Ph. Lt.L. Atl e Nord-At}. 143. 444, 445. 446. 44T. 448. 449. 450. 451. 452. 453. 454. 455. 456. ABT. 458. 459. 460. 461. 28 7 NUOVA RIVISTA Rissoa Galvagni, Arad. Lt.L. Var.1,=Cingula maculata, Monterosato. L. Atl. Var. 2,=C. concinna, Monterosato=? R. granulum, Ph. L. Atl La R. depicta e la R. callosa, Manzoni, delle Canarie connettono fra esse le nominate varietà. La A. picta, Jeffr., delle Canarie e Madéra, è congenere. R. perminima, Manzoni —Journ. Conchyl. 1868, p. 244, t. 10, f. 8. Lt. Spezia (Jeffreys, col nome di .R. Maderensis, ms.). Atl. Canarie e Madéra (Manzoni e Watson). R. pulcherrima, Jeffr. e locali varietà. Lt.L. Atl. RR. fusca, Ph. (Truncatella?)=Paludina Porri e R. paludinioides, Cale. S. Var. 4, minor-turriculata=? R. pygmea, Mich. S. Var. 2, inflata. Lt. Messina (Benoit). R. Alleryana, Arad. e Ben.— Conch. viv. Sic. 1870, II, p. 214, t.4, f. AL = R. ambigua, Brugnone. Lt.L. Sicilia, in varii punti. R. Cossure, Cale.=R. fasciata. Req. e var. umifasciata. Lt. R. fulgida, Adams (Helix) e var. solidula. Lt. Atl. R. obtusa, Cantr.=R. Alderi, Jeffr.e var.=? R. soluta, Ph. L.C.A. Atl e Nord-Atl. R. cingillus, Montagu (Turbo)=? Helix pella, Lin. Lt. Corsica e coste di Provenza. Atl. e Nord-Atl. R. contorta, Jeffr. e var. intorta. Lt. R. striata, Adams (Turbo)=R. minutissima, Mich. e var. ecostata. Lt.L. Corsica e Coste di Provenza. Atl. e Nord-At]. R. vitrea, Montagu (Turbo). G.A. AL e Nord-Atl. R. proxima, Alder. G.A. Atl e Nord-Atl. R. tenuisculpta, Watson — Proc. Zool. Soc. London 1873, p. 389, t. 36, f. 28. A. Coste d’Algeria 112 f. e Banco dell’Avventura 92 f. (Jeffreys). Atl — Madéra (Watson). R. glabrata, v. Muhlf. (Helix) = R. punetulum, Ph. = R. sabulum, Gantr. = R. Mandralisci, Arad. Lt. Atl. Var.4,= A. punctum, Gant. = Cin- gula nitida, Brus. Lt. Var. 3, elongata e varie forme che connettono con la C. Schlosseriana, Brus. Lt. R. epidaurica, Brus. (Cingula) = R.(Cingula) balteata, Manzoni. Lt. Pa- lermo, Ognina, Trapani! Adr. (Brusina). Atl. — Canarie e Madéra (Manzoni, Watson). Rissoina Bruguieri, Payr. (Rissoa)= Mangelia reticulata e M. Poliana, Risso. Lt. Atl. Hydrobia (Paludinella) ulve, Penn. (Turbo) var. Barleei = Paludina Salinastii, Arad. Var. ventrosa e var. acuta. S.Lt. Atl Barlecia rubra, Montagu (Turbo). Var albescens e var. unifasciata. Lt. AU. Var. major. Lt. Ognina! 138. DELLE CONCHIGLIE MEDITERRANEE 29 . Jeffreysia diaphana, Alder (Rissoa?). Lt. Spezia (Jeffreys); Palermo! Atl. e Nord.-Atl. . J. opalina, Jefîr. var. minor. Lt.L. Malta (Issel); Messina (Seguenza); Palermo! Il tipo è Atl. e Nord-Atl. . J. inflata, Monterosato — Notiz. Conch. Med. p. 88. L. Palermo e Trapani! >. J. cylindrica, Jeilr. L. Spezia 12 f. (Jeffreys). . Skenea planorbis, Fabr. (Helix). Lt.L. Atl e Nord-Atl. Var. maculata. ICSIEIOZA dI . S.pellucida, Monterosato —Journ. Conch. 1874, p. 263 = S. helicina, Jelfr. ms. Lt.L. Napoli (Acton); Sicilia, in varie località ! . Homalogyra atomus, Ph. (Truncatella)= Ammonicerina simplex, 0.G. Costa. Lt. L.G. Atl e Nord-Atl. Var. maculata e var. polyzona. U.C. . H. rota, Forbes e Hanley (Skenea) = Ammonicerina pulchella e A. pau- cicostata, 0.G. Costa. L.G. Atl. Var.=MH. Fischeriana, Monterosato. L.Q. . Cecum trachea, Montagu (Dentalium) = Odontidium rugulosum, Ph. EACRATI: . C. obsoletum, (P.Carpenter) — Proc. Zool. Soc. London 1858, p. 426 = GC. semitrachea, Brus. ms. Lt. . C. (Brochina) glabrum, Montagu ( Dentalium). L.C. AU e Nord-Atl. Var.= Brochina Chiereghiniana, Brus. Lt. L. . Vermetus arenarius, Lin. (Serpula). Var. angulata e var. dentifera. Lt. Var. solitaria. L. Opercolo rudimentare, non visibile. . V. triqueter, Biv. e var. gregaria. Lt. Opercolo rudimentare. , V. semisurrectus, Biv. = V. Seguenzianus, Arad. e Ben. L.C. AU Oper- ‘colo semicompleto. . V. subcancellatus, Biv. Lt. Opercolo sottile e completo. Var. = V.cris- tatus, Biondi. Lt.L.C. . V. glomeratus, Biv. Lt. Opercolo rosso di minio con numerose e rav- vicinate lamelle alla faccia esterna; lucido allo interno con i bordi piani e il centro concavo, dove si eleva un piccolo peduncolo mammiforme. Var. angulifera. Lt. Tripoli (Gaudion). . Siliguaria anguina, Lin. (Serpula) e var. rosea. Juv.=S. Coste, Cantr. L.C. . Turritella communis, Risso. L.G. Atl . T. tricarinata, Brocc. (Turbo) = Turr. terebra, (Lin.) Jeffr. GC. AU e Nord-Atl. . T. triplicata, Brocc. (Turbo). L.C. Atl. Var. = Turr. incrassata, (J.Sow.) S. Wood = Turr. Brocchii, Bronn. G. Atl. — Vigo (M’Andrew). . T. subangulata, Brocc. (Turbo) = T. planispira, S. Wood. Lt. Coste di Siria e di Barbaria. Turbo acutangulus? Brocc. Truncatella truncatula, Drap. (Cyclostoma) e var. levigata. S. AU. 30 NUOVA RIVISTA . Scalaria communis, Lamk. =? Turbo clathrus, Lin. L. Atl e Nord-Atl. . S. Turtone, Turton (Turbo). L.C. Atl e Nord-Atl. Var.41,= SS. fenui- costata, Mich. = S. planicosta, Biv. L.C. Var. 2, minor-variegata. Adr. (Brusina ed altri). . S. geniculata, Brocc. (Turbo). A. Palermo 180 m! Atl. (Jeffreys). . S. Trevelyana, Leach. ©. Napoli? (Acton). Nord-Atl. . S. Cantrainei, Weink, = S. Kuzmici, Brus. = S. muricata, Tib. (un Risso). (. . S. pseudo-scalaris, Brocc. (Turbo). L. Atl . S. frondosa, J. Sow. = S. Celesti, Arad. = S. pumila, Lib. = S. soluta, Tib. (1868, non 1363). C.A. AU Var.4,= SS. Algeriana, Weink C.A. Var. 2,= S. soluta, Tib. (41863, non 1868). (. . S. frondicula, S. Wood. G. Palermo 60 m! . S. clathratula, Adams (Turbo). G.A. Med. 30-100 f. (Jeffreys); Paler- mo 50-120 m! Atl. e Nord-Atl. 9. S. pulchella, Biv. = S. Schultzii, Weink. Lt. L. . S. pulcherrima, Monterosato. G. Palermo e S. Vito 90-120 m! . S. hispidula, Monterosato. A. Napoli (De Stefanis); Palermo e S. Vito 180-200 m! . S. crenata, Lin. (Turbo). L.G. Atl. . S. pumicea, Brocc. (Turbo) = S. serrata, Cale. A. Girgenti (7. Hornes) Atl. (Jeffreys). . S. fusticulus, Monterosato nov. sp. G. Palermo 90 ml! . S. Monterosati, De Stefanis. C. Napoli (De Stefanis). . S. solidula, Jeffr. ms. A. Palermo 200 m! Atl. (Jeffreys). . S. Hellenica, Forbes = Rissoa? coronata, COR Ph.= S. Scacchii, Hornes LO AL . S. subdecussata, Cantr. = Chemnitzia miocenica, Sism. = Turritella Phi- lippîi, Arad.= Mesalia striata, (A. Adams) Fischer. GC. Atl. . Aclis ascaris, Turton (Turbo). G.A. Palermo 90-100 m! Atl. e Nord-Atl. . A. supranitida, S. Wood (Alvania)=? Turritella suturalis, Forbes= T. umbilicata, Dunker. L.C. Algeria (Weinhauff); coste di Provenza (Mar- tin); Dalmazia (Brusina); Palermo e S. Vito 90-100 m! Atl. e Nord-Atl. . A. Walleri, Jeffr. = Odostomia nisoides, Brugnone. A. Napoli (De Stefa- nis); Palermo e S. Vito 190-210 m! Atl. e Nord-At]. . A.(Pherusa) Gulsone, Clark (Chemnitzia). A. Palermo 190 m! Nord-Atl. . A. (Cioniscus) unica, Montagu (Turbo). L.G. Atl. . A. (Cioniscus) gracilis, Jeffr. ms. A. Coste d’Algeria 1456 f. (Jeffreys): S. Vito 200 ml Atl. (Jeffreys). . Mathilda quadricarinata, Brocc. (Turbo) = Turritella squamosa, Borson. ms. = Eglisia Macandree, H. Adams. G. Atl. 509. BUI. 542. 526. DELLE CONCHIGLIE MEDITERRANEE 34 Mathilda elegantissima, 0.G. Costa—Microd. Med. 1861, p. 53, t. 9, £.A (Tro- chus)= M. cochleeformis e M. granolirata, Brugnone. €. Napoli (De Stefanis); Sorrento (Semper); Palefmo (Brugnone ed altri);. S. Vito! . M. retusa, Brugnone—Miscel. Malach. 1873, p. 6, f. 3. €. Coste di Pro- venza (Martin, col nome di Turrifella Grayi, ms.); Palermo (Brugnone); tra Palermo ed Ustica 60 m! Pyramidella plicosa, Bronn = P. leviuseula, S. Wood. A. Med. 50-100 f. (Jeffreys); Tunisi! Li P. (Tiberia) minuscula, Monterosato — ved. Journ. Conchyl. 1874, p. 265. A. Coste d’Algeria 1456 f. (Jeffreys); Palermo e S. Vito 190-210 m! Atl. (Jeffreys). i . Odostomia conoidea, Brocc. (Turbo). L.G.A. At e Nord-Atl. Var. au- stralis:-:L.C. Atl. . 0. polita, Biv. (Ovatella) = Rissoa polita, Sc. = R. plica, Cante. = Eulima monodon, Req. ecc. ecc. Lt.L. Atl . 0. fallax, Monterosato nov. sp. A. Banco dell’Avventura (Jeffreys); Pa- lermo 2410 m! . 0. Lukisi, Jeffr. L. Sicilia e Dalmazia (Tiberi e Brusina, f. Jeffreys). Atl e Nord-Atl. . 0. rissoîdes, Hanley e var. Lt.L. Atl. e Nord-Atl. . O.albella, Lovén (Turbonilla). Lt.L. Sicilia, in varii punti! Atl. e Nord-A{]. . 0.umbilicaris, Malm(Turbonilla). G. Napoli (Acton, £ Jeffreys). Nord-Atl. . 0. turrita, Hanley.. Lt.L. Atl. e Nord-Atl. Var.= 0. turriculata, Mon- terosato L. Ognina! . 0. plicata, Montagu (Turbo) = Eulima unidens, Req. Lt. AMI. . 0. clavula, Loven (Turbonilla). G.A. Atl. e Nord-Atl. Var.= 0. pistil- lus, Brugnone = 0. Brugnoni, Monterosato. Non Syrnola pistillum, A. Adams, ch'è una Odostomia del Giappone. G.A. Palermo e S. Vito 90-120 m! . 0. acuta, Jeffr. e var. L.C. At. e Nord-Atl. 524. . 0. pallida, Montagu (7urbo)= 0. Eulimoides, Hanley = 0. Novegraden- O. conspicua, Alder. G. Atl e Nord-Atl sis, Brus.. L. Atl e Nord-Atl. Var. augusta. G. Ajaccio (Susini, f. Jef freys) Atl. e Nord-Atl. O. (Auriculina) vitrea, Brusina (Monoptygma) = 0. neglecta, Tib. = 0. elegans, Monterosato. L. Var. simplex e var. egigua. L. Palermo e Trapani! . 0.(Auriculina) obliqua, Alder. L.G. Palermo 50-80 m! Atl e Nord-Atl. Var.= A. ezilissima, Brusina. L. . 0.(Auriculina) diaphana, Jeffr. L.C. Sicilia, in varii punti! Atl. e Nord-A{l. . O.(Auriculina) Warreni, Thompson (Rissoa). L.G. Palermo 40-90 m. e altre poche località! 532. 593. bol. 550. 556. 597. 538. 539. bAO. DAI. 542. 543. BAL. 545. 546. DAT. . Odostomia (Auriculina) Nardoi, Brus.. Lt? Dalmazia (Brusina). 581. 32 NUOVA RIVISTA O. (Auriculina) bulimulus, Brugnone ms. = 0. bulimoides, Brusn. — Mise. Malach. 1873, p. 8, £. 410. Non 0. dulimoides, Souverbie, (1865), ch’ è una specie della Nouvelle-Calédonie. A. Banco dell’Avventura 92 f. (Jeffreys); Palermo 90 m! O. (Auriculina) Erjaveciana, Brus.= 0. retardata, Tib. ms. L. Dalma- zia (Brusina); Sicilia (Tiberi ed altri). 0. (Noemia) dolioliformis, Jeffr.=? N. valida, De Folin. L. Atl O. (Menestho) Humboldtii, Risso (Turbonilla) = Rissoa turriculata, Cale. = T. Kuzmici, Brus. Lt.L. Atl. Var. = Littorina striata, Dan. e Sand. — 0. dissimilis, Tib. GC. Atl O. (Pyrgulina) excavata, Ph. (Rissoa). L. At. O. (Pyrgulina) canaliculata, Ph. (Rissoa)= 0. intermedia, Brus. ,L.CQ. Dalmazia (Brusina); Ognina! 0. (Pyrgulina) pulchra, Jeffr.— Rep. Brit. Assoc. p. 112. C. Banco del- lAvventura 52 f. (Jeffreys); Palermo 90 m! Atl. (Jeffreys). O. (Pyrgulina) pygmea, Grateloup (Aci@on) = Turbonilla parvula, Nyst = Rissoa costulata, S. Wood (non Alder)= ft. Stefanisi, Jeffr. C. Na- poli (Acton e De Stefanis); Palermo 90 m! Atl. (Jeffreys). 0. (Pyrgulina) clathrata, Jeftr. C. Coste del Piemonte (Jeffreys); Paler- mo 50 m! Atl. O. (Pyrgulina) Jeffreysiana, Seguenza ms. Lt.L. Banco dell’Avventura (Jeffreys); Trapani (Seguenza ed altri); Malta (Benoit); Palermo 3-10 m! Non Turbonilla Jeffreysii, Koch e Wiechman (41872), foss. 0.(Pyrgulina) decussata. Montagu (Turbo). G.A. Palermo 80-100 m! Atl. O. (Pyrgulina) fleruosa, Jeffr.—Rep. Brit. Assoc. 1873, p. 142. A. Co- ste d’Algeria 1456 f. (Jeffreys); Palermo e S. Vito 110-200 m! Atl. (Jeffreys). O. (Pyrgulina) spiralis, Montagu (Turbo) var:= 0. furbonilloides, Brus. Lt. Atl O. (Pyrgulina) interstincta, Montagu (Turbo). L.G. Atl. e Nord-Atl. Var. 4,= Rissoa striata e R. suturalis, Ph. L.G. Atl. Var. 2,=R. gracilis, Ph.= Turbonilla emaciata, Brusina = 7. ambigua, Weink = O. Silvestri, Ar. e Ben. L. Var. 3,= 0. monozona, Brus. Lt. Var. 4, pre- cisa. L.G. Var. 5, gracilenta. CG. Var. 6, dupla. G. ecc. ecc. O. (Pyrgulina) indistineta, Montagu (Turbo). L.G.A. Atl. e Nord-At]. O. (Pyrgulina) Moulinsiana, Fischer. — Journ. Conchyl. 1865, p. 215, t. 6, £.9=? Chemnitzia terebellum, Ph L.C. Atl 0. (Pyrgulina) fenestrata, Forbes = Turbonilla Weinkaufi, Dunker = Chemmitzia Rigacci, Conti. G.A. Atl Non Parthenia fenestrata, A. Adams, ch'è del Giappone. 048. 549. 550. BOI. 059. DELLE CONCHIGLIE MEDITERRANEE 33 Odostomia (Pyrgulina) scalaris, Ph. (Melania). L.C. AHI e Nord-Atl. Non O. scalaris, Macgill. = 0. rissoides, Hanley. O. (Pyrgulina) tricincta, Jeftr.=? Rissoa dolium, Ph. Lt.L. Atl. Var. bicincta. C. O.(Turbonilla) lactea, Lin. (Turbo)= Turbo elegantissimus, Montagu. L. At. e Nord-Atl. Non 0. lactea, Dunker (1860), del Giappone, nè 0. laczea, Angas (1867), d’ Australia. Var.=0. pusilla, Jeffr. (non Ph.). L.C. Atl. E varie altre forme. O. (Turbonilla) delicata, Monterosato = Chemnitzia gracilis, Ph. (1844). Non Turbo gracilis, Brocc. (1814), ch'è una Odostomia fossile di questo gruppo. L. Atl. (Fischer) . 0. (Turbonilla) pusilla, Ph. (Chemnitzia). L.G. Palermo! . 0. (Turbonilla) multilirata, Monterosato nov. sp. G. Palermo 60-90 m! Simile per la forma alla precedente, ma adorna di strie spirali granellose. . 0. (Turbonilla) acutecostata, Jef{r—Rep. Brit. Assoc. 1873, p. 112. A. Coste d’Algeria 92 e 207 f. (Jeffreys); Palermo 190 m! Non 7. acutico- stata, Speyer (1872) = Auricula costellata, Grateloup (1825), foss. . 0. (Turbonilla) speciosa, H. Adams — Proc. Zool. Soc. London 1869, p. 274, t. 19, f. 41. A. Med? Atl — Vigo (M’Andrew). . 0. (Turbonilla) rufa, Ph. (Melania). L. Atl e Nord-Atl. Var. 4, ful- vocinta = Parthenia fasciata, Forbes = Chemnitzia fasciata, Req. L.C. Mar Egéo (Forbes); Corsica (Requien); Livorno (Appelius). Atl. e Nord-Atl. Var. 2, minor. Lt.L. . 0. (Turbonilla) densecostata, Ph. (Chemnitzia). L? Napoli (Philippi); Magnisi (Philippi e mio gabinetto). . 0. (Turbonilla) micans, Monterosato nov. sp. A. Palermo 210 m! Lu- cida, vitrea, con poche e rapide costulate evoluzioni. . 0. (Turbonilla) internodula, S.Wood (Chemnitzia) = C. corbis, Conti. CU. Algeria a Bona (Weinkauff), a Djigeelli (Beyerlé e Jousseaume, col nome di T. Calameli, ms.); Tunisi (M° Andrew); Palermo (De Stefanis); Magnisi (Brugnone). La conchiglia vivente differisce dal tipo fossile per avere due ordini di noduli intercostali in vece di uno. O.(Turbonilla) venusta, Monterosato nov. sp. A. Coste d’Algeria 586 f. (Jeffreys). Palermo 210 m! Forma e costulazione della precedente, ma senza nodulosità: colore latteo con una zona di un rosso vivido nel centro degli anfratti. . 0. (Turbonilla) obliquata, Ph. (Chemnitzia). L? Magnisi (Philippi). . 0. (Turbonilla) striatula, Lin. (Turbo) = Turritella potamoides, Gantr.= Melania pallida, Ph.= Parthenia varicosa, Forbes. L. QC. . 0. (Eulimella) Scille, Sc. (Melania). G.A. Atl. e Nord-Atl. ELIA TELI NI RT REI E TAI TAI PRAIA AS PEN IISLDIE, PRA. LEO STORNO GRINTA SCILIAR : 7 È UR o) A SOSTA RI HAI 563. S4 . i . NUOVA RIVISTA i Odostomia (Eulimella) superflua, Monterosato nov. sp. A. Palermo 210 m! Simile alla precedente, ma la sua base è corivessa in vece di angolata ‘ed ha una più snella ed elegante forma. 564. 565. 566. 567. 568. 569. 570. 5741. 0 572. | 573. DIL. DID: O. (Eulimella) paucistriata, Jeffr.—Rep. Brit. Assoc. 1873, p. 112. .G. Benzert Road 40-65 f. (Jeffreys); Palermo e S. Vito 50-90 m! Atl. (Jef- freys). Questa specie ha forti segni di accrescimento ma non ha coste e perciò ho preferito di metterla in questa sezione, ela il suo autore l’abbia collocata nella precedente. O. (Eulimella) unifasciata, Jeffr.— Rep. Brit. Assoc. 1873, p. 112 =? Eu- lima unifasciata, Forbes (1843). A. Banco dell’ Avventura 92 f. (Jef- freys); Mar Egeo? (Forbes); Palermo e S. Vito 100-200 m! O. (Eulimella) minuta, H. Adams (S yrnola) = 0. macella, Brugnone. C.A. Corsica (Jeffreys); Palermo e S. Vito 100-200 m! O. (Eulimella) angusta, (4) Monterosato nov. sp. L.G. Banco dell’ Avven- tura (Jeffreys); Palermo e S.Vito 80-100 m! Var. perangusta. A. Pa- lermo 210 ml 0. (Eulimella) nitens, Jeffr.— Ann. and. Mag. Nat. Hist. 4370) prom Mar Egéo 130 f. (Jeffreys).. Atl. (Jeffreys). O. (Eulimella) acicula, Ph. (Melania, A1836)=? Pyramis levis, Brown (1827) = Turbonilla producta, Lovén (1846). Non 0. acicula, Desh. (4824) = Auricula acicula, Lamk. (1815), fossile dei dintorni di Parigi; nè 0. producta, Adams (1839), ch'è vivente nell’America del Nord. L.G.A. Atl. e Nord-Atl. Var 4,= Parthenia turris, Forbes (1843). CG.A. Atl e Nord- Atl. Var. 2,= Eulimella subcylindrata, Dunker (1862). GC. Var. 3,= Eulima affinis, Ph. (1844). (C. O. (Eulimella) ventricosa, Forbes (Parthenia)= Eulima turritellata, Rae G.A. Atl. e Nord-Atl. . (Eulimella) nitidissima, Montagu, (Turbo). L.C. Atl. e Nord-Atl. Var. pura. L. O. (Eulimella) prelonga, Jeffr.—Rep. Brit. Assoc. 1873, p. 112. A. (Co- ste. d’Algeria a varie profondità (Jeffreys). Atl. (Jeffreys). 0. (Eulimella) debilis, Monterosato nov. sp. A. Palermo 90-110 m! Gra- cilissima con molte oblique e compresse evoluzioni; apice eccentrico. 0. (Eulimella) hyalina, Jeffe—Ann. and Mag. Nat. Hist. 1870, p. 15 = E. striatula, Jeffr. A. Coste del Piemonte (Jeffreys); Palermo 210 m! Atl.—Vigo (M’Andrew). O. (Eulimella) minima, Jeffr. A. Palermo e S.Vito 80-110 m! Atl e Nord-Atl. Non Chemnitzia minima, Hoòrnes, foss. (1) Non Turborilla angusta, Gabl (1873), fossile di S. Domingo, che appartiene ad altra sezione. 584. 585. 586. 592. . E. stenostoma, Jeffr. A. Med. 50-400 f. e coste d’Algeria 1456 f. (Jef- 594. 595. — 596. 597. DELLE CONCHIGLIE MEDITERRANEE i : 5}5) . Janthina bicolor, (Menke) auct.=I. Coste, Morch. Pelagica. At. 077. I. nitens, Menke = I. prolongata, Payr. (non De Blainv.) e var. minor. Pelagica. Atl. . I. pallida, Harvey = I. patula, Ph. Pelagica. . Atl. . Stilifer Turtoni, Broderip.. L.C. Palermo e S.Vito 90-100 m! Atl e Nord-Atl. . Eulima polita, Lin. (Turbo). L.C. Atl. e Nord-Atl. Var.= E. drevis, Req.=E. Petitiana, Brus. Lt. . E. microstoma, Brus. Lt.L. Atl. . E. nana, Monterosato nov. sp. A. Palermo 90 m! . E. distorta, Defr. (Melania)=E. Philippii, Weink. L.C.A. AU e Nord- Atl. Var. devians. A. Palermo 90 m! E. curva, Jeffr. ms.— ved. Journ. Conchyl. 1874, p. 269. L.C.A. Adr. (Brusina e coll. Hanley); Trapani (Brugnone);. Palermo e S.Vito 60-110 m! Atl. (Jeffreys). E. lineata, Monterosato — Test. nuovi mari Sic. 1869, p. 10, f. 4 (Aclis). L.CG.. Trapani! Non £. lineata, Sow.=E. subulata, Donov. E. piriformis, Brugnone — Misc. Malach. 1873, p. 7, f. 5. C.A. Paler- mo 80-110 m! Atl. (Jeffreys). Specie distintissima, somigliante ad uno Stilifer. . E. subulata, Donov. (Turbo). L.G. Atl. e Nord-Atl. Var. 4, minor. (. Napoli (Tiberi). Var. 2, alba. G. Algeria (Weinkauff); Palermo! . E. bilineata, Alder. L.C.A. Adr. (Brusina): Napoli. (Acton); Palermo e S.Vito 40-90 m! Atl. e Nord-Atl. . E. Jeffreysiana, Brus. (Leiostraca). L.G. Atl. . E. intermedia, Cantr.. L.G.A. Atl e Nord-Atl. Var. 4, rubro-tincta. C. Adr. (Stossich); Palermo! Atl. Var. 2, gracilis (=. distorta var. gra- cilis, Jeffr.). L.CG. AHI. e Nord-Atl. . E. compactilis, Monterosato nov. sp. A. Palermo 80-120 .m! Atl.—Gap- Breton (Fischer). E. Stalioi, Brus.=? E. glabella, S.Wood. Di Adr. (Brusina). freys); Palermo 2410 m! Atl. e Nord-Atl. Nerita (Smaragdia) viridis, Lin. L. AU. Natica millepunetata, Lamk. Lt.L.G. Atl. Var.4, maculata. L. Var. 2, rarimaculata. L. Coste di Spagna (Hidalgo). Var. 3, immaculata. Lt.L. Taranto (Acton e Targioni-Tozzetti). N. Dillwynii, Payr.= Nacca fasciata, Risso e var. efasciata. L. Atl N. marmorata, H.Adams—Proc. Zool. Soc. 1869, p. 274, t. 19, f. 8. C. 598. 599. 600. 601. 602. 603. 604. 605. 606. 607. 608. 609. 640. 644. 612. 613. 644. 645. 6416. 617. 618. 36 NUOVA RIVISTA Palermo 30 m! Atl.— Canarie (M’Andrew). Var.= N. Prietoi, Hidalgo (ex typo). C. Isola di Minorca (Prieto, f. Hidalgo); Palermo 35 m! Natica Sagraiana, D’Orb. (1853)=? N. flammulata, Req. (1848)= N. filosa, Ph. (1852, non Reeve, 1855)=. fulminea, (Risso) Tib. Non N. fulminea, auct., ch’ è del Senegal. L.C. Atl N. textilis, Reeve—Conch. Icon. (Nazica) 1855, t. 25, f. 115. CG. Alge- siras (Hidalgo, col nome di N. intricatoides; ex typo). Atl.—Cadice (M’An- drew; Hidalgo; coll. Petit, come N. vittata, Gm.); Baja di Tangeri (M’An- drew e coll. Petit). N. affinis, Gm. (Nerita)= Nat. clausa, Brod. A. Coste d’Algeria 1415 f. (Jeffreys). Nord-Atl. N. (Neverita) catena, Da Costa (Cochlea). L.G. Atl. N. (Neverita) fusca, De Bl.= Nat. sordida, Ph. (non Swains.)= Nat. Broc- chiana, Ph. G.A. Atl. N. (Neverita) intermedia, Ph.= Nat. Alderi, Forbes. L.C. Atl. e Nord-Atl. N. (Neverita) Guillemini, Payr.= Nat. marmorata, Risso. L.C. Var. lactea. L. Dalmazia (Brusina). N. (Neverita) macilenta, Ph. e var. lactea. L.C. Atl. N. (Neverita) intricata, Donovan (Nerita) e var. lactea. Li.L. Atl. N. (Neverita) Rizza, Ph. C. Palermo (Philippi e mio gabinetto); Corsica (Tiberi); coste di Provenza (Martin e Sollier). N. (Neverita) Josephinia, Risso (Neverita). Lt.L. Var.=Nat. Egyptiaca, Récluz. Lt. Coste meridionali; Port-Said. Adeorbis subcarinatus, Montagu (Helix) = Delphinula pusilla, Cale. (non Eichw.). Lt. At A. imperspicuus, Monterosato nov. sp. A. Palermo 90-110 m! Rasso- migliante in piccolo all’ A. pulehralis, S.Wood, fossile del Crag. Archytea catenulata, Achille Gosta— Ann. Mus. Zool. Univ. Napoli 1869, p. 53, t. 4, f. 4 (male). G. Isola di Capri (A. Costa). Solarium discus, Ph.— ved. Not: Solarii Med. Palermo 1873, p. 4, f. 1-4 e Journ. Conchyl. 1874, p. 269. (C. . moniliferum, Bronn — lc. p. 7, f. 5-7. (C. Atl . Mediterraneum, Monterosato — !. c. p. 6, f. 8-9. C. . hybridum, (Lin.) Lamk.—L. c. p. 7, f. 410, 44 e Journ. Conchyl. 1874, AQUORMILIGTATE . Archyte, 0.G.Costa — !. c. p. 40, f. 21-23 e Journ. Conchyl. 13874, SOTATERO AAA dl S. fallaciosum, Tib.—I. c. p. 8, f. 12-20 e Journ. Conchyl. 1874, p. 274 e 360. G. At S. Jeffreysianum, Tib. (Gyriscus). G. Sardegna (Tiberi). 3_ n° nQARAQA 630. 634. 635. 636. 637. DELLE CONCHIGLIE MEDITERRANEE RITI . Solarium Zancleum, Ph. (Bifrontia?). G. Atl . Xenophora Mediterranea, Tiberi. G. Atl. . Lamellaria perspicua, Lin. (Helix) e var. L. At. e Nord-Atl. Monstr. = L. spirolineata, Monterosato. . Cancellaria cancellata, Lin. ( Voluta). C. AU Var.=C. similis, G.B.Sow. G. Isole Baleari (Paz, f. Hidalgo). . C. coronata, Sc. GC. Med. 50-100 f. (Jeffreys); Malta? (Mamo). . C. mitraformis, Broce. (Voluta). CG.A. Palermo 110 m., un frammento! Atl.—Capo Sagres e Vigo (Jeffreys e M’Andrew). 5. Chenopus pes-pelecani, Lin. (Strombus) e monstr. L.C.A. Atl e Nord-Atl. . C. Serresianus, Mich. (Rostellaria). CG.A. Atl . Cerithium vulgatum, Bruguière. Lt. Atl. Var.4, spinosa. Lt. Var.2, nodulosa. Lt. Var. 3, gracile. Lt. Var. 4, tuberculata. Lt. Var. 5, minuta. Lt. Var. 6, pulchella. ‘Lt. Var. 7, varicosa. L.G. Monstr. = 0. Milnesii-Edwardsti, Testa. . C. rupestre, Risso = C. Mediterraneum, Desh. e var. Lt. Atl. 629. C. Brogniarti, Marav.=C. Hymerensis, Cale.=C. Piraini, Benoit=(C. levi- gatum, Ph. Lt. Catania e Messina (Maravigna, Philippi, Benoit); Ter- mini (Galcara). C. (Pirenella) conicum, De BI. Var. 4,=C. Peloritanum, Cantr. Var. 2, = 0. Sardoum, Cantr. Var. 3,=C. cinereum, (Parreyss) Kiener. Var. 4, laclea ed altre varietà. S. . C. (Cerithidea) Lafondi, Mich. S. Med?— Messina (Benoit). Antille! Strombiformis costatus, Da Costa=Strombus turboformis, Mont.=(C. am- biguum, G.B. Adams. . CO(—_—? ) metula, Lovén. A. Villafranca (Hanley). Nord-Atl. . C(———?) trilineatum, Ph. L.C. Ognina e Pantelleria (Philippi ed altri); Mar Egéo (Forbes): coste di Provenza (Petit); Algeria (Weinkauff). . C. (Cerithiolum) reticulatum, Da Costa (Strombiformis). Lt.L.G. Atl e Nord-Atl. Var. 1,=C. afrum, Dan. e Sand. Lt. Var. 2,=Cerithiopsis Jadertinus, Brus. Lt.L. Var. 3, ezigua ed altre varietà. Lt. ‘C. (Cerithiolum) pusillum, Seffr. (Turritella?) e var. ecostata. L.C.A. Atl. Non Cerithium pusillum, Gould, ch'è delle isole Sandwich. C. (Cerithiolum) lacteum, Ph. L.C. Atl.—Madéra (Watson). Triforis perversa, Lin. (Trochus). L. Var. 4, maculata. L.CG. Var. 2, minor = M. adversus, Montagu. Lt.L.G. Atl. e Nord-Atl. Var. 3, di- color. L.G. Var. 4, lactea. Lt. Livorno (Gaifassi). Monstr. = 7. Be- noitiana, Arad. T. aspera, Jeffr.—Rep. Brit. Assoc. 1873, p. 112. A. Banco dell’Avven- tura 92 f. (Jeffreys). Atl. (Jeffreys). 638. 639. 640. 641. 642. 643. 644. 645. 646. 647. 643. 649. 650. 654. 652. 653 654. 655. 656. 657. 658 38 NUOVA RIVISTA Cerithiopsis tubercularis, Montagu (Mure). L.C. Atl. e Nord-Atl. Var. 41,= Cerithium pygmaum, Ph. L. Var. 2,= Cerithium acicula , Brus. Lt.L. Var. 3,= Cerithium minimum, Brus. Lt.L. Atl (ved, Jourh. Conchyl. 1874, p. 272). C. Barleei, Jeffr. L. Napoli (Tiberi): Palermo 30 m! Atl C. bilineata, Hornes (Cerithium)= Cerithiopsis Coppole, Arad. Lt.L. Atl. (Fischer). Var. Jacfea. Lt. Ognina e Pantelleria! C. diadema, Watson ms.=C. fibula, Jeffe.—Rep. Brit. Assoc. 1873, p. 112. 'L.G. Coste d’Algeria in varii punti e varie profondità (Jeffreys); Palermo e S.Vito 40-100 m! Atl — Cap-Breton (Fischer); Canarie (M’Andrew); Madéra (Watson). C. corona, Watson ms. L.C. Palermo 40-100 m! Atl —Madéra (Wat- son). Var.4, scalaris. L. Coste d’Algeria (Jeffreys): Palermo 40-100 m! Var. 2, obesula. ‘Lt.L. Montenero presso Livorno (Caifassi); Paler- mo 12-60 m! C. horrida, Jeffr.— Rep. Brit. Assoc. 1873, p. 113. L.C. Coste d’Alge- ria 45 f. (Jeffreys); Smirne (M’Andrew); Palermo e S.Vito 30-90 ml C. tiara, Watson ms. L.C. Palermo e S.Vito 30-90 m! AtlI.— Madéra (Watson). Non Cerithium thiara, Lamk., foss. C. pulchella, Jeffr. L.C. Atl C. Metaxe, Delle Chiaje (Murex) = Cerithium Crosseanum, Tib. = Ceri- thium subeylindricum, Brus. L.G. Al. Var.= Cerithium angustissi- mum, Forbes = Cerithium Benoitianum, Monterosato. L.C. Atl e Nord-Atl. Purpura hamastoma, Lin. (Buccinum) e var. Lt. Atl. Buccinum Humphreysianum, Bennet var. ventricosa = B. ventricosum, Kiener (non Lamk.). G.A. Coste di Provenza (Martin ed altri); Corsica (Susini, f. Jeffreys). Nord-Atl. Triton nodiferus, Lamk. e var. L.C. Atl T. Seguenze, Arad. e Ben. (Trifonium)-—ved. Jahrbicher d. Malak. Ges. October 1874, p. 347. L. Aci-Trezza (Aradas, Kobelt ed altri); Siragusa, con l’animale (Lischke, f. Kobelt). T. Parthenopeus, v. Salis (Murex). Lt. At. T. corrugatus, Lamk. L.C. At T. cutaceus, Lin. (Murex). L.C. Atl. T. (Bufonaria) scrobiculator, Lin. (Murea). L.G. Atl. Ranella gigantea, Lamk. L. Atl R.(Epidromus)reticulata, De BI. (Triton)=R.lanceolata, Menke e var. Lt. Murea brandaris, Lin. e var. L.G. Atl. . M. trunculus, Lin. Var. 4, falcata. Var. 2, conglobata. Lt. Atl. 659. 666. 667. 668. 676. DELLE CONCHIGLIE MEDITERRANEE 39 Murex erinaceus, Lin. L.C. Atl e Nord-Atl. Var. 41,=M. Tarentinus, Lamk. Lt. Var. 2,=M. pereger, Brugnone = M. hybridus, Benoit. Lt. . M. cristatus, Brocc. L. Al. Var. A, Trophoniformis. L. Var.2, iner- mis. Lt.L. Var.3, dicolor. L.C.. Var. 4,=M. diadema, Benoit ms. L.G. . M. Edwardsti, Payr. (Purpura). Lt. Atl. Var.4,coralligena. G. Var. 9,=M. cyclopus, Benoit ms. Lt. . M. aciculatus, Lamk.=M. corallinus, Sc. L. Al. Var. A,=Pusus (41) minutus, Desh.=F. Titii, Stossich. Lt. Var. 2,=/. Hellerianus, Brus. — M. Weinkauffianus, Grosse. L.C. . M. acanthophorus, Monterosato nov. sp. Lt. Coste di Barbaria! . M. scalaroides, De BI.=M. distinctus, De Crist. e Jan. L.C. . M. Brocchii, Monterosato=M. craticulatus, Brocc. (1814) non Linné (1776), ch’ è una tropicale specie di Lazirus, nè Fabricius (1780), ch’è del Groenland. L.G. Var.=?. squamulosus, Ph. G. Corsica e Sardegna (Tiberi). M. vaginatus, De Crist. e Jan=M. carinatus, Bivona (non Turton, nè Penn.) e var. pagodula. G.A. Atl M. multilamellosus, Ph. (1844). A. Med. 1415 f. e Rasel Amoush 45 f. (Jeffreys); Palermo 210 m! Il Prof. Bellardi (Moll. terz. Piem. part. 1°, p.104), riunisce questa specie al M. varicosissimus, Bonelli (1841), ch° è differente. M. Barvicensis, Johnston. G.A. Corsica e Sardegna (Tiberi); Malta (Spratt, f. Jeffreys); Palermo e S.Vito 210 m! Atl. e Nord-Atl. . M. muricatus, Montagu=Fusus longurio, Weink. Var. laclea e altre va- rietà di forma. L.G. Atl. e Nord-Atl. . M. rostratus, Olivi. L.G. Atl Var. carinata e numerose forme che con- nettono col Fusus pulchellus, Ph. . M. (Aptysis) Siracusanus, Lin. e var. Fusciolarioides. Lt. . M. (Typhis) tetrapterus, Bronn (Murea). L. . Fasciolaria lignaria, Lin. (Murex). Lt. . Pisania maculosa, Lamk. (Buccinum) e var. Lt. AU. . P. D’Orbignyi, Payr. (Buccinum)=Murex plicatus, Brocc. (non Lin.). Lt. Al. Var.4, minor. Lt. Var.2, subspinosa=? M.subspinosus, A.Adams. L.C. Non Pollia subspinosa, Bellardi, foss. P. picta, Sc. (Purpura)=Buccinum Scacchianum, Ph. e var. alba. Lt. Non Purpura picta. Turton, ch'è delle Antille. (1) « Genus artificiale, species costate squamulose in Murices multivaricosas transeunt, neque ullo criterio certo distingui possunt.» Ph. (Moll. Sic. I, p. 202). Ved. anche Notiz. foss. M. pell. e Fic., p. 14 e 13. 677. 678. 679. 680. 681. 682. 1683. 684. 685. 686. 687. 688. 689. 690. 691. 692. 693. Re eo I da N e i POE A e e e a I EEA CO SETA 00020 ARIDI GIONI PMO VAIDIE AC MPVHNI VEN UCI AO GRA E Lr ito FRENI SIL I Mg n "| e N da 0 40 NUOVA RIVISTA Pisania bicolor, Cantr.— Diag. Bull. Brux. 1835, p. 19 (Murex)= Fusus fa- i sciolarioides, Forbes=Buccinum leucozonum, Ph. e var. Lt. P. fusulus, Brocc.—Conch. foss. sub. p. 409, t. 8, f. 9 (Murex)=M. Spa- de, Libassi=M. flericauda, D'Ancona (non Bronn). C. Corsica, Sarde- gna, Lipari (Tiberi); coste d’Algeria (Jeffreys); Palermo 35 m! Atl.—Vigo (M’Andrew); Cap-Breton (Fischer). P. (Euthria) cornea, Lin. (Murex) e var. Lt.L. Atl Juv.=? Pusus karamanensis, Forbes. Pseudomurex bracteatus, Brocc. (Murex)=M. rotifer, Bronn. Var. 1,= Fusus lamellosus, (Jan) Ph. Var. 2, minor. Var. 3,= M. laceratus, Desh. Var. 4,=F. Babelis, Req.=M. Benoiti, Tib.=M. Tectum-Sinense, Desh.=M. spinulosus, O.G.Costa. Var. 5,=Pyrula Panormitana, Mon- terosato=? M. brevis, Forbes. Var. 6,=Purpura brevis, De Bl.=Pyrula squamulata, Ph.=Pyr. Santangeli e Pyr. Borbonica, Marav. (. P. Meyendorffii, Cale.-—Cenno Moll. Sic. 1845, p. 33, t. 4, f. 22 (Murex) = M. scalaris, auct. (non Brocc.). Lt. Atl. Canarie (M’ Andrew); Ma- déra (Watson). Cassidaria echinophora, Lin. (Buccinum) e varie forme. Monstr. 1,=(. depressa, Ph. Monstr. 2,=Pyrula provincialis, Martin. L.C.A. C. Tyrrhena, Chemn. (Buccinum). L. Atl Cassis undulata, Lin. (Buccinum)= Cassidea sulcosa, Brug.e var. L.C. At C. saburon, Bruguière (Cassidea) e var. L.C. Atl. Dolium galea, Lin. (Buccinum). L. Atl D. (Doliopsis) Crosseanum, Monterosato. G. Palermo! Nassa limata, Chemn. (Buccinum). L.C. Atl. Var. 1, major. L.C. Adr. (Brusina ed altri). Var. 2, minor. G.A. Var. 3, fusca. G. Li- pari (Tiberi). Var. 4, albida. A. N. prismatica, Brocc. (Buccinum). L.G. Palermo (Benoit e mio gabi- netto); « Med. » (M’Andrew e mio gabinetto). N. reticulata, Lin. (Buccinum). Lt. Atl.e Nord-Atl. Var. nitida e forme intermedie. Lt. Atl. N. semistriata, Brocc. (Buccinum). G.A. Mar Egéo (Forbes); Algeria (Jeffreys e Weinkauff); coste di Provenza (Sollier). Atl.—Vigo (M'Andrew, come N. trifasciata, A.Adams); Cap-Breton (Fischer, col nome di N. Gallandiana). N. Tinei, Maravigna (Buccinum)=B. Gussonii, Cale. Lt. Messina (Ma- ravigna e Benoit); Palermo? (Calcara). N. cornicula, Olivi (Buccinum). Lt. Atl. Var. 4, semiplicata. Lt.L. Var. 2, decollata. S.Lt. Var. 3, flavida. Lt. Var. 4, elongata. Lt. Var. 5, minor. Lt.L. 703. 704. 706. 707. 703. 709. HALO: TA. DELLE CONCHIGLIE MEDITERRANEE 4A . Nassa incrassata, Muller (Trifonium) e var. fasciata, rosea, ecc. Lt. L. Atl. e Nord-Atl. . N. pygmea, Lamk. (Ranella) e var. Lt.L.C. Atl. e Nord-Atl. . N. Cuvieri, Payr. (Buccinum)= B. variabile, Ph. = N. encaustica, Brus. Var. 1,=B. Ferussaci, Payr. Var. 2,=N. Maderensis, Reeve e numerose forme oltre a quelle descritte e figurate da Philippi. Lt. Atl. . N. mutabilis, Lin. (Buccinum) e var. Lt. AU . N. granum, Lamk. (Buccinum). L. . N. gibbosula, Lin. (Buccinum) e var. minor. L. Siria. Var.=N. cir- cumcincta, A.Adams. L. Siria (M' Andrew); Siragusa (Kobelt). . N. (Cyclonassa) neritea, Lin. (Buccinum)=C. Italica, Issel e var. minor. Lt. Atl. Juv.=Nanina unifasciata, Risso. . N. (Cyclonassa) pellucida, Risso (Cyclope)= Cyelops asteriscus, Mich. Lt. Atl? Var.=Cyclope Donaviana, Risso (suppl. p. 274). Lt.L. . N. (Gyclonassa) Kamieschi, Chenu—Man. Conch. p. 165, f. 792-794 (Cy- clops). Lt. Adr.? Mar Nero—Grimea (Chenu). . Columbella rustica, Lin. (Voluta). Lt. Atl. Var. elongata e var. lactea. Lt.L. C. Greci, Ph.= Mitra olivoidea, Cantr.=C. filosa, (Duj.) Hornes=M. co- lumbellaria, Sc.=M. clandestina, Reeve=Turbinella Dujardinii, Hornes — M. leontocroma, Brusina. L.G. Varie forme. GC. (—?) costulata, Cantr. (Fusus) = Buccinum acutecostatum, Ph. — B. Teste, Arad.= C. Halieeti, Jeffr. A. Malta (Dr. Carpenter); Pa- lermo e S.Vito 189-200 m! Atl. e Nord-Atl. . C. (Mitrella) scripta, Lin. (Murex). Lt. Atl. Var. 4,= Mitra Gervillii, Payr. L.G. Atl Var. 2,= (€. Crosseana, Récluz. G.. Var. 3,= €. de- collata, Brusina. L.C. Var. 4, brevis. Lt.L.G. Var. 5, coccinea= Vo- luta Brisei, (Chieregh.) Brus. L. Ed intermedie varietà di forma e di colorito. C. (Mitrella) minor, Sc.= Buccinum Scacchii, Gale. L.G. AU Lachesis minima, Montagu (Bucecinum). Lt. Atl. Var. 4, mammillata. Lt.L. Var.2,linearis. L. Var.3, attenuata. Lt. Var.4,insignis. G. ecc. L. vulpecula, Monterosato=L. recondita, Brugnone. L.G. Algesiras 15 £. (Jeffreys); Palermo e S.Vito 31-90 m! L. granulata, (Risso) Tiberi (Nes@a). Lt. Adr. (Stalio, Brusina ed altri); coste di Siria! L. lineolata, Tiberi (Nesea). G. Napoli, Corsica, Sardegna, Lipari (Ti- beri); Gallipoli (Barba, 7. Kobelt); Palermo e S.Vito 90-120 m! L. candidissima, Ph. (Buccinum). Lt. Ognina e Siracusa (Philippi e Ko- belt). Atl—Senegal (Mus. École des Mines). 6 712. 713. TAL. 715. 716. TLT 718. 1459" 720. 724. 723. 49 NUOVA RIVISTA Lachesis Folinee, (Delle Chiaje) Ph. (Buccinum)=Fusus granulatus, Cale. =B. Lefebvrii, Marav.= L. areolatà, Tib. G. Atl.—Vigo (M’Andrew e mio gabinetto). Pleurotoma undatiruga, Biv. pat.= P. corrugata, Kiener. G. Algeria (Weinkauff). Atl. — Senegal. Var. = P. similis, Biv. fil = P. balteata, (Beck ms.) Kiener. C. Ì P. semicolon, (J.Sow.) S.Wood — Crag Moll. p. 54, t, 5, f. 3. (P. galerita, Brit. Conch. V, t. 102, f. 6). A. Med. 50-100 f. (Jeffreys). Nord-Atl. Il P. galeritum, Ph.=P. subasperum, Brugnone, fossile di Calabria e di Sicilia, è differente. P. modiola, Jan (Pusus)=P. carinata, Biv. fil.=P. acuta, Bellardi. A. Med. 340 f. (Jeffreys); Palermo 210 m! Atl. e Nord-Atl. P. calcarata, (?) Grat.= P. etruscum, Tib. ms. C.' Livorno (Caifassi; mio gabinetto). P. nodulosa, Jeffr.—Rep. Brit. Assoc. 1873, p. 113. A. Coste d’Algeria 1456 f. (Jeffreys). P. Loprestiana, Calc. = P. Trecchi, Testa= P. Terentini, Ph.=? Fusus moniliger, Gantr.=P. tricinctum, Brugnone (non P. tricineta, Edw., fos- sile eocene). G. Atl. Differente della P. crispata, (Jan) auct.=P. Re- nieri, Sc., fossile miocene e pliocene. Var. minor. A. Palermo 210 ml! At. (Jeffreys). P. emendata, Monterosato=P. Renieri, Ph. (non Se.). G.A. Palermo e S.Vito 90-150 m! Atl. P. hispidula, De Crist. e Jan=? P. Lyciaca, Forbes = P. decussatum, Ph. (non P. decussata, Lamk., fossile di Grignon) = Clavatula concinnata, S.Wood=P. nuperrinum, Tib. GC. Atl. P. Morchii, Malm (Trophon)—ved. Journ. Conchyl. 1874, p.360. A. Pa- lermo 210 m! Atl. e Nord-Atl. Var. 1,= P. cirratum, Brugnone (non P. cirrata, Bellardi)= Bela demersa, Tib. C.A. Corsica (Tiberi); Palermo e S.Vito 90-150 m! Var. 2, l@visculpta. A. Palermo 240 m! . P. Columno, Sc.=? Murex harpula, Brocc. G.? Med.? Aitl.? . P. septangularis, Montagu (Murex). G. Atl. e Nord-Atl. Var. 1,=P. Pe- titi, Marav.=P. secalinum, Ph. L.G. Var. 2, minor flericosta. Lt. Go- ste di Siria e di Barbaria! P. nebula, Montagu (Murex)=P. subimarginata, (Bonelli) Bellardi. Lt. L. Isole Baleari (Hidalgo). Atl. e Nord-Atl. Var. 1,=P. Ginnanianum, (Sc.) Ph. Lt. Var. 2, intermedia. L. Var. 3,=P. levigatum, Ph. ed altre numerose forme. Lt.L. Atl Non Clavatula levigata, S.Wood =P. te- nuistriata, A.Bell, fossile del Crag. . .P. brachystoma, Ph.=P. Cycladensis, Reeve. L.G. Atl e Nord-Atl. Var. 1371. 7158. 759. 740. T4A. DELLE CONCHIGLIE MEDITERRANEE 43 4,=P. cancellina, (Bonelli) Bellardi=?P. granuliferum, Brugnone. C.A. Palermo e S.Vito 90-180 m! Atl. Var. 2,=P. minimum, Brugnone. (. Martigues (Martin). . Pleurotoma nana, Sc. (1836) non Desh. (1832)=P. fortis, Forbes (1843). Li. AG . P. attenuata, Montagu (Murex)=P. Valenciennesii, Marav.=P. Payrau- deauti, Weink. (non Desh.). L.C. Atl. . P. costulata, De BI.=P. striolata, (Sc.) auct. L.C. Atl e Nord-Atl. . P. costata, Donov. (Murex) = P. prismaticum, Brugnone. G. Atl. e Nord-Atl. - P. Bertrandi, Payr. L. Var.41,=P. cerulans, Ph. Lt.L. Var. 2,=P. unifasciata, Desh. UL. . P. indistincta, Monterosato — ved. Appelius Bull. Malac. Ital. 1869, p. 137, RAR UE i. P. Sicula, Reeve (Mangelia)=P. plicatum, Ph. (non Lamk.) = Raphitoma Philippii, Weink.— ved. Weink. in Jahrbicher Deuts. Malak. 1874, p. 6, fi dlO o 6 ani . P. multilincolata, Desh.=P. pusilla, Sc. Var. 1. fasciata. Var. 2, ca- ‘rulea. Var.3, minor albida=P. pusillum, Ph. Var.4, major. Lt.L. . P. teniata, Desh. e var. Lt. . P. Vauquelini, Payr. e var. nana. Lt. Atl . P. Paciniana, Gale.—Ricer. Malacol. Palermo 1839, p. 7, f. 2=Raphitoma Sandrii, Brus.. Lt. . P. rugulosa, Ph.=P. crassilabrum, Req. Lt.L.G. Atl. Var. 4, lineata. L. Var. 2, elongata. Lt.L. Var. 3, nana. Lt. Var.4,=P. albida, Desh. Lt. Var. 5,=Mangelia Stosiciana, Brus.=M. crenulata, Tib. ms. (non P. crenulata, Lamk., fossile di Grignon). Lt. Atl. — Madéra (Watson). P. clathrata, De Serr. = P. rude, Ph.= P. quadrillum, Duj.=P. cancel- lata, Calc.=P. granum, Ph.=P. Delosensis, Reeve. L.C. Var. 1, lactea. Lt. | Var. 2, minori Lt. P. (Defrancia) gracilis, Montagu (Murex). L.G. Atl e Nord-Atl. P. (Defrancia) torquata, Ph. CG.A. Coste d’ Algeria (Jeffreys); Tunisi (Dr. Carpenter); Sardegna (Tiberi, Bela recondita, ms.); Palermo e S.Vito 180-210 m! Atl. (Jeffreys). P.(Defrancia) tenera, Jeffr.—Rep. Brit. Assoc. 1873, p. 113 (Defrancia). A. Goste d’Algeria 45 f. (Jeffreys); Palermo 210 m! i P.(Defrancia) anceps, Eichw. = P. leres, Forbes = P. turritelloides, Bel- lardi pars= Pusus La Vie, Calc.=P. boreale, Loven=P. minutum, Arad. (non P. minuta, Forbes) = P. fusiforme, Req. = Trophon paullulum, 742. 743. 744. UNE 746. 748. 749. 750. ode 752. 753. 754. 755. 756. 4h NUOVA RIVISTA (S.Wood) Jeffr.=P. minutum var. polyzonatum, Brugnone = Raphitoma Barbieri, Brus.. G.A. Atl. e Nord-Atl]. Pleurotoma ((Defrancia) stria, Galc.=P. semiplicatum, Bon. GC. S.Vito 180 m! P. (Defrancia) gibbera, Jeffr.—Rep. Brit. Assoc. 1873, p. 113 (Defrancia). A. Coste d’Algeria 51 f. e Banco dell’Avventura 92 f. (Jeffreys); Palermo e S.Vito 120-210 m! P.(Defrancia) Leufroyi, Mich. .L. Atl e Nord-Atl. Var.=P. inflata, De Crist.eJan=P. volutella, Valencien.=P. virgatum, Biv. fil. (. . (Defrancia) linearis, Montagu (Murex)=Raphitoma Scacchii, Bellardi. Lt: AMS Vari pubro. lineata. G. AM. Var. 2, major violacea. EVA: P. (Defrancia) reticulata, Bronn. Apice conico, minutamente punteggiato. L.C. Atl. e Nord-Atl. Var. formosa. L.C. Atl e Nord-Atl. P.(Defrancia) Cordieri, Payr.—Moll. Corse p. 444 (bene), t. 7, f. 11 (ma- le) — Kiener Sp. t. 24, f. 4 (ottima)=P. reticulatum var. caudata, Req. Più grande della precedente; strie e coste lamelliformi; coda lunga; apice adunco o rivolto in sotto. Lt.L. Var. 4, h#irfa. Lt. Var. 2, minor va- riegata. Lt. Var. 3, nivea. A. Coste d’Algeria 1456 f. (Jeffreys). P.(Defrancia) rudis, Sc.— Cat. Conch. Neap. 1836, p. 12, f. 17=P. pur- pureum, Ph. = P. reticulatum var. brevis, Req. Reticolazione obliqua e obsoleta; sotura rapida; evoluzioni tumide; coda brevissima; apice conico, composto di molti giri punteggiati, l’ultimo dei quali angolato. L. P. (Defrancia) hystrix, De Crist. e Jan = P. echinata, Cale. (non Lamk., ch’è dei mari d'Oceania). Var. a/bida, rufa, variegata. L.G. Atl.—Ma- déra (Watson). P.(Defrancia) purpurea, Montagu (Murex) var.= P. corbis, Mich. — Gal. Mus. Douai, p. 444, t. 35, f. 4 e 2. Apice conico, stiliforme e con i giri angolati. Var. 4, cinerea. Var. 2, flavida. Var. 3,= P. LaVie, Ph. e molte varietà di forma e di colorito. Lt.L.C. Atl P.(Defrancia) Philberti, Mich.=P. variegatum, Ph. Apice contorto, mi- croscopicamente puntilineato. Lt. Atl. P. (Conopleura) Maravigne, Biv.=P. elegans, Sc. (non Defr.)=P. incisa, Reeve=? P. costulatum, Gantr. G. Atl. Conus Mediterraneus, Bruguière. Var. e monstr. Lt. Atl. Voluta (Cymbium) papillata, Schum. L. Malaga (M° Andrew; Roemer, Paz e Cardona, f. Hidalgo); Gibilterra (M’Andrew, Roemer); - (Paz e Martorell, f. Hidalgo). Atl. Mitra zonata, Marryat=M. Santangeli, Marav. L. M. ebenus, Lamk. Var. 4, turrita. Var. 2, lanceolata. Var. 3, plica- tula = M. Defrancii, Payr., molte forme. Var. 4, oblonga e numerose 759. 760. 761. TAL . C. (Trivia) Europea, Montagu=C. coccinella, Lamk. e var. tripunctata. DELLE CONCHIGLIE MEDITERRANEE 45 altre varietà intermedie. Lt. Var. 5, concolor. A. Fuori Malta 266 £. (Jeffreys). Var. 6. difasciata. L. Napoli (De Stefanis); Palermo 35 m! . Mitra lutescens, Lamk. Var. 4,=M. cornea, Lamk.=M. fusca, Reeve. Var. 2, lacica (non M.lactea, Lamk.). Lt. Atl. Monstr. contraria. Dal mazia (Brusina). . M. tricolor, (Gm.) auct. Non M. tricolor, Montrouzier, ch'è della Nou- velle-Galédonie. Lt.L. Var.=M. Savignyi, Payr. Lt.L. M. lttoralis, Forbes—Reeve, Conch. Icon. (Mitra) t. 36, f. 296=M. picta, Dan. e Sand (non Reeve). Lt.L. Adr. (Brusina ed altri); Mar Egéo (For- bes); coste di Siria e di Barbaria! Var.=M. granum, Forbes. Lt. Mar Egéo (Forbes). Ringicula auriculata, Ménard (Marginella). L. Atl. Var. conformis. TLRCANZIAIE R. leptocheila, Braugnone—Mise. Malach. 1873, p. 14, £.18. A. Med. 340 f. (Jeffreys, come £. ventricosa); Magnisi (Brugnone); Palermo e S.Vito 80-210 m! At e Nord-Atl. (Jeffreys). . Marginella secalina, Ph. L.G. At. Var.=M.Calameli, Jouss.. L. Co- ste d’Algeria (Jousseaume); di Siria e di Barbaria! . M. miliaria, Lin. (Voluta). Atl. Var. 1, major. Var.2, minor. Var. 3, efasciata. Lt. Monstr. contraria. Livorno (Appelius); Palermo! . M. minuta, L.Pfeiff. e var. L.G. Atl . M. clandestina, Brocc. (Voluta) e var. Lt.L. Atl. . M. occulta, Monterosato. L.G. Atl. . M. levis, Donov. (Voluta)=V. cypreola, Broce. L.C. AU. . Cyprea lurida, Lin. e var. Juv.=Voluta pumilio, Brus. Lt. At. Ci pyrum, Gm. e var. LG. At . C. physis, Brocce.= C. achatidea, Gray = C. Grayi, Kiener = C. pardalis, Doderl. foss. G. At1.? GC spurca, Lin. e var. Lt. Atl Juv.=Bulla diaphana, Montagu. Lt.L.C. Atl. e Nord-Atl. . C (Trivia) pulex, (Solander) Gray. Lt. Atl. . C. (Trivia) candidula, Gaskoin—Proc. Zool. Soc. 1835, p. 200. Lt. Al- gesiras (Paz. f. Hidalgo); Algeria! At . Pedicularta Sicula, Swainson= Thyreus paradoxus, Ph. G. Isole Eolie (Philippi; Calcara, col nome di Calyptrea polymorpha; O G.Costa, col nome di 0? compressa; Benoit, sulla Millepora aspera); coste di Provenza (Gay ed altri). Atl (Jeffreys). . Qvula carnea, Poiret (Bulla) e var. albida. Juv.=? Simnia purpurea, Risso. (. TUTTA 778. 796. 197. MAIO TAI GET III RIICTIAO ANSIA NIMAIA ANANINOTO (INABADO SLINE i AR 5 I La? d 4 È hi: fi LI 0% . 146 NUOVA RIVISTA Ovula Adriatica, Sow. (0vulum)=0vula virginea, Cantr. (. 0. (Volva) spelta, Lin. (Bulla). G. Atl. Var. roseo-carnea; differente dal tipo soltanto pel colorito. G. Malta (Caruana); Corsica (Artufel e mio gabinetto); isole Baleari (Hidalgo). La Sìimnia Niceensis, Risso, costituisce lo stato giovine di questa varietà. . Volvula acuminata, Bruguière (Bulla). L.G. Atl. e Nord-Atl. . Cylichna nitidula, Lovén e var. major. G.A. Atl. e Nord-Atl. . C. umbilicata, Montagu (Bulla). L. Atl. e Nord-Atl. Var.=C. strigella, Lovén. CG. Atl. e Nord-Atl. SOA Jeffreysii, Weink.=Bulla ovulata, auct. (non Broce.). L. . C. cylindracea, Penn. (Bulla)=B. convoluta, Brocc. L.G. Atl. e Nord- Atl. Var. linearis. GC. Palermo 90 m! Atl. e Nord-Atl. . C. striatula, Forbes (Bulla) = B. (Cylichna) Hoernesii, Weink.= (. cu- neata, Tib. G. Atl . Utriculus mammillatus, Ph. (Bulla). L. Atl e Nord-Atl. Var. apice prominulo. L. Trapani! . U. obtusus, Montagu (Bulla) var. minor, apice depresso = Cylichna mì- nutissima, Martin ms. L.G. Var.=C. leptoneilema, Brus. Lt. Dal mazia (Brusina). . U. excavatus, Jeffr. ms. A. Palermo 180 m! Atl. (Jeffreys). . U.truncatulus, Bruguière (Bulla)=B.semisulcata,Ph. Lt.L. Atl.e Nord-Atl. . U. (Amphisphyra) hyalinus, Turton (Bulla). C.A. Napoli (Tiberi); Pa- lermo e S.Vito 90-120 m! Atl. e Nord-Atl. . U. (Amphisphyra) expansus, Jeffr. C.A. Palermo e S.Vito 90-120 m! Atl.—Baja di Biscaglia (Fischer). Nord-A{l. . U.(Amphisphyra) quadratus, Monterosato—Journ. Conchyl. 1874, p. 280. G.A. Palermo e S.Vito 90-180 m! Ail.—Baja di Biscaglia (Fischer). . U. (Amphisphyra) vehtrosus, Jeffr. G. Palermo 90 m! Nord-Atl. . U. (Amphisphyra?) abyssicola, Monterosato nov. sp. A. Palermo 210 m! . Akera bullata, Miller=Bulla fragilis, Lamk.=B. elastica, Dan. e Sandr. L. At e Nord-Atl. Var. 1, nana. L. Palermo (Brugnone). Atl. e Nord-Atl. Var. 2, minor=5B. Hanleyi, A.Adams. G. Palermo 60-90 m! Nord-At1.—Zetland (M’Andrew). A. (Cylindrobulla) fragilis, Jeffr. (Cylichna). GC. Coste del Piemonte (Jef- freys, Doria e mio gabinetto). Alt.—Vigo (M’Andrew e mio gabinetto). Acteon tornatilis, Lin. (Voluta) e var. efasciata. L.G. Atl. e Nord-At]. Var. minor. L. Livorno (Caifassi). A. pusillus, Forbes (Tornatella). G.A. Med. 40-340 f. (Jeffreys): Palermo e S.Vito 90-210 m! Atl. (Jeffreys). Simile, ma assai più piccolo dell’ 4. Noe, S.Wood, fossile del Crag. i DELLE CONCHIGLIE MEDITERRANEE AT 798. Acteon globulinus, (Forbes) Jeffr. A. Mar Egéo (Forbes); Banco dell’Av- ventura 92 f. (Jeffreys). Atl. (Jeffreys); 7199. A. exilis, Jeffr.—Ann. and Mag. Nat. Hist. July 1870, .p. 21; descritto so- pra un giovine esemplare, —=A4? Etheridgii, A.Bell (1870), fossile del Crag, — Tornatella Woodi, Mayer —Journ. Conchyl. 1874, p. 309, t. 14, f. 2, fossile di Castell’ Arquato.. Jeffreys e Mayer ricordano entrambi la somi- glianza di questa specie con l’ A. lewidensis, S.Wood, del Crag. C.A. Med. 940 f. (Jeffreys); Palermo e S.Vito 90-210 ml Atl. (Jeffreys). 800. Bulla striata, Bruguière. Lt. Atl. Var. 4, c@rulea. L. Catania (0.G. Costa); Palermo! Var. 2, alba. L. Palermo! 801. B. utriculus, Brocc. e var. odlonga. G. Atl. e Nord-Atl. 802. B. subrotunda, Jeffr.—Rep. Brit. Assoc. 1873, p. 113. CG.A. Coste d’AL- geria 40-80 f. (Jeffreys); Palermo 210 m! Atl. (Jeffreys). —. B. semilevis, Jeffr. ms.=? B. cretica, Forbes (1843). A. Mar Egéo? (For- bes). Atl. (Jeffreys). Affine alla B. miliaris, Brocc. (non Hòrnes). 803. B. diaphana, Arad. = B. turgidula, Forbes = B. semistriata, Req.= Sca- phander gibbulus, Jeffr. L.G. Var. attenuata. L. Palermo e Trapani! 804. B. (Haminca) cornea, Lamk.=B. hydatis, auct. (non Lin.). Lt.L. Atl Var. minor globosa. L. 805. 5. (Haminea) hydatis, Lin.=H. elegans, Leach= B. pisum, Delle Chiaje = B. hydatis var. minor, Ph. Lt.L. Atl. Var. 4, minor = B. folliculus, (Menke) auct. Lt.L. Var. 2,= H. pellucida, H.Adams. Lt. At — Vigo (M° Andrew). 806. B. (Haminca) dilatata, Leach. Lt. Coste d’Algeria e Palermo! L’ani- male è differente di quello delle due precedenti specie. Atl 807. Scaphander lignarius, Lin. (Bulla). L. AtlLe Nord-Atl. Var. minor. L. 808. S. librarius, Lovén (1846). A. Palermo 210 m! Nord-Atl. Nord-Ame- rica, come S. puncto-striatus, Migh. e Adams (1842). 809. Philine scabra, Miiller (Bulla) = Bullea angustata, (Biv.) Ph. C.A. Atl. e Nord-Atl. 8410. P. catena, Montagu (Bulla) e var. zona. L. Atl. e Nord-Atl. 811. P. intricata, Monterosato nov. sp. G. Palermo 60-90 m! Prossima ma distinta, secondo Jeffreys, alla P. lima, (Utriculus) Brown=Bulla lineo- lata, Couthouy, ch’ è artica. 812. P. angulata, Jeffr. GC. Palermo 60-90 m! Nord-Atl. 813. P. quadrata, S.Wood (Bullea)=P. scutulum, Lovén. CG. Palermo 60-90 m! Nord-Atl. 814. P. Monterosati, Jeftr. G.A. Banco dell’ Avventura 92 f. (Jeffreys); Pa- lermo e S.Vito 90-210 m! Atl. (Jeffreys). 815. P. punctata, Glark. G.A. Algeria (M’Andrew); Mar Egéo (Forbes, col 816. 817. 818. 819. 820. 821. 822. 823. 824. 825. 826. 827. 828. 829. 830. 831. 852. 8593. 854 855. 896. 837. 48 NUOVA RIVISTA nome di Bu/lea alata, f. Jeffreys); Napoli (De Stefanis); Palermo e S.Vito 60-90 m! Atl. e Nord-Atl. Philine striatula, Jefîr.— Rep. Brit. Assoc. 1873, p. 113 (inavvertente- mente come Utriculus striatulus). A. Coste d’Algeria 207 f. (Jeffreys): Palermo e S.Vito 90-200 ml! PD. flexuosa, Sars. A. Coste d’Algeria 207 f. (Jeffreys); Golfo di Napoli (Acton); Palermo 60-90 m! Nord-Atl.—Norvegia (Sars). P. vitrea, Monterosato nov. sp. G. Palermo 90 m! P. pruinosa, Clark (Bullea)= P. granulosa, Sars. C.A. Adr. (Brasina); Palermo 60-90 m! Atl. e Nord-Atl. P. retifera, Forbes (Bulla)=B. vestita, Ph. C.A. Mar Egéo (Forbes); Al- : geria (Weinkauff); Napoli (Tiberi); Spezia (Doria); Palermo (Philippi e me stesso); Aci-Trezza (Aradas); S.Vito 60-90 ml! P. aperta, Lin. (Bulla). L. Atl. e Nord-Atl. Smaragdinella Algire, Hanley ms. L. Algeria (M’Andrew). Doridium membranaceum, Meckel=D. Meckelii, Delle Chiaje. L. D. coriaceum, Meckel=D. aplysiaforme, Delle Chiaje=Acera marmorata, Cantr. L. Oxynoe olivacea, Rafinesque= Bulla Gargotte, Cale.= Icarus Gravesi, For- bes= ZLophocereus Sicboldi, Kronn=0. brachycephalus, Morch. Lt.L. Lobiger Serradifalci, Cale. (Bullea)=L. Philippii, Kronn. Lt.L. Aplysia fasciata, Poiret=A. vulgaris, De BI. Lt.L. Atl A. depilans, Lin. (Laplysia). Lt.L. Atl. Var.?=A. lepus, Ph. A. camelus, (Cuv.) Rang. L. Napoli (Delle Chiaje). A. punctata, Cuv.=A. guttata, Sars. Lt.L. Atl. e Nord-Atl. A. longicornis, Rang. L. Goste di Provenza (Rang); Palermo! A. virescens, Risso = A. unguifera e petalifera, Rang = A. depressa, Cantr. Lt.L. Pleurobranchus membranaceus, Montagu (Lamellaria)=P. tuberculatus, Meckel=P. De Haanti, Gantr. Conchiglia grande, membranacea. L.G. AU. P. plumula, Montagu (Bulla)=P. brevifrons, Ph.=Lamellaria Kleciachi, Brus. Conchiglia auriforme, color d’ambra, adorna di strie spirali e di accrescimento. L. Atl. e Nord-Atl. P. aurantiacus, (Risso) Ph.=P. oblongus, (Aud.) Cantr. Conchiglia bian- chiccia, piccola, solida, depressa e allungata; spira prominente. L. P. testudinarius, Gantr. Conchiglia « minima » (Ph.), « nulla» (Cantr.). Le mie osservazioni confrontano con quelle di quest’ultimo autore. L. Na- poli (Delle Chiaje); Messina (Cantraine, Philippi); coste di Provenza (Mus. di Marsiglia); Palermo! Umbrella Mediterranea, Lamk. L. 855. 856. 857. 858. DELLE CONCHIGLIE MEDITERRANEE 49 8. Tylodina citrina, Joannis= Parmophorus patelloideus, Cantr.=? T. punetu- lata, Rafin. L. AU . T. Rafinesquii, Ph. L.C. . T. excentrica, Tib. (Gadinia)=? G. lateralis, Req.=? T. Dubeni, Lovén. G. Nord-Atl1? . Gadinia Garnoti, Payr. (Pileopsis)= Patella mammillaris, (Lin.) Hanley e var. depressa. Lt. . G.? Gussoni, 0.G. Costa (Ancylus). L. Atl. . Siphonaria Algesire, Quoy e Gaym. S. Coste d’Algeria e Spagna me- ridionale. Atl. . Assiminea littorina, Delle Chiaje (Helix). S. AU. >. Melampus Firminii, Payr. (Auricula) e var. albida. S. . MI. bidentatus, Montagu (Voluta)=Auricula Bivone, Ph. S. Atl. e Nord- AU. Non M. didentatus, Say = M. corneus, Desh., ch'è dell’ America del Nord. . M. myosotis, Drap. (Auricula). Var. A,=A. dubia, Cantr.= Alexia obso- leta, L.Pfeiff. Var. 2,=Voluta ringens, Turton. S. Atl . Otina otis, Tarton (Helia). S. Magnisi (Brugnone). Atl. . Ladas Keraudreni, Lesueur (Aflanta)=A. Bivone, Piraino. Questa e le seguenti specie sono pelagiche. Atl. . Atlanta Peronii, Lesueur=A. Cosle, Piraino. Atl. . A. rosea, Lesueur. Med. 310 f. e Mar Egéo 100-250 f. (Jeffreys); Napoli (coll. Acton); Palermo e S.Vito 100-210 m! Atl. . A. fusca, Eyd. e Soul.—Voyage Bonite 1852, p. 389, t. 24, f. 15-29. Na- poli (coll. Acton); Palermo 60-190 m! Atl. . A. Lesueurti, Eyd. e Soul. (non D’Orb.) —/. c. p. 380, t. 20, f. 1-8=A. Mediterranea, 0.G.Costa. Napoli (Hope, f. 0.G.Costa); Palermo 240 m! Atl . Carinaria Mediterranea, Peron e Lesueur. Atl. TEROPODA Cymbulia Peronii, Cuv. Embolus rostralis, Soul. (Spirialis) = Bellerophina minuta, Forbes= Pro- tomedea eluta, O.G.Costa. Atl. Spirialis retroversus, Flem. (Pusus)= Atlanta trochiformis, D’Orb.= Sc@a stenogyra, Ph. Forma tipica ed esemplari che confrontano con le due va- rietà Macandrea e Jeffreysii. AU. e Nord-Atl. Esemplari di Palermo dragati a 210 m., sono difficilmente distinguibili dalla S. dalea, Mbòller, ch'è artica. S. bulimoides, Eyd. e Soul. Mar Egéo (Jeffreys); Palermo 190 m! Atl. 7 859. 860. 861. 862. 863. 864. 865. 866. 867. 868. 869. 870. 871. 872. 873. 874. 50 NUOVA RIVISTA DELLE CONCHIGLIE MEDITERRANEE Spirialis contorta, Monterosato nov. sp.? Palermo 150-210 m! Atl? S. reticulata, D’Orb. (Atlanta)= Peracle physoides, Forbes=S. clathrata, Eyd. e Soul.=S. recurvirostra, A.Costa. Atl. S. diversa, Monterosato nov. sp.? Palermo 210-280 m! Grande quanto la precedente, ma la sua spira è meno elevata, la superficie non è retico- lata e la sotura è squisitamente dentellata. Atl.? Hyalea tridentata, Forshal (Anomia)=H. Melly, Ben.=H. levigata, Ben. (non d’Orb.). Atl. H. gibbosa, Rang. Adr. (Brusina, col nome di H. globulosa), Messina (Cantraine); Palermo e S.Vito 180-210 m! Coste d° Algeria 1456 f. (Jef- freys). Atl. H. sp. Coste d’Algeria 1456 f. (Jeffreys). Atl.? H. longirostra, Lesucur=H. limbata, D'Orb. Atl. H. înflexa, Les.=H. uncinata, Hening.=H. vaginella, Cantr. Atl. H. (Diacria) trispinosa, Les.=H. depressa, Biv. pat. Atl. Cleodora pyramidata, Lin. (Clio)=Cleod. lanceolata, De BI. Atl. C. cuspidata, Lamk. (Hyalea). Atl. C. (Creseis) subulata, Quoy e Gaym.=Cr. spinifera, Rang. Atl. C.(Creseis) conica, A.Costa=? Cr. Dussertiana, Bourguignat, fossile d’Al- geria. Napoli (A.Costa); Livorno 30 m. (Appelius e Uzielli); coste d’ AI- geria 1456 f. (Jeffreys); Palermo e S.Vito 60-210 m! C. (Creseis) acicula, Rang = C. spiniformis, Ben. e var. = Cr. clava, (Rang) Cantr. C. (Balantium) striata, Rang=C1. zonata, Delle Chiaje= Cr. sulcata, Ben. In poche località. Atl. CEPHALOPODA Argonauta Argo, Lin. e var. ORIGINE SINGOLARE DI UNA NUOVA VARIETÀ DI ARANCIO CITRUS AURANTEUM PANORMITANUN DISCORSO del Socio Prof. GIUSEPPE INZENGA ittico Letto nella tornata del 9 maggio 1875 Non tanto per la importanza di aggiungere una nuova varietà alle tante conosciute del Cilrus Aurantium, in parte coltivate per uso economico commer- ciale , in parte per semplice lusso geoponico , delle quali van superbi sin dalla più remota antichità i nostri siciliani pomarii, quanto per lo interesse della scienza organico-vegetale, rendo di pubblica ragione il fatto singolare sul modo e sul come una nuova varietà di arancio si fosse prodotta fra noi, non già per riproduzione di seme, come d’ ordinario suole succedere; ma invece per trasfor- | mazione organica (1) sullo stesso individuo, o meglio per modificazione completa dei caratteri organografici che lo compongono. STORIA In un albero di arancio portogallo coltivato nell’ istituto Agrario Castelnuovo che dirigo, svolgevasi nella primavera del 1862 un germoglio, per il suo carat- teristico fogliame affatto diverso dai rami ordinarii dell’ albero istesso. A bella (1) La parola trasformazione, secondo il Goethe poeticamente chiamata metamorfosi vegetale, nel linguaggio esatto della scienza applicasi al trasmutamento di taluni organi in altri di forma e nome diverso, come p. e. i diversi organi del fiore che si trasmutano in foglie verdi, gli stami in petali e via discorrendo. Nel nostro caso per trasformazione intendiamo accennare al trasmutamento di forma non già di un solo organo, ma degli organi tutti di un intiero individuo , ingenerandosi una varietà nuova nel vero significato botanico. 9 ORIGINE SINGOLARE prima sembrommi una trasformazione momentanea, un aborto come giornalmente sogliamo osservare in tutti i giardini, ovvero un certo tal quale stato morboso di quel primo sviluppo, che nel suo ulteriore accrescimento sarebbe scomparso. Ma niente di tutto ciò. i Il ramo prolungandosi conserva sempre il suo primitivo abito , dipartivasi in rami secondarii e terziarii., e diveniva insomma adulto sempre inalterabile nella forma caratteristica delle proprie foglie, quasicchè fosse un individuo affatto diverso dall’albero padre, sul tronco del quale era germogliato. Nessun’altra cura per la parte mia che mettere quel ramo. in perfetta tutela , e per farlo meglio sviluppare ed ingrandire ; di sgombrarlo all’intorno dai soverchi rami normali dell’albero. Alla terza primavera dell’anno 1864 quel ramo trasformato si copre di abbon- dante fioritura (fiorì diversi dai fiori normali dell'albero) : in seguito di frutta numerose (frutta pure diverse dalle frutta normali dell’albero); in poche parole si presenta formata sul posto una varietà distinta di arancio, la quale come più sotto farò osservare nella descrizione botanica che la riguarda; non offre la me- noma somiglianza colla varietà madre dalla quale erasi sviluppata. Ancora dippiù per dimostrare la costanza dei caratteri di questo nuovo indi- viduo nato come si è detto per trasformazione di ramo. È stato da me innestato sopra soggetti vigorosi di melangoli , aranci acri, Citrus bigaradia , ove si è rigogliosamente sviluppato, conservando sempre invariabili suoi primilivi carat- teri e quindi con tutta ragione per ritenersi oramai per una distinta varietà della specie, alla quale appartiene; non potendosi riferire a nessuna delle tante varietà conosciute alla stessa specie subordinate , come potrebbe rilevarsi consultando l’ opera del Risso , la migliore Monografia che sinoggi possieda la scienza sulla descrizione botanica degli agrumi (4). DESCRIZIONE CITRUS AURANTIUM PANORMITANUM. Nob. Foliis lanceolatis, fructibus parvis, basi apiceque depressis, torulo- sis; cortice crasso epidermide papillosa tecto, luteo-rubescente; pulpa dulci. L’arancio palermitano non facendosi albero molto alto e robusto deve collo- carsi nel posto delle specie e varietà nane degli agrumi, fra le quali primeggia per le sue deliziose qualità mangerecce il cosidetto arancio mandarino , Citrus deliciosa del Tenore (2); è senza spine, con foglie piuttosto piccole lanceolate, sostenute da picciuoli cilindrici, o leggermente. alati. (1) Histoire Naturelle des Orangers pour A. Risso ete. Paris, Imprimerie de M. Herrissant Le Doux. 1818. (2) Ved. Atti dell’ Istituto d’Incoraggiamento di Napoli, Tom. VII. DI UNA NUOVA VARIETÀ DI ARANCIO 3 I suoi fiori ora ascellari ora disposti a grappoli terminali sono piccoli, for- niti di cinque petali, molto concavi !, specialmente in bottone prima della loro apertura, esalanti odore acutissimo. Le frutta di colore giallo-rosseggiante sono schiacciate in ambo le parti , infossate nella loro sommità e nella loro base ; torulose ovvero profondamente solcate longitudinalmente; la loro scorza è molto crassa, e distinguesi dalle altre varietà per la epidermide papillosa, ovvero per le glandole essenziali che la rico- prono molto sporgenti e sviluppate al di fuori, offrendo al tatto l’impressione di una superficie disuguale e granellosa; l'interno dividesi in 10 o 12 logge, piene di polpa poco succolenta, ma non pertanto dolce e discretamente gradita al gusto, prive di semi, o contenenti semi abortiti. Lunghezza dell’ asse del frutto 0,030-040; larghezza, o diametro trasversa- le 0,010-050; densità della scorza 0,006 (1). L’arancio palermitano non sarà certamente una varietà d’ importanza eco- mnomica e commerciale per noi; inferiore per squisitezza di gusto a tante altre varietà della stessa specie che possediamo nel nostro giardinaggio; sarebbe però una varietà di lusso molto pregevole per la forma tutta caratteristica delle sue frutta, e che bene potrebbe raccomandarsi ai nostri confettieri allo stesso uso che essi fanno delle frutta del Citrus digaradia sinensis, aranciteddu di la China, e del Citrus bigaradia mirtyfolia, aranciteddu a fogghi di murtidda , varietà comunissime nei nostri suburbani giardini di delizia pubblici e privati. ICONOGRAFIA Fig. a. Ramo con due frutta, il più alto ancora acerbo , osservato dalla parte del pistillo, il più basso completamente maturo osservato al rovescio dalla parte del peduncolo. Fig. b. Sezione orizzontale di un frutto maturo, nel quale osservansi all’in- torno le glandole essenziali epidermiche molto sviluppate. Fig. c. Due fiori, uno ancora in bottone che presenta il carattere dei petali concavi o cucullati, e l’altro regolarmente aperto. (1) Per la maggiore possibile semplicità ho usato per la descrizione di questa nuova varietà di arancio, le identiche formole diagnostiche della cit. Opera del Risso, in modo che a proposito delle dimensioni del frutto, per lunghezza debba intendersi l’asse del frutto, per larghezza il suo diametro maggiore, e per grossezza la densità della scorza presa dalla epidermide sino alle logge interne. Lit. Visconti ò i Citrus Aurantium Panormitanum part Lit i a cHe DESCRIZIONE DI UNA SPECIE DI PESCE DEL GENERE ESOTICO LOBOTES PRESA NELLE ACQUE DEI CONTORNI DI PALERMO MEMORIA DEL SOCIO PROFESSORE PIETRO DODERLEIN \cenept 45 Letta nella tornata del 9 maggio 1873 Le scoperte ittiologiche ne’ mari della Sicilia non sono punto esaurite. Sul principio del secolo moltissime specie novelle vi furono riscontrate dal Rafinesque, dal Cocco, dal Bonaparte, e qualcuna anche dal Cantraine, dal Bibron, da Rippel; specie ormai passate nel dominio della scienza. Due anni or sono, rinveniva io pure un magnifico Sgomberoide, che ad onta delle sue forme caratteristiche, di una dimensione di un metro e 44 centimetri e di un peso di 26 chilogrammi, non era stato peranco avvertito in verun mare. Specie che descrissi e figurai nel vol. VIII del Giornale delle scienze naturali ed economiche di Palermo, inte- standola al distintissimo ittiologo nizzardo signor Verany, sotto la denominazione di Cybium Verany Dod. . Ora le acque de’ contorni di Palermo ci tributarono un’altra interessantis- sima specie, indigena delle coste Atlantiche dell'America, che per la prima volta, a quanto risulta dagli annali scientifici, venne colta nelle acque del Mediterraneo. È questi il Lobotes auctorum Ginther (Lobotes Surinamensis di Cuvier e Valent.) (Holocentrus Surinamensis di Bloch); della cui descrizione intendo trattenervi, illustri Signori, nell’odierna seduta, presentandovi contemporaneamente il sog- getto stesso preparato a secco, e nell’ annessa tavola il suo disegno fotografico tratto dal vero. 2 DESCRIZIONE DI UNA. SPECIE DI PESCE Senonchè la pertrattazione di questo argomento in confronto della splendida allocuzione del mio collega ed amico Prof. Insenga, vi riuscirà o Signori oltre- modo stucchevole e noiosa, irta come essa è di nomi tecnici, di caratteri distin- tivi, di confronti con specie affini, di notamenti anatomici! Ma tant'è; io non posso render ameno un soggetto sterile per se stesso ; posso però far ricorso alla vostra pazienza ed invocare su questo meschino scritto la vostra benigna indulgenza. Determinazione dell’ ordine e della famiglia cui appartiene il sudetto pesce Come torna agevole a riconoscere anche alla semplice vista, il pesce che vi pre- sento appartiene alla sottoclasse dei pesci Ossei o eleostei, e fra essi all’ ordine degli Acantopteri. avendo per caratteristica Raggi spinosi alle pinne dorsali ed anali. Fra le numerose famiglie inscritte in quest’ordine, si rileva pure age- volmente ch’esso resta compreso nella famiglia dei Pristipomidi, ed in particolare nella sezione dei Prisfipomidi veri o tipici, caratterizzati dalla presenza di 6 07 raggi branchiostegi, di denti velutini, di un palato inerme, dal preopercolo col margine seghettato, dalla dorsale unica rivestita in parte da grandi scaglie, dall’a- nale munita di 3 aculei ecc.; e quindi al genere Lodofes, come verrò or ora dimo- strando per relativi confronti con sezioni e con generi affini. A primo entrare si crederebbe di trovare in esso qualche lontana somiglianza colla Corvina nigra Guv. Corvina locca o Corbo di scoglio (Pisci laquia dei pescatori siciliani); oppure col Poliprion Cernium val. Cernia di scoglio (Pisci dottu dei Siciliani), od anche collo Scorzone o Canterella maggiore del Medi- terraneo Cantharus orbicularis Cuv. (Pisci Zippula nel dialetto Siciliano). Ma esaminato più accuratamente, si resta convinti che egli ne differisce notevolmente, tanto perchè cotali specie appartengono a famiglie diverse, quanto perchè in esse non si riscontra la somma dei caratteri, che contradistinguono l’ attuale pesce ; giacchè in esse i raggi branchiostegi sono più numerosi, i denti non sempre esili, il palato, il vomere irti di denti, i pezzi opercolari inermi o poco dentellati, la dorsale doppia e non rivestita di scaglie , la vescica natatoja ramificata anzichè semplice ecc.; diversità avvertita persino dagli stessi pescatori, i quali nel carat- teristico loro linguaggio mi dichiararono essere questo un Piscì ma più vistu. Perocchè offrendo esso i seguenti caratteri : corpo compresso, piuttosto elevato, coperto da scaglie ctenoidi, guancie non corazzate, mento privo di barbigli, denti velutini, vomere e palato inermi, assenza di denti incisivi e globosi , dorsale unica formata da una porzione spinosa e da una molle, rivestita alla base di scaglie, ventrali toraciche, vescica natatoja semplice, raggi branchiostegi in numero DEL GENERE ESOTICO LOBOTES 5) di 6; caratteri distintivi della famiglia dei pesci Pristipomidi, esso rientra neces- sariamente nella suddetta famiglia (4). La famiglia dei Pristipomidi è di recente istituzione. Le specie che attual- mente vi figurano , nella classazione di Cuvier, di Bonaparte, di Miller , erano comprese in parte nella famiglia dei Scenoidi, il cui tipo è l'Ombra di Scoglio, Sciena Umbra Cuv., o la comune nostra Ombrina (Umbrina cirrhosa Guv.); ed in parte in quella dei Sparoidi, ed in quella dei Menidi. Gunther nel 1859 riunì cotali specie in un unico gruppo o famiglia , intitolando la famiglia dei Pristipomidi , dal nome del genere più caratteristico che n’è compreso; esempio seguito da Steindachner, e da Canestrini; e suddividendola in parecchie sezioni a tenore della forma or semplice or contrattile della vescica natatoia, della presenza di 3 0 più raggi spinosi alla pinna anale, della bocca più o meno protraltile, del preo- percolo più o meno seghettato od inerme, dei denti or esili, or conici, or uniformi, o misti a canini. Tuttochè questa modificazione nella tassonomia metodica dei pesci sia stata proposta da uno dei più distinti ittiologi viventi, mi è d’uopo confessare, ch’essa non mi sembra nè opportuna nè naturale, a meno che non si voglia architettare le famiglie de’ pesci con elementi eterogenei come pur troppo ce ne porge un non imitabile esempio | informe famiglia gli sgomberoidi. Giacchè io non potrò : mai persuadermi che per la presenza di alcuni pochi caratteri comuni, si possano associare in un medesimo gruppo i Dentzici, le Menole, i Zerri ed alcune specie affini all’Ombrina che vi rappresentano la sezione dei Pristipomidi tipici. E per vero l’idea che dobbiamo formarci della famiglia in Zoologia, comunque sovente abbandonata al criterio dei metodisti, si è quella di un associazione di esseri aventi un insieme di caratteri esterni, di istinti, di abitudini comuni, od almeno poco diverse, come ce ne porgono esempio le classiche e naturali famiglie di Latreille, di Lamarck e di Dumeril il Seniore. E dapoichè nella specie attuale non esistono caratteri proprii dei dentici (cioè denti canini, preopercolo intero), nè delle Memole e molto meno dei Zerri (Bocca fortemente protrattile, dorsale non rivestita di scaglie ecc.) è d’uopo ricono- scere che essa dee rientrare nel primo gruppo stabilito da Gunther, cioè in quello de’ veri Pristipomidi, caratterizzati da nreopercolo seghettato, da dentizione sem- plice, da vescica natatoia contrattile, da anale trispinosa ec. Determinazione del Genere Nel suddetto gruppo dei Pristipomidi tipici troviamo però che i recenti trat- tatisti di ittiologia segnalarono l’esistenza nel Mediterraneo di 3 altre specie più (1) Gunth. Catalogue of the Acanthopterygian fishes, vol. I, p. 272. (SS) 4 DESCRIZIONE DI UNA NUOVA SPECIE DI PESCE o meno affini alla presente. comunque appartenenti a generi diversi: Sono que- ste il Pristipoma Beneti Lowe, il Pristipoma ronchus Val. il Diagramna Medi- terraneum Guich. ed il Diagramma o Pristipoma octolineatum Cuv. incontrate dal Guichenot nelle acque di Algeri (1) e dai sig. Webb e Berthelot in quelle delle Canarie e descritte da Valenciennes (2). Prescindendo dalla diversità dei caratteri generici offerti dalle suddette specie, che le distinguono assai bene dalla nostra, la prima di queste differisce altresì per la presenza di 7 anzichè di soli 6 raggi branchiostegi, per l’ apertura ori- zontale della bocca. le mascelle eguali, l’esistenza di una scanellatura mediana sotto il mento, le pinne verticali non scagliose, la brevità e direzione verticale della porzione molle della dorsale e dell’anale, la codale biforcata anzichè intera e rotondata; la 2* per la forma incavata del propercolo, la brevità dei raggi dorsali, la codale scanellata ec.; mentre le due specie di Diagramma, oltre la presenza di 7 raggi branchiostegi, restano distinte per la forma ovoidale del corpo, le ma- scelle eguali, il capo parabolico anzichè concavo, la mascella inferiore munita di pori, e di una fossetta mediana, il preopercolo minutamente Sa i raggi dorsali poco estesi, la codale smarginata ecc. Eliminata così la concorrenza di generi e di specie affini abitatrici del Medi- terraneo e dell’ Atlantico , il nostro pesce ricade necessariamente fra le specie del genere Lobotes, per rapporti ch'io non saprei meglio indicare che mettendo in prospetto la serie dei Caratteri distintivi generici e specifici proposti dal Cuvier e dal Gunther per il genere Lobotes e per la relativa specie Lobotes auctormwin, e ponendovi a confronto quelli della specie attuale : Caratteri di Sezione « Dorsale unica estesa posteriormente, anale con 3 raggi spinosi, vescica « natatoia semplice, denti velutini nelle mascelle, assenza di denti incisivi o canini. « bocca poco protrattile, Preopercolo seghettato (3). » Caratteri di Genere «Corpo compresso ed elevato, pinne verticali piuttosto estese, muso ottuso, « corto, colla mascella inferiore alquanto prolungata, apertura della bocca obliqua. « dorsale unica munita di 12 raggi spinosi, codale rotondata, preopercolo con Cd : (1) Exploration scientifique de l’Algerie. Hist. nat. des reptiles et des Poisons. par Guichenot. et Paris 1850, p. 44. (2) Ichtyologie des iles Canaries. Hist. nat. des poissons ràportes par MM. Webb et Berthelot decrits par M. Valenciennes, Paris 1836, p. 23. (3) Gunth Gatalog. of the Accanthopterygian fishes, vol. I, p. 272-3. DEL GENERE ESOTICO LOBOTES 5 « fortissime dentature, opercolo desinente in panta ottusa, scaglie mediocri cte- «noidi, estese in parte sulla base delle natatoje verticali, vescica natatoja non « contrattile, sei raggi branchiostegi, appendici piloriche scarse, Pseudobranchie svi- « luppate (4). Caratteri specifici del Lobotes cuctorum « Porzione molle delle pinne dorsali ed anali alquanto elevata, profilo del « capo lievemente incavato, occhi piccoli, colore uniformemente bruno o nerastro, « codale rotondata, munita sovente di un orlo più chiaro, bocca marginale. Notazione dei raggi D'>4,, A%, lin. lat. 45, Cechi pilorici in N. di 3, ver- iebse 1/7 (2)) Tutti questi caratteri si riscontrano esattamente nel nostro pesce, che perciò appartiene al genere Lobotes ed alla predetta specie Lobotes auctorum, non dif- ferendo che in dimensione (dipendentemente dall’ età) e nel colorito da taluni esemplari dei mari esotici. Descrizione particolareggiata del Lobotes auctorum Gunth La fortunata circostanza che mi mise in possesso di un esemplare! abba- stanza ben conservato della suddetta specie, mi permise altresì di completare la serie dei caratteri che le vennero assegnati dal Gunther, aggiungendovi sulla scorta del Cuvier alcune altre particolarità sì esterne che anatomiche tratte da una circostanziata ispezione dell’attuale esemplare (83). Particolarità esterne L’attuale esemplare del Lobotes ha il corpo di forma ovale piuttosto elevata, schiacciato alquanto dai lati. L’altezza sua resta compresa pressochè 3 volte nella lunghezza totale del corpo ; la lunghezza del capo quasi 3 volte * nella stessa misura. Esso ha il muso corto , la mascella inferiore alquanto prominente ; il capo largo ed un pò concavo nella regione della nuca; oltrepassata la quale regione, il profilo si eleva prontamente verso il dorso . formandovi quasi una specie di gibbosità ; di là procede con lievissima curva all’indietro per discendere repen- tinamente verso la coda e formare nello spazio interposto fra la dorsale e la codale un piccolo tratto rettilineo , basso , al quale s’innesta posteriormente la è (4) Gunth, 1. c. p. 273, 338. (2) Gunth, |. c. p. 338. (3) Cuv. Val. Hist. nat. des Poîssons. Vol. V, p. 349. 6 DESCRIZIONE DI UNA NUOVA SPECIE DI PESCE pinna codale lievemente allargata. Un’analoga depressione si ripete anche nel corrispondente lembo inferiore. Da quel punto il profilo si arrotonda gradatamente, e con dolce ed uniforme curva risale insino al mento ed alla bocca. Gli occhi di questo pesce sono piuttosto piccoli, di colore Dbianco-giallastro; essi distano fra loro di 3 centimetri, e di due centimetri circa dell’ estremità del muso. Gli orificî delle nariei sono dupplici per ciascun lato, ravvicinati tra loro, ed alineati, precisamente, come lo indica il Cuvier, coll’orlo superiore dell’orbita, da cui distano 3 volte meno che dall’estremità del muso. La bocca del Lobotes è breve, lievemente diretta all’in sù, e poco pro- trattile. Essa è munita di denti esilissimi o velutini, inseriti in parecchie ristrette fila sull’orlo delle mascelle, l'esterna delle quali fila è costituita da denti più radi, più robusti e più conici degli interni. Il palato ed il vomere sono affatto privi di denti. Il Preopercolo è rotondato nel suo lembo esterno, e munito di 10 a 42 forti dentature , delle quali le 3, o 4 mediane sono assai più marcate, e pressochè spiniformi. L’opercolo è piuttosto voluminoso, ovale e desinente nel mezzo del suo lembo esterno in una punta ottusa. L’osso scapolare che sporge alquanto all’esterno è breve e munito di 7, 8 piccole dentature. L'osso omerale che sovrasta alle pet- torali ne porta un 415, 16, assai più fine delle precedenti. La dorsale di questo pesce, come già si avvertì in precedenza, è unica e formata da una porzione anteriore abbastanza estesa, con 42 robusti raggi spinosi in parte ascosi fra le scaglie; e da una porzione posteriore molle con 15 raggi, meno lunga della spinosa, rivestita alla base di scaglie. Quest'ultima, che in estensione stà alla prima come 9 a 12, è però molto più elevata, e si prolunga posteriormente in una punta ottusa che raggiunge il mezzo della codale : e che raffrontata alla corrispondente parte molle dell’ anale, fa apparire la regione posteriore di questo pesce come divisa in 3 lobi. La natatoja anale è munita di 3 forti spine; la sua porzione molle, tuttochè eguale di forma, è però meno estesa di quella della dorsale ed ha 44 raggi. Le pinne pettorali sono piccole ed ovali; le ventrali, che sporgono al di sotto ed un pò all’ indietro delle pettorali, sono formate da un robusto aculeo. e da 3 raggi molli, che si prolungano in punta oltre le pettorali. Il corpo di questo pesce è tutto coperto di grosse scaglie ctenoidi, che si addossano anche alla base delle pinne verticali, e si stendono anche fra gli occhi, le guancie, ed il lembo del preopercolo; i pezzi opercolari ne sono pure rivestiti; ma esse mancano totalmente sull’ estremità del muso e delle mascelle. La forma di cotali scaglie è sub-quadrangolare; il lembo loro esterno è elittico ed esilissi- mamente ciliato. Se ne contano 45 in una linea longitudinale del corpo e 33 a S4& in una limea verticale. DEL GENERE ESOTICO LOBOTES 7 La linea laterale del Lodofes è tutta continua dalla regione soprascapolare sino alla base della codale, e pressochè paralella alla curva dorsale, e solo ante- riormente alquanto più arcuata di questa. Essa è formata da una serie di pic- coli tubi, inseriti uno per ogni singola scaglia. La lunghezza del corpo dell’ attuale esemplare attinge a 42 C. compresavi la codale ed a 36 C. sino alla base di essa. Il suo peso in carne era di 4 Chil. 94 circa (4 rotolo e 10 oncie).—Giusta le asserzioni di Bloch questa specie in Ame- rica offre in genere la dimenzione di un pesce Persico, ma secondo Mittichill, vi si riscontrano anche individui della lunghezza di 13 pollici (36 C.) e del peso di 4 libbre. (4 Ghil. 950). Esso ha una tinta nero-bruna uniforme, salvo |’ esfre- mità della codale che è lievemente marginata di colore più chiaro, e le pettorali che volgono al giallastro; però alcuni individui dei mari d° America offrono anche una tinta uniformemente bruna. AI dire degli Ittiologi Americani, il Lobotes auctorum, sebbene non molto frequente sul mercato di N. York, passa per uno de’ migliori pesci di quelle acque; la sua carne è delicata e grassa; cosa che mi venne confermata anche dai preparatori di questo Museo, che ne assaggiarono dei brandelli allorchè ebbero a prepararne la spoglia. i Particolarità anatomiche Devo confessare che i maneggi richiesti dalla preparazione a secco di questo pesce non mi permisero, come avrei desiderato, d’esaminarne con accuratezza Vl interna struttura; tuttovia mercè le diligenti cure praticate dal preparatore Signor Giuseppe Riggio, che lo sezionò mentre io era assente da Palermo , si poterono notare le seguenti particolarità anatomiche. Lo scheletro del tronco (1) è costituito di 25 grosse vertebre, undeci delle quali sono codali, e 13 dorsali; le nevraspine delle prime vertebre dorsali appa- Jjono robuste, larghe e compresse; esse si trovano accollate ad una corrispondente serie di ossa interspinose, lateralmente dilatate in una valida ala triangolare, perfettamente atta a sostenere un corrispondente sviluppo de’ raggi spinosi che vi incombono superiormente. Le coste o pleuroapofisi vertebrali sono pure lun- ghe, cilindriche e ricurve internamente, toltone la 12*, e la 13* dorsale che rie- scono esili e come addossate alle susseguenti. Queste ultime, connettendosi fra loro dalle parti, concorrono a formare | arco ematode , cui sottostà tuttavia «una lunga emaspina. Nel vano che ne risulta e che gradatamente va ristrin- gendosi verso la coda, stanno allogati l'estremità posteriore della vescica natatoja, (1) Non fu possibile esaminare le ossa del capo e degli arti che rimasero comprese nella spo- glia a secco. 8 DESCRIZIONE DI UNA NUOVA SPECIE DI PESCE parte dei reni e i vasi arteriosi e venosi che si diramano nella regione poste- riore del tronco. Le apofisi traverse o parapofisi delle vertebre dorsali sono gene- ralmente brevi e turbercolose; ad eccezione di quelle della 8%, 9%, 10%, 41°, 42° vertebra che si trovano dilatate traversalmente in forma di piccole lamine orizon- tali. Il Corpo delle vertebre, toltone le tre o quattro anteriori, presenta due pro- fonde affossature laterali, ed una mediana inferiore. Le Nevro ed Emaspine delle ultime tre vertebre sono appianate verticalmente per prestar appoggio ai raggi ed ai muscoli della codale. Le ossa faringee superiori sono trilobate; il lobo anteriore ha forma elittica ed è rivestito di denti conici di mediocre sviluppo; il medio di denti più robu- sti e ricurvi, il posteriore di una fitta serie di esilissimi e brevi denti che lo fa apparire come tomentoso. Le ossa faringee inferiori sono separate fra loro; esse presentano una forma ovoidale allungata, e sono del pari tapezzate di numerosi dentini spiniformi. Gli archi branchiali, in numero di 4 per parte, portano sui lati una serie di grossi tubercoli a cono troncato, meno i 2 anteriori ne’ quali la serie dei bitorzoli esterni si trova prolungata in robuste punte ricurve. I raggi branchiali sono mediocremente stippati (4). Lo stomaco del Lobotes è voluminoso, e dilatato in forma di ampia borsa o di sacco cieco. Esso ha pareli dense e carnose. L’orificio del cardias vi si schiude superiormente a breve distanza dal piloro. L’intestino che gli succede, e che si prolunga in molte circonvoluzioni, è munito di 3 brevi ma grosse appendici pilo- riche, e di una 4* più breve e rudimentale opposta alle precedenti. Il fegato è sottile, ma molto esteso trasversalmente e trilobato. Il suo lobo medio è di forma triangolare e maggiore degli altri: i 2 laterali sono oblunghi; ma il sinistro riesce molto più lungo del destro. che appare quasi troncato infe- riormente. La cistifelea, che si ruppe nella preparazione, restava allogata in una scissura interposta fra il lobo medio ed il sinistro del viscere. Il cuore è piuttosto piccolo proporzionatamente al volume del corpo; il suo seno venoso è abbastanza ampio, la sua orecchietta notevolmente complicata e voluminosa, il ventricolo trigono al solito come ne’ pesci ossei in genere; il bulbo arterioso oblungo , alquanto muscoloso e provveduto di 3 piccole valvole disposte in unica serie. L'individuo essendo di sesso femminile possedeva due ovaje soblunghe, la ‘destra delle quali più piccola della sinistra; nel cui interno si rimarcavano distin- tamente le lamelle ovariche, munite di uova microscopiche. Aderiva inferior- mente ad esse l’estremità posteriore de’ reni ed una vasta vescica orinaria. (1) Non fu possibile osservare le pseudobranchie che restarono distrutte nella preparazione a secco del capo. DEL GENERE ESOTICO LOBOTES 9 Istorico. ll Lobotes auctorum venne per la prima volta descritto e figurato da Bloch nella grande sua opera Ittiologica (1) sotto il nome di Molocentrus Surinamensis, dietro | esame d' un primo esemplare che gli venne inviato dalie coste del Surinam. Più tardi altri individui, pescati lungo le coste del Brasile e lungo quelle di N. York, diedero occasione al naturalista Americano Sig. Mitchill. di descrivere e rappresentare la suddetta specie nelle transazioni della Società di lettere e di filosofia di N. York sotto il nome di Bodianus triurus (equiva- lente a pesce persico trilobato). Facendo notare che la specie comunque poco copiosa, occupava però nelle acque americane una notevole estensione geografica. Successivamente il Cuvier, cui il Levaillant , ed il Duca di Rivoli avevano inviato dal Brasile altri esemplari di questo pesce, conservandogli il primitivo nome specifico di Surinamensis, lo descrisse ed illustrò più accuratamente nella celebre sua Storia naturale dei Pesci, e lo trasferì ed incluse nel genere Lobotes. da esso fondato, sotto il nome di Lobofes Surinamensis. Guv. (2). Senonchè il Cuvier nella predetta sua opera ittiologica, avendo registrato e descritto a lato di questa specie tipica , altre due specie di pesci affini, una delle quali proveniente da Pondichery nelle Indie Orientali, che dal nome vol- gare indiano egli denominava Lobotes Erate, e V altra indigena de’ paraggi di S. Domingo cui aveva imposto il nome di Lobotes Sommolentus, il Gunther mediante confronti istituiti su analoghi esemplari esistenti nella vasta e pre- ziosa collezione del Museo Britannico , avvertì che queste varie specie non rappresentavano che semplici varietà di un unico tipo, non differendo fra loro che per alcuni pochi caratteri superficiali : talehè egli si credette autorizzato a riunirle in un unica specie, alla quale aggiunse pure altre 2 varietà incomple- tamente descritte dallo stesso Cuvier, e dal Richards sotto il nome di Lobotes Fakairii Cuv. e di Lobotes incurvus Richards. E per togliere qualsiasi incertezza e confu- sione nella rispettiva loro nomenclatura , il Gunther propose altresì di tramu- tare il primitivo loro nome specifico di Surinamensis in quello di Lobofes aucto- rum, Sotto il quale effettivamente la specie attuale stà registrata nel vol. I, p. 338 del stupendo Catalogo ragionato dei pesci del Museo Britannico di questo autore. A vero dire il Cuvier stesso nella descrizione di queste varie specie aveva di già avvertito una notevole corrispondenza ne’ rispettivi loro caratteri zoolo- gici, ma non possedendo materiali abbastanza vasti per accertarsene , lasciò ad altri il compito di dimostrarlo. i Ecco pertanto come codesta specie si trova definita nel prelodato Catalogo del Gunther, opera la più completa che si abbia fin’ ora in iscienza (3): (1) Naturgeschicte der auslandischen fische tab. 245. (2) Cuv. Val. I ce. vol. V, p. 319. (3) Catalogue of the acanthopterygian fishes. vol. I, pp. 357. 10 DESCRIZIONE DI UNA NUOVA SPECIE DI PESCE « Lobotes auctorum Gunth. Holocentrus Surinamensis Bloch pl. 248. BI. Schn. p. 346. Bodianus triurus Mitch. Trans. lit. et Phil. Soc. New-York I, p. 418, pl. 3,f. 40. Lobotes Surinamensis Cuv. Val. V, p. 349. Dekay New-York. Fauna fishes p. 88, pl. 18. f. 49. Lobotes crate Guv. Val. V, p. 322. Bleck. Verh. Bat. Genootsch XXII, p. 4, and. XXIII. Scian. p. 26. Cuv. R. A. illust. Poissons pl. 34, f. 1. —_ Farkairiù Guv. Val. V, p. 324. _ somnolentus Guv. Val. V, p. 325. Do incurvus Richards Icht. Chin. p. 237. D. PA gr A lat 45.1Cacapylor! 3 Nest St Atlantic Coast of America from. New-York te te coast of Surinam ; Carri- bean Sea. Ceylon; Bay of Bengal: Sunda, Moluccea, and Chinese Seas.» Risulta quindi da ciò che il Lobotes auetorum sebbene non molto copioso ne’ singoli paraggi, occupa una notevole estensione geografica, protendendosi in America dai mari degli Stati Uniti sino alle coste del Surinam e del Brasile ; che esso vive altresì nell’ Oceano indiano e precisamente nelle acque del Cey- lan, del Bengala , delle Isole della Sonda, e delle Molucche e persino in quelle della China; e finalmente ch’ esso appunta alla categoria dei pesci più diffusi e cosmopoliti del mondo. Discussione intorno la provenienza di questo Pesce nel Mediterraneo Ora addivenendo al caso nostro, torna alquanto difficile precisare il modo con con cui il Lobotes, dipartendosi dall’ America o dai mari ancor più lontani, abbia potuto penetrare nel Mediterraneo, per lasciarsi unicamente prendere nelle acque della Sicilia. A tutti è noto che il grande Oceano , che s° interpone fra il nuovo ed il vecchio continente, riesce per se stesso un naturale ostacolo alla diretta provenienza, ed alla promiscuità dei pesci delle due regioni; dapoichéè la lontananza delle coste, e le grandi profondità marine costituiscono altrettante impe- netrabili barriere geografiche per i molteplici abitatori del liquido elemento , quanto lo sono le alte ed estese catene montuose per i pedestri abitatori dei continenti. Ond’ è che i pesci stessi al pari degli animali terrestri si trovano ripartiti e confinati sul globo in più o meno limitati distretti o Provincie zoolo- giche, abitate da specie diversissime, sebbene affini in ordine zoologico, che vicen- devolmente si rappresentano, e che sempre ed ovunque concorrono a stabilire e conservare quel mirabile equilibrio fra gli esseri creati, che non è certamente l opra la meno portentosa di quella Provvidenza che tutto ha coordinato quag- giù in ordine in peso ed in misura. Sia pure che la specie attuale presenti una notevole diffusione nella super- DEL GENERE ESOTICO LOBOTES 44 ficie del globo, ed abiti contemporaneamente colle sue varietà mari diversissimi. resterebbe pur sempre una incognita come da paraggi così lontani essa abbia potuto pervenire fra noi, non esistendo, nè essendo stata mai colta , per quanto ci è noto, nè nei mari Europei, nè lungo le coste Atlantiche dell’ Africa e dell’ Europa. Sonovi è vero alcune specie di pesci viaggiatori, che tenendo dietro alle navi, e vivendo coi frustuli che da quelle vengono rigettate, ne sieguono per lunghi tratti e giorni il corso. Ma queste specie appartengono in massima parte alla schiera dei pesci feroci, noti communemente sotto il nome di Pesci cani, di Squa- li, o Selaciani, cui l’indole carnivora, e l’ istintiva voracità, induce sovente ad affron- tare viaggi eccezionali per procacciarsi la preda. Un consimile, ma più mite esem- pio, ci viene profferto anche nel Mediterraneo da un pesciolino della famiglia de Sgomberoidi, che per l’ istinto che ha di seguire fin entro ai porti il corso delle navi, si ebbe dagli ittiologi il nome di Naucrate di Nocchiero o Pilota, Naucrates Duetor Cuv. Val., Fanfaru dei Siciliani. —V’è pure un pesce che può dirsi il più cosmopolita di tutta la classe il Temnodon saltator Cuv. Ballerino dei toscani, Pisci serra de’ pescatori siciliani, che vive nel Mediterraneo, nel Mar nero, lungo le coste atlantiche dell’ Europa, dell’ Africa, del Capo di Buona Speranza, e con- temporaneamente abita quelle dell’ America settentrionale, delle Indie Orientali e si divaga persino ne’ paraggi dell’ Australia. Ma questi sono casi eccezionali e forse unici in Ittiologia; mentre le specie stesse che l’ offrono, appartenenti tutte ai Selaciani o alla famiglia dei Sgomberoidi, presentano forme affilate, corpo snello, cute levigata, lunghe e robuste natatoie, particolarità che le rendono capaci di guizzare celeremente fra le acque e di affrontare lunghi viaggi. Ma il Lobo- fes invece è pesce di forme grossolane, pesanti, poco atte ad una lunga e celere locomozione: è pesce di indole torpida, anzi dormiglioso, come lo indica il nome stesso di Lobotes Somnolentus dato da Cuvier alla sua varietà delle Antille. L'unica supposizione che mi sembra offrire in proposito qualche lato di probabilità, sarebbe la seguente : A tutti è noto che i pesci nella massima gene- ralità si propagano per uova, o come suol dirsi per fregola. In tale alto le fem- mine emettono, in date stagioni, un numero piuttosto notevole di uova, che pro- curano sovente di far aderire alle alghe, agli scogli, ed altri corpi sottomarini: uova che dai sorvenienti maschi vengono poi irrorate e fecondate col relativo umore seminale.—Non mi sembrerebbe quindi impropabile che talune delle uova già fecondate del Lobotes avesse potuto aderire ai fuchi ed alle alghe onde è rivestita sovente la carena delle navi sì a vela che dei piroscafi, che diparten- tendosi dall’ America, con rapido viaggio pervengono in Europa, ed in partico- lare nel Mediterraneo. Ove giunte, Y ovicino avrebbe potuto svilupparsi e dar vita all'attuale esemplare. — ho sovente esaminata l’ingente crosta od ammasso di materiali e di esseri diversissimi che tapezza la chiglia delle navi in ripara- zione, ed ho notato che fra quella fitta serie di anellidi, di molluschi, di alghe 412 DESCRIZIONE DI UNA NUOVA SPECIE DI PESCE DEL GENERE ESUTICO LOBOTES che vi aderiscono e la rendono irta, vi si celano pure uwovicini, larve di ani- mali diversissimi. Non mi farei quindi caso che una consimile circostanza abbia potuto dar luogo all’ importazione fra noi di questa novella specie, come non esi- sterei a credere che d’ ora innanzi, atteso la celerità con cui si compiono oggidì i viaggi transatlantici, analoghi casi di intromissione, e di promiscuità di specie straniere si riproducessero nelle nostre acque. Fuvvi pure taluno che mi chiese, se l’ apertura testè ua del Canale di Suez avrebbe potuto dar luogo Jliimigisione del Lobotes, ed al passaggio d’al- tri pesci dal Mar Rosso nel Mediterraneo, o viceversa; e determinare quindi qual- che modificazione nelle rispettive faune di questi mari. Gli annali scientifici non ne hanno fin’ ora segnalato esempio veruno. Tuttavia comunque un consimile fatto non mi sembri al tutto impossibile, evvi però una circostanza, che a mio parere, lo rende alquanto problematico e difficile; tal'’è la lunghezza e notevole ristrettezza del Canale di Suez, e piucchè mai |’ esistenza de’ laghi. un tempo amari nel centro del canale stesso , le cui acque ‘potrebbero forse affievolire o spegnere la vitalità dei germi, e degli animali che tentassero consimile tragitto. Comunque siasi il Lobotes, è un novello essere che concorre ad arricchire la già ricchissima fauna marina di questa classica Isola ; cui se natura largì un benefico clima, un ubertoso suolo , ricche miniere , svariata e vaghissima flora, negli animali «che iscorrono il suo territorio o che guizzano nel attiquo mare, volle eziandio apprestarle una preziosa fonte d’ altre dovizie e prosperità. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1.° Lobotes actorum Ginther nella prop. di ?/, dal naturale. Fig. 2.* Apparato dentario ingrandito il doppio dal naturale; a mascella superiore; 6 mascella inferiore. Fig. 3.* Decima vertebra dorsale prop. naturale; c veduta di fianco; d veduta dalla base. Fig. 4.* Scaglia del tronco. Fig. 5.* Scaglia della linea laterale. 2/5 del naturale TZ lig. 3. prop al naturale prop.al nat. ue prop. al nat. ò / 5 a cul ZIO TL GE Fig.1 Lobotes auctorum_ Grinther. Fig. 2 Suo apparato dentario_ a.mascella/ superiore b.maseclla mmferiore. Fig.3.10“vertebra dorsale eveduta di fianco d. veduta dalla base inferiore. Fig. 4 Scaglia. Fig. 5. Scaglia della linea laterale Lut.Frauenfelder Palermo v me ea n AM Te) fa SUI PROGRESSI DELLE MARINE DA GUERRA MEMORIA DEL SOCIO MARIO CORRAO Letta nella tornata del 30 maggio 1875 Il tema che imprendo a trattare innanti questo illustre consesso riguarda un soggetto importantissimo dell’attualità, non solamente per le scienze speciali che vi si associano, ben pure per l’ interesse dello Stato che vi occorre : ond’ è che a giusta ragione e tecnici e statisti con pari sollecitudine si preoccupano di questo grave argomento presso le più colte nazioni marittime. Permettetemi anzitutto di manifestarvi che dal momento in cui mi venne in mente il proposito di svolgere questo arduo tema ebbi la coscienza di compren- dere l’ inferiorità delle mie forze e rimasi per alcun tempo incerto tra la risoluzione di abbandonarne l impresa e il desiderio di affrontarla. Imperocchè considerai che se facil cosa fosse quella di raccogliere e coordinare con profilo storico i vari pro- gressi fatti dalle marine da guerra, non sarebbe ugualmente agevole il compito di giudicare intorno al valore pratico delle moderne creazioni marittime, sulle quali l’esperienza ancora non ha profferita Vl ultima parola. Però alla fine fui vinto dalla riflessione che anco senza giudicare del merito di queste grandi fatture dei nostri tempi, note al mondo per tante pubblicazioni ed illustrazioni, avrei potuto enumerare le quistioni che vi si fanno ed esporre quelle considerazioni di apprezzamento, le quali se non valgono a risolverle, pos- sono nel campo delle probabilità sollevare un qualche dubbio forse capace di richia- mare una maggiore attenzione sopra taluni tipi di incerta riuscita. Io dunque vi parlerò dei progressi delle marine da guerra senza confonderli 2 SUI PROGRESSI con quelli della marina mercantile che formano materia di altro tema importan- tissimo di attualità. E di vero questi due temi non si possono trattare congiuntamente, perchè cia- scuna delle due marine è diversa per indole per mezzi e per fini. La marina da guerra è essenzialmente militare, la mercantile è civile; i mezzi della prima sono le armi, quelli della seconda sono le merci; l una ha per fine la guerra, l’altra il commercio che vive di pace. Come diversa è la costituzione delle due marine, così diversi sono gli indi- rizzi del rispettivo miglioramento. Le ricerche della marina da guerra si ver- sano nella scoverta di nuovi mezzi di potenza e nel loro perfezionamento; sono grandi ricerche tecniche, delle quali in parte abbiamo inteso parlare testè da valenti oratori nella discussione avvenuta al Parlamento italiano in occasione del progetto di alienazione di talune navi (4). Invece le ricerche della marina mercan- tile consistono nel trovare i mezzi del suo maggiore sviluppo e nel renderla più agevole alle correnti del commercio; sono gravi ricerche che si collegano a spe- ciali quistioni economiche ed amministrative, verso le quali sarebbe uopo dirigere con maggior lena gli studî. ‘Però in mezzo a tanta diversità di condizioni e di tendenze tra la marina militare e la mercantile esiste un solo oggetto comune, la scienza della naviga- zione; e di questa scienza io credo utile mostrarvi sommariamente il progressivo avanzamento, perchè questo non solo influì allo sviluppo della marina mercan- tile, ma rese possibili i progressi delle marine da guerra, tema del presente discorso. EEE SCIENZA DELLA NAVIGAZIONE La nautica, un tempo semplice arte di pratica, rappresenta ora una scienza con principî con teoremi e con calcoli fondati sulle osservazioni. Quando noi consideriamo come avvenga che una nave partita per lontana destinazione dopo aver percorse immense estenzioni di mare arriva in porto senza sbagliare nella rotta, non possiamo non riconoscere la sublimità di questa scienza, la quale rivela all'esperto navigatore il vero cammino in mezzo alle solitudini dell’ oceano! La nautica figlia della matematica dell’ astronomia e della fisica si formò gradatamente a forza di esperimenti di osservazioni e di calcoli, resi arditi dal (1) Resoconto della Camera del 26 e 27 febbraro e 1° marzo 4875. DELLE MARINE DA GUERRA 3 bisogno sentito dai popoli più civili e più forti di estendersi sopra lontane regioni. La più vasta orma di progresso fu quella che nel secolo XIV le impresse il genio di un'italiano. Flavio Gioja di Amalfi, mercè l’ invenzione della bussola. Io non imprenderò a discutere 1’ opinione di taluni scrittori, i quali attribui- scono il vanto di quella invenzione al popolo cinese 1000 anni pria dell’ era cri- stiana; nè discuterò la pretesa di altri, i quali vogliono che il celebre naviga- tore Marco Polo nel 1295 recò in Europa la bussola dalla Cina : sono asserzioni senza fondamento storico, le quali si perdono nel campo delle supposizioni e delle congetture. Certo gli è che i cronisti più vicini al secolo di Flavio Gioja sono concordi nell’ attribuirgli l’ onore di aver per primo usato la bussola in navigazione, tanto che si scrisse di lui il famoso verso : « Prima dedit nautis usum magnetis Amalphis » Però questo ingegnoso sirumento , -mercè cui furono aperte ai navigatori le più recondite vie dell’ oceano, non fu scevro di difetti. L’ esperienza in seguito ad accurate osservazioni venne a constatare che l’ago magnetico non segna pre- cisamante la direzione dei poli terrestri, bensì quelli dei poli magnetici: era dunque mestieri trovare il modo di determinare e correggere questa declinazione dell’ ago e la scienza vi arrivò col mezzo delle osservazioni dell’ amplitudine e dell’azzimut del sole. Né questo solo; ma nello scorso secolo Wales accompagnando Cook nel suo terzo viaggio ebbe ad osservare che le masse di ferro irregolarmente distribuite sulla nave producono una certa deviazione dell’ ago magnetico, la quale ingenera un'altra variazione della bussola: era d’ uopo trovarvi un rimedio, e dopo tanti tentativi fu dato a Barlow scoprire un mezzo semplicissimo per diminuire in gran parte gli effetti di questa causa perturbatrice adattando in vicinanza della bussola un disco di ferro come compensatore. Però la bussola per quanto fosse un gran ritrovato della scienza non poteva bastare alla soluzione dell’ intiero problema della navigazione : se la bussola ha la proprietà di indicare la rotta che dee seguire la nave per arrivare ad un dato punto, non ha quella di determinare il luogo ove essa si trova cioè il punto arrivato, che costituisce il dato più difficile della nautica. Il punto arrivato della nave si conosce per mezzo della latitudine e della lon- gitudine dei luoghi: ma il determinare con precisione questi due fattori del pro- blema in discorso fu l’ opera più ardua della scienza. La latitudine che pria si ricercava dai marini con metodi pratici e poco esatti fu determinata scientificamente colla massima precisione mercè un sem- plice calcolo dell’altezza meridiana del sole osservata coll’ottante o col sestante; e per questa parte sembra che non vi sia altro a desiderare dalla sicenza. 4 SUI PROGRESSI Riguardo alla longitudine vi sono due metodi per determinarla, o col cal- colo del cronometro o con quello delle distanze. Il primo di questi calcoli è quello che si usa in mare per la sua facilità e brevità; ma accade sovente doversi ricor- rere anche all’altro. Inpertanto la scienza nautica non fu paga d’ aver determinato i metodi per conoscere il punto arrivato della nave a mezzo dei calcoli di latitudine e di lon- gitudine: ma prevedendo il caso frequente nei viaggi di lungo corso di non potersi fare le osservazioni del sole e degli astri per causa di tempesta o di altri accidenti atmosferici, si occupò a perfezionare il metodo del punto stimato, affinchè nel manco di osservazioni la nave potesse in ogni istante rendersi ragione della probabilità del suo punto arrivato. Per tal modo coi due metodi del punto sti- mato e dell’ osservato la nave può dirsi sicura del suo cammino. Ecco delineati i progressi della parte teorica della nautica, e voi lo vedete che mi son limitato ad accennare semplicemente i suoi principali ritrovati senza entrare nello sviluppo scientifico dei particolari che riuscirebbero inopportuni al carattere ed allo scopo di questa disertazione. Ma potremo dire che nulla resta a farsi dalla scienza? Nò o signori; rimane ancora a soddisfarsi un voto costante dei marini , quello cioè di vedere assicurata la ricerca della longitudine con un metodo più per- fetto e scevro degli inconvenienti, dei quali sono passibili i due metodi finora usati. Non è dubbio che la costruzione dei cronometri oggi è notevolmente perfe- zionata, dimodochè si può avere molta fiducia alla longitudine determinata per cronometro; parimenti sono state rese più facili le formole dell’altro calcolo; ma non si è riusciti a togliere a questi due metodi gli inconvenienti inerenti alla loro natura. E di vero nel calcolo del cronometro l'esattezza del risultato può esser com- promessa dalle molteplici perturbazioni, alle quali va soggetto un cronometro in navigazione, perturbazioni delle quali ancora non si conoscono esattamente nè il numero nè la portata. Così parimenti nel calcolo delle distanze lunari l'esattezza dell’osservazione può esser compromessa non solo dagli errori propri dell’osser- vatore, ma da quelli dipendenti dalla posizione quasi sempre molto incomoda che questi è obbligato ad assumere per l’osservazione; talehè ne viene che ogni unità di errore nella distanza osservata trentuplicandosi nella longitudine, questo metodo non può usarsi sempre con fiducia in navigazione. Quindi è a sperare che la scienza non si faccia lungamente aspettare a ritro- vare un altro metodo scevro affatto di inconvenienti per assicurare il calcolo longitudinale, come lo trovò per quello della latitudine. Immensi sono stati i vantaggi che la navigazione ha recato al mondo intero; per essa si avvicinarono i popoli delle più lontane regioni; per essa i prodotti e le industrie di una nazione si scambiarono con quelli dell’ altra; per essa si DELLE MARINE DA GUERRA 5 conobbero le lingue parlate da tutte le genti; per essa la civiltà corse da un punto all’altro del globo; per essa infine si scoprirono grandi isole ed interi con- tinenti. i La gloria di tanti prodigi operati dalla navigazione non appartiene ad un solo secolo, nè ad un solo stato; dessa è divisa dai secoli e dagli stati, ai quali appartennero i Polo, i Colombo, i Vespucci, i Cook, non che i nomi di tanti altri illustri navigatori antichi e moderni. Io non posso ricordare il nome di Cristoforo Colombo senza provare un sen- timento di orgoglio per l’Italia nostra : tu italiano questo eroe del mare, cui la civiltà deve la scoverta di un nuovo mondo: e se fu straniera la nazione che apprestò i mezzi alla grandiosa impresa, fu città italiana la patriottica Genova, quella che pensò ad eternare la memoria di lui, tanto oltraggiata in vita dalle gelosie straniere, consacrandogli un monumento ove sta scritto questo celebre epitaffio. Unus erat mundus, duo sint, ait iste: fuere! PARTE IL. MARINE DA GUERRA Trattando delle marine da guerra non vi aspettate o signori che io vi parli di dettagli tecnici sulla costruzione delle navi e delle macchine, sulla mano- yra ed attrezzatura, sulla artiglieria e torpedini, sul maneggio delle armi e bal- listica ; il mio compito è quello di trattare in tesi generale i progressi delle marine da guerra e di rilevare quelle considerazioni e quelle quistioni che pos- sono interessare il suo stato presente; ma per arrivare a questo scopo pratico è mestieri camminare. sebbene a grandi tratti, colla storia che esse han per- corso nelle più rilevanti epopee, onde notarne lo svolgimento progressivo, senza del quale non sarebbe possibile un’ adeguato apprezzamento dell’ attualità. Non si può narrare la storia della marina senza rimontare ai tempi del- l'antica Grecia, non ai tempi favolosi degli argonauti o delle flotte decantate da Omero; ma a quei tempi conservati dalla tradizione storica quando la Gre- cia civile figurava nell’antico mondo come la prima potenza marittima. Partendo da questa primitiva epopea della civiltà per arrivare sino ai nostri tempi noi possiamo vedere la marina da guerra a traverso Itre grandi epoche di svolgimento, distinta ciascuna dall’ originalità del tipo delle navi e dalla spe- cialità della tattica del combattimento. 6 o SUI PROCESSI Il tipo delle navi da guerra della prima epoca fu la galera, specie di basti- menti stretti e lunghi, con ponti o senza, armati con uno o più ordini di remi. detti perciò moneri, biremi. triremi, quatriremi e quinquiremi (4). — Fra le genti greche i primi popoli che posero in armamento flotte possenti furono i Corinzi i Samii ed i Focesi. Verso l’ età di Ciro dal 562 al 522 avanti l'era cristiana i tiranni della Sicilia adottarono il modello delle triremi corinzie. e con esse costituirono le loro flotte; ma nei tempi sucessivi furono i Rodii che divennero la potenza marittima più ragguardevole della Grecia. Dopo i greci cd i greco-siculi l’ arte della guerra navale passò ai Cartagi- nesi, le cui flotte tanto decantate si componevano di tre a quattrocento legni portanti a bordo eserciti di 100 a 150 mila soldati. I romani , popolo eminentemente guerriero, nei primitivi tempi della loro storia non pensarono mai a rendersi possenti per mare; e fu durante la prima guerra punica dal 264 al 224 avanti |’ era di Cristo che il senato romano decretò la costruzione di una flotta per combattere quella nemica dei Cartaginesi. Allora era per caso successo il naufragio sulle coste abbruzzesi di una nave della flotta cartaginese; e questa servi di modello ai Romani, i quali lavorando con instan- cabile entusiasmo in soli sessanta giorni ne costruirono 130, di cui 100 secondo la testimonianza di Polibio erano armate a cinque ordini di remi. Però la prima battaglia navale non fu fortunata ai Romani , poichè vi per- derono 17 navi cadute in potere dei Cartaginesi. Ma la perdita non li scoraggiò, e ben presto l’ intrepido console Duilio venne a rivendicare 1’ onore della gio- vane marina romana, adottando sulle navi potenti macchine distruttive che fecero tanti guasti alle flotte nemiche presso i mari di Sicilia (2). La tattica navale dei primi tempi non avea altro obbiettivo che il combat- timento per arembaggio : tattica semplice ma terribile! A forza di remi le flotte memiche si avvicinavano lanciando freccie dall’ una all’ altra parte, ed indi cia- scuna galera venendo contro l’altra all’ arembaggio succedeva tra i due equipaggi nemici la più micidiale delle mischie ad arma bianca da petto a petto, la quale spesso finiva colla distruzione di un’ intera armata. Scena di- sangue e di orrore, in cui bastava un’ ora di combattimento per coprire il mare di migliaja di vit- time, poichè era legge di guerra non lasciare ai vinti la vita! Più tardi s’ inventarono nuovi mezzi di distruzione; ogni nave fu armata a ‘prora di un forte spuntone atto a sfondare il fianco delle navi nemiche; sulle antenne si alzavan sospesi dei grossi massi per lanciarli nel momento dell’ abbordo , e financo i dardi si ravvolgevano in materie infiammabili per comunicare il fuoco alle navi nemiche. (1) Enciclopedia p. galere. 2) Enciclopedia p. navi degli antichi. DELLE MARINE DA GUERRA 7 Tutti questi ritrovati di guerra perfezionarono la tattica della manovra navale: la linea di battaglia si formava disponendo le galere a figura di semicerchio detta allora mezzaluna; al segnale di attacco i remi ad un tratto calavano a mare e si dava incontro al nemico colla massima celerità; il primo assalto mirava a tagliare i remi del legno avversario per neutralizzargli ogni movimento di difesa e poscia lo si investiva di fianco cogli spuntoni per affondarlo. Questa manovra è vero che evitava gli orrori dell’ arembaggio , ma anne- gava intieri equipaggi; se i vinti più non cadevano intrisi di sangue sul ponte del proprio bastimento, non era men terribile vederli sparire con esso nei vor- tici del mare! Da questa prima epoca caratteristica passarono molti secoli di transizione per arrivare alla seconda grande epoca di svolgimento della marina militare ed a traverso questo lungo periodo la storia ci presenta i Pisani i Genovesi ed i Veneziani con potenti flotte di galere guidate da valorosi capitani, ma non si fa cenno di alcun notevole mutamento all’ antico sistema di manovrare e di com- battere; più tardi ci fa vedere nel secolo XII gli Inglesi ed i Francesi divenuti potenze marittime disputarsi l’impero dei mari non più con galere armate a remi ma con,navigli a vela; ed infine ci fa vedere queste due nazioni rivali con armate di 500 a 600 legni combattere sanguinose battaglie , in una delle quali il vincitore nel 1213 colò a fondo sino a 400 navigli carichi di soldati. Fu l'invenzione del cannone che produsse una radicale trasformazione della marina da guerra e segnò l’inizio della seconda epoca di svolgimento che ora descriveremo. i Questa arma adottata nelle battaglie navali la prima volta nel 1372 non fece che pochi progressi durante lo spazio di due secoli ; ciò nondimeno il tipo del navilio da guerra andavasi mano mano trasformando in corvette, fregate ed altri grossi bastimenti, facendo sparire dai mari quel nuvolo di piccoli legni, di cui si formavano le flotte della prima epoca. Dal secolo XVI sino alla mettà del secolo XIX in cui ebbe fine la seconda epoca, la marina .militare fu superbamente rappresentata dal vascello a vela, tipo imponente per la grandiosità della mole e pel numero dei cannoni di cui erano armati i suoi fianchi. Non sono che pochi anni i mari del mondo eran percorsi da numerose flotte di vascelli di linea a tre ponti e mezzo portanti in batteria 100 a 120 cannoni ; e voi come me ricorderete che nel 1848 più di 30 di questi grossi bastimenti inglesi francesi ed americani ancorati in questa spaziosa rada e pavesati a festa , diedero lo spettacolo sublime di una salva generale nella fausta ricorrenza, in cui il Parlamento siciliano elesse Re il valoroso principe di Casa Savoja Ferdinando Amedeo duca di Genova! La miglior tattica del tempo nel condurre una squadra di vascelli a dar bat- taglia in mare aperto era quella di guadagnare il sopravento del nemico, poichè 2 8 SUI PROGRESSI è risaputo che un bastimento a vela collocato in posizione favorevole di vento può manovrare di bordata più agevolmente di quetlo posto al sottovento, il quale oltre alla difficoltà di accostare presso la linea del nemico rimane avvolto durante il combattimento nelle cerchie di un denso fumo molto esiziale ai calcoli del tiro. Inoltre una delle manovre più in voga a quel tempo era quella di portare sopra un punto del nemico la maggior forza possibile per spezzargli la linea e metterlo tra due fuochi; ma nel fatto non sempre la vittoria fu dovuta al numero dei bastimenti assalitori, quanto lo fu all’arditezza e rapidità delle manovre dell’assa- lito. È ben moto il glorioso episodio del vascello francese il Formidabile avvenuto nelle acque di Cadice nel luglio 1801 dopo il terribile combattimento di Alge- siras. Il Formidabile veleggiando lentamente per la direzione di Cadice era rimasto indietro della propria squadra a causa delle avarie sofferte in Algesiras, quando al far del giorno fu avvistato dagli Inglesi ed assalito da tre vascelli ed uma fre- gata. Il valoroso capitano Troude disperando di salvarsi a forza di vele, non diè tempo ai suoi nemici di riunirsi, e si avvicinò alla fregata Tamigi scarican- dole una fiancata che le produsse immensi guasti : quinci pose in panno le vele atten- dendo il vascello Venerabile che gli correa dietro, e quando fu a portata di can- none gli tirò a smattare e gli abbattè pria un’ albero, poi un secondo, indi un terzo, mettendolo completamente fuori combattimento. Al pericolo in cui versava il Venerabile accorsero gli altri due vascelli lasciando la crociera che aveano sta- bilita nello scopo di impedire al Formidabile 1’ entrata nel porto di Cadice; ma il comandante Troude schermendo l’incontro con abili monovre e difendendosi sempre coi tiri delle sue artiglierie, seppe sfuggire i due vascelli nemici lasciandoli intenti al soccorso del Venerabile che stava per affondare, ed entrò trionfalmente nel porto di Cadice in mezzo alle acclamazioni degli Spagnuoli, i quali dalla riva erano stati spettatori di tanto eroismo (41)! Non sempre le battaglie navali si accettavano in alto mare; spesso si pre- feriva da taluni ammiragli di attendere la flotta assalatrice, ormeggiandosi all’ àn- cora in una rada o porto del proprio territorio sotto la protezione delle fortezze terrestri; ma si conobbe per esperienza di dolorose pruove che quella tattica non fu sempre felice. L'ammiraglio Blake nella baja di Santa-Crux fece vedere come si espugna un’armata fortemente schierata di fianco sotto le fortezze; lo stesso avvenne al 1° giugno 1667 nella rada di Palermo, quando il duca Vivonne con la flotta francese sconfisse la flotta olando-spagnuola ancorata a mezza luna dalla lanterna del Molo alla foce del fiume Oreto sotto il comando dei due ammiragli Haed ed Iverras che vi perdettero la vita : ma quella vittoria non fu piena; poiché dopo la sconfitta della flotta protettrice i palermitani con slancio eroico combat- (£) Thiers Consolato ed Impero. DELLE MARINE DA GUERRA 9 tendo dalle fortezze respinsero la flotta nemica nei tentativi di sbarco e salvarono la città dall’invasione francese (4)! Nè valse la funesta esperienza del passato a disperdere la memoria di quella tattica poco fortunata , poichè in tempo a noi molto vicino fu riprodotta dalla flotta ottomana nella battaglia di Navarino e vi rimase sconfitta. Più di cento bastimenti misti ancorati a semicerchio nella baja di Navarino si credevano ine- spugnabili sotto la protezione delle batterie di terra che incrociavano i fuochi ; ma pochi vascelli inglesi francesi e russi penetrati di viva forza in quella rada bastarono per bruciare e distruggere la numerosa flotta turco-egiziana. Così chiudevasi la grande epopea marittima della seconda epoca, nella quale per ben tre secoli avvennero cento eroici combattimenti che cuoprirono di glo- ria tanti illustri ammiragli italiani francesi inglesi olandesi e spagnuoli; a parecchi dei quali toccò la sorte di incontrare una gloriosa morte sulla tolda del proprio vascello, come avvenne del nostro valoroso concittadino ammiraglio Federico Gra- vina colpito a morte combattendo al comando della flotta spagnuola in quella memoranda battaglia di Trafalgar , nella quale per. fatale coincidenza anche vi perdè la vita il celebre ammiraglio inglese Nelson (2)! Ma era riserbato alla nostra età che vive in un secolo eminentemente riformatore il grande avvenimento del disparire della seconda epoca della marina militare con tutte le sue numerose flotte di vascelli e del rapido sorgere della terza epoca con un tipo originale di bastimenti e con un corredo estraordinario di mezzi di distruzione. Come nella seconda epoca fu l’ invenzione del cannone che operò la tra- sformazione del naviglio da guerra , così nella terza si deve alla invenzione del vapore il mutamento radicale, al quale da pochi anni assistiamo. Questo nuovo motore applicato alla navigazione non potea non produrre i suoi effetti nelle costruzioni navali e nei sistemi della guerra marittima : non esistendo più l’ostacolo di calma o di vento contrario in faccia alla potenza del vapore, la nave da guerra non solo può- offendere il nemico col cannone, ma ben’ anco può affondario colla violenza dell’ urto; da qui la ragion di essere della corazzata moderna, tipo originale di bastimento armato di grossi cannoni e munito di forte sperone. Sebbene da pochi anni, pure molto si è lavorato e si lavora con febbrile attività negli arsenali delle primarie potenze marittime per perfezionare il tipo delle corazzate ; ed oramai le squadre di ciascuna marina ne possiedono molte che possono dirsi una vera meraviglia della scienza; però talune di queste marine ancora non paghe dei miglioramenti apportati ai tipi ordinarii del moderno navilio han tentato di produrvi delle ardite e speciali riforme , delle quali credo utile parlarvi per gli apprezzamenti che ne possono risultare. (4) Di Blasi Storia di Sicilia. (2) Le lodi degli illustri Siciliani del Prof. Bozzo, segretario generale della nostra Accademia. 1U SUI PROGRESSI L’ Inghilterra, cui non si può negare l’ onore di essere la prima potenza marittima del mondo, ideò ed eseguì or sono quattro anni un tipo di corazzata ‘per servire da incrociatore nei mari dell’ oceano. Non mancarono tecnici distinti di quella marina che mossero dubbi sull’ incompatibilità dell’ alta alberatura collo scafo pesante della corazzata per la difficoltà di mantenersi in mare; però si volle tentarne la pruova: ed essa riuscì assai funesta, perchè in una notte di tempesta que- sta nuova corazzata denominata Captin, mentre faceva parte della squadra di evolu- zione, scomparve ingojata dalle onde con tutto l’equipaggio e col costruttore, salvan- dosi a stento sopra un’ imbarcazione soli venti uomini , i quali poterono nar- rare le circostanze del luttuoso avvenimento pur troppo preconizzato. Dura lezione per l’ umano ardimento, la quale dovrebbe tenersi presente dalle marine, onde non cimentarsi in riforme difficili e di dubbia riuscita ! Un’ altra riforma speciale, ma meno ardita fu nel decorso anno eseguita in Francia sopra una corazzata che in atto trovasi in corso di un lungo viaggio di pruova nell’ oceano pacifico sotto gli ordini del contrammiraglio Perigot. Dopo la battaglia di Lissa, in cui una corazzata fu colata a fondo per urto ricevuto sul fianco, gli ingegnieri navali francesi si sono convinti che nell’ attuale sistema di combattere in mare vale più adoprare l’ investimento che le palle di un cannone mostro. Essi considerarono che il modo più efficace di abbordare la nave nemica è quello di incontrarla dritto pel traverso perpendicolare alla sua lun- ghezza, avvegnachè 1’ abbordaggio in linea obbliqua può bensì produrre lo sblan- damento o qualche seria avaria al bastimento investito, ma non già l’ affonda- mento. Ora per dare alla nave la facilità di movimento a poter colpire rapidamente il nemico pensarono di costruire la corazzata la Galissoniere con due eleche para- lelle ai fianchi, l’ una a dritta e l'altra a sinistra del bastimento, mossa ciascuna da una macchina indipendente. Ne verrà da questo doppio sistema che se la nave si vuol far camminare in rombo diretto si darà forza ad ambe le macchine di eguale potenza; se invece si vuol far girare a dritta o a sinistra si farà agire l'una in avanti e l' altra indietro rispettivamente (1). Quantunque 1’ applicazione del sistema di propulsore a doppia elica non sia nuova, pure è la prima volta che si adatta in quella posizione al tipo delle grandi corazzate; ma gli ingegnieri francesi che la proposero non si fecero illu- sione di una grave difficoltà , quella cioè che le due eleche disposte sui fianchi del bastimento sarebbero esposte ad urtare contro i corpi morti di alghe ed altro fluttuanti in mare e farvi avarie; però la Francia, come l’ Inghilterra nel caso del Captin, non si arrestò di fronte alla dedotta difficoltà e fece costruire la Galis- soniere affidando all’ esperienza il giudizio della sua riuscita. Naturalmente trattandosi di una riforma di tanta importanza le marine delle (4) Illustration 28 novembre 41874. DELLE MARINE DA GUERRA 44 altre nazioni ansiosamente aspettano il verdetto dell’ esperimento in corso, la cui riuscita trascinerà per prime quelle che sono più ricche di bilancio a costruire nuove corazzate con questo sistema di propulsore, poichè siamo in epoca in cui le novità della guerra non ostante i milioni che costano vengono ben tosto conosciute ed imitate! Difatti ancora è in corso l’ esperimento della Galissoniere, e già nel 10 marzo ora scorso fu varato il monitore corazzato Javary costruito in Francia dalla compagnia Forges e Chantier per conto del governo del Bra- sile con doppia macchina e doppia elica. Il problema che si volle risolvere in questo tipo di corazzata non fu la celerità del cammino, bensì la potenza del blindaggio e la facilità di sfuggire l’ urto del nemico mercè la rapidità della sua rotazione, la quale si compie maravigliosamente in soli sei minuti (4). A parte di queste speciali riforme tentate dall’ Inghilterra e dalla Francia moi vediamo negli arsenali di tutte le primarie potenze marittime un movimento continuo di studi, di esperimenti e di trasformazione nelle costruzioni delle coraz- zate , sia dal lato della velocità , sia da quello delle artiglierie , sia infine della corazza. i Le corazzate che pria portavano le macchine di una forza regolare, oggi si costruiscono con macchine potentissime capaci ad imprimere una maggiore velocità nel cammino. Le artiglierie che pria pesavano 12 tonnellate , oggi vi sono corazzate che ne portano presso a 100 tonnellate e che lanciano projettili di grossa dimensione ad una grande distanza. — Le corazze che pria si costrui- vano dello spessore di 12 centimetri, oggi sono arrivate a quello di 55 centi- metri, aumentando gradatamente in ragione diretta della forza del projettile del cannone. I migliori cannoni perforanti sono quelli Krupp di acciajo e quelli Wool- vich di ferro battuto col tubo dell’ anima d’acciajo (2). I projetti che hanno mag- giore forza perforatrice sono quelli di ghisa indurita degli inventori Palliser e Bozza. Gli ultimi esperimenti di tiro molto accettabili sono quelli sfati fatti in Inghilterra nel 1872 contro le torri del Glatton prese di mira dai cannoni della corazzata Hotspur nella baja di Portland innanti il comitato (3). Immensi sono i tesori che si profondono per seguire i progressi della scienza nelle costruzioni di questo moderno navilio da guerra ; mentre un vascello della trascorsa epoca non costava che 4 a 5 milioni , la corazzata d’ oggi costa 8 a 10 milioni e ve ne hanno di quelle che costano di più. Le due corazzate Duilio e Dandolo che l’ Italia sta costruendo nei suoi cantieri come tipo più perfetto della scienza, costeranno l’ egregia somma di 14 milioni per cadauna. Impertanto in mezzo a tanto agitarsi delle potenze marittime nel costituirsi (4) Illustration aprile 1875. (2) Elena trattato di artiglieria. (3) Illustrated London News 1872, ed Illustration del 10 agosto 1872. 19 SUI PROGRESSI al più presto la propria flotta di tipo moderno, si presenta alle menti degli sta- tisti come un incubo il dubbio fatale se la corazzata sia un tipo duraturo, o se dessa è destinata a scomparire come le galere ed i vascelli; e siffatto dubbio è tanto più fatale inquantochè non è ventilato per un avvenire remoto, bensì pros- simo d’ assai ! Infatti o signori vi sono oggi alcuni i quali opinano che da qui avanti non se ne faranno più corazzate, ma che si ritornerà ai tipi del pas- sato navilio da guerra ! Se questo dubbio potesse aver la forza di moderare lo slancio di talune marine e renderle caute a spendere nelle continue trasformazioni e riforme, desso cer- tamente renderebbe un buon servizio alla finanza degli stati; ma questo dubbio non è serio abbastanza , perchè contro lo stesso fortemente prevale I’ opinione, la quale ritiene impossibile un ritorno indietro. Difatti o signori la corazzata è un tipo inventato dalla necessità del progresso . perchè dopo I° applicazione del vapore la guerra in mare non si fa solamente col cannone, ma si fa altresì col- l’ urto; ed il bastimento che può meglio adattarsi all’ azione dell’ urto è la corazzata. Forse l esperienza potrà provare l’ inconveniente di accrescere di troppo lo spessore della corazza che rende la nave inadatta alla navigazione nei casi di tempesta ? Forse l’ esperienza potrà suggerire qualche riforma nel modo di distribuire sullo scafo la corazza per renderlo invulnerabile all’azione delle tor- pedini? Forse potrà trovarsi un sistema di blindaggio a prora più forte e più resistente agli urti? Forse infine potrà sostituirsi al metallo dell’attuale corazzatura qualche surrogato o composto di altro metallo nello scopo di rendere meno pesante la nave e più maneggevole all’ uso delle vele ? Ma abolirsi il tipo della corazzata per sostituirsi quello nudo del bastimento in legno non si ritiene possibile, per- chè incompatibile all’ azione dell’ abbordaggio ed a quella del projettile delle novelle artiglierie. Difatti la marina francese studiando il caso di Lissa pria di costruire la Galissoniere di cui vi tenni parola, non conchiuse per la inutilità del tipo delle corazzate; ma invece tentò perfezionarlo adattandovi il motore a doppia elica onde rendere la nave più spedita all’ azione dell’ urto. Sembra adunque assai probabile che il tipo della corazzata rappresenterà per lunga pezza il navilio di battaglia delle marine; nullameno nell’ attuale fase verti- ginosa di trasformazione dello stesso il miglior consiglio è quello di procedersi pru- dentemente e senza gran fretta, accettandosi le sole riforme sancite dall’ esperienza o quanto meno approvate dai calcoli indeclinabili della scienza. Oltre alle corazzate di squadra destinate a combattere in alto mare, si stu- diano da qualche marina altri tipi di bastimenti sussidiari per accrescere la propria potenza; così l Inghilterra ha posto in mare testè un tipo specioso destinato a far da guardacosta a difesa di un porto o di una stazione navale. Questo basti- mento denominato Thunderer costruito dal celebre ingegniere Reed rappresenta un ridotto a muraglie verticali di ferro con due torri protette da corazze di 36 DELLE MARINE DA GUERRA 13 centimetri di spessore ed armate di due cannoni che possono tirare una palla piena di acciajo del peso di 350. chilogrammi a distanza di otto chilometri: è una massa enorme che ha figura più di fortezza galleggiante che di bastimento, ma che possiede una: macchina agente sopra due eliche situate paralellamente a dritta e a sinistra del timone (4). Ora qui si presenta una grave quistione. Il tipo di guardacosta offre per la guerra tanta probabilità di successo da rendersene utile l’ imitazione per parte delle altre marine? È senza dubbio che un bastimento di quella forma per la sua lentezza non può seguire il movimento della squadra, per cui in tempo di guerra non gli è dato adempiere altra funzione che quella di custodire un porto designato; e dico designato, perchè non è ben facile spostarlo da un punto all’ altro della costa per ‘accorrere secondo i tentativi di minaccia del nemico senza esporlo al pericolo di esser predato dai suoi incrociatori. Adunque il guardacosta non vale che quanto una fortezza galleggiante, colla sola differenza che questa ha bisogno di un rimorchio per muoversi , mentre quello agisce da se. Ora è risaputo che la fortezza gallegiante è un tipo perico- ’ loso in tempo di guerra, perchè nella sua immobilità diviene facile bersaglio alle artiglierie delle navi nemiche, le quali non lo lasciano di mira pria di bruciarlo o di affondarlo. Forse l esperienza, cui spetta pronunziare la parola più auto- revole sul valore di questo nuovo tipo di bastimento , potrà dare una solenne mentita agli apprezzamenti di una critica precoce; ma in faccia all’ incertezza della riuscita , se è dato ad una marina ricca come l'inglese cimentare senza osservazioni un ingente somma per correr d’appresso alle probabilità del successo, non pare prudente per le marine meno ricche imitarne I’ esempio ! Un altro novello tipo di bastimenti sussidiari è il battello portatorpedini ; ma pria di parlarvi di esso permettetemi di dire qualche cosa della torpedine, di questa recente invenzione diabolica che à per obbiettivo di distruggere le coraz- zate che sono le meraviglie della architettura navale dei nostri tempi. La torpedine è un corpo cavo pieno di dinamite o di altra terribile sostanza come fulmicotone o litofrattore, la cui carica può ascendere a libre 300. Le tor- pedini sono di tre specie, o ferme o mobili o spinte; la ferma è quella che si butta in fondo al mare in un dato sito a difesa di una stazione e scoppia al bisogno per mezzo di fili metallici attaccati alla terra; la mobile è quella che si lancia e si muove in direzione della nave nemica: la spinta è quella che si versa dal batiello portatorpedini. Dopo l’ invenzione delle torpedini Luppis e Whitehead le altre torpedini, meno quelle a rimorchio, perdettero la maggior parte della loro importanza. Ma (1) Hlustration del 6 febbraro 1875. AL SUI PROGRESSI io nulla saprei dirvi del meccanismo di queste torpedini, perchè sono un segreto acquistato dal Governo italiano, il quale vi lavora con ogni energia alla costru- zione di esse (1). Gli esperimenti delle torpedini sono frequenti presso tutte le marine ; ma per dare un’idea dei suoi terribili effetti mi limito a descrivere brevemente quello fatto dalla marina francese nel 2 marzo scorso sulla rada di Tolone contro l’ antica fregata Eldorado condannata alla demolizione per vetustà. Alla profon- dità di metri 23 fu colata una torpedine distante metri 10 dalla linea di anco- raggio della fregata : dato fuoco col filo metallico attaccato alla sponda successe una cupa detonazione e tosto un cono di acqua si levò sfumante sino all’ altezza di 70 o 80 metri nell’ aria; la fregata risentì una terribile scossa, e rotta nel centro e dislogata si affondava poco a poco; ma siccome le si era preparata una cintura, così si matenne a galla e vi si poterono esaminare i guasti prodotti dal- Vl esplosione del.a torpedine (2). Vi sono due specie di battelli portatorpedini, o sott’ acqua o sopr’ acqua. Il battello sott’ acqua si muove orizontalmente o verticalmente per mezzo di un congegno idraulico, e giunto presso la nave nemica senza poter esser offeso sca- rica la torpedine e si allontana. Nell’ interno vi è una cabina per gli uomini , sulla coverta sorge una torretta alta circa un metro, fornita di forti vetri e di apparato di mira corrispondente all’asse. Per prendere la direzione il battello si alza a fior d’acqua, quindi si abbassa e cammina sino al punto di scaricar la torpedine e refrocede (3). Il battello portatorpedini galleggiante si alza poco dal pelo dell’ acqua, è munito di artiglierie per difendersi negli accosti alle navi nemiche e porta un tubo per spingere le torpedini. Di questa specie di portatorpedini |’ anno scorso ne fu varato uno in America di 170 piedi di lunghezza; un’ altro più piccolo ma munito di forte macchina se ne provò in Danzica; la Prussia ne possiede parecchi della lunghezza di 20 metri scaldati a petrolio e tinti di color grigio; e 1’ Inghilterra ne costruì testè uno di 244 tonnellate con due eleche, portante a prora un tubo da torpedini che si immerge 4 piedi al disotto dell’ acqua come un vero cannone sottomarino : questo bastimento portatorpedini è denominato Vesuvius e raggiunge alla pruova una velocità in media di 9098 nodi all’ ora. Anche l’ Italia si accinse alla costruzione del suo bastimento portatorpedini di un nuovo tipo, capace di fare 6 o 7 cento miglia di navigazione con qualun- que tempo, sul merito del quale |’ onorevole ministro della marina ammiraglio Saint Bon nel suo splendido discorso agli elettori della Spezia espresse molta fiducia. i (1) Saint Bon discorso agli elettori di Spezia del 8 dicembre 1874. «. (2) Illustration del 13 marzo 1875. (3) Miscellanea militare, Opinione del 11 aprile 1875. DELLE MARINE DA GUERRA 45 Voi avete veduto, onorevoli signori, che nel far la rassegna delle moderne creazioni marittime io non mi son limitato alla semplice esposizione descrittiva; ma ò cercato, sebbene debolmente, di rendere in qualche modo utile la trattazione del tema col presentarvi intorno ad esse quelle quistioni che si affacciano alla mente dei pensatori sieno anche profani delle scienze tecniche. Io dunque vi esporrò intorno alle torpedini e portatorpedini le difficoltà che si fanno, onde conoscere fino a qual punto vi si debba contare. In quanto alle torpedini ferme destinate a difendere l’ accesso di un porto è incontestabile la loro efficacia, qualora desse sieno disposte in modo da formare una specie di campo trincerato atto a far saltare per aria una flotta nemica nelle vora- gini delle esplosioni sottomarine: ma siffatti campi di torpedini, se sono pos- sibili per taluni punti, non possono rappresentare un mezzo di difesa generale delle coste; ciò è evidente. Veri mezzi potenti nelle guerre marittime sarebbero le torpedini spinte dai battelli portatorpedini; ma la loro riuscita pare assai problematica , almeno per quanto se ne conosce finora. Mi restringo a favellarvi dei dubbi che presentano i portatorpedini gallegianti come quelli, sui quali si fondano le maggiori speranze degli uomini competenti. È certo per gli esperimenti fatti che I’ azione distruttiva di una torpedine di 100 libbre ha il raggio di 14 piedi (1); ond’è che per poter lanciare una tor- pedine con successo il bastimento che la porta devesi accostare alquanto in prossimità della nave nemica. Ora supponendo questa nave munita di potenti artiglierie, come farà il battello portatorpedini ad accostarvisi senza il pericolo di esserne colpito ? E se la nave si trovi in mezzo alla propria flotta, come farà il portatorpedini a sfuggire l’ investimento di parecchie corazzate che lo circon- dano? E se per sorpresa il portatorpedini agisce di notte , come farà a scher- mirsi dalla luce elettrica dell'apparecchio Wilde, di cui sarà munita la nave ne- mica? Questi dubbi son gravi; ed è d’uopo tenerli in calcolo per risolverli con studi accurati sulla materia, perchè sarebbe funesto se questo novello ritrovato di guerra dovesse nel dì fatale della pruova non corrispondere all’aspettazione ! Però non posso lasciare questo grave argomento senza rendere giustizia alle principali marine militari per la severità degli studi che vi si fanno allo scopo di eliminare nel maneggio di questo mezzo potentissimo tutte le difficoltà che si incontrano; e son lieto poter riportare in questa circostanza le parole rassicuranti, colle quali si espresse il ministro Saint Bon nel sullodato discorso. « Signori, ei disse, sapete che io sono marinaio; che io conosco il maneggio « d’un bastimento e che forse in quella specialità mi sono potuto acquistare nella « marina una qualche stima. Ora io vi posso garentire che con un sistema affatto (1) Times riportato nell’Opinione cilata. 3 416 SUI PROGRESSI « nuovo, che non è conveniente di manifestare, il metodo di maneggio delle tor- « pedini Whitehead diventa sicuro; quando il nostro portatorpedini sara com- « pleto , esso potrà, se avrà un po di fortuna, colare a fondo due o tre coraz- « zate. Certo esso può avere la disgrazia di esser buttato a fondo al primo tiro, « quantunque tale probabilità sia molto remota; ma se invece riesce, esso può « disfarsi di più che una corazzata. « Intanto perchè 1’ esercizio di quest’ arma sia ben noto. perchè i nostri « ufficiali e i nostri marinai la maneggino convenientemente e senza timori , « e sieno iniziati anche a quei sistemi che ò detto non dover essere manifestati « pubblicamente, è stata istituita recentemente una scuola di torpedini; a tal uopo « fu preparato un bastimento che fra pochi giorni andrà in armamento. » Noi facciam plauso a questa nuova scuola, perchè dalla perseveranza allo studio può venire il successo ! si Ed ora che conosciamo il materiale delle marine da guerra dei nostri tempi, ed abbiamo sott’ occhio le difficoltà che presentano taluni tipi speciali di basti- menti, possiamo fare a noi stessi queste domande : Chi tra gli uomini più competenti potrà indovinare nei suoi effetti la vera fisura di fatto di una gran battaglia navale combattuta con tutti questi nuovi elementi di forza e di distruzione ? Chi potrà affermare con precisione il valore dei differenti perfezionamenti apportati nella costruzione delle corazzate, o la efficacia delle recenti artiglierie e dei novelli strumenti di guerra? Certamente chiunque in marina che sia dotato di istruzione ed esperienza, può farsi un quadro delle fasi più probabili dell’ azione e dipingervi con mano maestra l’avanzamento di due squadre di corazzate nell’ atto che le loro artiglierie tuonano orrendamente dall’ una e dall’ altra parte lanciando grossi projettili per- foranti. Chiunque vi può con vive pennellate far risaltare in quel quadro 1’ ardita manovra di qualche corazzata nell’ atto in cui girando rapidamente di bordo volge la sua prora armata di sperone contro il fianco della più vicina corazzata nemica per affondarla. Chiunque può dipingervi l’ episodio di un battello portatorpedini nel momento in cui avvicinandosi col favor delle tenebre presso una nave nemica le spinge sott’ acqua una potente torpedine per farla saltare in aria. Può altresì farvi figurare l’ immobile tipo di guardacosta nell’ atto in cui stando a custodia di un porto fulmina colla potenza delle sue artiglierie contro le navi che ten- tano forzarlo. Chiunque infine può aggravare le tinte di questo quadro sublime cuoprendo l’ aere di denso fumo e tempestandolo di un nuvolo di granate fulmi- cotone, di schegge di mitragliatrici e di mille altri recenti projetti che perforano, incendiano, distruggono ! Ma nisssuno di questi uomini competenti avrà la coscienza di affermarci che quanto dipingerà su quel quadro per creare l’ imagine di una futura battaglia navale combattuta coll’ intervento di tutti i tipi e di tutti i mezzi finora inventati, rappresenterà la vera espressione del fatto. DELLE MARINE DA GUERRA 47 Solamente è dato alla guerra pronunziare il giudizio finale sul valore delle nuove creazioni marittime : gli esperimenti non lo possono profferire con asso- luta certezza, ma lo possono avvicinare al vero colla perseveranza degli studi e coll’azione del tempo. Voglia la Provvidenza allontanare dal mondo questo avvenimento fatale, e permettere che all’ombra di una pace duratura possano le nazioni attendere gradatamente e senza precipitazione alla grande opra della moderna trasforma- zione marittima, seguendo nei progressi della scienza i consigli della prudenza; affinchè il denaro che le finanze degli stati hanno l’obbligo di assegnare conve- nientemente al miglioramento delle marine da guerra, venga speso senza pen- timento ! DI È. E MERI tie; di 4 ih Î i ) i i et a 0 i SET PU, PERI ) ; d IRPI N % i ’ L Ut dar TU ERICA FARINE pi Seno Mi LEE È \ LAT » "% Li È ; È VUANTO % ») ì Sri o RIC È ; Ù bi a M x . 4 E a b tini Pe ta VIDE GIRI È î dh pito p È; RETE f 5 (US È Ni A : n er, ti , . ite ALIA c Y tic SII Î > dol e e one P PI AI a n Tor n TU do) î d ae 4 La DAT bu ARTI FOO “ î Varo ? t È CLASSE DI SGIENZI MORALI E POLLICKA _—_—_—_— cr £ ilo —__ L'IMPOSTA FONDIARIA IL PROGETTO DELLA PEREQUAZIONE MEMORIA del socio avv. Fr. MAGGIORE-PERNI Letta nelle tornate del 4 e 11 aprile 1875 IL GOVERNO E LE IMPOSTE È veramente doloroso lo spettacolo che presenta la vita economica delle varie regioni d’ Italia e specialmente della Sicilia, per il sistema tributario, che pesa inesorabilmente sulla proprietà e sulle sue modificazioni : ad ogni passo è un ostacolo che si mette allo sviluppo del paese, ad ogni passo è un’ingiustizia che si consuma; e la vita rincara, e la miseria cresce, e il mal contento minac- cia, ad onta che con le più seducenti illusioni e colle più ardite metafore si cerchi coprite l’attuale miseria, e mostrare in quest’arido deserto sempre vicina un’oéisi, che sempre più si allontana dalla metà del nostro periglioso cammino. I grandi principii della scienza si abbandonano, i suoi professori fatti gover- nanti li rinnegano; e quasi che non bastino gl’ ingenti mali che reca il sistema finanziario, s'india lo Stato. si proclama il suo intervento, ed economisti ligi alle teorie di Germania si fanno banditori della benefica influenza dello Stato, sotto l’ usbergo di quel grande sofisma: ora il governo è emanazione del popolo ; menire il governo è sempre governo ; è un male necessario , e restringerne sempre più l’azione, lasciando la libertà ai cittadini, è sempre un bene. La sua funesta ingerenza ha reso indispensabili delle spese enormi, a cui si è dovuto rispondere sempre con nuove imposte, lasciando degli annuali disa- 9 L'IMPOSTA FONDIARIA vanzi, che i prestiti hanno ripianato; e poscia il popolo ha dovuto pagare e le spese cresciute e il debito ammontante, onde colmare una voragine, che ad onta di tutti gli sforzi e di tutti i sagrifizii e della decadenza economica del paese è sempre aperta. Basta dire che la spesa di tutti gli Stati italiani, ora uniti, avanti il 18614 era di L. 534,000,000 , ed oggi il bilancio del Regno si è ele- vato ad 1,500,000 di lire. Enorme differenza! Ognuno degli antichi Stati aveva le sue imposte, che variavano in ognuno di essi; e il nuovo governo, fedele al principio dell’ unità, le imposte proprie di uno Stato, aumentate, ha fatto rispettivamente pesare sugli altri; e mentre ognuno aveva 8 o 10 imposte per se, or tutte 100 ed anche più gravano su tutti ; ed ogni singola imposta pesa sì enormemente , come se essa sola dovesse sup- perire ai bisogni dello Stato. E come se fossero basse si sono chiamati i Comuni a sopraimporvi ; i Comuni a cui si son tolte le imposte di consumo e che si sono obbligati a sopportar delle spese proprie dello Stato. E come se fosse poco si mettono muove imposte sotto il pretesto di riordinare le vecchie, e s‘inventa la perequazione della imposta fondiaria, per attentare allo sviluppo dell’agricol- tura ch’è la base della vita economica di un paese agricolo, come il nostro. Sì, la perequazione ; inutile mezzo , che non uguaglia; ma sconvolge. che non parifica, ma immiserisce : e che pure si porta avanti come principio di giustizia e di uguaglianza. L’uguaglianza, che si cerca e che non si può trovare frai diversi contribuenti della terra, si è egli mai invocata nel mettere in rapporto la imposta diretta sulla terra con le imposte dirette che pesano sulle altre proprietà? Si è egli mai pensato a disgravare la terra, che sopporta pesi che attentano allo sviluppo della produzione nazionale? No, giammai ! x La terra è stata segno di una progressiva confisca per parte del governo ; ed ora con un sistema ingiusto e condannato è minacciata di maggiori mali , “che mentre da una parte danneggiano i possessori della terra, sperequandoli tra loro , e rendendoli disuguali di fronte ai possessori di altre proprietà in fatto d’ imposte, dall’ altro si attenta allo sviluppo dell’ agricoltura , che è la fattrice delle industrie, e primo anello. della produzione. L'Europa ha veduto in mezzo secolo il grande sviluppo dell'industria umana in fatto di manifatture e di grandi intraprese e ha veduto crescere questa ric- chezza in un modo prodigioso. Ma ha veduto nella stessa proporzione svolgersi l’agricoltura ? No certamente. E questo è ad attribuirsi in gran parte alle imposte pesanti sulla terra, al togliersi al possessore il capitale necessario alle migliora- zioni, mentre alle altre industrie, fortunatamente, non è toccata la stessa sorte Rileviamo per un momento la condizione dei possessori della terra, chè in Italia è così sminuzzata da renderla improgressiva, ed è sminuzzata per effetto dell’ imposta che vi grava pesante. Assicuriamoli che l impiego del capitale e ED IL PROGETTO DELLA PEREQUAZIONE 6) del lavoro non sarà punito , che le perequazioni non formeranno mai soggetto di legge , che lo Stato non vuole una graduale confisca , e allora ? allora solo l'industria agraria piglierà il suo slancio, si assiderà a canto alle altre fortunate industrie, farà sentire il suo vivificante potere sulla produzione e sullo svolgersi della pubblica ricchezza, e lo Stato si troverà in condizioni di avere maggiori entrate, senza che ne soffrano le fonti della ricchezza, che estenuate mancano e spremute disseccano. Ma in materia d’ imposte i finanzieri italiani sono i più sordi alla voce della scienza; e il progetto della perequazione, che attenta allo sviluppo dell’agraria industria, è monumento di quanto può l’arte fiscale contro la scienza e contro il diritto. i Essi dovrebbero sapere, che la scienza delle finanze non è I’ arte di aver denaro, senza voler sapere d’onde venga, e senza presentire che attaccando nel cuore la prima fonte della nazionale ricchezza, si isteriliscono le altre, e l'imposta che si trae e si crede trarre dalla terra si attenua negli altri cespiti. È mestieri che si proclami: in fondo le imposte non sono che aliquote della pubblica ric- chezza; e quando questa non è sviluppata, le imposte fruttano meno; e quando sono pesanti non fanno che produrre la decadenza in tutti i rami della nazio- nale produzione. Il Mac Gulloch, parlando sulla imposta della terra, e combattendo la predile- zione che vi hanno i finanzieri, scriveva : « Il massimo degli errori immaginabili è queilo di supporre che l’unica cosa a cui si debba mirare nel collocare le imposte sia il raccogliere una certa somma di reddito pubblico. Ciò senza dubbio è un problema da sciogliersi, dipende tutto dal modo in cui l'imposta si collochi, quanto da ogri altro elemento. In materia di finanze, come nelle cure chirurgiche, un’operazione necessaria ed anche sem- plice può riuscire fatale se malamente eseguita. L'abilità del finanziere si mani- festa nel sapere bene pesare le conseguenze dei varii progetti, e nello sforzarsi di ripartire e raccogliere le somme necessarie, non con quei metodi che possono sembrare più diretti, ma con qualunque metodo diretto o indiretto, che riesca meno incomodo ai contribuenti e meno letale all'industria » II LA PEREQUAZIONE E IL SUO SCOPO Quando si prepara una nuova imposta, o quando si assettano ed aumen- tano le antiche, i governi assumono il linguaggio della morale e della giustizia. Essi orpellano necessariamente il male che intendono fare, sotto le sembianze di produrre un bene. Scorrete tutte le relazioni ai progetti di legge , osservate Ao L'IMPOSTA FONDIARIA le considerazioni di tutti i decreti che impongono tasse , e voi ad ogni passo incontrerete l’ invocazione alla morale e alla giustizia. Noi qui non vogliamo rammentare, come in nome della morale e della giu- stizia siamo pergiunti nello stato deplorevole nel quale oggi ci troviamo. Una prima ingiustizia o immoralità si muta subito in cosa giusta ed onesta, e divien tipo a cui gradatamente tutte le cose si conformano, in nome della morale e della giustizia. E la morale e la giustizia s’invoca per la perequazione fondiaria, e si hanno parole di compassione per quelli che pagano dippiù e di giustizia per quelli che devono pagare dippiù. Se leggete la relazione alla legge attuale della perequazione, essa vi dirà che quella del 1864 non rispose alla verità e alla giustizia , e bisogna farne una nuova, che riguardi i contribuenti, qui vi sono ingiustizie evidenti, qui il danno è assai più grave. E dopo di aver fatta una patetica e vera descrizione del danno che reca all’agricoltura 1’ alta imposta fondiaria ; credete voi che ne fosse consequenza il diminuirla? No; anzi gravarla dippiù. i E dopo di aver mostrato come in gran parte il reddito della terra, per il numero immenso dei suoi possessori, rappresenta l'indispensabile alla vita; ere- dete che domandi di diminuirla fosse anco nei redditi minimi ? No; essa chiede di perequare, perchè vuol far credere che il male provenga dalle disuguaglianze di un riparto, omai inesistenti, e che queste riescono gravi e dolorose; e quindi un nuovo catasto per perequare, e per far sentire più gravi e dolorose le nuove disuguaglianze, accresciute d’ imposta. Ciò che 50 anni addietro aveva un valore oggi lo ha aumentato, dice il progetto; e la maggior parte delle disuguaglianze provengono per miglioramenti; si punisca di conseguenza l’ impiego del capitale e l’ azione del lavoro; si sco- raggi per l’ avvenire il progresso dell’ agricolura: ecco le conseguenze. Non è, lo ripetiamo , che la perequazione ha lo scopo di togliere le, disuguaglianze , insite a questi lavori, insite alla natura stessa della proprietà terriera e dell’ indu- stria agraria, ma il suo scopo si è di avere un catasto. La perequazione larva il catasto, e il catasto è la base della nuova imposta, che punirà l’azione del capitale e del lavoro e scoraggerà per 1’ avvenire ogni nuovo miglioramento; l'imposta da una parte toglie ogni mezzo alla formazione del capitale , e dall’altra allontana i costituiti di volgersi alla terra ; dappoichè possiamo pur dirlo: fra tutti gl’ impieghi di capitale il meno fruttifero è quello sulla terra, e in faccia alle imposte dirette i più colpiti sono i possessori della terra. Chi ha una proprietà di Lire 400 in fondi paga lire 120, chi fa un com- mercio o un industria di L. 400 non paga nulla. La terra ha il 34 per 400 ED IL PROGETTO DELLA PEREQUAZIONE 5 e l imponibile è accertato, e il commercio e l’ industria il 13 per 100, con un imponibile incatastabile. Tutto sulla terra; e la terra retrocede nella sua indu- stria, perché colpita nel cuore. Che cosa è la terra? da per se stessa non darebbe al certo che un reddito meschinissimo; sono i capitali impiegati, è il lavoro che fanno aumentare questo reddito, producendo la ricchezza della nazione, con l'aumento dei prodotti. Per- chè adunque colpire inesorabilmente questo sviluppo , e attentare alla pubblica ricchezza nel suo nascere ? Gli economisti è qui che alzano la voce; essi non vogliono sconvolto 1 or- dine naturale della ricchezza ; essi non credono che debba punirsi il lavoro , l industria, il capitale impiegato nella terra ; essi non vogliono le perequa- zioni. E noi sappiamo che cosa significa perequazione ! Quando nel 1864 si pere- quava per la prima volta la tassa prediale, noi di Sicilia ce la vedemmo crescere di L. 34, 52 per ogni 100 lire d’ imposta esistente, con un aumento annuo al nostro contigente di L. 2,579,877; e così vedemmo il nostro 12, 50 per 100 ele- varsi al 17, accordando a provincie e comuni di sovraimporvi altrettanto; in modo che oggi in Palermo si paga il 34 per 100, e in altri comuni si oltrepassa questa cifra. Si, noi sappiamo che cosa significa perequazione. Quando nel 1865 si formava il nostro catasto dei fabbricati noi vedemmo quasi dupplicare la nostra imposta; il nostro 12 per 100 si elevò al 15 e con le sovraimposte comunali e provinciali al 30 per 100 ; e se la precedente imposta del 12 per 100 pesava meno, in grazia dei bassi imponibili che esistevano avanti il 1865, dopo questo periodo il catasto espresse la verità del reddito, gli aumenti andarono allo Stato, e l’ imposta grava per intero sui contribuenti, minacciati sempre da periti ed agenti, che restii ad ogni ragione, pare non avessero altro scopo, che immise- rirci, aumentando sempre i nostri imponibili. Ecco cosa importa per noi la perequazione; ecco che cosa significa in Italia equilibrare le imposte! La proprietà immobiliare può dirsi esproprietà, e ancor si parla di uguagliare. La perequazione nel suo concetto primitivo si presenta di un rigore asso- luto; nel resto è 1’ ingiustizia è l’arbitrio. Rigore assoluto importa impossibilità di attuazione. La legge proposta si esprime in queste semplici frasi, che chiudono un errore, come appresso vedremo, che pare ascendano un’ insidia, come ora mostreremo. Fermi restando i contigenti del 1875, dice il progetto, si farà in un primo stadio la perequazione di ciascun comune , distribuendo | imposta fra i contri- buenti proporzionatamente alla loro rendita fondiaria. Ferma restando la pere- quazione del riparto fra i contribuenti e fermo il contigente provinciale si pere- queranno in un secondo stadio i contigenti comunali. Ferma restando la pere- 6 L'IMPOSTA FONDIARIA quazione di riparto fra i contribuenti e quella dei contigenti comunali si pere- queranno in un terzo stadio i contigenti provinciali. In tal modo l’ imposta per tutto il regno sarà perequata. Ma la base di riparto fra i contribuenti, che è il nucleo di questa operazione, come sarà fatta ? Con un nuovo catasto. E questo catasto ? Con un sistema misto di valore produttivo del fondo e di reddito presunto del possessore. E i cri- terii per determinare il primo e il secondo elemento ? Norme arbitrarie e ingiu- ste, che invece di perequare la imposta la renderanno più disuguale, come mo- streremo a suo luogo; e la proprietà terriera sarà costretta essa sola a soppor- tare per 5 o 10 anni le spese della perequazione, con un catasto geometrico , che ammonteranno a più di 100 milioni, oltre la spesa di 3 a 4 milioni annui per la sua conservazione. È questo è il minimo danno; questo è quello che si vede; ma andiamo a quello che non si vede; andiamo all’ insidia della legge. | È un fatto, che il catasto non ha altro scopo che quello di vedere cresciuti, anche -disugualmente gl’imponibili; e che basandosi sulle incerte e ingiuste norme che servono alla sua formazione, questi imponibili aumenteranno. Gl’ingenti capitali che in lunga serie di anni si sono da per tutto in Italia volti alla industria agraria, aumentando il valore delle terre. saranno colpiti; il frutto di questi capitali sparirà in faccia agli elementi del nuovo catasto ; l’ im-. ponibile aumenterà; il riporto del contigente non rappresenterà più il 17 per 100. Allora lo Stato, che non garentisce per nulla l’attuale contributo fondiario, avrà largo margine per la nuova imposta; e lasciando l’ attuale proporzione avrà aumentato di un quarto, di un terzo il suo reddito; e sulla terra non graviterà quant’oggi soffre, ma dippiù ; il 17 dopo il catasto rappresenterà il 24 di oggi, e il 34 di oggi si eleverà al 45. E allora? Allora Vl agricoltura retrocederà , i fittajuoli falliranno, i proprietari saranno come espropriati. Ecco il concetto intimo della legge che combattiamo ; ecco quello che non si vede di fronte a quel che si vede, ecco l’ insidia di fronte alla ingenuità. E se a ciò aggiungete l’ ineguaglianza della stima prediale tra regione e regione, e come la nostra in simile congiuntura non è tra le più favorite, vedrete come al danno generale si aggiungerà quello parziale; e come esso farà sentire la sua sterilizzante influenza sulla nostra agricoltura e sulla nostra ricchezza. Quando verremo all’analisi degli elementi di cui risulta il catasto vi accor- gerete benissimo, come essi sieno tali da far presagire più danni, di quanti se ne possano rilevare. Dappoichè, e le relazioni e i lavori e il progetto, tutti spirano da ogni parte come scopo della perequazione sia il catasto, e il catasto per aumentare gl’imponibili, e gl’ imponibili aumentati per ricavare maggiori tasse a danno dell’agricoltura. E se oggi la imposta fondiaria in Italia è pesante, se essa non ha riscontro ED IL PROGETTO DELLA PEREQUAZIONE T nelle tasse simili che pesano negli altri stati Europei, se essa è il sintomo della nostra decadenza, quale non, sarà lo spettacolo di questa nazione, in cui si dis- seccano le fonti della ricchezza, dopo la perequazione, se sarà attuata? II. LA IMPOSTA FONDIARIA IN ITALIA E NELLE ALTRI NAZIONI Im gran parte degli stati Europei esiste una imposta fondiaria; ma in nes- suno si eleva alla misura pesante della italiana; in nessuno i comuni e le pro- vincie vi sovraimpongono come fra noi; in nessuno la spesa di esazione grava sì forte sui contribuenti, come fra noi. Un quadro statistico vi mostrerà la verità dell’asserito: in esso troverete come l’imposta fondiaria governativa pesa in rapporto al territorio e in rapporto alla , popolazione; vi meraviglieranno i raffronti, ma le cifre son vere. E pria di venire ad esse, è mestieri darvi notizie sui catasti di questi Stati con cui mettiamo il nostro in raffronto; sulla loro antichità, affinchè non si possa allegare l’anzianità dei nostri censi; e sul fatto, che esse rappresentano non solo l’ imposta dei fondi, ma quella altresì dei fabbricati. L’Imghilterra ha il suo catasto del 1692 che estimò i predii sulla dichiara- zione dei proprietarii; da quell’epoca ad oggi nessuna rivisione si è fatta; i pro- gressi dell’agricoltura sono rimasti immuni d’imposta, e i capitali, con gran prò della nazione sono stati incoraggiati a versarsi sulla terra; la land tax che allora pesava di un 20 per 100 sui redditi fondiarii, oggi non oltrapassa VA per 100, dei redditi attuali, la land tax si riscatta. I Paesi bassi, sempre incerti nella circostrizione territoriale e personalità di Stato, contano fin del 1552 la prima imposta sulla terra ; ebbero un catasto descrittivo nel 1627 che ultimarono nel 1632 e rimase in rigore per il corso di un secolo; nel 1750 la imposta fu aumentata, nel 1790 essa era dell’8 per 100, e solo nel 1808 cominciò il catasto parcellare alla francese, che si compì nel 1832, nel quale non furono di troppo aumentati gl’ imponibili. Il Belgio seguì il sistema francese, e gli economisti accusano di troppo ele- vata, come nei Paesi Bassi suoi vicini, l imposta che pesa sulla terra. L’ Austria, seguendo il sistema del censimento di Milano del 1728 fece il suo nel 1817 alla base delle mercuriali dei prodotti di 50 anni; nel 1852 il lavoro era tuttavia incompleto , lo sarà forse adesso: ma il reddito dei fondi è calcolato in base al prezzo delle produzioni del 1824, e non eccede il 16 per 100. Le provincie della Prussia erano sottoposte a diverse imposte prediali, la provincia del Reno era la sola che aveva un catasto regolare; nel 1839 si fece una prima perequazione; nel 1859 si parlò di una nuova perequazione a base di un catasto, che fu ordinato nel 1862 e completo nel 1864, ma Vl imposta che figura dal 1865 in poi non pesa che leggermente. VERRI TI) 1 DI de ui MIT MZ ALIA DATI de Tel Na Pe IMSA Soda celibe Ni aa n MN PRerta 8 i i L'IMPOSTA ‘FONDIARIA In Baviera l’ imposta prediale è regolata dalla legge del 15 agosto 4828 , ed è consacrato il principio della immutabilità ; essa non è per contigente, ma ‘per rata parte; abbraccia le terre e i fabbricati e grava insensibilmente sulle pro- prictà terriere. Nel regno di Sassonia esistevano tasse speciali sulle proprietà immobiliari; nel 1844 sono state sostituite da una imposta unica sul reddito netto, che si eleva forte in relazione alle tasse che gravano gli altri Stati della Germania. La Frarcia ha il suo catasto geometrico e parcellare, che iniziato nel 1808 compì nel 1853, modificato da varie leggi in questo lungo periodo ; la imposta che abbraccia tanto le terre come le case, non vi pesa forte, è sperequeta: ma il governo ha disgravato sempre i contigenti delle provincie più oppresse . senza sovraimporre sulle più privilegiate. In Spagna si contavano «delle diverse imposte sulla terra, che variavano di misura e di forma fra gli antichi Stati che componevano il reame ; nel 1845 È il vecchio sistema fu riformato. un’ imposta di ripartizione pagabile da tutte le provincie è stata messa sul reddito netto degl’ immobili , delle colture , degli armenti; non colpisce i soli proprietarii, ma i fittajuoli e mezzajuoli per il red- dito della industria; e la imposta sulla terra non pesa molto, qualora dal totale della cifra si detragga quanto spetta d’ imposta su redditi, che in Italia non sono compresi nella fondiaria. Nel Portogallo anche nel 1845 fu riformato 1’ antico sistema tributario ; ed una tassa prediale di ripartizione esiste , probabilmente stabilita conforme al sistema francese, e che abbraccia tutte le proprietà immobiliari ; 1’ imposta non è molto elevata. Ecco le nazioni e i loro catasti, con cui raffronteremo l’Italia, mettendo in rapporto le rispettive tasse fondiarie con i relativi territorii e le relative popo- azioni : NAZIONI TERR. IN C.Q. POPOLAZIONE IMPOSTA PER 400 ARE PER ABITANTE Talia none 283740 25944543 L. 183842659 —L. 648 L. 7,08 Inghilterra.'. . . 813566 31817108 » 28165770 » 89 » 0,88 Paesi-Bassi . .. 32841 — 3493611 » 417785500 » BAL » 5,08 Beloio co si 29450 4835094 » 19150000 » 650 » 3,95 ATUSIniar a 622560 35904435 » 93840000 » 151 » 2,64 Baviera oc 76154 4863450 » 12250279 » 161 » 2,52 Sassonia. . . ... 14867 2554000 » ‘7162860 =» 482» 2,80 Prussia cono 351022 21693966» 49062750 » 139 » 1,98 Riga 4 se 528576 36102921 » 167683000 DIISATT » 4,64 SPASI ARIA 507045 15673481 » 116100000 »! 299 » 7,47 Portozallo RStseNi 9018 4323993 » 13921776 » 153 » 3,22 ED IL PROGETTO DELLA PEREQUAZIONE 9 Le cifre sono troppo eloquenti. La imposta fondiaria in Italia, tanto raffrontata al territorio come alla popolazione, mostra, con gran differenza, qual periglioso primato abbia essa fra le nazioni : Per ogni 100 ettare di terreno in Italia si pagano 648 lire, cioè 107 dippiù che nei Paesi Bassi, 166 dippiù che in Sassonia, 334 dippiù che in Francia, 419 dippiù che in Spagna, 487 dippiù che in Baviera, 495 dippiù che in Porto- gallo, 497 dippiù che in Austria, 509 dippiù che in Prussia, 559 dippiù che in Inghilterra. Questi cifre sono troppo eloquenti! E ove dal territorio passiamo ‘alla popolazione troviamo la stessa proporzione. In Italia si paga per capo 7 lire, e 8 centesimi, cioè dippiù 2 lire dei Paesi Bassi, 2, 44 della Francia, 2, 64 del- l’Austria, 3, 13 del Belgio , 3, 86 del Portogallo , 4, 28 della Sassonia, 4, 56 della Baviera, 5, 50 della Prassia, 6, 20 dell'Inghilterra, rivaleggia solo con la Spagna; ma l'imposta spagnuola nella fondiaria accoglie la tassa mobiliare agraria, e relativamente è di meno: ed è qualche cosa. È doloroso però che abbia a com- pagna una nazione decaduta; tanto è vero che l’alto saggio dell'imposta è il segno della decadenza economica di un paese. L'Italia con grande sproporzione supera gli altri Stati in riguardo all’imposta fondiaria, tanto proporzionata al suo territorio, come alla popolazione; e se si volesse fondere popolazione e territorio e rapporto a rapporto , si vedrebbe come essa pesa dippiù che altrove; perche ove è meno la densità ivi relativamente è meno la ricchezza, e l’imposta pesa dippiù, come ebbe a dire l’Hoffman parlando della perequazione fondiaria prussiana. E se dalle cifre della elevazione o diminuizione dell'imposta si volesse for- mare una scala della floridezza dell’agricoltura in Europa, troveremmo alla testa l'Inghilterra alla coda l Italia; e le cifre rispondono alla verità. Qui i progressi dell’agricoltura sono stati arrestati dall’ imposta, e i capitali si sono allontanati dalla terra, perchè la minaccia della tassa ha impedito versavisi, e perchè l’im- posta stessa l ha rapito al proprietario ; e |’ industria primitiva , e l’ industria più favorita dalle condizioni locali, è la più isterilita, ed ora si minaccia di nuovo rovescio. IV. LE ADDIZIONALI E LE ALTRE IMPOSTE SULLA TERRA IN ITALIA Tutto ciò riguardo l’imposta prediale in rapporto agli altri Stati; ma se si con- sidera come essa si aumenta in Italia coi centesimi addizionali delle Provincie e dei Comuni, la posizione diviene peggiore; un’imposta più enorme pesa sulla terra. Futili distinzioni sono quelle di Stato, di Provincie di Comuni in riguardo 2 410 L'IMPOSTA FONDIARIA all’imposta; l'imposta è una, una è la materia su cui pesa, uno il contribuente che deve pagare; che si diano 30 ad un solo, o 30 a tre persone, poco importa, il peso è sempre lo stesso. In Italia Provincie e Comuni possono cumulativamente e senza alcuna restrin- zione imporre 100 centesimi su una lira d’ imposta governativa ; ciò importa che la tassa si può dupplicare : nè oltre la dupplicazione è limite ; con auto- rizzazione del governo i 100 centesimi per lira possono sorparsarsi, e lo Stato, che ruba ai Comuni le proprie risorse, non si nega a darla. Ciò significa rovi- . nare l’ agricoltura, immiserire il paese; l’ imposta di L. 648 per 100 può ele- varsi a L. 1296, e la testatica da L. 7, 08 può giungere a L. 14, 46. E difatti, dall'ipotesi passando alla tesi, noi troviamo, che sui 133,625,580 d’imposta, principale sui terreni pesano 94,711,860 lire di sovraimposte e su 50,217,079 d'imposta principale sui fabbricati, gravitano 24,389,829 lire di sovraimposte, e nell’ assieme sopra un totale di Lire 183,842,659 d’ imposte principali pesano lire 133,982,183 d’ imposte addizionali, in modo che l’ imposta di L. 7, 08 per testa, si vede elevare quasi al doppio. E se l’ imposta sulla terra sino ad un certo limite agisce sull’ elevazione del prezzo dei prodotti agrarii; con questo ‘esquilibrio interprovinciale ed inter- nazionale, come i prodotti nostri, nelle stesse condizioni di quelli degli altri paesi, possono sostenere la internazionale concorrenza ? Alla sproporzione tra l’imposta fondiaria principale si aggiunge quella addi- zionale ; dappoichè nelle altre nazioni è un limite più basso assai del nostro : ed essendo l’imposta principale non elevata e l’addizionale più bassa, il risultato dà un infima ragionata. Egli è difficile rintracciare per ogni nazione la imposta addizionale ; ma dalle notizie , che studiando ho raccolto risulta, che in Francia gli addizionali delle provincie non oltrepassano i 25 centesimi per lira distribuiti fra la fon- diaria e la mobiliare , e i comuni non possono oltrepassare i 10 centesimi ; in Spagna il tributo diretto delle provincie è un decimo del contigente governativo, e di altrettanto quello dei comuni; nel Belgio avanti il 1830 era permesso il 13 per ogni 100 lire, e nel bilancio di Brusselles del 1864 è dell'uno per 100 del reddito catastale; in Prussia è 50 centesimi per lira; nei Paesi bassi la legge comunale del 1851 non permette che un massimo di 10 centesimi sui fondi e . di 415 sugli edifici ; negli antichi stati italiani, almeno per le Provincie meri- dionali, ai comuni era inibito rivolgersi sulle imposte dirette, e le provincie ave- vano un basso saggio di addizionali; nell’Inghilterra le tasse che Contee e Par- rocchie fanno pesare sulla terra sono relativamente più alte ; ma ove si consi- deri che la tassa principale dello Stato va dall’ 1 al 3 per 100 , ogni sovraim- posta, anche forte, non potrà elevare di troppo il tributo sulla terra, alla cui tenuità deve l’ Inghilterra il suo progresso agrario , in un suolo che fa guerra al lavoro e al capitale. ED IL PROGETTO DELLA PEREQUAZIONE | Ac Se dall'imposta passiamo al modo di percezione noi restiamo attoniti delle fiscalità che dominano nell'amministrazione: i posteri non vi presteranno fede. Pubblicani e usurai che richiedono un aggio spesso al di là del 10 per 100 la fanno di esattori; e il governo, che non fa le spese, autorizza qualunque aggio che gravita sui miseri contribuenti ; multe pesanti per ogni giorno di ritardo , espropriazione forzata se il ritardo si protrae, con tutto quello apparato di spese fiscali da mostrare che il padrone della terra è lo Stato, e i proprietarii non sono che tiranneggiati esattori. Né questo solamente. I governi dispotici sono quelli che a prefenza predi- ligono come fonte d’ imposta la terra ; ma essi mentre da un lato l’opprimono con la tassa diretta, la risparmiano con |’ indiretta. Egli è vero che la nuova Italia trovò alta la imposta sulla terra; fu retaggio dei caduti governi; ma il nuovo la conservò non solo con religiosità degna di miglior causa, ma l’accrebbe tanto direttamente che indirettamente. La imposta sulla terra negli antichi Stati italiani dal 37 per 100 sulla ren- dita discendeva al 17, e al 12 solo presso noi, in Sicilia; questi rapporti sem- brano molto disuguali, ma qualora si consideri che gli Stati , che mostravano una più alta ragionata avevano bassi i loro imponibili, perchè vecchi i catasti, si scorgerà esistere relativamente un certo bilancio, ma assolutamente non è alcun dubbio che l'imposta era troppo elevata. La Lombardia col suo censo del 1760 l’avea 37 per 100, Parma e Piacenza col loro censo del 1809 l'avevano 28; Modena e Massa col loro allibramento del 1794 I avevano 25; il Piemonte col suo censo del 1798 1’ aveva 17; la Toscana col suo censo del 1817 l'aveva 18; la Sardegna col suo censo del 1818 l'aveva 15 ; il Napolitano col suo catasto del 1808 l'aveva 24; la Sicilia col suo catasto del 1850 l'aveva 12, 50; gli Stati annessi alla Chiesa con vecchi ed informi estimi paga- vano un’imposta che variante oscillava del 18 al 40; la Venezia si manteneva in rapporti inferiori a quelli della Lombardia. Era questo lo stato della imposta fondiaria avanti la unificazione : le appa- renti disuguaglianze, appianate dal tempo, furono parificate nel 1864, e la Sicilia fu tra le regioni meno fortunate. L’ imposta era troppo elevata; e dalla più o meno pesantezza si può argo- mentare il dispotisimo degli antichi Stati. Ma quale era di fronte a questa im- posta lo stato della industria agraria in Italia? Essa era decaduta; e cominciava a svegliarsi negli ultimi tempi, quando cresciuto il valore delle terre e assimi- late le migliorie al suolo , la imposta cominciò a far sentire meno pesante la sua influenza. Eppure , mentre noi alziamo la voce contro 1° imposta terriera che vigeva negli antichi Stati, dobbiamo tenere in considerazione , che nella maggioranza ‘ dei caduti reami, mancavano, o erano troppo basse le altre imposte, che pesano sulla terra e su i suoi prodotti. 49 L'IMPOSTA FONDIARIA La tassa di registro sulle vendite non era il 4 e 80 per 100, quelle per le locazioni. enfiteusi, mutui, iscrizioni e per ogni altro atto di traslazione e modifi- cazione della proprietà non avevano l’attuale misura, le tasse sulla successione o mancavano o non avevano preso lo sviluppo che hanno adesso, le tasse di bollo erano moderatissime, i doppii decimi di guerra non pesavano in tempo di pace; noi delle provincie meridionali pagavamo o nulla o poco. Sicché la tassa sulla terra pesava meno; mentre oggi troviamo da un lato più alta la tassa diretta e dall’altro per le tasse di registro, bollo, successioni ecc. inceppata la proprietà, e sì forti le imposte da assorbire in pochi passaggi il valore dei fondi: Noi non siamo che esattori del Fisco. Ed oltre ciò quante sono le tasse che sotto forma di consumo gravano sulla proprietà terriera ? Qual'è il loro ammontare ? Alla tassa fondiaria del 34 per 100 aggiungete le tasse di registro, computativi quelle di bollo, sommatevi quelle per successioni, addizionatevi le tasse per ispese giudiziarie, tenete conto dei dazii sulle produzioni agrarie, dell'imposta di ricchezza mobile sull’industria agricola, «sui censi e sui crediti ipotecari , che sono annessi alla terra, riducete tutto a media , calcolate quante volte vi occorre di dover pagare simili gravezze in un decennio, e poi mi direte che cosa rimane della proprietà terriera in Italia ? La nuova Italia, ispirata ad idee libere, avrebbe dovuto diminuire la imposta fondiaria, anzichè accrescerla, imitando nella perequazione la Francia, che discaricò ‘ di tassa i Compartimenti più gravati, senza rimporre sopra i privilegiati ; e allora la ricchezza si sarebbe aumentata , la miseria non avrebbe battuto alle porte, e nel mondiale scambio l’ Italia avrebbe potuto con successo sostenere la internazionale concorrenza , anzi che procedere nella via del decadimento eco- nomico. Il denaro non viene da inconsulte imposte, che inaridiscono le fonti della ricchezza, ma dal benessere generale. La Francia è ricca, e ricco è il suo bilancio; essa fa gl’ imprestiti nel paese ed è obbligata a ricusare denaro; essa ha saputo sollevarsi dalle grandi crisi del 1815 e del 1870, perchè è ricca, e la imposta fondiaria pesa 4 lire per abitante. L’ Inghilterra è ancora più ricca; essa redime ogni anno il suo debito pubblico e la sua imposta sulla terra è 88 centesimi per abitante. L’ Italia ha la miseria nel popolo, il deficit nel bilancio, e vive coi boni del tesoro, con la carta moneta, con la vendita delle sue proprietà, e la sua imposta sulla terra, chi il crederebbe ? pesa 7 lire per abitante; in altri termini ha un’ imposta circa il doppio della Francia, è 8 volte maggiore di quella dell’ Inghilterra. ED IL PROGETTO DELLA PEREQUAZIONE 13 V. GLI ECONOMISTI E I FINANZIERI IN RIGUARDO ALL'IMPOSTA FONDIARIA I ministri in riguardo all’ imposta fondiaria non la pensano come gli uomini della scienza: e un tremendo antagonismo esiste in riguardo alla imposta prediale, che gli economisti combattono, che i governi prediligono. Gli economisti, a meno dei fisiocrati, che basandosi su un errore credevano doversi adoperare unica imposta sulla terra, poco più, poco meno la combattono. Ma i Fisiocrati vivevano in tempi in cui i bilanci degli Stati erano poveri , e credevano che con quanto oggi si paga sulla fondiaria si poteva mantenere lo Stato. Se vedessero i bilanci di oggi giorno, eglino protesterebbero contro il loro sistema. La loro opinione non ha più peso. I moderni combattono l’elevatezza della imposta fondiaria, e il suo progressivo sviluppo. Chi si fa a leggere gli Economisti inglesi troverà come tutti protestano contro l'imposta sulla terra; sia perchè riesce ineguale e ingiusta colla sua distribuzione, non potendo colpire la rendita netta; sia per il danno che reca all’agricoltura , ch’è l’industria madre delle altre, impedendo del tutto l’impiego del capitale sulla terra e deprimendo il ramo più cospicuo della industria nazionale. « Una tale imposta, dice il Mac Gulloch, scoraggia queste virtù, e quelle spese sulla terra che ogni saggio governo si sforza di promuovere. Noi dubitiamo in verità se sia pos- sibile suggerirne un altra che più si allontani dai buoni principii o più sia avversa ai progressi economici ». « In agricoltura, dice il Paley, come in ogni altra occupazione la vera ricom- pensa dell’ industria è nel prezzo e nella vendita del prodotto. Il dritto esclusivo sopra il prodotto è il solo eccitamento che operi sempre e generalmente. Tutto ciò che le leggi possono, si è assicurare che tutto il vantaggio di qual siasi miglio- ramento sarà di chi lo ha fatto; che ogni uomo lavorerà per se non per altri, e che niuno potrà mai partecipare a un profitto se non abbia contribuito a pro- durlo. » E il Banfield : « A paragone delle altre imposte la contribuzione fondiaria è la più oppressiva, ed in conseguenza la meno produttiva che mai si possa adottare. » Nè son dimeno i Francesi, che pure sono del paese del catasto parcellario; essi lo combattono, e non accettano che una imposta moderata che colpisca una volta la terra, ma non perseguiti le migliorie, per non colpire nel cuore la ricchezza. E difatti il Passy scrive: « È la stabilità ciò che occorre alla imposta prediale, più che ad ogni altra; non è mai bene modificare nè la cifra generale, né la ripar- tizione » ; ed aggravarla sarebbe un usurpare il reddito del proprietario, 0, per dir meglio col Proudhon, sarebbe sostituire il dominio dello Stato alla proprietà; 44 °° L’' IMPOSTA FONDIARIA e così tornare al dritto feudale. Il Rossi, quantunque partigiano della imposta terri- toriale, ma nemico dei catasti parcellari, ammette l imposta, ma moderata: essa, egli dice, non debbe per nulla turbare l’opera della produzione: il Coquelin scrive, dicendo della difficoltà del catasto : « L’ Inghilterra ha ovviato quella difficoltà , stabilendo sulla proprietà fondiaria un imposta fissa, la cui cifra determinata di antica data non varia più. Può essere che presto o tardi si dovrà venire ad un sistema analogo, con le necessarie modificazioni indicate dalla differenza dei tempi o dei luoghi ». E qui chiudo con I’ enfatiche frasi di un contemporaneo dei Fisio- crati: « L’ imposta prediale agisce sulla agricoltura come il digiuno opera sul seno della balia, determina il dimagrimento dell’allievo. Il governo ne è convinto, ma egli ripete bisogna pure che io viva! » E contro i principii della scienza i finanzieri, e specialmente i nostri, hanno predilezione per questa imposta. Ed essa si presenta veramente seducente. Occorrono poche spese, che fanno i contribuenti, per esigerla. I contribuenti vengono da se stessi a pagare il denaro. Aumentarla non è che un semplice atto di volontà : Gl’ imponibili sono formati, e si riparte fra i contribuenti quanto occorre dippiù. L’ imposta non è soggetta a diminuzione, e si può contare sulla cifra prevista, perchè all’obbligazione inflitta risponde la più immutabile garenzia, la terra. Il piacere del possesso fa fare dei sagrifizii: in pari circostanze vi sono degli industriali che chiudono le loro fab- briche, ma non dei proprietari che abbandonano le proprie terre; miseri sì, ma possidenti; e in mezzo alle continue perdite, brilla sempre una speranza che la terra è fonte inesauribile di ricchezza , e che l’avvenire compenserà i presenti rovesci. i i E i governi con grave colpa, abbusano di questa posizione morale, e forti della loro garenzia giuridica, riversano tutto sulla terra, senza nè anco Manet il danno che si reca alla PIDLUEA ricchezza e al pubblico tesoro. Ni LA PEREQUAZIONE E L’ IMPOSSIBILITÀ DI STABILIRSI Le disuguaglianze nelle imposte dirette sono, inerenti alla natura di esse. Voler conoscere la rendita netta di ogni singolo proprietario o della terra o del capitale o del lavoro , è per dir così impossibile ; vi ha sempre chi perde , vi ha sempre chi guadagna. Il tempo uguaglia gradatamente, il tempo livella; gli sforzi individuali per sentir meno 1’ imposta si adoperano e si riesce gradatamente allo scopo; si rende più produttivo il fondo mercè l’azione del capitale, e il pro- gresso agrario si svolge. Una nuova perequazione non fa che punire questo spirito di miglioramento , non fa che sperequare ; non si domanda di meno a chi ha ED IL PROGETTO DELLA PEREQUAZIONE 15 pagato dippiù, ma si chiede a questo medesimo qualche altra cosa, e si domanda dippiù a chi di meno ha pagato. Una nuova perequazione non fa che distruggere l'equilibrio che ha formato il tempo, per creare nuove disuguaglianze, e di mag- gior peso, perchè gravitano sopra un imponibile accresciuto. Qualunque sia il modo di catastare, o col catasto geometrico o col descrit- tivo o colpendo la terra o colpendo la rendita, le disuguaglianze sono sempre in mezzo, e quelle che il tempo ha tolto fa risorgere direttamente una nuova cata- Stazione. « A parlar rigorosamente, scrive il Proudhon, la perequazione della imposta è nell’ ordine economico ciò che la quadratura del circolo, la trisezione dell’ angolo, la duplicazione del cubo , il movimento perpetuo sono nelle matematiche , pro- blema insolubile, contradizione. » Il sistema della catastazione con modi differenti è antico, forse per quanto è antica l’imposta sulla terra ; esso è stato riputato da taluni meno disuguale quando è geometrico , da altri quand’ è descrittivo ; taluni han creduto meglio colpire la potenza della terra, altri la rendita che ne proviene; ma tutti son con- venuti nel dirlo un sistema che, presenta delle inaudite disuguaglianze, le quali divengono più funeste in quello geometrico per l’ immensa spesa che esso costa, la quale viene inesorabilmente a pesare sulla terra, e che sul riguardo, ed in ciò, sono i molti, il miglior sistema è di dichiarare immutabile l imposta, inutili i catasti. L’ Audiffret nel suo dotto libro è! sistema fondiario della Francia scriveva : « Senza l’ utilità dei risultati geometrici ottenuti sulla estensione, il conte- nuto e la configurazione del suolo, noi crediamo che 1 amministrazione debba abbandonare la via tortuosa e senza uscita in cui è da 32 anni in qua: e trarsi fuori da questo labirinto catastale, dove ha sciupato il suo lavoro e 150 milioni di centesimi suppletivi, ai quali si aggiungerà ancora in avvenire un sagrificio perpetuo di 5 a 6 milioni all'anno. Bisogna in fine che essa entri nella via rego- lare e facile da noi tracciata, per raggiungere più prestamente lo scopo, verso cui sono indirizzati i voti dei proprietarii, e che essa avea proposto a se mede- sima nella sua relazione stampata a 15 marzo 1830, la immutabilità della im- posta fondiaria. E a mostrare le disuguaglianze del catasto, scrive un altro economista , il Poussielgue : « Terre della stessa natura, dello stesso prodotto e che si toccano sono calcolate a 60 franchi di rendita imponibile nel dipartimento della Somma e a 45 al Passo- di Calais. Nel Loiret redditi di 5,000 franchi per contratti autentici si sono cal- colati a 600 franchi a grande coltura, e redditi di 600 franchi a piccola coltura si sono calcolati per 500 franchi. In fine i fattori di catasto non sono di accordo su ciò che bisogna intendersi per reddito imponibile. » 16 | L'IMPOSTA FONDIARIA « L’ineguaglianza della imposta è palpabile e nota a tutti, dice Lemire. Ognuno sa infatti che alcuni dipartimenti pagano 5 a 10 sul reddito reale, quand’ altri pagano 20 o 30 per 100. La medesima disuguaglianza regna in ogni dipartimento, dove i circondarii, i comuni, i cittadini tra loro non sono imposti secondo uguale proporzione, avuto riguardo ai redditi effettivi. » « La variabilità e 1’ indeterminazione che formano il carattere dei fenomeni economici, scrive il Proudhon, si trovano nella terra, la cui qualità non è la stessa ogni dove, e la fertilità non è uguale da un anno ad un’altro , e che in oltre per effetti che non è possibile calcolare, cresce o diminuisce in qualità con l’andare del tempo. Quando dunque il Fisco per giungere ad una ripartizione proporzio- nale della imposta assegna una contribuzione di x per ogni ettare o per 100 franchi di reddito netto. o lordo presunto, non solamente fa un operazione di poca probabilità, ma pecca contro il principio fondamentale delle imposte. » Il Rossi, tanto amico della imposta fondiaria, parlando del catasto francese, di cui è tenero il governo italiano così scrive : « Uno dei mezzi che si sono adoperati e si adoperano ancora, e che riu- nisce in generale i suffragi degli uomini di stato e dei finanziarii è il catasto » E dopo di averlo descritto, dichiarando che ebbe a costare 130 milioni soggiunge : « In qualunque stato di cose il catasto è dunque una operazione utile, la quale può servire a molti differenti scopi; ma è insufficiente per l'assetto dell'imposta. Può esso determinare il reddito territoriale? No; non può che presentare dei fatti i quali permettono di determinare cotal reddito per via d’ induzioni, più o meno dirette. » E qui impiega delle splendide pagine , per provare come esso produca la disuguaglianza e rechi immensi danni ora al proprietario, ora al fit- tajolo, ora al consumatore. La stessa opinione porta il Coquelin già riferito ; e il Passy scrive queste forti parole: « Nella perequazione tutto è errore e vizio, e concorrono ad inter- dirla formalmente, non solamente l’equità , ma l'interesse. In un paese in cui lo Stato si crederebbe autorizzato a rimaneggiare le imposte territoriali manche- rebbe la sicurezza alle transizioni; niuno al momento di acquistare saprebbe se la rendita netta la cui cifra determina il prezzo della propietà sarà presto dimi- nuita , e da ciò le inquietitudini che risentirebbe la circolazione della terra ; e dall’altra il timore di aumento d’imposta peserebbe fortemente sopra l'industria agraria. Ognuno temerebbe di perdere una parte dei beneficii a cui è fiducio- samente eccitato, spendendo in miglioramenti del fondo, e l’ agricoltura manche- rebbe di quella libertà e di quello sviluppo di cui abbisogna per divenire più feconda. » Ho voluto esporre le opinioni di dotti ed imparziali scrittori francesi , che parlano per diversi argomenti contro il catasto e contro la perequazione, perchè il progetto, che oggi viene alla camera, non è che una incomposta traduzione della ED IL PROGETTO DELLA PEREQUAZIONE 17 legse francese , rendendola più fiscale e più difficile alla perequazione. Il fatto altrui dovrebbe essere di: scuola a noi; ma la mente dei nostri uomini di Stato e dei nostri finanzieri s'ispira avvedutamente a tutto ciò che esiste in Francia o in Germania, condannato dal lavoro delle più nobili intelligenze. VII. I TRE STADII DI PEREQUAZIONE E 1 LORO EFFETTI Ma il progetto italiano va anche al di là; vi è qualche cosa di originale: vi è il concetto della perequazione che manca di principio dirigente e che sanziona l’arbitrio e la disuguaglianza in tutti gli stadii della perequazione. Pei catasti si è scelto il sistema diretto. Il governo ha fatto fare quest’opera ai suoi agenti successivamente o contemporaneamente in varii punti del terri- torio. Il lavoro è di sua natura sì lungo, e le mutazioni nella coltura pella fertilità della terra sono sì rapide, che la sperequazione, indipendentemente del- l’ indole dell’opera, si è presentata enorme tra provincie, comuni, contribuenti, priacchè i lavori della perequazione fossero proclamati. Il sistema dei tre stadii di cui tenemmo parola, crede ovviare colla contempora- neità delle operazioni per parte dei comuni, delle provincie, dello Stato al difetto del tempo; ma crea col sistema proposto delle altre difficoltà, che accrescono le disuguaglianze, e falsano il criterio, sia che dallo Stato si venga al contribuente, sia che dal contribuente si risalga allo Stato, come la legge proposta. O diretto, o per mezzo di stadii, le difficoltà stanno tutte nell’operazioni del- l’ estimo e nella parificazione; e tutti i catatasti, improntati a quello di Milano del 1723, di cui il Conte Carli ha fatto la storia e che gli Stati hanno poco più, poco meno adottato, hanno un’errore fondamentale; e alla fine hanno incontrato la sperequazione , hanno punito il lavoro e il capitale impiegato, hanno premiato l'inerzia e 1’ abbandono. L’ Inghilterra, non accettando questi principii e questo sistema compassato ad arbitrario, si attenne alla immobilità del catasto e della im- posta, senza perseguitare i miglioramenti e volere le perequazioni. Egli è nel cercare la rendita della terra, egli è nel classificare la natura dei fondi, egli è nel formare le medie e le tariffe che sorge l’arbitrio e la disugua- glianza, il timore e il regresso nella industria agraria. La rendita è determinata dal prezzo medio dell’ordinaria produzione, le dedu- zioni riducono a netta la rendita lorda : allora si costituiscono tariffe per qua- lità e classi di cultura, e i singoli fondi sono compresi in una di queste qualità di cultura, in una delle classi della medesima coltivazione. Senza dir nulla per ora sulla formazione della rendita lorda, sulle deduzioni che la fanno netta, h) DIRETE I RIN CTEPASE O PRIN LENNON ti RE Ai 18 L'IMPOSTA FONDIARIA fermiamoci a questo concetto di base: l’ estimo per qualità e classi che rappre- sentano il massimo e il minimo della produzione della terra, e quindi la rendita. Chi farà quest’ operazione catastale nel comune ? Il perito o i periti. Quali elementi svariatissimi terrà presente nel formare la tariffa per qualità e classi? Quelli che vorrà e potrà. Chi sarà il controllo di questa operazione ? I contri- buenti dice il progetto; sono questi i soli elementi di controllo. Dalla lotta d’in- teressi, crede il governo che sorgerà la verità; mentre dalla lotta sorgerà il nulla o larbitrio, dall'accordo l’errore, dall’indolenza la sperequazione. — Fatte le tariffe per qualità e classi come passerà a stabilire l’imponibile dei terreni dichiarandoli di tale qualità, di tale classe? E qui anche l’ arbitrio che domina. Le tariffe non possono tener conto delle svariate condizioni dei terreni, e delle loro culture; esse non hanno che poche classi, le quali dovranno acco- gliere gli svariati terreni; la classificazione quindi sarà soggetto di sperequazione, vi sarà chi perde, vi sarà chi guadagna ; chi guadagna tace, chi perde reclama e non avrà giustizia, perchè il suo reclamo non sarà trattato dalla Commissione comunale, ma della provinciale, e perchè un estimo particolare, fatto senza ele- menti relativi, sotto l’impressione di non sfiduciare il primo lavoro, peggiorerà la con- dizione del reclamante, a cui infine si risponderà : si può fare un nuovo estimo del comune per il vostro reclamo! Ecco la perequazione di primo stadio; ecco la perequazione nel comune. Allo Stato poco importa dei contribuenti; egli non vede ‘che la sola rendita media, l'innalzamento degli imponibili, e prometterà premii ed onori a coloro tra i periti, che si saranno distinti nell’arte di rovinare il con- tribuente. Ma la sperequazione in vece di diminuire si aumenta nel secondo stadio. Nél primo si è potuto dividere in una aliquota uguale il contigente del comune ai varii contribuenti; ma nel secondo che si versa nella perequazione dei conti- genti comunali in rapporto al contigente provinciale, la sperequazione tra i con- tribuenti dei varii comuni si aumenta; e si aumenta perchè si manca di norma. Se si lascia per ogni comune il risultato del primo stadio vi sarà una sperequa- zione frai comuni; se si perequano questi si avrà una sperequazione tra i con- tribuenti. Il lavoro del secondo stadio, lo ripetiamo, è il seguente : Ferma la propor- zione del riparto fra i contribuenti e fermo il contigente provinciale si pereque- ranno fra loro i contigenti comunali. Ecco le parole della legge. Cosa significano esse? Domandatene a chi le ha scritte. Pure la relazione getta una luce su queste tenebre, e mostra l’enorme baratro dell’arbitrio e della sperequazione. Questo lavoro di secondo stadio consiste nel confrontare le tariffe dei diversi comuni e i terreni che servirono di campione. E se trova che questi terreni non furono estimati ugualmente li perequa; così, sono parole della relazione, se nel ED IL PROGETTO DELLA PEREQUAZIONE 19 comune A il criterio di estimo è elevato del 10 per 100 dippiù del vero, che nel comune B è più basso del vero di 5 per 100 ec., per ottenere il conquaglio non ha da fare altro che diminuire del 10 per 4100 tutte le rendite della tariffa del comune A, accrescere di un 5 per 100 quelle del comune 8, e soggiunge : è evidente che in questo modo alzando o abbassando la tariffa non si altera la proporzionalità nell’interno del comune. Ma se non si altera la proporzionalità nell’interno del comune, si altera però quella dei contribuenti dei diversi comuni. Se si crede, mentre non è , alta la tariffa di un comune e bassa quella di un altro, abbassando la prima ed alzando la seconda non vi ha sproporzione tra i contribuenti dei diversi comuni, le cui tariffe potevano essere esatte ? E dove è il tipo a cui avvicinare le tariffe, per vedere se esse siano più alte o più basse del vero? Come si perequano tariffe di territorii di comuni diversi. per condizioni naturali ed economiche? Che deve venirsi ad un nuovo estimo? E perchè allora fare il comunale, mentre le Commissioni provinciali e i suoi periti possono arbitrariamente distruggere l’ estimo di tutti i comuni, ritenendo alte o basse le tariffe? E se si lasciano le tariffe dei comuni senza rivisione, come si ovvierà al fatto che le tariffe di taluni o di tutti i comuni non possono espri- mere il vero ? L'operazione di primo stadio porta la sperequazione fra i contribuenti del comune, l’ operazione di secondo stadio aumenta questa sperequazione con le sue correzioni o la sanziona col suo silenzio. Lo stesso lavoro si ripete fra le provincie nel terzo stadio per la perequa- zione di tutto lo Stato. La Commissione centrale, con lo.stesso sistema delle pro- vinciali, correggerà le tariffe e distribuirà il contigente generale alle provincie , come il contigente della provincia si è distribuito al comune. e quello dei comuni ai contribuenti: È un lavoro di ‘sperequazione che si aumenta ad ogni stadio ; e alla fine non si avrà che un aliquota unica , la quale peserà diversamente su tutti i contribuenti, una sperequazione generale più funesta di quella che può oggi esistere, perchè su imponibili accresciuti e con imposta più alta. Reclami e lagni dei contribuenti e dei comuni alla provincia e dei comuni e delle provincie allo Stato, decadimento dell’agricoltura, minaccia di giustificati movimenti. Indarno, invocando la giustizia, il ministero assumerà il linguaggio della rela- zione, dicendo: che il lavoro di estimo dei comuni è un lavoro di fatto, che quello delle provincie e dello Stato è un lavoro scientifico: che non si cerca la rendita vera, ma la rendita media; che la perequazione è di giustizia, che |’ estimo è riuscito; il Parlamento sarà costretto a venire a nuovi temperamenti, a nuove spese, che sempre più peggioreranno la condizione, o a tornare agli antichi catasti e agli antichi contigenti; se pur con un atto di arbitrio, degno di efferato dispo- tisimo, non vorrà sanzionare un’opera d’ingiustizia e di sperequazione. Ma qua- MO SA, Mg Pte Hal 7 Vice Ate 20 L'IMPOSTA FONDIARIA lunque sia l’esito, sono 100 milioni, che si domandano ai proprietari della terra, per un opera a lor danno, sono 100 milioni che si rapiscono all’ agricoltura e allo sviluppo della pubblica ricchezza. Queste previsioni non son nuove, la Francia, e nell’Italia il Piemonte , ci presentano dei simili fatti. Il catasto francese cominciato nel 1808 e finito nel 1850 portò la sperequa- zione, ad onta delle varie leggi e delle mutazioni avvenute nel catasto , tanto che dell’antico poco o nulla resta; e in modo che l’Esquireon de Parieu, dopo aver fatto la storia del catasto e della perequazione francese, ebbe a dire nel suo dotto trattato delle imposte: « Tuttavia il lavoro compiuto nelle varie parti del territorio non ha offerto l’ uniformità ed omogeneità necessaria, per servire di base alla perequazione della imposta in Francia. » Il Piemonte nel 1864 volle rifare il suo catasto per distribuirsi il contin- gente assegnato; l’esito fu infelice. E il Minghetti ebbe a dire nella sua prima relazione a questo progetto di perequazione: «Sopra 1865 comuni 1527, non ostante tutte le rettificazioni che si erano fatte agli accertamenti dal 1864 al 1868, deliberarono di ritornare al riparto dei catasti antichi, sebbene questi fossero formati da oltre mezzo secolo ed in grandissima parte con metodi più altro che perfetti. » Il che prova ad evidenza quanto avanti abbiam detto, ch’è il solo tempo che livella, che la perequazione è impossibile, che ogni tentativo per ottenerla accresce la disuguaglianza, scoraggia l’industria, offende la giustizia. E possiamo aggiungere col Sismondi, un motivo di politica: « che siffatta ripartizione invece di contentare i proprietari, ecciterebbe probabilmente universali richiami, poichè non ce uomo il quale nel giudizio proprio, stimi il godimento di guadagnare 1000 franchi pari al dolore di perderli; coloro che oggidì trovansi gravati non otterrebbero che un sollievo molto inferiore alla loro aspettazione; coloro che per lo contrario ora sono risparmiati, si crederebbero dopo la nuova ripartizione orribilmente calpestati. » Or come mai in faccia a sì luminosi principii ed esempi il governo pretende alla perequazione ? Come mai chiama giustizia questo progetto ? In forza di qual dritto cerca una maggiore imposta, disseccando le fonti della ricchezza ? Come può tentare , avendo un sistema tributario il più pesante e vessatorio dell’ Europa , riordinare un’imposta, che se non è soggetta a continui reclami , egli è perchè la terra non fu catastata da lui, egli è perchè il tempo ha fatto scomparire gra- datamente le disuguaglianze ? Noi non vogliamo la sperequazione; noi non vogliamo il danno. ED IL PROGETTO DELLA PEREQUAZIONE 9A VIII. IL TEMPO E LA SPESA DELLA PEREQUAZIONE E GLI EFFETTI DI SUCCESSIVAMENTE ATTUARLA Da quanto abbiamo fin quì venuto esponendo, ben si rileva la massa degli ingenti lavori che si devono compire, senza venire alla perequazione, anzi aggra- vando la condizione dei contribuenti per i crescati e disuguali imponibili. E pure questo lavoro. per il quale si devono rilevare 28,374,185 ettari di terreno acci- dentato, ed estimarlo nella sua rendita, il governo crede che si possa compiere in 5 anni e con 54 milioni di lire. A chi guarda bene e al tempo e alla spesa, riescerà certamente sorprendente questa scoverta. Cinque anni e 54 milioni per questa immensa opera nella quale la Francia coi suoi grandi mezzi impiegò 42 anni, per quanti ne corsero dal 1808 al 1850, e la ingente somma di 150 milioni; nella quale l’Austria che la ebbe ordi- «nata nel 1817, sino al 1852 non l’avea completa, e pure si erano spesi 22 milioni di fiorini. Cinque anni e 54 milioni quando i singoli stati Italiani con gravi spese avevano fatti dei catasti descrittivi in lunga serie di anni; e noi sappiamo che il regno di Napoli v’impiegò 40 anni, la Sicilia 15, Parma e Piacenza 19, Sardegna 15, Toscana 10, le Romagne e Marche ed Umbria 12 anni, e circo a questo periodo il Piemonte e la Lombardia; e tutti spesero dei buoni milioni, in tempi in cui il lavoro era mal retribuito, e in cui la vita non era cara come oggigiorno. In questo punto è la illusione che domina : il tempo è breve, la spesa è insuf- ficiente. Ma pel governo, cui non mancano espedienti all’ arbitrio, cinque anni si reputano sufficienti; 3 per la rilevazione e l’estimo, 2 per il conguaglio; per le spese poco importa: non è nuovo che si prevede una somma e se ne impiega il doppio; e poi e lavoro e spese non debbono essere fatti dai comuni? Se il tempo non basta, sono i comuni che non fanno lavorare; se si spende dippiù sono i comuni che non sanno spendere. Un catasto regolare e giusto, per cui occorrono anni ed anni, fatto da uomini dotti e coscienziosi. non si fa per lo Stato; egli non cerca la perequazione, perché sa non trovarsi col suo sistema; egli non vuole che gl’imponibili alti. Il rilievo è parte secondaria, l’estimo è la parte principale; la rendita effettiva è nulla, la rendita media alta è tutto; che importa se un contribuente paghi più dell’altro, che una provincia o un comune sia più dell’altro gravato; purchè 1° imponibile si raddoppii e con esso | imposta, e tutto è completo. Egli è per ciò che si è serbata ampia facoltà nell’ art. 17 di cui appresso parleremo. A lui non possono mancare dei così detti periti che rilevano senza vedere, che apprezzano senza ponderare, e famelici si spargono con scarso stipendio come cavallette per tutta l’estensione del territorio del regno; con questi mezzi bastano 5 anni e 54 milioni di spesa ! 99 dgr L’ IMPOSTA FONDIARIA E alla dimani, dagli uomini che ci reggono, alle violenze e agli arbitrii, si dovrà rispondere col cancellare la legge, con annullare il catasto e tornare agli antichi censimenti; così sarà salva la moralità e la giustizia. Intorno alla spesa egli è mestieri che facciamo un’ultima osservazione. Questa deve ricadere su i proprietari in forma di centesimi addizionali, da dividersi in quel numero di anni che crederanno i comuni e le provincie, a cui incombono le spese del primo e del secondo stadio. Così si avrà una spesa di oltre a 100 milioni che dovrà ricadere sopra i possessori della terra. E se altro male non recasse il nuovo progetto di perequa- zione, questo non sarebbe sufficiente ? Cento milioni levati al proprietario della terra importano 100 milioni di capitale che si sottrae, e non s’impiega nell’indu- stria agraria ; e 100 milioni che si sottraggono o non s’ impiegano importano che il fruttato perpetuo di questa somma produttiva viene a mancare; importano un arrestarsi o un recedere dell’ agricoltura, del primo anello della produzione nazionale; cioè a dire un manco di ricchezze, un aumento di miseria, una deca- denza nella vita economica. E poi, perchè questa spesa. qualora sia necessaria, deve pesare sui soli proprietari della terra abbastanza gravati e non su tutti i contribuenti? perchè sentirne il peso solo 4 milioni di contribuenti e non il resto? Forse le spese per ordinare un imposta si sono sempre levate sopra i soli che vi contribuiscono ? Chi subisce il danno deve essere costretto a farne le spese? Oh anche questa è una enorme ingiustizia ! ; À Ma volete conoscere qual è 1’ argomento del Governo ? che la giustizia di questo principio non può essere contestata! Il catasto è necessario; al governo manca il danaro per farlo ; l’ operazione è avvantaggiosa pei possessori. Che il catasto è necessario al governo per espoliare i proprietarii non è dubbio; ma che i pro- prietarii devono subire la spesa di questa espoliazione, perchè essa è un van- taggio per loro è tal cosa che stranizza, è tal ragionamento che si avvicinerebbe a questo : fate le spese del palco perché la morte v'è utile. Se il catasto è utile allo Stato che paghi lo Stato: se egli vuol essere rilevato dai comuni , che i comuni spendano sul loro bilancio; ma che tutti ne soffrano il peso, non i soli proprietarii; il danno e la spesa per evocarlo non sono idee che si conciliano. i Ancora una parola, per chiudere questa prima parte di lavoro sulla perequa- zione. Il progetto di legge porta, che appena ultimato il lavoro di primo stadio si attuerà la distribuzione del contigente del comune ai contribuenti in esso, € finito quello] del secondo stadio si attuerà sui comuni e sui contribuenti la nuova imposta perequata, finchè non si verrà alla perequazione generale. Cosichè il contribuente pagherà di un modo alla prima perequazione, di un ED IL PROGETTO DELLA PEREQUAZIONE 23 altro alla seconda, e di un terzo modo all’ultima. Egli dovrà rimanere per più anni incerto della quota che dovrà pagare. I comuni più diligenti rovineranno i proprii contribuenti; le provincie più solerti sperequeranno i comuni e i contri- buenti; e finchè si giunga al terzo stadio la propietà resterà immobilizata e inerte nelle volontarie transizioni; le involontarie saranno soggetto d’inquetitudini e di disturbi: e i contribuenti dovranno soffrire per più fiate gli effetti di una ingiusta sperequazione. Se ad ogni modo si vuol tentare la speraquazione , che essa rimanga nei registri e nelle tabelle sino a lavoro finito; fino a quando si saprà se tanti milioni spesi inutilmente potranno avere un effetto, non lasciamo nell’incertezza la proprietà, non attentiamo agl interessi dei contribuenti, non facciamo che egli paghi dippiù o di meno, finchè non si saprà quanto deve pagare. I danni finchè non si tramutano in moneta si possono riparare. IX. I SISTEMI D'IMPOSTA SULLA TERRA E L'INGIUSTIZIA DI FONDERLI In rapporto ai principii, non esistono per l'imposta fondiaria che due sistemi : l’uno che colpisce la terra indipendentemente della sua produzione; l’altro che colpisce la rendita territoriale indipendentemente della terra; i due sistemi contemperati può solo l’arte fiscale immaginare, ma la scienza fulmina questa contradizione, questa ingiustizia elevata a base d’imposta. Nel primo sistema la tassa pesa una volta sulla terra in rapporto alla sua estensione e alla sua feracità: la tassa ne è mite, ed è lasciato libero lo svolgi- mento della industria, sotto l’usbergo di quella gran legge: immobilità del catasto, immobilità della imposta. I capitali allora si volgono alla terra, la produzione aumenta, e la ricchezza si sviluppa. L° imposta non guarda gli ulteriori miglio- ramenti, non punisce il lavoro e il capitale impiegato nella terra, non scoraggia l'avvenire , anzi premia indirettamente chi arricchendo se stesso arricchisce la società ; se vi ha chi perde relativamente è chi infingardo non coltiva il suo campo, e lascia, con gran danno sociale, stazionaria una ricchezza , che dovrebbe svolgere. In questo modo di collocare I imposta non sono deduzioni a farsi; non si ha riguardo nè alla rendita lorda, nè alla rendita netta. È questo il sistema più confacente allo sviluppo della agricoltura e della ricchezza, e di conseguenza è il più conforme alla giustizia e all’utile sociale. L’imposta non pesa, l'uguaglianza è nell’ indole stessa del sistema; le periodiche catastazioni che disuguagliano e confiscano non sono necessarie, e la ricchezza segue il suo naturale sviluppo. Vi ha un altro sistema, pel quale si leva l'imposta sulla rendita che dà la 2 L'IMPOSTA FONDIARIA terra. In questo caso non è la terra tassata, ma la rendita netta del suo proprie- tario, che segue lo sviluppo della produzione; in questo caso sono puniti il lavoro e il capitale impiegati nella terra. Un catasto descrittivo basta a stabilire la rendita dei proprietarii delle terre , non della terra stessa ; non occorrono stadii, ma una aliquota per 100 peserà su tutti; i catasti non sono permanenti, ma si rin- novano sempre, perchè la rendita è variabile; il proprietario della terra non paga in rapporto ad una rendita netta presunta, come media della produzione delle terre della qualità e classi delle sue, ma in rapporto alla rendita netta che effet- tivamente gli rimane. È questo il caso della formazione della rendita lorda e delle deduzioni per renderla netta. Non più medie, ma estimo effettivo ed individuale per ciascun possessore; non deduzioni ipotetiche, ma effettive; non si guarda alla terra, ma al suo possessore; e bisogna colpire quanto effettivamente gli rimane, pur- gato da ogni peso e da ogni spesa, non quando ipoteticamente gli dovrebbe rimanere. Questo sistema è combattuto dalla gran parte degli economisti per la diffi- coltà della sua attuazione , per l’ immense spese che costa, per la impossibilità dell uguaglienza, per il danno che reca al progresso dell’ agricoltura; ma è un sistema, se volete erroneo, se volete dannoso, che ha la sua ragione di essere. Son questi i due sistemi; e non resta che o a tassare la terra o a tassare la rendita; nel primo caso guardate la permanente materia del fondo produttivo. e avrete l’immobilità del catasto e l’immobilità dell’imposta, la giustizia in azione; nel secondo guardate alla rendita netta, allo svolgimento dell’ industria agraria e avrete i catasti continui, l'imposta variabile, l’immobilità dell’agricoltura, l’arbi- trio in trionfo. Ma che diremo della fusione dei due sistemi ? Avremo allora la contraddizione in azione, l’arbitrio a sistema, la confisca elevata a principio, la miseria sotten- trata al posto della ricchezza. È questo il nuovo progetto della perequazione, che, non avendo altro scopo che la fiscalità, contempera i due sistemi. Sceglie del primo le forme di un catasto permanente che colpisce la estenzione e la feracità della terra in base ad una rendita presunta; ma volendo una imposta progressiva e variabile si volge al secondo, e parla di rendita netta; e quando non colpisce questa, ma la lorda, perchè le deduzioni non ve lo conducono, in sostegno dell’ingiustizia che compie, si volge all’altro sistema e dice: l’imposta è sulla terra. E difatti, all’obbiezione di togliere le passività che gravano sul possessore del fondo, per trovare la sua rendita netta, la relazione risponde : non si tratta d’imposta sulla rendita territo- riale, l’imposta sui terreni è organizzata come imposta reale. Se è imposta reale a che tanto studio nel trovare la rendita, e se è imposta sulla rendita a che tanta spesa per rilevare ed estimare la terra? Ma il progetto confonde l’ uno e l’altro sistema, e il suo primo articolo mostra apertamente il senso occulto delle contradicentesi frasi. Si vuole una tassa elevata e progressiva ED IL PROGETTO DELLA PEREQUAZIONE 25 sulla rendita della terra, e si vogliono gravare sui contribuenti più che 100 milioni di spesa per avere un catasto geometrico e parcellare, che serva ad un tempo per controllare la rendita e per chiamare reale 1’ imposta, quando non si vuol colpire l’effettivo reddito netto del proprietario, ma una rendita media, che sarà poco più poco meno lorda, in rapporto alla condizione dei varii possessori, ma che dà imponibili più alti e sperequati, e capaci di potervi inegualmente e ingiustamente ritrarre una maggiore imposta, senza badare all’ ingiustizia che si consuma verso i contribuenti e al danno che si reca alla pubblica ricchezza. X. LA RENDITA LORDA DEI FONDI, E LA FISCALITÀ DEL PROGETTO L’imposta a norma del progetto deve gravitare sulla rendita dei, fondi, la quale è determinata sul valore della produzione; e da lorda si riduce a netta, mercè talune detrazioni che la legge stessa dispone. Ma come si ricava la rendita dei fondi, come si riduce a netta ? Ecco il pro- blema che da tanto tempo agita la scienza, affinchè l imposta non cada sul prodotto netto, che spesso è rendita lorda pel proprietario del fondo, e colpisca la rendita netta, senza intaccare il capitale produttivo, sulla quale lo Stato può aver dritto ad una porzione: donde quelle due regole solenni del Mill in materia d’ imposizione: « 1° ogni imposta deve cadere sul reddito e non sul capitale, 2° nel collocarla non bisogna confondere il prodotto netto annuale col reddito ». Crediamo superfluo sviluppare questi principii, e venghiamo all’ uso che ne ha fatto il governo nel suo progetto. La rendita dei fondi, colla nuova perequazione è ricavata dalle tariffe, che devono esprimere per qualità e classi la produzione dell’ordinaria cultura. In ciò nulla di allarmante. Ma la produzione scompagnata del prezzo nulla dice : è il prezzo che ne mani- festa il valore. Il prezzo è di sua natura variabile, come è il valore delle cose; esso ha periodi in cui fortemente si eleva e in cui sensibilmente si abbassa. Lo aumento fa crescere la rendita e di conseguenza gl’ imponibili , la decrescenza abbassa l'una e gli altri; e l’ imposta che pesa sugl’ imponibili, cioè sulla rendita, può essere più o meno pesante in rapporto al modo di fissarla. Una lunga serie di prezzi rende meno sensibili queste oscillazioni; ed il prezzo medio che ne risulta bilancia il presente e l’ avvenire ; quanto più il periodo che si coacerva è breve tanto più la rendita si discosta dal vero ; il prezzo medio deve abbracciare una lunga serie di anni, entro cui possono svol- gersi tutti gli elementi economici che influiscono sul prezzo. Il progetto governativo sceglie a base i prezzi dell'ultimo decennio, E mentre 4 26 L’ IMPOSTA FONDIARIA è voluto un periodo ventennale di prezzi nelle affrancazioni delle prestazioni in natura tra privati e privati, oggi il governo, nei rapporti con la popolazione, sceglie un periodo più breve. E sapete perchè si sceglie questo periodo ? Perchè l’ultimo decennio presenta prezzi elevati sui decennii precedenti; perchè esso si mostra quasi un periodo eccezionale, in cui i cattivi raccolti e la funesta influenza del corso forzato hanno prodotto una eccezionale elevazione nei prezzi. Im simil modo la rendità lorda aumenta, gl’ imponibili crescono, la imposta si può elevare. Questa ingiusta valutazione non è sfuggita di rilevarsi anche dagli uomini devoti alla causa del Fisco; e nella seconda relazione al progetto , il ministero, affer- mando come in questo periodo i prezzi siano alti, risponde ai suoi oppositori, dicendo: da questo faito, non credo che si possa trarre la conseguenza che debba scegliersi come base di stima un altro periodo di tempo. Certamente non sì pretende che si ricorra ad un periodo in cui i prezzi sono bassi; ma in nome della giustizia si ha il dritto di chiedere come base di stima un periodo più lungo, per avere una media che si avvicini alle verità : un lasso di 25 o di 30 anni di prezzi può esprimere il vero criterio di stima, che stia tra il passato e l’avve- nire. Ma al ministro, cui interessano l’alta rendita e gli alti imponibili, anzichè rispondere alla obbiezione soggiunge: « Essendo ciò un fatto comune a tutte le provincie non esercita alcuna influenza sulla perequazione; ed è evidente, che aggiungendo a tutti gli estimi un 10 o 20 per 100 o togliendo un’uguale pro- porzione percentuale la perequazione rimane la stessa. » Qui abilmente s’ inganna; e lo sfuggire l’obbiezione riconferma nel sospetto che questo periodo fu scelto per avere alti imponibili. Non si tratta di sapere se agisca o pur no sulla perequazione; ma di conoscere se agisce o pur no sugli imponibili. Im ciò nessun dubbio; l'alto prezzo produce l’alta rendita e questa gli alti imponibili, scopo occulto della perequazione. Se nulla aggiunge alla perequa- zione un 10 o un 20 dippiù o dimeno, perchè non scegliere un periodo piu lungo che dà prezzi medii più bassi, 0 perchè non dire i prezzi coacervati dell’ ultimo decennio saranno diminuiti di un 20 per 100 ? La risposta è semplicissima; per- chè gl’ imponibili abbassano; perchè la perequazione è quel che si vede, la mag- giore imposta è quello che non si vede. Ma non si vede da chi non sa vedere, da chi non vuol vedere; la buona fede dei contribuenti non si lascia illudere. Se dai principi passiamo ai fatti, troviamo che gli Stati che han catastato la proprietà terriera, a base di estimo hanno scelto periodi più lunghi ; osser- viamo l’ Austria e la Francia, il massimo e il minimo. Quando l’Austria ordi- nava nel 1824 il suo catasto, i prezzi delle produzioni terriere su cui formare la rendita furono le mercuriali del 1774 al 1824, cioè un periodo di 50 anni. Allorchè la Francia decretò il suo catasto scelse un periodo brevissimo, ma esso fu di 15 anni. Perchè mai il governo italiano scelse il breve periodo di 10 anni, e non quello naturale di 25 o 30 anni? Il perchè ben si scorge da quanto ab- biamo esposto fin ora. ita ED IL PROGETTO DELLA PEREQUAZIONE 27 Avuta in simil modo una rendita lorda altissima, e tale che qualunque dedu- zione la lascia sempre elevata; vediamo come il governo la riduce netta, vediamo a che si spingono le deduzioni. XI. LA RENDITA NETTA, E COME LA COSTITUISCE IL PROGETTO Trovare la rendita netta del proprietario della terra, senza intaccare il fondo produttivo, senza confondere il prodotto netto, colla rendita netta, importa de- durre dalla rendita lorda qualunque spesa e qualunque passività gravita sulla rendita lorda; è su questo. netto che può pesare la imposta. Il Du Puynode scriveva : « La prima regola a cui il legislatore che crea una imposta debba ubbidire sarà quella di non colpire che il reddito. Il buon senso basta per mostrare che un’annua riscossione debba operarsi sopra ciò che rina- sce e si rinnova in un anno. Non avvi che la messe per pagare la decima. La imposta pagata dal capitale conduce forzatamente la società ai vizii ed ai pati- menti della penuria, anzi cessa prontamente di alimentare il tesoro; giacchè pagan- dosi sul fondo, viene anche il giorno in cui il fondo sparisce del tutto. » Qui tutti gli economisti sono di accordo; non è la quistione del prodotto netto o del prodotto lordo , ma si tratta di trovare qual’ è la rendita netta del possessore del fondo. Il progetto del governo in riguardo alle deduzioni ne esce con le seguenti frasi: La rendita netta si determina, detraendo dalla rendita lorda le sole spese di coltivazione di raccolta e di conservazione dei prodotti, e l'ammontare dei danni contigibili per infortunii, e soggiunge : « tra le detrazioni non si compren- dono i fitti d’acqua.» Ecco con queste sole deduzioni trovata la rendita netta; e la relazione ag- giunge : in queste parole tutto è compreso. Sì, tutto; ma in tal modo non si col- pisce la rendita netta, ma la lorda. A prescindere per ora di talune deduzioni chè mancano a far sorgere la rendita netta: fissiamo l’attenzione sulle incerte frasi del progetto : coltivazione, raccolta ‘e conservazione dei prodotti. Quali spese rientrano in queste tre parole? ecco l incognita! Saranno fatte buone quelle che realmente si spendono, o quelle che un perito crederà che si dovessero spendere? o peggio quelle che il rego- lamento governativo dirà che si dovranno dedurre? Ecco qui un altra incognita, che porta all’arbitrio e alla speréquazione. Per queste stesse spese, comunque fissate, se si adopera unica misura una grande disuguaglianza avverrà tra la grande e la piccola proprietà, tra la grande e la pic- cola coltura; la grande proprietà e la grande coltura può introdurre dei rispar- 28 L'IMPOSTA FONDIARIA mii che nella piccola sono impossibili ; in agricoltura non è legge la regola di proporzione. Se la base delle deduzioni è tratta dalla piccola proprietà e piccola cultura, saranno i medii e i grandi proprietarii che guadagneranno, se è presa dai grandi, i medii e piccoli possessori saranno rovinati. La legge in ciò, corforme- mente ai principii della scienza, dovrebbe tenere diversa misura in rapporto alla estenzione del terreno dedito ad una speciale coltura. La deduzione delle spese sulle denunzie del proprietario darebbero tante deduzioni per quanti i possessori; determinate dai periti produrrebbero tante dedu- zioni per quanti i periti; abbandonate alla misura unica di un regolamento porte- rebbero l’ineguaglianza a sistema; ed in qualunque modo è sempre l’ incertezza e la sperequazione che presenta il progetto. Di tre importanti deduzioni, che mutano la sostanza e l’ ammontare della rendita netta o non si tien conto, o si inibisce la sottrazione; queste sono: Le passività che gravitano sul fondo, le spese per il fitto e la condotta delle acque, le spese di amministrazione, direzione e custodia dei fondi e delle produzioni. Mettete una imposta sulla rendita netta senza queste deduzioni, e poi dite se la sperequazione non sarà enorme, se l’ imposta non attacca inegualmente il capitale, se è colpita la rendita netta dei possessori dei fondi ! ti XII. LE PASSIVITÀ E LA LORO DEDUZIONE Egli è certo, che se l'imposta deve pesare sulla rendita netta, è questa che deve trovarsi; se vi hanno passività reali che gravano sul fondo queste devono dedursi; se non si deducono è sulla rendita lorda che si paga. Egli è un fatto, che il censo, il livello, il debito ipotecario affettano la terra, ne diminuiscono il valore, ed il possessore di essa non ha una vera rendita. Se una legge dividesse il fondo tra il proprietario e il censista, se una legge obbli- gasse i creditori ipotecarii ad avere restituito in terra il loro capitale sborsato e impiegato in miglioramenti della terra stessa , al proprietario apparente non rimarrebbero che poche ettare di terreno ,. ed i suoi creditori impinguerebbero il numero dei proprietarii. In questo stato il governo come materia tassabile non avrebbe che terra senza pesi, e non terre oberate di debiti, sulle quali si chiede un imposta sulla rendita lorda; mentre con la legge di ricchezza mobile si chiede anche un’ imposta a queste rendite che pagarono una prima vele, quando non furono dedotte al possessore del fondo. Ecco una grande ingiustizia ! Da una parte il ao viene a pagare un’imposta fortissima sopra una rendita fittizia, mentre la reale è dei suoi creditori; e i suoi creditori dall'altra ED IL PROGETTO DELLA PEREQUAZIONE 29 pagano sulla stessa rendita una nuova imposta, sol perchè, fa parte del di loro patrimonio. Il Royer nella sua teoria dell’ imposta ci fa conoscere questa memorabile massima : « Ogni ricchezza ha realmente un possessore ed un proprietario. Se fosse colpita una volta nelle mani del proprietario, una volta in quelle del possessore sarebbe colpita due volte ; il che è ingiusto. Ma il proprietario è una astrazione, come la proprietà ; colui che gode è il possessore , è dunque quest’ ultimo che deve pagare l’ imposta. » Ma i possessori della rendita, ch'è passività pel proprie- tario, pagano a lor volta la imposta su questa rendita, è di giustizia quindi che il proprietario l’avesse dedotta dalla sua. E la giustizia è si evidente; che ove queste deduzioni non fossero ammesse, il proprietario sarebbe costretto ad abbandonare la terra, o a supplire qualche cosa per. il piacere di essere possidente. Diamo un esempio, che a centinaja si ripe- tono. Supponghiamo un proprietario con una rendita fondiaria netta alla forma del progetto; egli ha 20,000 lire. su questa rendita tra imposte e sovraimposte pagherà il 30 per 100, cioè 6,000 lire, non gliene restano che 14,000 : se sul suo patrimonio di 20,000 lire pesassero 13,000 di passività reali, a mantenere il fondo dovrebbe aggiungere 1000 lire; mentre se pagasse la sua imposta sulle lire 5,000, che è la vera sua rendita netta , gli rimarrebbe da vivere ; e pure il governo da una parte piglia la intera imposta sulle lire 20,000 , confiscando il proprietario, e poi la stessa imposta dimanda ai creditori delle L. 15,000 di rendita. Questo è mostruoso! i L’ esempio addotto non è una esagerazione , si ripete con minore o mag- giore portata per varii proprietari e in modo differente. La storia finanziaria registra da per tutto fatti di possessori che hanno abbandonato le loro terre; enfi- teuti che si lasciano devolvere, perchè nulla gli resta; e le gazzette tutti i giorni ci annunziano espropiazioni fatte dello Stato ai contribuenti per manco di paga- mento d’imposta; e ciò bisogna pur dirlo , non è che Vl effetto di queste gravi ingiustizie. Dopo la perequazione vedremo il governo italiano, essere costretto a copiare l’editto del Re di Olanda del 1754, col quale si negava ai proprietarii la facoltà di rinunziare i loro beni in favore dello Stato, non potendo comportare le pe- santi imposte. Egli è questa una perequazione! E qui riporto le stupende frasi di Girardin a proposito che il tributo prediale non vuol tenere conto dell’ipoteca. .« Un proprietario apparente deve 100 mila franchi sopra un fondo che il giorno della espropriazione forzata basterà appena liberarlo verso i suoi creditori ipotecarii: realmente nulla possiede. Il ricevitore pur non di meno non si mostrerà meno sollecito a domandare il pagamento dei dodicesimi esigibili. , 90 L'IMPOSTA FONDIARIA « Allato a questo proprietario oberato si trova un proprietario agiato. Non solamente questi nulla deve, ma egli ha quanto denaro occorre per far sulla terra tutte le anticipazioni che possano convenirle, accrescere il suo bestiame, irrigare i suoi prati, riparare i suoi edificii, adattare i suoi strumenti aratorii, provvedersi a tempo opportuno, comprare quando i prezzi calano, vendere quando crescono ec. Se le due proprietà vicine hanno ricevuto la medesima estimazione catastale, i due proprietarii senza distinzione fra il fittizio e il reale pagheranno entrambi la medesima imposta. È questa una giustizia ? e questa una uguaglianza ? » E pure di fronte a queste obbiezioni, il proggetto ministeriale non ricorre ad alcun serio argomento ; esso si trincera dietro il bisogno di aver denaro ; mette avanti le difficoltà di riformare: e le nuove ingiustizie crede coprire all’om- bra delle antiche. « Per ammettere questo, si scrive, occorrerebbe rinunziare a tutto l’attuale ordinamento della imposta fondiaria, rinunziare alla catastazione dei terreni sulla base di una rendita media, fondere l'imposta dei terreni e quella dei fabbricati insieme a quella della ricchezza mobile. facendone una imposta unica sulla rendita effettiva ed annua di ciascuno. » E che! è egli mai questa una difficoltà, quando si tratta della giustizia, quando si vogliono spendere 100 milioni per far trionfare l’ineguaglianza e danneggiare la pubblica ricchezza! XII. LE SPESE PER LE ACQUE E LA .LORO DEDUZIONE Le acque! E chi non sa il potere che esercitano le acque nelle produzioni agrarie, e come aumentino il valore delle terre! Le acque sono un agente natu- rale, che non si ottiene gratuitamente; e sa ognuno quanto si spende per cavarle e condurle a beneficio dell'agricoltura. Sono rari i casi in cui le acque si hanno gratuitamente; chi ne fa le spese se ne rileva dandole in fitto agli agricoltori, o volgendole nei proprii fondi per ottenere una maggiore produzione... Un fondo non irriguo dà 100, lo stesso fondo alimentato dall’irrigazione può spingere il suo prodotto a 1000; ma in questa trasformazione vi ha la spesi annua di 300 o 400 che costa il fitto delle acque, indipendentemente della spesa di irri- gazione. Il progetto ministeriale, col non dedurre le spese per il fitto delle acque vorrebbe che si pagasse sopra 1000, mentre è 700 o 600 la rendita che rimane al proprietario ; questa è grave ingiustizia ; non si punisce solamente chi colla sua industria ha ridotto i 100 a 600; ma si verrebbe anche colpire la parte di spesa che occorre per aumentare il fondo produttivo. Oltre a ciò è saputo che le acque che si danno in fitto pagano un'imposta: ED IL PROGETTO DELLA PEREQUAZIONE 34 e quindi le acque verrebbero a pagare due volte, la prima in mano del possessore del fondo a cui non si deduce l’affitto , e la seconda in mano del proprietario dell’acqua che la concede all’agricoltura mercè un estaglio; è questa una anormalità condannata della scienza. Le acque rappresentano una spesa effettiva nella coltivazione ; e giustizia vuole che questa spesa sia dedotta; e il negarlo è un urto al dritto, un danno all'agricoltura, una indebita espropriazione a coloro, che hanno introdotta la irri- gazione nei loro fondi con grandi spese, un impedire ogni successivo sviluppo dell’ industria agraria alla quale sono legati gl’ interessi della pubblica ricchezza. Qui la scienza e il fatto vengono in sostegno della chiesta deduzione. Qui la sperequazione diviene maggiore tra i possessori di terre non irrigue e le irrigue; qui anche maggiore si mostra la disuguaglianza tra le terre irrigue con acqua presa in fitto, o tratta per mezzo di macchine idrauliche; come altresì sensibile la sperequazione si presenta in rapporto ai diversi sistemi di fitto delle acque fra le diverse regioni. Stando alla lettera della legge, chi irrigherà i suoi fondi con acqua cavata nel fondo stesso avrà dedotto le spese di estrazione, chi al rovescio invece di adoprare machine idrauliche piglierà in fitto le acque altrui non avrà dedotte queste spese; nel primo caso le acque non pagheranno nulla, nel secondo paghe- ranno due volte. I proprietarii di fondi irrigui con differenti sistemi non saranno nella medesima condizione, chi avrà, chi non avrà dedotte le spese per le acque. Vi ha in ciò uguaglianza, vi ha in ciò giustizia! Ma nel sistema dei fitti vi ha altresì tale marcata differenza, che il non tenerne conto aumenta la sperequazione. Vi hanno regioni in cui le acque costano meno e in cui costano più in rapporto alla massa delle acque, al sistema di loro condotta e di loro distribuzione; queste differenze vanno da 1 a 80, e forse più. Se a terre irrigue della stessa qualità e classe non si deducono le spese del fitto d’acqua vi saranno una serie di perdite che da 1 vanno a 50; tutte pagheranno la stessa imposta, ma peserà in modo disuguale fra i diversi proprietarii delle terre. Deducete le spese per il fitto delle acque, e queste disuguaglianze spariranno; e la giustizia non sarà compromessa, nè assolutamente in rapporto al dritto, nè relativamente in rapporto ai proprietarii di terre irrigue o non irrigue. Le spese per il fitto delle acque devono quindi dedursi , perchè esse sono una vera spesa di produzione, perchè il non farlo crea tali disuguaglianze da restarne offesa la giustizia, e perchè un simil sistema danneggia i miglioramenti tanto necessarii nella industria agraria. Quella mente vasta ed analitica di Melchiorre Gioja così scriveva, intorno alle acque, nel suo Prospetto delle scienze economiche : «Sono arcipochissimi i poderi che nel loro seno racchiudono sorgenti di acqua tale da potere irrigare le loro sezioni. 32 L'IMPOSTA FONDIARIA « Quindi l’acqua che inaffiando i fondi può quadruplicarne il valore si compra in caso di mancanza, come si compra il concime di cui è una specie. « Benchè siano molti i terreni dotati dal dritto di ottenere una determinata quantità di acqua dai pubblici navigli , cosichè questo vantaggio non costa ad essi una spesa annuale, ciò non ostante siecome molti altri non trovansi in uguali circostanze ‘ed ora in maggiore, ora in minore quantità ne abbisognano, attese le vicende agrarie, quindi se per i primi la spesa d’ irrigazione debba essere calcolata tra le spese primitive, si deve lasciare la stessa pei secondi nelle spese annuali. Nei primi l’acqua irrigatrice rappresenta il frutto di un capitale sborsato, talvolta per servizii resi al sovrano; nei secondi rappresenta un capi- tale preso a credito e per cui si pagano gl’interessi annuali. » La scienza e le leggi altresì sostengono il dovere che ha lo Stato di dedurre dalla rendita dei fondi la spesa per il fitto delle acque. Il censimento di Milano del 1723, che è il modello a cui si avvicinano tutti i catasti d'Europa ammette questa deduzione; il Conte Carli scrivendo sopra questo censimento, diceva: fra le altre spese mneò terreni adacquatorii furono dedotte le spese della condotta e mantenimento delle acque. La legislazione catastaria italiana, a meno della Par- mense e Toscana, e s’ignora il perchè, ammette la deduzione delle spese per i fitti d’acqua; il catasto francese deduce la spesa per la irrigazione; e in tutti gli Stati, ove giustizia ed uguaglianza suonano qualche cosa, le spese per le acque sono dedotte nel costituire la rendita imponibile dei fondi. La Commissione incaricata a formulare il progetto della perequazione, non portò l’ ingiustizia nella legge ; essa ammise la deduzione pei fitti di acqua, propugnando il sistema di catastare direttamente le acque; espose le ragioni dei sostenitori dell’una e dell’ altra opinione; ponderò la decisione del Parlamento subalpino del 1855, che, sotto la pressione del Conte di Cavour, votò la non deduzione delle spese per le acque, e quella del Parlamento italiano del 1874 che si appigliò all’ apposto sistema, e conchiuse : « A tale sistema si attenne la Commissione , che ora ha l’ onore di riferire perchè lo avvisò più conforme a giustizia. » Fu il Ministero che del progetto della Commissione condannò il buono, e che in ispreco della giustizia si attenne al sistema indiretto di estimare le acque, e negò ogni deduzione di spesa per il loro fitto. Chi si fa a leggere le considerazioni del ministero premesse al progetto del 21 maggio 1874 troverà le apparenti ragioni del suo proposito; vedrà come la logica fa difetto a sostenere la fiscalità, sino a non dar forza alla disposizione del codice civile che comprende le acque tra i beni immobili, a dichiarare im- possibile il catasto, deducendo le spese per il fitto delle acque, e a voler ritenere queste spese una passività come i crediti i potecarii e le decime, non una vera spesa di produzione. In somma nessuno argomento di giustizia sostiene il suo ED IL PROGETTO DELLA PEREQUAZIONE 39 assunto, ma idee arbitrarie e fiscali che certamente non possono far peso in faccia ai canoni della scienza, alla pratica catastaria, alla recente decisione del Parlamento italiano e alla illuminata proposta della Commissione. L'argomento che si crede più potente è l’opinione del Conte Cavour, che prevalse nel Par- lamento subalpino; ma certamente nessuno economista può accettare un errore. perchè l’ha detto un uomo di stato; la verità ha più valore dell’autorità. XIV. LE ALTRE DEDUZIONI DI CUI NON TIEN CONTO IL PROGETTO Vi hanno infine delle spese che riguardano la direzione e l amministra- zione della industria agraria, delle spese che si riferiscono alla riparazione e custodia dei fondi; le quali spese annualmente si verificano in somme certe ed eventuali, spese che fanno necessariamente diminuire la rendita; e se non si dedu- cono l’imposta non ricade sulla rendita netta, ma sulla lorda. Di queste ‘spese il progetto ministeriale non fa deduzione, ma è giustizia che ne facciano: perchè esse intaccano la rendita, fanno parte essenziale della coltivazione e della con- servazione dei prodotti, e rappresentano un’ alta ragionata sulle entrate che danno i fondi. La relazione, quando giudaicamente interpreta le tre parole coltivazione raccolta e conservazione dei prodotti, non accenna ad alcuno elemento di dedu- zione delle spese, di cui parliamo. Egli è certo che nella scienza esiste una parte di contabilità che si appella agraria, la quale costa delle spese, in rapporto all’ importanza della industria ; egli è certo che i proprietarii attaccati nei loro dritti debbono difendere le loro proprietà innanzi la giustizia, e questa difesa costa delle spese annuali, fisse ed eventuali; egli è certo che vi sono delle altre spese di questo genere che sono necessarie alla esistenza della industria agraria e al possesso dei fondi. Tutte queste spese sono effettive, e formano deduzione alla rendita: tutte queste spese sono indispensabili, e senza di esse non esiste amministrazione, e senza ammi- nistrazione non vi è ordine, non vi è coltivazione, non raccolta, e non con- servazione dei prodotti. Oltre a ciò vi hanno altre spese, le spese cosidette di direzione. Il Gioja scriveva: « Le sementi non vanno a collocarsi da loro stesse nei campi che più loro convengono ; nè da loro stessi i lavori si cambiano nel modo più vantag- gioso; nè i grani sì portano al mercato, allorchè è più propizia l'occasione, né gli animali vengono spontanei dai mercati alle stalle, forniti delle migliori qualità. Insomma estinguete il pensiero nella mente dell’ agricoltore, e vedrete la gra- migna prendere il posto dei grani, il fieno divenire preda delle acque che si DO u 34 L' IMPOSTA FONDIARIA potevano prevenire, e la messe soccombere alla tempesta, perchè la falce non atterrò a tempo opportuno. I poche parole Je veglie e i pensieri dell’agricoltore sono necessarie per creare , promuovere e corre i vantaggi della produzione, come sono necessarie le acque irrigatrici ai prati sitibondi, ed i concimi alle terre sterili. « Quindi sia che il padrone diriga egli stesso il suo podere, sia che ne com- metta la direzione ad altri la sorveglianza ha un valore ; » e produrlo costa una spesa, che bisogna detrarsi nel formare la rendita netta. Altre spese vanno altresì a diminuire la rendita per mantenere il fondo produttivo: manutenzione delle fabbriche o dei muri di custodia dei fondi ove esistono, riparazione dei canali, delle strade, dei muri di sostegno, delle mac- chine; riparazione alle deteriorazioni che portano al fondo gli agenti naturali, indipendentemente della produzione; tutte queste spese ed altre simili di cui si occupano gli economisti nel costituire la rendita netta dei fondi sono a dedursi, se non si voglia che laimposta, contro i principii più saldi della scienza, colpisca la ricchezza capitale, non la ricchezza prodotta, la rendita lorda, non la netta; e le leggi catastali di Napoli e Sicilia facevano deduzione di parte di queste spese; come altresì tutte le leggi catastali, informate ai principii di scienza e di giu- stizia, ne tengono conto. i Infine le spese di custodia di cui fa deduzione il catasto francese non si veg- gono dedotte nella progettata perequazione. La voce conservazione dei prodotti pare che non le comprenda; nè alcuna luce vi gettano le relazioni e i lavori; la conservazione abbraccia i magazeni e la loro manutenzione. Forse presumere la deduzione di queste spese sarebbe un onta al governo, che con Je sue leggi con le sue forze, con la sua tutela deve custodire i nostri fondi e le nostre pro- duzioni? Ma in verità, non è rassicurante il modo come adempie a questo do- vere. Le produzioni sarebbero conquista di tutti, se il proprietario non facesse le spese di custodia, e certo non vi ha alcuno che non le faccia. Queste spese quindi devono essere. dedotte, come lo sono in altri paesi e specialmente in Francia; perchè esse effettivamente si fanno, e perchè vengono a diminuire la rendita del proprietario , che deve pagare non sul reddito lordo, ma sul netto. E il non farlo da a divedere, come, con grave danno, si vogliono cresciuti ingiu- stamente gl’imponibili per ricavarne una maggiore imposta, contro i principii della pubblica economia, che pur s’ispira nel dritto e nella morale. A questa parte che tratta delle deduzioni si lega un muovo concetto della proposta legge. Essa vuole che siano stralciate dal catasto fondiario le case rurali, e portate in quello dei fabbricati; e mentre è nelle costruzioni rurali che si con- servano i prodotti, e mentre è nei fabbricati rurali che stanno i lavoratori nel tempo della coltivazione, e di queste spese si deve: fare deduzione , il progetto, da una parte li stacca, e dall’altra ne tien conto nelle spese; ciò è una compli- Dl ata ED IL PROGETTO DELLA PEREQUAZIONE 35 cazione, ciò è una contraddizione; e pure devono essere esenti dalla imposta fondia- ria, e soggetti a quella dei fabbricati. Ma perchè ? Il perchè è chiaro; perchè cata- stati nella terra la loro rendita diviene minore, essendo fusa con quella dei terreni di cui sono un accessorio; mentre compresi nella tassa dei fabbricati il loro reddito si eleva, possono essere tassati dippiù; e così il proprietario vedrà bipartita la sua rendita per essere astretto a maggiore spesa. Sono stati inutili gli sforzi di dotti uomini nel combattere questa opinione, sono stati inutili i fatti dedotti dagli altri catasti fondiarii, che fan pagare il terreno occupato dalle fab- briche, come terreno di prima qualità; il ministero vi ha veduto una diminuizione d’ imposta e non si è arreso alla voce della scienza, e si trincera dietro l’egida di una precedente ingiustizia, la legge dei fabbricati del 26 giugno 1865. XV. GLI EFFETTI DEI CRITERII DI ESTIMO E LA FISCALITÀ DEL PROGETTO Del modo di costituire la rendita lorda elevandola, a dalle poche deduzioni che vi si fanno, con grande disuguaglianza , per ridurla netta ed imporla, sì rilevano quali siano gli effetti di questa perequazione, sia assolutamente, come relati- vamente ; assolutamente colpendo la proprietà nella rendita lorda. nel fondo capitale, e determinando la decadenza nell’ agricoltura ; e relativamente tra i vari possessori di terre, i quali trovandosi in differente posizione non possono essere trattati alla stessa misura. Avvertimmo , che grande sperequazione apportava il comporre la rendita lorda colla stessa base nei piccoli e nei grandi possessi, nella piccola e nella grande cultura, lo stesso è a dire nelle spese. Esse se sono 3000 o più in 40 mila di rendita lorda, non sono 30 in 100; la progressione è inversa; nel primo caso vi ha una massa maggiore di spese che si divide ad una somma elevata di rendita, nel secondo è una somma minore di spese che si divide ad una somma minima di reddito; in modo che se nel primo caso il 30 è sufficiente, nel secondo no. Queste cifre e questi rapporti non esprimono forse la verità, ma bastano ad ispiegare il concetto. Dopo ciò si vede chiaro quali siano i principii che presiedono la perequa- zione in questa parte che tratta dell’estimo, che è il pernio del progetto . che dà gl’imponibili per imporre. Ogni sforzo non tende che alla soluzione di un solo problema : avere i più alti imponibili possibili, per gravarvi la più alta im- posta possibile; e vi si è riuscito : il modo di formare la rendita lorda, e le dedu- zioni per ridurla a netta ne sono la prova. È egli mai questa una giustizia, egli mai un conciliare gl’interessi della industria primitiva e fattrice della pubblica ricchezza! 306 L'IMPOSTA FONDIARIA Noi non ci staremo a combattere il progetto nelle sue minime parti, perchè allora ogni frase dovrebbe essere segno di lunghe discettazioni e di acerbe invettive. Attaccata la base, che il progetto invece di perequare porta la più anormale disuguaglianza fra i contribuenti, accrescendo quella che il tempo ha fatto spa- rire, gravando la proprietà di enormi ed inutili spese, e scoraggiando ogni neces- sario progresso nella industria agraria fattrice della pubblica ricchezza; mostrato come la rendita lorda non può risultare dall’apprezzo medio decennale dei pro- dotti, proposto per elevare la rendita, e come non puossi ridurre netta senza le necessarie deduzioni per far salva la ricchezza capitale; dichiarato che solo la fiscalità può mettere avanti un sistema che cerca armonizzare idee contra- dittorie, l'imposta sulla terra e l'imposta sulla rendita netta; che cosa resta ? Non restano che delle disposizioni, le quali addimostrano sempre più la fiscalità del progetto, e confermano l’ idca, donde ci siamo dipartiti, che Ja nuova legge non poggia sopra i principii di giustizia e di pratica utilità. Se guardate la composizione della Commissione catastale della provincia, che ha l’estimo e la perequazione degli imponibili dei comuni e i reclami dei contribuenti offesi nella perequazione comunale, voi vi troverete cinque compo- nenti dei quali tre del governo; sparuto numero e prevalenza degli agenti gover- nativi; e ciò contro il progetto della Commissione che l’avea. proposta più nume- rosa e con prevedenza elettiva, assicurando così col numero la verità, e con l'elemento elettivo l’imparzialità. Ma il ministro volle una Commissione provin- ciale a suo modo: e giustifica ippocritamente il suo fatto, vedendo nel numero il ritardo, e riconoscendo nella prevalenza governativa un’ assoluta necessità ; e sapete perchè ? sono parole della relazione : perchè il governo non avendo in questa quistione altro interesse che la perfetta perequazione non può col suo intervento dar luogo a diffidenza, e perchè è necessario che la perequazione sia sottratta ad una preponderante influenza locale; in altri termini non essendo nostro scopo la perfetta perequazione, ma gli alti imponibili, è giusto che essa sia sottratta all’ influenza locale, che ha scopo opposto: e poi il governo si è mostrato in materia d’imposte così amico dei contribuenti, che il suo intervento non può dar luogo a diffidenze. L’onnipotenza dello Stato e del suo intervento si rileva nella onnipotenza e irresponsabilità delle Commissioni provinciali dove prevale, della Commis- sione centrale ove è solo, e nelle disposizioni che riguardano i reclamanti sia contribuenti. sia comuni, sia provincie, che sono i sagrificati in questa inquali- ficabile perequazione. Il sistema dei reclami è strozzato e senza garenzie. I gra- vati nel comune per la perequazione comunale non possono ricorrere che alla Commissione provinciale la cui decisione è diffinitiva; i comuni e le provincie alla Commissione centrale, e contro le sue decisioni al consiglio di Stato; i ter- mini del reclamo non sono fissati , i gradi di appello mancano; e tutto ciò fa ED IL PROGETTO DELLA PEREQUAZIONE 37 il Minisiero in contrasenso al progetto della Commissione incaricata per pro- porre, la quale si attenne a forme che rendono garenzia di giustizia. I contri- buenti furono tolti di mezzo; i veri interessati alla. perequazione e al reclamo per essere intesi dalla Commissione centrale devono pagare un quinto delle contribuzioni del Comune. Quanti son essi ? La fiscalità traspare ad ogni passo. La Commissione avea proposto , che siccome i catasti si fanno a spese del comune, sono del comune, interessano il comune, devono essi conservarli, e devono essi esigere i dritti di voltura cata- stale, spettando al governo invigilare, e formulò delle disposizioni a questo riguardo. Ma il progetto ministeriale dichiarò suoi i catasti, sue le volture, con gran danno dei contribuenti, che saranno costretti ad enormi spese in ogni movimento della proprietà; e sapete perchè ? il governo io dice nettamente : « Questo ufficio tenuto dallo Stato nelle proprie mani non solo sarà meglio esercitato, ma potrà essere fonte di qualche entità per la finanza. I dritti sta- biliti dell’allegato G alla legge degli 41 agosto 1870 per le volture catastali sono già un provvento non spregevole per la finanza, raggiungendo circa un milione e mezzo; e tali dritti quando vi fosse in Italia un regolare catasto darebbero un prodotto molto maggiore e abbastanza notevole, anche dopo detratte le spese per la conservazione. » Ma là, ‘ove si compendia la somma dei maggiori danni, per l'incertezza e l’arbitrio che presiedono, è il riportarsi sempre al regolamento, che deve dettarsi dal governo; è l’art. 17 del progetto. Il ministero sotto la speciosa distinzione di parte legislativa e parte rego- lamentaria delia legge, tolse al progetto della Commissione quanto era manife- stazione dell’oscuro concetto, e quanto potea essere debole garenzia degl’interessi intaccati; e riserbò tutto a se, nel solo fine di sostituire alla volontà del corpo legislativo la fiscalità del potere esecutivo; temé la discussione di tutto ciò che potea essere soggetto di esame, di tutto ciò che poteva infrenare la sua libertà, e sostituì alla onnipotenza della legge |’ onnipotenza del ministero, volendo es- sere autorizzato con incerte norme a catastare le nostre proprietà. I comuni e le provincie son liberi per legge nel fare i lavori di rilevamento e di estimo , ed il potere esecutivo si riserba di determinare non solo i modi e i termini delle loro deliberazioni, ma i contratti coi periti e le indennità da corrispondergli. E così, mentre da una parte è il principio della libertà che si proclama, dall’altra è il vincolo che si chiama a sovraintendere a queste operazioni. Purchè il lavoro fatto dai comuni e dalle provincie corrisponda alle norme di legge , purchè esso si esegua da uomini che son periti nella loro arte, a che il governo nel determinare i modi del contratto, a che nel fissare le norme delle retribuzioni? Il Javoro a farsi è designato, le norme sono fissate; delle altre accidentalità del 38 L'IMPOSTA FONDIARIA contratto e della retribuzione a darsi ai periti devono essere giudici i comuni e le provincie che devono fare le spese. E quali difficoltà non aggiunge ‘al lavoro questo vincolo? come non forza la libertà della scelta e della spesa! Oh! bisogna ripeterlo , tutto sembra coordinato ad un fine: farsi il lavoro nel solo scopo dal governo, e con gli uomini che ben rispondono ai suoi intenti: e ai comuni e alle provincie, o per dir meglio ai contribuenti, non spetterà che pagare quanto vorrà il governo per un opera inventata a di loro danno. La circoscrizione territoriale dei Comuni è per legge circondata di severe garenzie ; e il governo con l’articolo 17 vuol’ essere autorizzato a determinare le delimitazioni comunali, con grave danno dei contribuenti e dei Municipii. Dappoiché il far parte un fondo del territorio di un comune o di un altro è quistione che si risolve nel pagar più o meno in rapporto alla media estimale di rendita di un comune, e ciò interessa i contribuenti; il diminuire o l’aumen- tare per effetto di nuove delimitazioni il territorio dei comuni, importa pei cen- tesimi addizionali a cui essi han dritto, diminuire o far crescere la rendita dei medesimi. E poi per una quistione eminentemente fiscale, come metter mano alla circoscrizione territoriale, pella quale sono interessati i comuni nella loro entità, le popolazioni nella loro vita economica, morale ed amministrativa ? La fiscalità spesso accieca; e noi vedremmo a quale opera di arbitrio si abbandonerebbe il governo nel determinare i territori ; esso ne farebbe non solamente un’ opera fiscale, ma politica, dappoichè la circoscrizione territoriale dei comuni avrebbe dopo la sua influenza nella vita politica di essi e dell’ intero Stato. La base di un catasto sta tutto nel rilevamento e nell’estimo, è in questa operazione che sorgono le più serie difficoltà. è da questa operazione che viene l’ utile della finanza e il danno dell’agricoltura; la legge la involse in un’avve- duta oscurità; ed il governo vuol essere autorizzato ad ordinare e risolver tutto. E allora a che fare la legge, mentre potea ben dirsi: il governo è auto- rizzato ad un nuovo catasto, nel modo che vorrà ordinarlo. In questa parte è un grande stacco tra il progetto governativo e quello della Commissione; il primo lascia per se ogni opera, ogni norma, ogni criterio; l’altro con accuratezza impiega delle formali disposizioni per determinare le operazioni di rilevamento o di estimo; vi si potranno trovare degli errori, ma quel che vuol farsi si legge, si può esi- mere, si può discutere; in somma non si vede l’ insidia, che prevalse nel pro- getto governativo, che rimanda tutto ad un’ incognita pericolosa ed interessata, cioè la volontà del potere esecutivo. Il progetto nulla dice intorno ai terreni che devono essere esenti d’imposta, mentre dove parla delle nuove iscrizioni in catasto, dispone che ha luogo la iscrizione quando cessa la esenzione ottenuta; eppure il progetto si avrebbe do- vuto occupare di questa importante materia, governata da differenti legislazioni catastarie , e ch’ è lasciata all’ arbitrio del governo, che col suo regolamento si ED IL PROGETTO DELLA PEREQUAZIONE 39 sostituisce alla legge. È necessario che la legge determini le norme per la pari- ficazione della rendita dei terreni sottratti all’agricoltura e volti a scopo di delizia, perchè bisogna anzi tutto conoscere che importa sottrarre all’ agricoltura , che volgere a scopo di delizia, quali punti di contatto vi ha fra la rendita che dareb- bero questi terreni e quelli coi quali si vogliono parificare, in quale forma questa parificazione proceda , e se la imposta sarà una pena a chi preferisce ]’ utile morale all’economico, o sarà al rovescio un premio. Quistione astrosa e delicata che complette l'esame di molte particolari modalità e si eleva agli alti principii del dritto di proprietà e delle relazioni tra i singoli e il civile consorzio. E pure il progetto ne esce con una frase : la parificazione si determina secondo le norme da stabilirsi per regolamento. Siamo quindi sempre al regolamento sopra la legge; al potere esecutivo sul legislativo, alla fiscalità sulla giustizia. Nè questo solo. La legge non dà termini pei ricorsi, ed il governo vuol essere autorizzato a fissarli; la legge non determina il modo e il tempo dello stralcio dei fabbricati rurali dal catasto dei terreni, ed è il governo che evoca a se ogni dritto; la legge non stabilisce le facoltà spettanti alla direzione generale del' catasto e dei suoi agenti, ed è il governo che richiede di determinarli. Im somma nulla all'esame, nulla al potere legislativo, tutto al potere esecutivo , alla fiscalità. Si tratta di abbandonare tutta la proprietà, a cui si legano gli interessi dell’ordine e della ricchezza. alla avidità di un governo irresponsabile, perchè autorizzato dalle Camere. i È questa una mostruosità indegna dei liberi reggimenti; e tanto più sembra esorbitante ed anormale la richiesta, quantochè la materia è di supremo mo- mento, e il potere esecutivo italiano à dato sempre esempio di peggiorare la condizione delle leggi coi suoi regolamenti; e la giurisprudenza mostra come i tribunali siano stati costretti a non dargli autorità ove la violazione delle leggi è stata più manifesta; e i resoconti della Camera portano i continui reclami del potere legislativo sull’ arbitrarietà dei regolamenti, che fraintendono la legge e la tirano ad imprevedute conseguenze. I Come mai adunque il governo ha il dritto di chiedere tutto per se, in cosa che compromette la pubblica ricchezza? Né certamente ad osar tanto è ragione il bisogno di far presto, la necessità di aver libere le mani per attuare un lavoro tanto vasto e tanto importante, la coscienza di rendersi degna del-Parlamento, . il promettere di adoperare in favore del paese la forza morale che quella fiducia gli avrà data, e simili declamazioni in un argomento sì vitale agl’ interessi eco- nomici della nazione. Si metta attenzione al principio e al termine di questa inqualificabile legge. In principio troverete che i contigenti attuali resteranno fermi, e solo di essi si farà un equa distribuzione; ma al terzo stadio voi vedrete sparire i con- tigenti, e comparire il sistema della rata parte, un’aliquota per tutti. Ma questa 40 L'IMPOSTA FONDIARIA aliquota sarà l'imposta attuale distribuita ad imponibili più alti? La legge non garentisce nemmeno per un giorno l'imposta attuale. Non vi dice quando deve venire l'aumento, per cui fu inventata la legge di perequazione: ma attendete- velo certamente; esso non si farà lungamente aspettare. L'imposta governativa si eleverà, e con essa verranno i centesimi addizionali, che la raddoppieranno; i proprietarii saranno come espoliati, l’industria agraria fallirà, saremo in una crisi in permanenza. Si legga l’ultimo articolo della legge: esso vi garentisce per un decennio la perequazione, ma non vi garentisce per un decennio l’ attuale contigente della imposta fondiaria; l’ imposta può aumentare, ed aumenterà certamente. Ed allora? Allora si saprà per legge l’intimo scopo della perequazione; allora si vedrà quello che oggi non si palesa; allora il governo, imprestandosi il lin- guaggio, che oggi usa, della giustizia e della morale, s'ingegnerà di provarci che bisogna pagare dippiù, che l'aumento è un bene pei contribuenti. E dopo questo decennio avremo la nuova perequazione ; avremo gli stessi elementi in azione, avremo forse altri 100 milioni di spesa da distribuire sui possessori della terra; e l’ineguaglianza a sistema, e la decadenza agraria, e la miseria compagna inseparabile delle pessime leggi. 1 proprietarii delle terre non avranno ancora soddisfatti i primi 100 milioni di spese, che dovranno soffrire il peso di una spesa quasi altrettanta; non si saranno ancora sollevati della prima sperequazione, che verrà la seconda; i capita'i impiegati nella terra rimarranno inoperosi, perchè niuno curerà di rimpiazzarli : i nuovi non vi si verseranno, perchè scoraggiati dell'imposta, e l’agricoltura indietreggiante farà sentire la sua funesta influenza nel popolo. Chi può mai reggere a tanta minaccia e tanto scempio della industria della terra? Quale stato di Europa è in questa condizione? quali principii di giu- stizia, quali uomini della scienza potranno onestamente difendere questo progetto? XVI. IL RICHIAMO AI PRINCIPII E LA CONCLUSIONE Noi lo dicemmo, l’ imposta fondiaria in Italia è la più alta fra tutte le nazioni Europee, essa non è suscettibile di aumento, se non si voglia annullare la indu- stria fattrice di ogni ricchezza ; anzi l Italia dovrebbe diminuire la sua im- posta, che con l’ insidia, aumentarla; dovrebbe inibire ai Comuni di sopra- imporvi assolutamente, e ridurre ad un basso ed eguale limite il dritto delle provincie ai centesimi addizionali; dappoichè con questo sistema l'imposta cresce senza misure, e la disuguaglianza si mostra sensibile tra comuni e comuni, tra provincie e provincie, con gran danno della produzione e della libera concorrenza. === ED IL PROGETTO DELLA PEREQUAZIONE 4A Noi abbiamo dimostrato , che la perequazione è l’ impossibile, che non si ottiene con alcun sistema; e quello proposto tende a disuguagliare quanto il tempo ha perequato. Noi abbiamo provato, che la proposta legge con un sistema misto, condan- nato della scienza, onde avere alti imponibili e materia all'imposta, eleva la rendita lorda e non vi fa le necessarie deduzioni per ridurla netta, in modo che l’imposta verrebbe a colpire la ricchezza capitale, non la riechezza prodotta, la rendita lorda, non la netta. Noi abbiamo proclamato e lo proclamiamo : L'imposta sulla terra deve essere mite e invariabile: essa non deve colpire progressivamente i miglioramenti intro- dotti nell’agricoltura, non deve punire i capitali impiegati, nè scoraggiare quelli che si vogliono impiegare, essendo l’agricoltura il primo anello della pubblica . ricchezza, che non deve essere sconvolta dalle perequazioni, nè ammazzata dal- l’imposta.Guardate 1’ Inghilterra e la sua floridezza ; è il paese della immobilità dei catasti e della imposta fondiaria. L’ Europa sarebbe affamata se in tutti gli Stati l’imposta pesasse forte come in Italia. Noi vogliamo quest’immobilità , per la quale | agricoltura fiorisce e la ric- chezza nasce; la vogliamo in nome della giustizia e in nome della scienza, come vogliamo altresì tolta la libertà ai comuni a sopraimporvi e limitata quella delle provincie. Risparmiamo la spesa e il danno della perequazione, il tempo ha uguagliato,. e inauguriamo il sistema delle verità. Due secoli di esperienza in Inghilterra e più di mezzo secolo in. Francia dell’apposto sistema possono essere di esempio. I saggi economisti inglesi non hanno dovuto nulla mutare al loro sistema. Gli economisti francesi domandano per il loro paese l’ immobilità dell’ imposta che ha YInghilterra. La sostenne il Sismondi in faccia al dritto e alla scienza e alla morale e di fronte all'uomo e di fronte alla terra; « la rettificazione del catasto, egli dice, è un’ingiustizia! » La proclama l’Audiffret, che dopo di avere censurato il sistema catastale, esclama: « Bisogna che si entri nella via regolare e facile da noi segnata, per rag- giungere prontamente lo scopo verso cui sono indirizzati i voti di tutti i pro- prietarii : l’immobilità dell'imposta fondiaria. » Vi ricorre il Coguelin,: quando esposti i danni del catasto, e le difficoltà di trovare un altro mezzo conchiude: « L’inghilterra ha ovviato a questa difficoltà, stabilendo sulla. proprietà fondiaria un’imposta fissa, la cui cifra determinata di antica data non varia più. Può essere che presto o tardi si dovrà venire ad un sistema analogo, con le necessarie modificazioni indicate dalla differenza dei tempi e dei luoghi. » E sollennemente la dimanda il Passy, che scrive : « Nella perequazione tutto è errore e vizio. e concorrono ad interdirla non solamente l’equità, ma l'interesse... È la stabilità ciò che occorre all'imposta pre- a diale, non è mai bene modificarne né la cifra generale, nè la ripartizione. » 6 49 L’ IMPOSTA FONDIARIA E ove un principio assoluto di giustizia comandasse togliere qualche anor- male disuguaglianza di contigente o di contributo ; allora lo Stato trova della scienza segnata la via di soddisfare a questo bisogno. Qui in vece delle mie parole userò le autorevoli del Sismondi, che dopo di avere sostenuto l’immobilità dell'imposta e della sua distribuzione conchiude: « Non si può rimediare alla disuguaglianza di cui si mena lamento con una misura gene- rale. Solamente, siccome non bisogna perder di vista l'obbligo di rispettare il reddito necessario per non rendere il proprietario indifferente alla proprità sua, il governo può con alleggerimenti parziali venire in aiuto di coloro che sono realmente so- pracaricati, e deve stabilire l’ uguaglianza fra i contribuenti fondiarii colla me- desima lentezza e i medesimi riguardi che adopera nel colmare l'immenso in- tervallo che. si trova tra l’estrema opulenza e l'estrema miseria dei suoi sudditi ». È qualora questa disuguaglianza esista fra regione e regione, e prevenga non da differenza di criterii o di epoca di catasto sia geometrico che descrittivo, ma di assoluta mancanza, come talvolta accade, allora non occorre che fare il catasto in queste località che ne difettano, applicandovi quello della regione limitrofa e per quanto è. possibile similare; ed estimare la terra coi criterii dell’epoca in cui esso fu fatto, e alla base non dalla rendita attuale, ma di quella che avrebbe data se allora si fosse catastato. Inoltre non è certamente proibito di rivedere som- mariamente i catasti di ogni località, farvi entrare le terre che in qualunque modo fossero esente d’ imposta: dappoichè è di assoluto dritto, che per quanto è pos- sibile l'imposta, nella misera comune, si sopporti da tutti. È in tal modo che la giustizia, la scienza, il principio della immobilità da noi sostenuto non vengono violati, che tutto armonizza e si risparmia, all’agricoltura una confisca e alla pro- prietà orrendo rovescio. I E sel'Italia cerca un esempio, in parte lo troverà nella Francia, che imita nei difetti. Essa con singolare giustizia ha disgravato i dipartimenti più oppressi , senza rimporre la perdita nei più favoriti. E difatti la imposta che nel 1794 era di L. 240 milioni, nel 1862 per effetto dei successivi e parziali discarichi sì ridusse a 166 milioni di franchi, e non si è tutta via aumentata, e le terre sono al certo cresciute di valore. E l’Italia, che ha alta la sua imposta , e che dovrebbe abbassarla, può ben mettersi in questa via; la finanza italiana farà meno sagrifizii della francese, perchè la sua imposta è relativamente il doppio; e avrà risparmiato una confisca alla proprietà, un danno all'agricoltura, un decadimento alla vita economica della nazione. Ora che abbiamo adempiuto al dovere di cittadino e di cultore della scienza economica, non ci resta che attendere anziosi l’esito di una lotta, in cui con forze disuguali combattono la fiscalità e la violenza, con la verità e la giustizia. E se ci toccherà la sventura che il progetto della perequazione sarà legge, la rovina della proprietà, dell'industria agraria e della pubblica ricchezza sarà consumata. LE «I ———"#——=r— i ET ce e a ED IL PROGETTO DELLA PEREQUAZIONE 43 Vedremo con rammarico il danno del popolo e della sua ricchezza , aspettando rassegnati il giorno, in cui la verità e la giustizia potranno trionfare. È ben che si dica l’ imposta sulla terra, non è un’ imposta aristocratica ; essa fa sentire direttamente ed indirettamente la sua influenza sul popolo. Quando l’ imposta cresce, da una parte diminuisce la mercede dei coltivatori della terra che rappresentano due terzi degli operai di tutto il regno, e dall’altra cresce il prezzo delle sussistenze, ed è il popolo che ne soffre. La terra non è una proprietà privilegiata in Italia; qui le alte imposte ognora crescenti hanno reso necessario lo sminuzzamento dei fondi, e lo sminuzzamento, ove non esiste principio di associazione, è sinonimo di poco impiego di capitale, e quindi di poco svolgimento dell’ agricoltura. La condizione delle classi agrieole, in rapporto a quelle delle altre industrie, è la più infelice. Il numero dei pic- coli proprietarii è immenso, e per la massima parte dei possessori di terre il red- dito delle medesime rappresenta l indispensabile alla vita. Quanto si toglie alla terra altrettanto si toglie alla sussistenza, al risparmio ed accumolo dei piccoli ca- pitali per introdurre dei miglioramenti nelle culture. Vi fu tempo, in cui la terra era esente d’imposta, in cui la sola tassa dell’ 4 per 100 produsse fra noi una rivoluzione. Oggi la tassa si è elevata al 34 per 100; oggi s’inventa la perequazione per gravarci di più ; allora fu l’aristocrazia che difese i suoi dritti; oggi siam noi che dobbiamo fare la causa di tutti. Combattiamo legalmente in nome della scienza e della giustizia; difendiamo la causa della pro- prietà, ch'è la causa dell'ordine e del popolo. Ri. I Sa IL DUELLO LEALE E IL DUELLO SLEALE MEMORIA del socio CONSIGLIERE G. DI MENZA Letta nella tornata del 4 ott. 1874 È da tre secoli almeno che fra le nazioni civili si gioca d’azzardo e di destrezza «sulla vita e sulla incolumità personale ; e sulle basi così fragili di cotesto gioco strano e pericoloso insieme, un mal concepito e male inteso punto di onore procura edificare la considerazione sociale e quella pubblica stima, che gli antichî così come i moderni chiamarono Onore. Duello privato ed onore nel linguaggio comune dei tempi sono due parole che equivalgono, sicchè la generosa gioventù di ogni paese, non appena uscita dalle sue classi è impaziente di fare le prime armi per aver diritto a prender posto fra gli uomini d’ onore. Codesta condizione di cose non si è formata da jeri, perchè essa ha la sua storia; e tre secoli potrebbero sembrare assai breve periodo per segnarne le origini, imperocché gli eruditi potrebbero facilmente trovare i primordî del duello moderno fra i Germani, fra gli Scandinavi, e forse ancora nella civiltà Greca e Romana. Eppure il duello dei nostri tempi, duello d’indole privata, che non rivendica sempre l’ onore perduto ed offeso, ma ricerca la riputazione di battagliere e di duellista nella mutilazione o nella morte di un avversario qualsiasi; questa spe- cie di duello non ha una storia maggiore di tre secoli. La singolare tenzone di Achille e di Ettore, di Ettore e Diomede , degli Orazj e Curiazj, il duello giudiziario e pubblico stabilito da Frotone IN, rimpro- verato da Teodorico ai Goti di Pannonia; la celebre disfida di Barletta, i medesimi 9 IL DUELLO LEALE singolari certami di Carlo d'Angiò e di Pietro di Aragona (non seguiti), di Eduardo III e Filippo VI, di Francesco I e Carlo V, di Carlo di Svezia e Cristiano di Dani- marca, non ebbero nulla che possa dirsi comune al duello dei nostri tempi. Erano solenni e pubbliche tenzoni combattute per causa pubblica e per pubblico inte- resse. L’ interesse privato , il risentimento personale , l onore non entravano per nulla. Cosicchè se si abbia riguardo alle forme estrinseche il duello privato dei nostri tempi trova le sue origini nel duello privato del secolo XV, come il duello privato del secolo XV, le trova alla sua volta nel duello giudiziario che sino alla fine del secolo XIV solennemente e pubblicamente combattevasi come formale giudizio innanzi a Principi e Giudici e Marescialli e Re di armi. Ma ove si ponga mente alla sostanza, si osservano agevolmente le differenze che corrono tra il duello privato dei nostri tempi e il duello giudiziario e pub- blico dell’ antichità, nonchè le differenze che passano tra il duello del secolo XIX e lo stesso duello privato del secolo XV. II. Il duello giudiziario era una specie di pruova giudiziale, solenne e pub- blica, dalla quale le parti in lite facevan dipendere lo acquisto o la perdita di un diritto. E combattenti, principi, giudici patroni (detti poi pazrini) e turbe plau- denti in questa pruova solenne che dicevano Giudizio dì Dio credevano, e ferma- mente credevano, che la vittoria fosse più che risultato di forza e di destrezza, un evento soprannaturale segnato dal dito istesso di Dio. Nella opinione dei tempi era Iddio col vincitore, il diritto esser dovea col vincitore. Iddio avea abbandonato il vinto, vae victo, egli era dalla parte del torto, della infamia, della calunnia. Nel duello privato dei nostri tempi non è una pruova giudiziaria, non è un giudizio solenne. Nessuno ha creduto o crede vedere la mano del Signore che favo- risce il vincitore e abbandona il vinto. Oggi è il punto d’onore che si va cer- cando nel fragore delle armi. Vincitore o vinto poco importa, dal battesimo del sangue e del fuoco deriva il battesimo dello Onore. L’ infamia che il duello giudi- ziario infliggeva al vinto in duello non colpisce fra noi il meno avventurato duellista dei tempi moderni. 3 A dì nostri non ci ha che un’ infamia, quella di sottrarsi alla sfida, sia essa la meno ragionevole. Colui che fosse tanto ardito da impugnare un’ arma, e sì impreveggente da farsi ammazzare, è sicuro di perder tutto fuor che l’onore! HI. Quando il duello giudiziario e pubblico verso la fine del secolo XIV avea già fatto il suo tempo, quando concordemente quasi tutti gli Stati d’ Europa ema- narono leggi proibitive tendenti a sopprimerlo come un avanzo della barbarie ; allora al duello giudiziario e pubblico succedea il duello clandestino e privato che non potendo avere i caratteri di giudizio pubblico ‘assumeva invece quello di satisfazione privata . FAIR LI TE -E IL DUELLO SLEALE 3 Il duello giudiziario erasi affidato alla solennità e alla fede pubblica, il duello privato volle in difetto di autorità e autorizzazione pubblica affidarsi alla /ede privata di patroni e testimonj. In queste condizioni il secolo XV trasmetteva il duello privato al secolo XVI, e la sua diffusione fu sì rapida ed estesa da rendere necessarie le tante severe pene inflitte nella metà di quel secolo e nei seguenti. Enrico IV, Luigi XIV , Carlo V, i Pontefici, e per imitazione i reggitori degli altri Stati minori, contro îl duello privato prodigarono la morte, le confische, la privazione dei diritti civili, la deportazione, le seomuniche. Editto a Editto succedevano, le teste le più illustri non furono risparmiate al patibolo, e ciò malgrado il duello privato, sfidando la morte, la deportazione e le scomuniche, trasmettevasi di secolo in secolo con forza di espansione sempre maggiore. Eppure il duello privato del secolo XV, quello che succedeva al duello giu- diziario e pubblico, non era inteso a cercar fama di battagliero e di buona lama, non cercava liti e querele come a pretesto di duello, nè procurava conquistare col sangue e la mutilazione altrui, l’onore e la considerazione sociale. In Italia nel secolo XV, alla nascita del duello privato era solamente l’onore offeso, la reputazione lesa ciò che poteva determinare un gentiluomo a ricorrere alla fortuna delle armi. Senza un motivo ragionevole un gentiluomo di quei tempi non avrebbe sè ed altri esposto ad un pericolo sicuro. E l’Italia del secolo XV era la più batta- gliera dei tempi ! I gentiluomini italiani del secolo XVI di soventi non si appagavano di un motivo ragionevole di contesa per correre alle armi, procuravano invece di coprire lo stesso motivo ragionevole con una causa d’ indole pubblica. Come se dinnanzi alla pubblica opinione vergognassero di presentarsi combattenti per cagione scevra di pubblico interesse. Ci narra Benedetto Varchi siccome il duello combattuto nel 1529 da Gio- vanni Bandini e Lodovico Martelli in sostanza non fosse che un duello a cagione di gelosie e di amori per una donna che lo storico prudente non volle rivelare, ma nelle apparenze, al duello non fu dato che un motivo di pubblico interesse, imperocchè era pel santo nome della patria che Lodovico Martelli portava sfida al traditore Bandini. Nei primordi del duello privato adunque, i gentiluomini italiani non cer- cavano querele ad argomento di duello, gratuitamente non provocavano per cor- rere alle armi , escludevano il duello senza forme e guarentigie e il duello da spettacolo o da gladiatori; e a un duello veramente leale, lealmente combattuto non davano giammai una causa, un motivo che non fosse almeno grave. IV. Quanta differenza tra questo duello privato primitivo e quello che ci venne di Francia! U IL DUELLO LEALE Ei fu durante le lunghe ebollizioni della fronda e verso la metà del secolo XVII che il duello privato in Francia cominciò ad assumere un carattere interamente ‘ diverso da quello che avea conservato sino a tutto il secolo precedente. Allor- quando il focoso e brillante Cardinale di Retz con una splendida coorte di genti- luomini e di scudieri , correndo tutta Parigi dava fono alla società Parigina e Francese, i tanti duelli combattuti a ragione o a torto dal Cardinale e dai suoi, non potevano lasciare freddi e indifferenti cavalieri e gentiluomini che amavano conservare o conquistare un posto nella buona società. E allora punto d'onore, parola creata a posta, venne siffattamente ad infiam- mare la tanto infiammabile gioventù del tempo, che era un duello ad ogni menoma doglianza, un duello per ogni via, cosicchè in difetto di querele proprie, si mutua- vano le altrui, in mancanza di duello come sfidato e sfidante, si attagliavano otto o dieci patrini ad un duello, e si battevano tutti come primi, secondi, terzi, quarti, e quinti padrini dello stesso duello. Veniva delle volte la morta stagione? Non ci era materia a querele? Ebbene i gentiluomi aveano cura di ricercarle , di suscitarle, di farle porgere da un nulla. Marchese siete nojoso, siete insipido, mi avete guardato bieco! Un guanto e una sfida. Ecco pronti otto o dieci campioni, pronti a battersi tutti, non certamente per rivendicare l’ onore offeso 0 per mantenere la reputazione in pericolo ; ma’ con animo di conquistare fama di buona lama, e di cavaliere animoso e destro. Se si abbia riguardo alla forma, era tuttavia il duello leale del secolo XV; ma non lo era nella sua sostanza; imperocchè una cagione grave d’onore non equivale ad un futile pretesto. Una mortale offesa che un gentiluomo suo malgrado abbia a patire, non po- trebbe confondersi con una briga ricercata, e suscitata a fine di dare origine a un duello. i Un duello leale per causa grave'd’ onore è un duello nella orma e nella sostanza; Un duello procacciato e suscitato a posta è duello leale nella sua forma, ma non lo è nella sua sostanza. Ora cotesto pervertimento del duello leale del secolo XV venne tutto di Fran- cia, e dalla Francia con lo impero della moda si è diffuso in tutte le contrade d’Europa, che hanno dal secolo XVII a questa parte subito la influenza francese. E più che altro la subiva quella Italia che durante il corso di due secoli, con meglio che sessanta trattati speciali sul duello sull’onore e sulla Scienza Cavalle- . resca, avea procurato di mantenere nei limiti necessarî i duellanti, e di educarli al duello necessario, ragionevole e leale (1). (1) Alciato. Consigli sul duello. Dario Attendolo. Del duello, 1540. Del Mutio. Del duello, 1564. . Peregrinus. De duellis, 161%. LA E IL DUELLO SLEALE : 5 V. Il male era grave e il rimedio non era facile. Pene severissime qua e colà vennero emanate a fine di porre un argine alla crescente invasione ; e le pene a misura che erano più severe, riuscivano meno efficaci, perchè la pubblica opinione alla severità delle pene non concedeva ancora il suo suffraggio. E invero, quando Enrico IV minacciava la morte ai duellanti ed era costretto a concedere 50 mila grazie a cagione di duelli eseguiti; quando le nazioni civili che puniscono il duello con pene civili, puniscono i soldati con pene militari in ogni caso in cui abbiano a rifiutare un duello; quando si battono i Ministri, i Senatori, i Deputati e Professori emeriti e Magistrati integerrimi è mai spera- bile che il rimedio al male possa trovarsi tutto in uma legge punitiva? È V’opi- nione pubblica che ha sostenuto e sostiene il duello, alla sola opinione pubblica è dato di cancellarlo dai nostri costumi. Sinocchè la pubblica opinione non muta noi avremo sempre come un flagello necessario il duello privato; e quel chè più, il duello privato del secolo XVII, anziechè il duello necessario e leale del XV. VI. Il duello privato dei nostri tempi adunque se ben si consideri non è un fenomeno effimero di convenzione surto da jeri e guaribile a volontà da un giorno all’altro; è invece un fenomeno di storia e di tradizioni che deriva in linea retta da una istituzione sociale e religiosa durata in tutta Europa per lungo volgere di sei secoli almeno; È una derivazione del duello giudiziario e pubblico dei tempi antichi. Ecco perchè per lungo tempo anche il duello privato venne considerato come giudizio criminale cavalleresco (4). Il duello privato è un male gravissimo e tanto più in quanto che porta seco la tenacità delle tradizioni e delle con- suetudini. Ma se il duello istesso necessario e leale è un male si grave; ve ne ha un altro anche maggiore, ed è il duello senza guarentigie, il duello senza causa suffi- ciente, il duello mai tranquillamente pattuito, nè lealmente combattuto, nè gua- rentito dalla fede privata. Questo male in una parola è il duello sleale nella sua forma e nella sua sostanza. To lo so, o Signori, nelle idee e nel linguaggio di ogni gentiluomo, nessuno Bocero. Be bello et duello. ‘Camillo Paldi. Delle smentite ed offese di parole. Possovino. Dell’onore e del duello. Romei. Discorsi sul duello. Gessî. La spada d'onore, Paris de Puleo. Del duello. Mansini. Il duello. Anton Bernardi Vescovo di Caserta. De singulari certamine, E oltre a questi, del Porro, Giovan da Legnano, Lancillotto, Ferretti, Baldi, Acquavivo, Birago, Parisio, Castiglia Jacopo, il Pignali, lo Albergati, Gessi, Anzidei, Fausto, Pescetti, Tonnina e Marco Mantica e molti altri ancora. (1) Birago decis. lib. I, decis. 3. IL DUELLO LEALE. potrebbe confondere un leal combattimento con una aggressione violenta mai pattuita lealmente, nè fedelmente eseguita ; imperocchè tra un duello lealmente e in tutte le forme combattuto e deliberato, e una contenzione violenta improv- visa, da solo a solo, corre tanta differenza quanta ne corre tra una convenzione e una truffa, tra un contratto e una rapina. To so ben pure o Signori che in tutta Italia non si troverebbe un solo gen- tiluomo che voglia combattere un duello sleale; cosicchè codesta sostanziale diffe- renza che passa tra il duello leale e la contenzione violenta e improvvisa, si con- serva nella sua piena osservanza nell’animo di tutte le persone hen nate Egli è questo anzi il lato brillante, la parte nobile che in mezzo ai suoi peri- coli conserva tuttavia il duello privato dei nostri tempi. Ma se questo è della forma del duello, non lc è della sostanza. La parola onore offeso sì diluita e stemperata , si diluisce ognora più e si stempera sino a significare il più frivolo capriccio non appagato, uno sguardo distratto, un saluto mal corrisposto. Ma oltre acciò tutte le contenzioni che turbano la pubblica o la domestica tranquillità non sono contese onorate. Tutti i contendenti che vengonno alle armi non sono gentiluomini fieri e superbi di mantenere un nome inteme- rato. Gl’ iracondi, i vendicatori, i ribaldi di ogni specie ci sono per compiere una vendetta o un’ insidia, e per compierla non fanno scrupoli di lealtà o di onore. E siccome la pena del duello è la più mite in rapporto a tutti i reati di sangue, facilmente i ribaldi procurano di orpellare con le forme del duello l’aggressione,, la rissa, la insidia, e perfino l’assassinio per mandato. Quando la legge in altro tempo puniva di morte il duello, la tendenza gene- rale in Italia e altrove era quella di mutare e orpellare con le forme di sem- plice rissa o contenzione violenta qualunque dueilo, perchè rissa o contenzione erano punite assai più dolcemente che non lo era il duello. Oggi la tendenza è opposta, e poichè la pena più mite è pel duello , risse e aggressioni e contenzioni violente procurano di assumere le forme e le sem- bianze del duello per uscire a buon mercato da un grave delitto. Malgrado ciò; voi direte, chi vorrà preoccuparsi di questa tendenza da ribaldi che procura mutare il nero in hianco, quando bianco e nero restano sì distinti nell’ animo di ognuno , e quando i magistrati e la legge son lì per punire con l’ergastolo e con la galera l’assassino che osa camuffarsi delle sembianze del gen- tiluomo ? \ Nessuno davvero vorrebbe preoccuparsi di una condizione di cose simile a questa, se pericolo non ci fosse che un equivoco o un perventimento d’ idee, di sdrucciolo in sdrucciolo, possa condurre sino a mutare il nero in bianco, il duello leale in duello sleale e improprio. Ma immaginate che ci sia una legislazione come la nostra la quale non si dia il pensiero di definire cosa sia il duello leale. Immaginate che nel silenzio ,® E IL DUELLO SLEALE 7 della legge, uomini rispettabili che portano autorità somma nel pubblico , illusi da criteri artificiali mettano qualche cosa nella bilancia per favorire, pur senza volerlo, codesto pervertimento d’ idee, allora codesta condizione di cose può preoc- cupare, dee preoccupare, è debito anzi degli onesti quello di mettere in guardia la pubblica opinione, perchè essa conservi, malgrado i sofismi più o meno legali, netta sempre e precisa la differenza somma che corre tra il duello dei gentiluo- mini e il duello sleale ed improprio dei ribaldi e degli uomini violenti. VI. Ora questo appunto è quello che interviene nel momento in Italia. Un nome e riverito e caro alla scienza e più che altro alla gioventù stu- diosa e al foro, ha dettato una formola, una definizione del duello leale capace pur troppo di confondere l’ordine reale delle cose, il duello leale con la contenzione violenta. I criterî essenziali del duello ei assume bisogna cercarli nell'animo dei com- battenti, ed è nel fine che si propongono di darsi reciproca soddisfazione 0 di decidere una vertenza, e nel reciproco consentimento di battersi mamfestato pria del duello. E di conseguenza quando trattasi di risolvere se, data una contenzione, sia essa una rissa o un duello non bisogna andar molto nel sottile ed esigere lo adempimento di certe forme solenni , e dovrassi più presto tener dietro al Concetto ideologico e non alla esistenza e concorrenza di una data formalità materiale, 0 di uno ovvero un altro atto preparatorio. E conchiude dicendo : Se lo scopo che due persone si propongono è quello di darsi reciproca soddi- sfazione; se il reciproco consentimento di battersi è manifestato pria del duello, tuito il resto delle forme non importa per nulla. Sia breve o lungo il periodo che passa tra la sfida accettata e il combattimento, sieno armi nobili, o, volgari quelle adoperate, ci siano padrini o testimonî, o non ce ne siano a guarentigià di un leale combattimento ; sieno oppur no uguali e verificate le armi, uguale e misurato il luogo, alla luce del giorno o nel mistero della notte, di petto a petto o guarentiti dalla fede privata degli assistenti : tutto questo non monta; il duello leale ci ha sempre; posto che lo scopo è quello di battersi , e il consentimento preceda anche d’un istante la tenzone. Signori, malgrado l’autorità e la dottrina dell’esregio ed illustre Professore Carrara non ci ha io credo in Italia un solo gentiluomo che voglia battersi in duello un minuto dopo la sfida, nel cuore della notte, senza patrini e testimoni, in terreno non esplorato, con armi impugnate allo improvviso, fuori la presenza di uomini d’onore che possano far fede di un leale combattimento. Non si trova in Italia un sol gentiluomo che voglia accettare senza disono- rarsi la teoria del Prof. Carrara, perchè la tradizionale e consuetudinaria giuri- sprudenza del duello leale predica tutto il contrario della teoria legale del Pro- fessore Carrara, perchè il buon senso comune , la dignità personale dei combat- tenti restano offesi dalla sola possibilità di un combattimento precipitato dalla 8 1 ‘TL DUELLO LEALE ira, oscurato dalla notte, reso ineguale dal difetto di guarentigia , e pera n, equivoco dalla mancanza di assistenti e ‘di fede privata. VII. Io non dirò di tutte quelle contenzioni violente e volgari venute fuori con una sfida surta, nel calore del vino e del giuoco, a coltelli, o a bastoni, e nelle quali se non ci è altro ci ha almeno l’omicidio e la ferizione in rissa. Ma dirò di alcun caso il più prossimo alla teoria del Prof. Carrara. Una sfida ha luogo in un pubblico ritrovo. Sfidante e sfidato si danno con- vegno alle ore tarde della notte, in luogo diserto fuori di città. La dimani fra i cespugli della valle è un cadavere. Il concetto ideologico del duello ci fu; la disfida precedette il combattimento. Or bene chi potrebbe affermare con giuramento d’onore che in questa sin- golare tenzone non fosse intervenuta disuguaglianza di armi, differeriza di luogo, tradimento, aggressione? Chi potrebbe osservare che il caduto e vinto lasciò la vita dopo un leale combattimento ? Chi saprebbe sulla sua fede di gentiluomo , sostenere che l’uccisore ebbe a comportarsi da fedele , onesto e leale cavaliere ? Nel secolo del punto d’onore d’Entragues e Quelus ebbero davvero il pro- posito di battersi in leale duello, maturamente pattuito e lealmente iniziato. Nel calore della mischia però d’Entragues visto che ad armi uguali, egli restava infe- riore alle forze e alla destrezza del competitore, toglie da sotto ai panni una daga che ci teneva nascosta ed agevolmente uccide Quelus. Era cotesto un duello ono- rato? Era d’Entragues un fedele gentiluomo che ucciso avea in duello leale? Malcolm dopo avere in duello leale e fedele, ucciso il suo competitore, corre in ajuto del suo secondo che battevasi col secondo dello avversario già morto, e due contro uno Malcolm e il suo secondo ammazzano quel tradito cavaliere che resistito avea ai colpi di un solo, ma che resistere più oltre non avrebbe saputo all'aggressione sleale e violenta di due spade contro una. Malcolm e il suo secondo che aveano pattuito e convenuto un duello leale, lo aveano poi eseguito ? Il cava- liere tradito era proprio la vittima di un duello leale o più presto la vittima di un assassinio ? Il Maresciallo di S. Andrea disarmato in duello da un leale e nobile uffi- ciale con cui combatteva non appena questo generosamente restituiva la spada all’ avversario, egli, un Maresciallo di Francia! acceso d’ ira scagliavasi improv- - visamente sul leale competitore e lasciavalo morto sul terreno. Nessuno in tutta Parigi e in tutta Francia dubitò che il Marasciallo di Sant'Andrea avesse com- messo un assassinio. Invece a Giovanni Bandini si ruppe la spada fra le mani. Paolo Spinelli che era un rozzo soldato e patrino del Martelli pretendea che la tenzone avesse a seguitare con le armi ineguali fatte dalla sorte. Biasimevole pretesa di soldato esclamava lo storico Benedetto Varchi che nessuno seppe lodare neanco il Martelli nello interesse del quale era fatta. Una spada intera venne dallo stesso Martelli consegnata al Bandini e quella spada dovea trafiggergli il E IL DUELLO SLEALE 9 petto !! Lo stesso fece Cecchino di Padova venuto in duello con Benedetto Libe- rale. Egli ruppe la spada fino all’elsa all'avversario e non volle seguitar il com- battimento sinocchè Liberale non si fosse provveduto di un altra spada (4). Quando si combatte un duello, dicealo Spinelli ,che importa se per caso le armi si rendano disuguali ? Se così ha deciso la sorte, il cambattimento ha da seguire così come la sorte ha voluto. Martelli si batterà con una spada intera e Giovanni Bandini si sforzerà a difendersi con un semplice mozzicone. Allo Spinelli che giudicava del duello leale con la idea del soldato anzicchè con quella dei gentiluomini sarebbe stata di autorità e di sussidio cotesta teoria legale del duello ideologico, imperocchè avrebbe potuto egli senz’ altro assumere che per darsi duello leale niente altro occorre che consentimento e scopo di battersi; quando cotesti estremi esistono può darsi leale combattimento anche fra due che si battono con integra spada l’uno e con mozzicone di spada l’altro. VII. Ma no; non è questo il concetto che gli uomini d’onore sonosi formati del duello leale. Il vero e reale concetto del duello da gentiluomini, gli uomini d'onore non lo hanno attinto nè dalle teorie legali, nè dalla Giurispudenza, ma dalle buone tradizioni che il secolo XV ha tramandato di secolo in secolo sino al secolo XIX. Gli antichi scrittori italiani erano concordi nello affermare che le buone e sane regole del duello leale non potevano attingersi nè dall’arte della guerra, nè dagli uomini d’arme, perchè soldati e uomini d’armi non mettevano differenza alcuna tra il duello che adopera mezzi leali e nobili, e la guerra per cui ogni mezzo è buono, se vale a conseguire lo scopo. Similmente potrebbe dirsi oggidì che il vero concetto del duello leale non potrebbe cavarsi da una definizione, più o meno. ristretta, della giurisprudenza antica o moderna; perchè i giureconsulti di ogni tempo trattarono del duello ricercando in esso non già, quale fosse duello onesto e leale e quale disonesto e sleale, ma ricercando in vece quando, e come fosse da punirlo. I trattatisti italiani per esempio hanno definito il duello nel modo il più laco- nico che sia possibile come una singolare tenzone pattuita e freddamente delibe- rata e per cagione di onore. Taluno come lo Attendolo alla definizione aggiunge come parte integrale , la eguaglianza delle armi (2) che il Peregrino riguarda non come parte sostanziale ma come cosa accidentale del duello e richiesta piut- tosto dalle consuetudini anzicchè dall’indole della cosa (3). Molti concordano nello affermare che la pubblicità e la solennità del com- battimento, l’assistenza di patrini e testimonj non sono guarentigie sostanziali del duello, ma tutto al più (come esprimevasi il Peregrino) accidentalia communia, (4) Passevino. Dialoglii. Dell’onore, anno 1333. (2) Dario Attendolo. Il duello, libro I, p. 4 e 5. (3) Peregrinus. De duello praemissa 6 e 7. 10 IL DUELLO LEALE quasi non fossero neanco richiesti dalle tradizioni cavallaresche e dalle stesse consuetudini italiane. Solamente lo Alciato e lo Attendolo sostennero che l’opera dei patrini sia sommamente necessaria nel duello, perchè la lealtà del duello è tutta affidata all'assistenza dei patrini. Patrino dicea lo Attendolo deriva dal patrinus dei latini, è al patrino che spetta invigilare che nè per la natura del logo, nè pel fempo, nè per le armi il suo cliente che combatte non sia ingannato o tradito dall’avversario (41). Evidentemente adunque il Professor Carrara senza badare allo Alciato e allo Attendolo ha seguito le aride definizioni dei trattatisti di minor conto per soste- nere che nel duello ciò che vi ha di veramente sostanziale è il concetto ideolo- gico, l'animo deliberato, il reciproco consentimento di battersi. IX. Eppure cotesta teoria era riprovata dal senso comune di tutti i tempi, e più che altrove in Italia dove le buone e sane tradizioni eransi conservate che affidavano il duello alla fede privata, come 1° antico duello giudiziario erasi affidato alla fede pubblica. Furono solamente le massime gesuitiche di Murlado de Mendoza, del Padre Laiman, di Navarrus e di Pietro Murlada che ammettevano un duello improvviso, occulto, a qualunque ora, in qualunque luogo, senza testimonj, anche con uguale, e subitanea aggressione (2). Ma le buone consuetudini, i gentiluomini, gli uomini d’onore e di buon senso non ammisero che un solo duello leale ; quello cioè : combattuto per giusta causa d’onore, consentito, deliberato, assistito da patrini , garentito dalla fede privata. Durante lo imperio delle tante severe leggi che punivano di morte il duello, nascea in Italia una specie di singolare tenzone misteriosa ed occulta a cui venne dato il nome di duello alla macchia. Cavalieri d'onore, dicea sin dal 1564 del Muzio, non possono, non debbono cercare i luoghi solitarj per battersi, e fuggire così il cospetto degli uomini , imperocchè sono i luoghi deserti luoghi da fiere o da assassini ; ed è vergogna dei gentiluomini quella di combattere alla macchia , cioè fuor di ogni legge, e fuori di ogni onesta usanza delle persone di onore (3). Tutto il secolo XVI tutto il secolo XVII e i sussiguenti altamente e chiara- mente riprovarono dl duello alla macchia; lo dissero opera da ladroni e di assas- sini, perchè privi delle guarentige che solo può dargli la fede privata. I combat- tenti alla macchia, dicea il Conte Annibale Romei, quand’ anche portassero seco (1) Attendolo. Loc. cit. p. 6. Alciato. De duello. Capo XL, p. 46. (2) Veggasi Pascal Letlres a un Provincial lettr. 7, vol. I, delle sue opere. (3) Del Muto. Del duello. Lib. III, p. 84. Attendolo. Loc. citato. Romei. Discorsi, 1506. E IL DUELLO SLEALE 44 loro un confidente per ciascheduno, non diverrebbe per questo un duello leale, perchè le guarentige del duello dipendono da patrini onorati e leali, non da confidenti interessati e parziali (4) X. Or il duello ba senza dubbio una teoria e merita una definizione. D’onde la caveremo noi ? Dalla guerra ? dall’ arte militare ? dalla giurisprudenza ? dalle consuetudini generali o locali ? Anzi tutto nello stesso linguaggio comune e nel comune modo d’intendere un duello è una partita d'onore non solamente per la sua causa, ma ben pure pel modo secondo cui va sostenuta. Ma una partita di onore non è tale perchè coloro che la sostengono abbiano a considerarla onorata. L’ onore dai tempi di Cicerone ai nostri è premio di virtù concesso dal giudizio degli onesti cittadini. Nessuno può concedere a sé stesso la fama e la reputazione. La reputazione e la fama è concessa dal pubblico, o quanto meno dagli onesti che sono in condizione di conoscere ed estimare le nostre azioni. Un duello alla macchia adunque in un luogo deserto, di petto a petto, senza testimonj ed assistenti, non potrebbe considerarsi come una partita d’ onore , imperocchè chi mai sarà per attestare che fosse sostenuta davvero con lealtà ed onore ? In secondo luogo se vogliamo ricorrere al linguaggio tecnico un duello è una singolare tenzone pattuito e deliberata a condizioni certe. Ma dati i patti e le condizioni, posto che gli uni e le altre possano stabi- lirsi senza lo intervento di patrini e testimonj, chi mai sarà di guarentigia della osservanza delle condizioni ? Chi potrà attestare in un combattimento clandestino e petto a petto, se le condizioni saranno state lealmente e fedelmente osservate e mantenute ? In un combattimento di solo a solo a modo dei romanzi e delle commedie chi avrà misurato le spade? chi avrà caricato le pistole ? chi avrà garentito la distanza necessaria di 15 passi? chi potrà dire se un duello convenuto en marchant sì fosse combattuto a piè fermo? un duello pattuito a Ziro successivo si fosse in vece eseguito a Ziro contemporaneo ? Nel duello di solo a solo ci ha un vincitore ed un vinto, spesso un uccisore e un cadavere. Ma se ci ha un duello leale è per lo meno un incognita, e sulla incognita l'onore non si stabilisce. L'assistenza di patrini e testimonj, lo intervento della fede privata non sono accidentalia communia, come si esprimeva il Peregrino, sono la parte sostanziale del duello leale. E noi veggiamo con soddisfazione nel progetto del novello Codice penale pel Regno d’Italia già presentato al Senato che l’articolo 405, (in armonia (1) Discorsi, Discorso quarto sul duell pag. 19. 42 IL DUELLO LEALE con le buone consuetudini) non riconosce come duello il combattimento le cui con- dizioni non fossero state regolate da padrini o secondi o se il combattimento avesse luogo senza l’intervento degli uni o degli altri. In codesti casi dice l'articolo anzi- detto chi ammazza da solo a solo va punito qual omicida, mal grado qualunque pattuizione di duello. Chi ferisce e deturpa è punito di ferimento e di deturpa- zione, perchè duello non ci ha, ma contenzione violenta. Se questo è. Se le buone e sane consuetudini del duello leale sono tuttavia conservate nell’animo degli uomini onesti e leali, noi non chiederemo alle speculazioni o alle tradizioni legali cosa sia un duello leale o un duello sleale. Noi interro- gheremo invece le buone consuetudini che sonosi conservate, quelle consuetudini che sono tanto savie e buone da per se stesse, da essere state consultate a dì nostri da un collegio di giureconsulti che ha compilato il progetto del novello Codice penale pel Regno di d’Italia. XI. Il Conte di Chateau Villard in Francia, con l’aiuto del Generale Excelmaus, del Conte Nelly-Coetquean, del Generale Gourgaud e del Visconte de Contades, ha raccolto e riunito in un codice speciale tutte le buone consuetudini del duello leale. In Italia e nelle altre contrate d’Europa la buona idea del Conte di Chateau Villard non. ebbe ancora imitatori, ma eccetto poche differenze di ordine più o meno secondarie, le consuetudini sul duello leale confrontano con le consue- tudini di tutte le nazioni civili e con le italiane in ispecie. Per buona ventura coteste consuetudini comunque non ancora compilate e raccolte sonosi conservate da per tutto in Italia, e in Sicilia in ispecie. Non vi ha gentiluomo che voglia dimenticarle. Non ci hanno in vece che i malandrini e gli uomini violenti che le ignorano o abbiano lo interesse d’ignorarle. Ora nelle buone consuetudini del duello leale. Fra le tante buone regole e buoni precetti vi hanno queste. 4. Il duello leale non può avere effetto se non con lo intervento di patrini o testimonj, due per ognuno nel duello alla sciabola o alla pistola, uno almeno per cadauno nel duello alla spada. Il duello alla macchia da solo a solo, senza le guarentige della fede privata, non ci ha buona consuetudine che voglia ammetterlo. 2. Sono i patrini o testimonj dello sfidato in Italia, e più ragionevolmente dell’offeso in Francia, quelli che determinano la scelta delle armi. 3. Le armi legali riconosciute dalle consuetudini non sono che tra la spada, la sciabola e la pistola, (esclusa quella di precisione). Ogni altra specie di arme non è ammessa dalle consuetudini, comunque le medesime ‘consuetudini fran- cesi ammettano altre armi secondo le convenzioni reciproche. Ma è a dubitare assai se codesta convenzione fosse ammessa e riconosciuta in Italia. È a dubi- tare se patrini italiani accettino come arma leale il fucile all’ americana. Egli è certo e senza dubbio alcuno che non vi hanno gentiluomini fra noi che vo- gliano assistere ad un duello combattuto col pugnale dei malandrini o col col- tello degli spadajoli e dei Buontemponi. E IL DUELLO SLEALE 13 4. I patrini e testimonj dello sfidato possono nel duello a pistola rifiutare il duello da firo a segnale. Non possono accettare la spada per lo storpio e il moncherino ; la pistola pel monocolo , la spada e la pistola per colui che abbia una gamba di legno. 5. Nessun patrino o testimonio debbe accettare ed ammettere un duello improvviso e lì per lì, ma è d’uopo che i motivi, le condizioni e le guaren- tige del duello siano tranquillamente deliberate. 6. Ogni specie di duello debbe aver luogo nelle 48 ore almeno dopo la sfida, eccettochè non ci fossero convenzioni contrarie. 7.J testimonj saranno due per ognuno (sfidanti e sfidati) nel duello a scia- bola o pistola. Basta uno per uno nel duello di spada; ma in qualunque eve- nienza anche nel duello alla spada val meglio averne due, anzichè uno per cadauno. 8. I patrini e testimonj dello sfidante sono quelli che (tranne la scelta delle armi che compete ai padrini dello sfidato) determinano il luogo e le condizioni del combattimento. 9. I testimonj non sono considerati come Secondi. Ogni patrino debbe avere i suoi testimonj. 10. Quando uno dei due combattenti dichiara di esser ferito, ovvero quando in difetto di tale dichiarazione, uno dei testimonj osservi che uno dei due fosse ferito; il combattimento debbe immantinente essere sospeso sinoché il testimo- nio del ferito non abbia a ordinare che si ritorni allo assalto. 44. Quando le regole dell'onore non sono osservate, allora i testimonj pro- testano, si ritirano e denunziano il fatto ai Tribunali competenti. XII. Codesti canoni consuetudinarj del duello leale si trovano un po’ da- pertutto ricordati or quì or lì dallo Alciato, dal Possevino, dal Muzio, dal Pe- regrino, dal Romei, dal Ronnina, dal Mantica, dallo Attendolo. Ma codesti buoni precetti del duello leale, coi criterj per distinguere il duello leale dal duello sleale, riuniti non si trovano che nelle buone consuetudini comprovate e tra- mandate dai secoli, e che non giunsero ad essere ancora adulterate da monche e false teorie legali. Secondo codeste consuetudini il duello leale è affidato alla fede privata, pre- cisamente come lo antico duello giudiziario era affidato alla fede pubblica. Non basta avere il concetto ideologico del Prof. Carrara perchè si abbia un duello leale , occorre ancora che ci siano testimonj e padrini e armi nobili, e armi adatte alla condizione dei combattenti, e forme di combattimento, e sosta e ripresa di armi e osservanza fedele delle condizioni e delle forme. Il concetto ideologico del Professor Carrara non vale che a dare l’idea del duello da romanzo e da commedia, e non esclude il duello delle bische e delle bettole, ovvero di quello che gli antichi chiamavano alla, macchia. 14 IL DUELLO LEALE I gentiluomini non ricorreranno al libro dell'onorevole Professore per tro- vare in esso le buone regole di un duello leale — e se gli uomini violenti vo- lessero attingervi una giustificazione , i Tribunali e le Assise sarebbero lì per proclamare che hanno torto. XII. Ma voi potreste osservare o signori che al postutto morire in duello con osservanza di forme, morire in tutte le regole anzichè senza regole, sia un ben ridicolo compenso al grave danno che ne torna all’ ordine delle famiglie e all'ordine pubblico. Eppure i danni che all’ ordine delle famiglie e all'ordine pubblico tornano dal duello leale, sono ben pochi in rapporto a quelli che derivano dal duello sleale; imperocchè se certi duelli lealmente combattuti danno 10 morti, 100 duelli sleali e alla macchia, ne danno almeno novanta! E infatti egli è forse lo stesso il combattere improvvisamente e a sangue in ebollizione, o dopo 48 ore e pacatamente? È la stessa cosa battersi da soli, o alla presenza di testimoni? di notte, anzichè di giorno? A debite distanze, o a caso? In un terreno uguale, o disu- guale? Ad armi pari. o disuguali? Ad armi nobili, o a punte di coltelli ? Non è lo stesso, perchè senza assistenti, senza armi nobili ed uguali, senza la fedele osservanza delle condizioni, le probabilità dell’ omicidio e delle mutila- zioni crescono sempre in ragione delle guarentige che mancano. XIV. La forma è necessaria perchè vi abbia duello leale. Però la sola forma mon basta. In tutti gli atti della vita civile la forma non va destinata a orpel- lare o a colorire, ma a guarentire il vero e il giusto. Dove non ci ha che il falso, il disonesto, l’ingiusto non sarà la forma quella che muterà il falso in ve- rità, e gli atti sleali in atti leali. Puossi con le forme legali compiere un contratto, che legalmente cosiderato, sia inappuntabile ; ma se un tale contratto nella sua sostanza racchiude una causa turpe, una macchinazione , un opera fraudolenta, malgrado la sua forma completa e perfetta, nè il contratto è leale, nè leale è colui che v’ ha dato origine. i Un duello può bene essere maturamente deliberato, fedelmente eseguito in- nanzi a patrini o testimonj, e con tutte le maggiori guarentige della fede pri- vata. Eppure se la causa che vi diede origine non fosse una causa necessaria, il duello formale, non sarebbe ancora un duello necessario, leale e riparatore, ma un duello arbitrario procacciato, senza causa sufficiente. Il duello sarà leale nella sua forma esterna, non leale nella sua sostanza. Si è parlato forse troppo in Italia del celebre duello procacciato del Caffè d'Europa in Napoli in cui un esperto sciabolatore cercò querela di proposito con uno spadaccino di importanza, e a solo fine di vincerlo in duello. Egli l’offese adunque siffattamente da essere sfidato e avere così la scelta delle armi. La scia- SE E IL DUELLO SLEALE 15 bola, com’ era premeditato , venne scelta, e l’ avversario cadeva sotto i colpi dello sfidato. Codesto duello combattevasi con tutte le forme di uso fra gentiluomini. I due competitori ottennero tutte le guarentige. Ma dalla parte di colui che su- scitato avea il duello, c'era proprio un duello leale? ovvero un duello della spe- cie di quei che gli antichi chiamavano duellum ad ostentationem virium? Certamente non era l’onore impegnato in alcuna guisa. Era il semplice de- siderio di una vana superiorità di forze e di destrezza quello che procacciato avea il duello , e questa che era un insidia più che una ragione di onore, si- curamente esser non poteva il fondamento ad un duello leale. Peregrino che scrivea del duello sullo scorcio del secolo XVII, ricorda una specie di duello che le vacuità francesi aveano tramandata agl’Italiani, e questa specie chiamava duellum Spectaculi et voluptatis caussa, duello senza causa necessaria, duello arbitrario, lotta di gladiatori, anzichè duello e combattimento da gentiluomini. Or bene nel duello ad osfentazionen virium o in quello speetaculi ac vo- luptatis caussa, quando anche lealmente e in tutte le regole combattuto ci ha proprio un duello leale? Dell’onore in materia cavalleresca si giunse nel secolo XVII e XVIII a for- mare un ente anomalo sì pieghevole, sì elastico, da adattare e piegare ad ogni opportunità. Si volle perfino creare una specie di onore estrinseco, distinto da un’ altra specie di onore in4rinseco. L'onore che è premio di virtà, e V onore che sia affare di convenzione e di forma. Da questo solecismo , da codesta improprietà di linguaggio, sdrucciolando insensibilmente, l’onore, la reputazione, la parte più nobile dell’uomo civile non solamente venne sbalzata sulla punta di una spada, ma riposta in un capriccio non soddisfatto, o in una suscettibilità nervosa mal domata e repressa — « Chie- « detemi scusa di non avermi ceduto il passo—Giustificate perchè non avete ri- « sposto al mio saluto —Non volete darmi le scuse che vi chiedo ?-—Non amate « giustificarvi del saluto non corrisposto ?—1/ mio onore è compromesso, la mia « reputazione è in pericolo. » — Un guanto, una sfida, un duello, e forse do- mani un cadavere! Mai no! o signori, in tempi civili l'onore e la lealtà non s’° impegnano se non per motivi e cagioni che abbiano almeno tanta gravità da mettere in pe- ricolo la onestà, la fedeltà, la onoratezza di una persona. Se ci ha tuttavia da essere un duello riparatore, che sia almeno ad ignominiam vitandam ad atro- cem injuriam vindicandam!-—Ma come diremmo noi duello leale un duello pro- cacciato, che tende le insidie a un gentiluomo per umiliarlo e forse ucciderlo umiliato senza altra causa che la volattà di vincere e di umiliare? Come diremmo duello leale quello che per una semplice distrazione , per 16 de IL DUELLO LEALE una dimenticanza, per una obliata convenienza mette in pericolo due vite, e in ansia ed affanni due o più famiglie? Dell’onore non ci ha che una specie . l’ onore che è risultato dalle nostre buone azioni; V onore che deriva da noi, e non da altri; Y' onore che il pub- blico attribuisce come premio degli onesti e degli osservanti cittadini. Della lealtà non ce n'è una doppia specie. Essa è quella che consiste nel- l’adempiere fedelmente ai doveri di onesto e probo cittadino. In una mancata convenienza, o in una dimenticanza, l’ onore di un uomo onesto nulla ha perduto, e la sua Zealtà non gli permette di esporre la propria e l’altrui vita ad un pericolo gratuitamente accettato. Se voi mi chiedete donde codesto pervertimento di idee e di parole deriva, io non esito punto a rispondere che questo deriva dalla imitazione delle vacuità francesi, perchè nelle buone tradizioni del duello italiano esse non esistivano ancora sino a quando le rodomontate francesi non avessero fatto fortuna in Italia. Se voleste sapere perchè codesta condizione di cose dura da tanto tempo e si trasmette da generazione a generazione, io vi direi: interrogate i codici, le istorie, i drammi, le effemeridi, i romanzi; e se volete convincervi da voi stessi, che un po’ per uno ci abbiamo tutti la nostra colpa; chiedete anche alle vostre donne, se in una partita d’onore offertavi, sono esse contente del tutto del ri- fiuto che vi espone al ridicolo di tutto il paese. Interrogate un professor di di- ritto criminale che definisse il duello (anche leale) un reato contro V ordine pubblico, ovvero un magistrato che lo punisse come un reato contro le persone, se sfidati l’uno e l’altro in forma pubblica, avranno il coraggio di affrortare il ridicolo di un rifiuto! Non cerchiamo adunque le colpe, perchè ce ne ha per tutti. Opera più effi- cace sarebbe quella dei rimedj, e l’unico rimedio per eliminare dallo immenso numero dei duelli la parte più grande qual’ è quella dei duelli senza causa, l’unico rimedio , io dico, è quello di restituire alla parola onore il suo vero e genuino significato quale esso suona nella lingua generale—pubdblica stima, cioè risultato di onesta vita — restituire alle parole Onore offeso il proprio signifi- cato che importa—Onestà offesa, reputazione calunniata—e allora i #4 dei duelli dei nostri giorni avranno fine. Io lo so, non avrete ancora fatto completamente , imperocchè avrete tutta- via il duello delle offese gravi ed atroci, duello, direte voi, non meno irragio- nevole e incoerente di ogni altro. Ma tra questo duello che dicono necessario e il duello arbitrario e senza causa corre differenza cosiffatta d’indole e di nu- mero da permettere la possibilità e la speranza di veder ridotto il numero dei duelli al minimo possibile. Imperocchè nel duello per offesa atroce e grave ci ha, egli è vero, un of- E IL DUELLO SLEALE 17 fensore che ha avuto il torto di offendere, ma che pure ha la lealtà di conce- dere, col pericolo della propria vita, la riparazione che gli si chiede. Nel duello arbitrario e procacciato invece l’offensore ha il torto di offendere, e l’altro più grave di difendere un insidia sotto le sembianze di una riparazione. Il duello riparatore e per offesa atroce trova il suo limite naturale nel nu- mero di quelle offese gravi, che, per essere gravi, non sono comuni nè fre- quenti in una società civile. Il duello procacciato ed arbitrario non ha limiti possibili, invade tutto, espone tutti, abbandona gli esseri più inoffensivi e osservanti ai capricci di qualsiasi accattabrighe. Il duello leale per causa atroce e grave sarà tuttavia un istituzione discu- tibile, biasimevole ancora se volete ; ma se tutti i duelli possibili potessero ri- dursi ai duelli veramente riparatori d’offese atroci, l opera buona sarebbe più che a metà, sarebbe prossima al suo compimento; imperocchè non ci ha legi- slazione penale che possa con una sottile e minuziosa penalità contentare le fi- sime e le suscettibilità dell’ onore estrinseco ; e il duello senza causa trova nel difetto di penalità analoga il pretesto per giustificar le sue partite d’onore. Ma ogni legislazione penale è in grado di punire convenevolmente le offese gravi ed atroci; e una volta che tutte le offese gravi ed atroci formino materia ed argomento di codice penale il duello riparatore comincerebbe a mancare di ragione sufficiente. Il duello necessario, riparatore, per causa grave ed atroce, è nelle buone tradizioni italiane; occorre supplirlo nelle definizioni del duello leale, occorre istallarlo nelle buoni tradizioni dei gentiluomini, dei padrini, dei testimoni. Ma per ottenere ciò, non basta annunziare che «il duello è combattimento fra due « 0 più persone con determinazione precedente di armi, di luogo e di tempo, al- « fine di ottenere riparazione di onore.» (1) Bisogna aggiungere riparazione di onore a cagione di gravi ed atroci of- fese, bisogna escludere dal duello leale ed ammessibile tanto il duello procac- ciato, quanto il duello senza causa. E conchiudo, o signori, e riassumo. Il duello privato vive da tre secoli al- meno, e si esclude sempre più. Con le buone tradizioni italiane, fu duello ripa- ratore, per cause gravi, guarentito dalle forme e dalla fede privata. Con le imi- tazioni francesi divenne duello arbitrario, procacciato e senza causa. Mercè le miti leggi dei Codici moderni i ribaldi e gli uomini violenti pro- curano di orpellare col nome di duello le risse, le contese violenti, e fino V'as- sassinio per aguato. Con le teorie artificiali, arbitrarie si offre adito a giustifi- care un duello senza forme e senza guarentige. (1) Carrara, Tom. 5 del Duello 3 18 IL DUELLO LEALE E IL DUELLO SLEALE Col significatoelastico e pieghevole delle parole onore, ed offese di onore, vanno coperti quasi tutti i duelli senza causa. Il duello leale anche necessario e per causa atroce è un male; ma un male assai più grave è il duello sleale per la forma o per la sostanza. Rimedio unico per ridurre al minino possibile l'immenso numero dei duelli: ridestare e per le forme e per la sostanza le buone tradizioni Italiane pel duello, e procurare che alle tante altre buone tradizioni quelle massime e quei precetti si innestino, che valgano a dimo- strare che: onore e probità, offese all’onore, ed offese alla probità equivalgono. Così potremmo se non l’ottimo sperare almeno il minor male. Coteste spe- ranze potrebbero non essere un pio desiderio senza frutto, perchè in Italia, e in Sicilia in ispecie le buone tradizioni sulla forma del duello sonosi conservate malgrado tante teorie storte. In Italia e in Sicilia il duello alla Americana, il grottesco duello Settentrio- nale, il duello alla macchia, il duello a pugnali e coltelli, non venne riconosciuto mai ed ammesso nelle buone società, e i patrini diedero sempre prova di saviezza, di moderazione e di accorgimento. Tra i Francesi è comune adagio che ne ammazzino più è patrini che la spada. 1l Maffei comunque deciso avversario del duello, non si sa con ‘quanto buon gusto, metteva in ridicolo le tante dispute, disamine e dilazioni, con le quali i patrini dei suoi tempi mandavano a monte 30 al meno fra ogni 100 duelli. Noi in Italia, e di Sicilia specialmente, siamo assueti al vedere con grande utilità lo intervento dei patrini nel duello , sia per circoscrivere le contese, sia per eliminarle , sia per limitarne le conseguenze. E se la osservanza e le dila- zioni delle forme impedissero davvero cinquanta fra 100 duelli, sarebbe cotesto un altro merito ed un’ altra laude da attribuire a patrini e testimonj, a cui lo incivilimento e la umanità affidano le sorti del duello necessario e leale ridotto ai suoi limiti naturali, il duello sleale per essere grado eliminato e bandito. I tempi e lo avvenire faranno grandi cose! Egli è impossibile del resto che le novelle generazioni, nelle cui mani stanno i destini della patria abbiano per lungo tempo a perdersi fra vane suscettibilità e frivole tenzoni. i La vita pubblica, le dispute scientifiche e letterarie, offriranno campo baste- vole per imprendere duelli di altra specie e per assumere l’ abito di energiche sì, ma pazienti e innocue discussioni. i To lo ripeto, o signori, lo avvenire ei tempi faranno di grandi cose! Ma se non facessero altro, io non sarò sì pessimista da credere, che da qui a non molto non sia cancellato del tutto il funesto adagio. « Il sangue lava le macchie dell'onore »; per- chè il sangue non lava, ma imbratta in vece e deturpa; perchè se potesse lavar qualche cosa non laverebbe al certo macchie lievi e shiadite, ma le macchie assai più sordide del sangue destinato a lavarle ; perchè spesso infine non è il san- gue destinato al lavacro d’onore quello che scorre dalle ferite di un duello, e alla macchia dell'onore di soventi si aggiunge la macchia del sangue. PIOTTA Enne e A 2 CLASSE DI LETTERE ED ART AULA LC ‘ . 2A . —— (0003000 À - ; ) ga VS k i î È | | / Ò 7 5 I 3 i È | I | Î 5 } i i }ji0s5 I Da: i DA Î ' DEGLI ERUDITI SICILIANI DEL SECOLO XV E DI ALCUNE ‘OPERE LESSIGRAFICHE LATINE E VOLGARI DE’ SECOLI XIV E XVI DISCORSO del Socio Prof. VINCENZO DI GIOVANNI Letto nella tornata del 7 marzo 1875 Non fa uopo dire che il secolo XV sia il secolo del risorgimento degli studi classici in Italia, sì che fuori Italia il nome d’italiano valeva quello di erudito, di ricercatore di codici antichi, d’interprete di classici testi. La Sicilia ebbe pur la sua parte, e non poca, in tanta operosità della coltura italiana di quel secolo; e però tornerà sempre caro il ricordare illustri memorie ad esempio de’ viventi, presso molti de’ quali l’ingnoranza de’ tempi che furono è cagione di noncuranza o disprezzo per gli antichi, senza la cui opera e virtù di studi e di fatti noi nepoti non saremmo quel che siamo, nè potremmo innanzi all'avanzata coltura di Germania e di Francia vantare di aver dato l’Italia l’ esempio ai loro dotti, e molto tuttavia restar loro a fare, perchè possa esser detto di aver vinto ‘negli studi di erudizione e di classica antichità gli eruditi Italiani del secolo XV e i loro scolari del XVI. Nel 1444 Catania vedeva costituita per decreto di re Alfonso e per bolla di papa Eugenio IV la sua celebre Università (Studium generale, Gymnasium Siculorum), ordinata come quella di Bologna (ad instar Studi Bononiae); al mantenimento della quale erano assegnati dapprima tre mila cinquecento ducati (4), e indi altre somme maggiori per lo splendore dello studio e il buon (1) V. Capitula Regni Siciliae , t. I, p. 579. Pan. 17441. Pirro, Sicil. sacra. Not. Catan. Ec- cles. p. 548. Amico, Catana illustrata, pars. Il, p. 296, 303, 345. Catanae 1741. 2 DEGLI ERUDITI SICILIANI DEL SECOLO XV trattamento de’ professori (1). Palermo apriva pubbliche scuole di grammatica pe’ fanciulli sin dal 1458, e assegnava il Senato sul danaro del Comune uno stipendio di onze 3 annue magistro scholae parvulorum, e altro .di onze 12 per insegnamento superiore di lettere umane a un professore col titolo di Magister scholarum, titolo che nel 1477 era dato a Giovanni il Siculo, cioè a Giovanni Naso di Corleone, chiamato da Napoli a Palermo per Cancelliere dell’ Università come allora erano detti i nostri Municipi, e per maestro di scuola. Nè alle sole lettere fu provveduto; ma troviamo eziandio un pubblico professore di arit- metica collo stipendio di onze 6 pagato dal Comune, siccome si legge in un Reper- torio di atti senatorii dal 1411 al 1523 (2). Pubblico studio era mantenuto dal- l'ordine Domenicano nel Convento di San Domenico , nel quale fu pure una biblioteca per uso cittadino; e alla gloria di questo studio tenuto da’ frati Domenicani basterebbero i nomi del Ranzano, e più tardi del Fazzello, e il fatto notato dai contemporanei che il p. Salvo Cassetta maestro di teologia dovette pel grande concorso di scolari dar lezioni in chiesa o nella pubblica piazza innanzi a quel Convento. Nè minore era la cura degli studi nelle altre città principali dell’isola. Sappiamo anzi che a Siracusa era nel 1472 anche una scuola di lingua ebraica, e che un maestro Actmel Rac obbligavasi per contratto pubblico ad ammaestrare un certo Moisè Ragusa per due anni nel libro del Talmud e sulla lezione chia mata Alachè, per la mercede di onze due (3). Nel 1476 il nobile Giovanni Cirur- gico si obbligava per contratto pubblico col senato siracusano « a tenere per anni quattro pubblica scuola di grammatica e di altre scienze , e Il’ Università a pa- gargli onze otto annuali. » Quanto a Messina, re Alfonso provvedeva alla con- servazione della lingua e delle lettere greche, coltivate specialmente da’ Basiliani dei monasteri di Sicilia, disponendo nel 1421 che fosse ordinata una scuola di greco nel manastero del Salvadore di Messina, con obbligo dato ai monaci degli altri monasteri di intervenire ad essa scuola (4); e vi nominò maestro l’abbate Filippo Russo di Calabria. Indi nel 1457 veniva eletto archimandrita di quel monastero il famoso greco Bessarione, che già era stato anche vescovo di Maz- zara; e però gli studi greci vi furono maggiormente favoriti, tanto chè coll’aiuto del senato messinese, e coll’ autorità del papa Pio II (5), stabili in quel mona-. (4) V. Amico, op. cit. p. 362, 375, 423. (2) V. Cod. ms. della Bibliot. Comunale di Palermo, segn. Qq. D. 42. (3) V. AvoLio, Sulle scuole ed accademie di Siracusa dall’ era cristiana sino al secolo XVIII. Mess. 1838, p. 19. (4) V. Pirro, Not. Eccl. Mess. pag. 984. (5) « Senatu messanensi a Pio II, an. 1461, apostolicum rescriptum obtinente, symnasia graeca Messanae pro monachis graecis seu calogeris, constituta praeceptori annua mercede aureorum 80, de camera solvenda a monasteriis basilianis, eriguntur; quod executioni tandem Bessarion Ordinis protector demandavit. » PIRRO, op. cit. p. 986. E DI ALCUNE OPERE LESSIGRAFICHE LATINE E VOLGARI DE’ SECOLI XIV E XVI $ stero un ginnasio greco, e vi chiamò ad insegnare Andronio Gallinoto, al quale succedette il celebre Costantino Lascari, uno de’ dotti esuli di Costantinopoli , che , rifugiatosi prima a Milano presso il duca Francesco Sforza, e poi presso Alfonso IH di Napoli, fu dal Bessarione indotto a fermarsi in Messina, ove si stette fino alla morte, caro a tutti e tanto grato alla città ospitale, che volle morendo far dono della sua ricchissima biblioteca al senato di Messina, dal quale aveva già ricevuto cittadinanza e onori singolari (4). La scuola del Lascari fu la più rinomata di tutta Italia anzi di Europa; da essa uscì la prima grammatica greca che si fosse veduta in Italia (2), e scolari e uditori in Messina del Lascari furono Angiolo Gabrielli e Pietro Bembo, vene- ziani, Urbano Bolsanio, bellunese (3), e Cristofaro Scobar spagnuolo, nomi cele- bratissimi; i quali ebbero compagni de’ nostri il Maurolico, il Giannello, il Faraone; il primo uomo dottissimo, storico, matematico, filosofo, i due ultimi valentissimi maestri di latino, e autori di grammatiche che furono allora il testo delle scuole di latinità nell'Isola. Nè la Sicilia si pregiò solamente in quel tempo della dimora e della scuola di Lascari; ma pur sappiamo che vi dimorò per qualche tempo anche l’altro greco Teodoro Gaza, sì che questi due greci valsero forse a mag- giormente accendere gli studi di greco, già fra noi coltivati da’ nostri stessi eru- diti che allora fiorivano nell’Isola , come il Mirabella di Palermo, il Cassarino , e l’ Aurispa, di Noto. I quali furono anche maestri ai più celebrati eruditi di quel secolo, come a Lorenzo Valla che fu scolare dell’Aurispa, nel modo stesso come fu scolare del nostro Antonio Beccadelli detto il Panormita, Giovanni Pon- tano, col Sannazzaro e col Parrasio, sostenitori tanto illustri della famosa Acca- demia napolitana, che chiamata prima Porticus Antoniana dal suo fondatore il nostro Antonio, indi ebbe nome di Pontariana (4), dal Pontano, succeduto nel reggerla e nell’ordinarla al maestro, che fu il nostro Panormita. Nessuno ignora quanta fama si ebbe in quel secolo XV il nosiro Beccadelli, maestro di lettere latine e greche a Pavia, a Milano, a Napoli, principe, come disse il Ferrari, del risorgimento , maestro ai dotti dell’ Accademia Napolitana, amico di Filippo Maria Visconti, dell’imperatore Sigismondo, che il volle coronare poeta circa (1) V. GALLO, Annali di Messina, t. II, L. IV, p. 437. (2) Il primo libro della grammatica del Lascari era stato composto per la figlia del Duca Sforza, e si vide stampato la prima volta a Milano nel 1476: il secondo fu composto a Messina nel 1466, e negli anni seguenti il terzo che è del nome e del verbo , con altri scritti pur di filologia greca che l’autore vi componeva nel 1468, v. NARBONE, Stor. letter. di Sicil. t. X. (3) V. NARBONE, Op. cit. t. X, p. 4185. (4) V. TALLARIGO, Giovanni Pontano e î suoî tempi, parte I, cap. VI, pag. 120-125, Nap. 1874. In questa Accademia furono tra’ primi il Casserino, il Gravina, il Montalto, e senza dubbio i due amici del Panormita, Pietro Ranzano e Giovanni Naso, tutti siciliani. RO ‘DEGLI ERUDITI SICILIANI DEL SECOLO XV il 1432, e del magnanimo Alfonso di Aragona (4); oratore a Papi, a Principi, a Repubbliche, ad Imperatori. Era nato in Palermo nel 1393 o 1394, ove aveva appreso lettere da un Germano, prima che dal Senato di Palermo fosse stato mandato verso il 1420 a studio in Bologna colla provvisione, allora un pò splen- dida, di onze 6 all'anno (2). Il Pontano che trovò nel nostro Antonio un affet- tuoso e liberale Mecenate, a cui dovette tutto e fu sempre gratissimo, ci fa sapere come il nostro Panormita « obliteratam ne dum languescentem in Italiam Poe- ticam., restituit in antiquam pene formam » e non sa altrimenti salutarlo che qual decoro e padre delle eleganze e delle grazie : » Antoni, decus elegantiarum, atque idem pater omnium leporum ». Dal Fazzello al Narbone, i nostri storici hanno tutti celebrato il nome e gli studi del Panormita , I’ ardore per il culto de’ classici scrittori, l’ ambasceria al Senato Padovano e la festa quando portò in dono ad Alfonso il braccio di Tito Livio, la larghezza con che pagava gli antichi codici, tanto che dovette vendere una volta un podere a Palermo per acquistare un codice liviano, secondo egli stesso ci narra nelle sue lettere (3). Il Mongitore cita un centinajo forse di scrittori che sino ai suoi tempi avevano fatto le lodi del nostro Panormita, e però non fa meraviglia se dopo del Fazio, del Giovio, del Tiraboschi, del Signorelli, del Mazzucchelli, ne poterono scrivere largamente il Colangelo napolitano nel 1820, e il Serio palermitano nel 1837. Morto re Al fonso, fu il Nostro tenuto negli stessi onori da Ferdinando che il volle suo segre- tario e consigliere, e circondato sempre da un senato di dotti, che si raccoglie- vano intorno a lui o nel Portico Antoriano o nella sua Villa Pliniana, moriva ottogenario nel 1471, compianto da tutti e specialmente dal suo caro Gioviano Pontano, che alla sua memoria dedicava il bellissimo dei suoi dialoghi lAnonius. Ebbe inciso sul sepolcro l’epitaffio da lui stesso composto; ma Giano Vitale paler- mitano scriveva anche per l’onorato Tumulo questi versi: (1) « Alfonso lo aveva in luogo di maestro, lo voleva sempre ai suoi fianchi, pranzavano insie- me; e levatesi da tavola, o si leggeva o si parlava di lettere, perchè, secondo che diceva Alfonso, dopo il pasto del corpo bisognava dare anche il suo pasto all’ anima. E quando Antonio parlava, Alfonso pendeva, dalle labbra di lui, e se ne andava tutto in visibilio. Il Panormita quindi , e dal suo nome e dal posto che teneva nella stima di Alfonso, era costituito come il capo di quella nobile schiera, decoro ed ornamento del soglio aragonese. » V. TALLARIGO, Giovanni Pontano e è suoi tem- pi, p.I,c. II, Nap. 1874.—SERIO, Elogio di Antonio Panormita, p. 22. (2) V. Opusc. di Aut. siciliani, t. VII, p. 215, 236. (3) Il Panormita aveva avuta da re Alfonso la concessione del palazzo della Zisa di Palermo coi suoi giardini. (V. AURIA, Teatro degli uomini letterati di Palermo, Ms. della. Bibl. Comun. di Pa- lermo , segn. Qq, D. 19). Lo Schiavo crede che il podere venduto da Antonio per 1’ acquisto del codice liviano sia stato appunto questo della Zisa; e il Tiraboschi nota a proposito di esso codice, che il Nostro pagava al Poggio, che glielo vendeva, centoventi scudi di oro. V. Stor. della lett. Ital. t. VI, p. 185, 1108. 9 | E DI ALCUNE OPERE LESSIGRAFICHE LATINE E VOLGARI DE’ SECOLI XIV E XVI BD Has tibi dat violas, immortalesque amarantos, Ingeniorum altrix et Martis alumna Panormus : Non quia torpenti Musas excire veterno, Aut regum immensas potuisti adsumere curas; Verum quod Crassos inter, ditesque Lucullos, Integer, Antoni, voluisti vivere Codrus. Il Tiraboschi ricorda come l’opera De dictis et factis Alphonsi regis avesse fruttato al Panormita, secondo narra il Pontano, un dono di mille scudi di oro (4), e sappiamo quanto splendida era la sua villa di Napoli detta Pliniana, ove spesso si radunava l'Accademia, ed era la prima in Italia, fondata dal Nostro, e onorata di non pochi illustri siciliani di quel tempo. Ci restano di tanto uomo le Epistole, le Orazioni, i quattro libri storici De dictis et factis Alphonsi regis, e il troppo libero Hermaphroditus, composto da giovane, per la licenza del quale fu biasi- mato da contemporanei, benchè ne fosse pentito (2), e diede tanto agio al Valla, suo nimicissimo , di diffamarlo. Poco 0 nulla abbiamo de’ suoi Epigrammi che doveano essere la miglior cosa, e quasi a ricordare la fiera nimistà di due sommi eruditi di quel secolo XV conosciamo l’epigramma contro il Valla pubblicato dal Galdi, e pur trovato da noi recentemente in un codice del secolo XV, de Vita et moribus philosophorum, appartenuto certamente a un amico del Panormita , se pure il detto Epigramma non fu scritto di mano stessa di Antonio (3). Ma, tranne il Valla, il Filelfo, il Poggio, e sopratutto il Pontano, tennero il Nostro come il lor duce in tanto ardore di cercar codici, interpetrarli , copiarli, e far rivivere la classica antichità non solamente negli studi, ma pur ne’ nomi e nelle radunanze letterarie. Così il Panormita ci ricorda gli altri siciliani che con lui tanto si affatica- vano all’opera del risorgimento, come Giovanni Aurispa e Antonio Casserino di (1) V. Stor. della Letter. Ital., t. VI, pag. 4105. Mil. Glass. 1824. (2) Così in una epistola del Panormita, citata dal Tiraboschi , si doleva 1’ aut. di questa sua opera : « Neque Hermaphroditus cuiquam magis quam mihi ipsi odio est. » V. op. cit., t. VI, p. 1107. (3) V. il nostro libro Storia della Filosofia in Sicilia , vol. HI, p. 294-953. Pal. 1873. Il codice è nella Biblioteca Com. di Palermo, segn. 3 Qq, A, 114; i versi del Panormita stanno scritti nella carta di guardia confusi ad altri epigrammi ed epitaffii , fra quali uno non compito per Alfonso , altri due bellissimi per una Catherina, e per Xanthus de ligorj, e il citato contro il Valla : Carmina componis, laurenti, stans pede in uno; Nil mirum, si sic carmina facla cadunt. L’ occasione a quest’ epigramma sarà stata data da’ versi scritti dal Valla per un ritratto di Alfonso in Castel Capoano, onde sorse grande contesa che vieppiù si accese per la correzione di un codice di Livio affidata dal re al Panormita e al Fazio, e non al Valla. v. TALLARIGO , Giov. Pon- fano e è suoi tempi. p. I, p. 117-149. 2 6 \ DEGLI ERUDITI SICILIANI DEL SECOLO XV Noto. il primo invitato premurosamente dallo stesso Panormita perchè si recasse alla corte di Alfonso (1), come suo amicissimo ; l’ altro già ascritto al Portico Antoniano (2), con Pietro Gravina e Pietro Ranzano, e Lucio Marineo, e Tommaso Schifaldo, ed altri minori che pur ebbero la lor parte in grande atti- vità di studi e di amore pe’ classici scrittori e per la lingua latina e greca. Ii Fazzello, il Pirro, il Mongitore hanno tutti celebrato l’Aurispa, come vir gracce latineque doctissimus, e tale che ebbe gloria di oratore e poeta singolare, mentre gli ameni studi in Italia erano sul rinascere. Il Panormita che spesso lo esortava a voltare in latino delle opere greche, ne celebrò le lodi in prosa e in versi; Poggio Bracciolini lo dice vir doctissimus, mihique amicissimus, e il Valla, che gli fu scolare sappiamo averlo venerato come il dio delle lettere greche (3). Passò la gioventù in patria, poichè fu cantore della chiesa di Noto, o di Siracusa; indi viaggiò a raccoglier codici in Grecia, tornò in Italia per la via di Venezia forse insieme col giovane imperatore Giovanni Paleologo circa il 1423, col quale nel febbraro del 1424 si recò da Venezia in Milano e in altre città d’ Italia; fa a Roma segretario di due Papi, Eugenio IV e Nicolò V, a Bologna che lo invitò a leggervi lettere greche, a Firenze, ove fu chiamato per opera di Ambrogio Camaldolese, e di Niccolò Niccoli , siccome narra il Poggio; e indi fermatosi lungamente a Ferrara, ove fu parroco, moriva verso il 1459 o 60 più probabilmente, non in Roma, come credette il Mazzucchelli, ma nella stessa Ferrara nella decrepita età di novantanni (4). In una lettera dell’ Aurispa ad Ambrogio Camaldolese , ‘che il domandava se avesse portato da Grecia codici sacri, il dotto siciliano gli risponde « che di tal genere non ha recato che circa 200 lettere di S. Gregorio Nazianzeno ; che molti libri sacri aveva egli in addietro mandati da Costantinopoli in Sicilia, ove era nato, e che ciò aveva data occasione ai suoi nemici di accusarlo presso l’ imperador greco , che spogliasse di libri sacri quella città; perciochè quanto a’ profani pareva che di ciò non fosser molto sol- leciti; che di questi aveva seco portati a Venezia 238 codici, fra quali annovera la storia di Procopio, e il libro del modo di cavalcare di Senofonte, amendue donatigli dall’imperador medesimo, le Poesie di Callimaco, di Pindaro, di Oppiano e le attribuite ad Orfeo; i Comenti di Aristarco (forse doveva dire Eustazio) (4) V. MonciToRE, Biblioth. Sicula, t. 1, p. 322. (2) V. TALLARIGO, Op. cit. p. 124. (3) V. MazzucHeLLi, Scrittori Ital. v. 4, p. II, p. 1278. Brescia 4753. (4) Nota il Tiraboschi che il rilelfo in una lettera scritta ai 4 di gennaro del 1461 ;, (L. 16, ep: 29) parla della morte dell’Aurispa, come di cosa avvenuta di fresco. V. Storia della Letter. Ita- liana, t. VI, p. 1479 ed. cit. Negli Etogi d’ illustri siciliani (Pal. 1766-67) si dice nato l’ Aurispa verso il 1369, e che si trovava in Costantinopoli circa il 1418 « per vaghezza di apprendervi la lingua greca e meglio assodarsi nelle scienze , che in quella città metropoli molto allora fiorivano (Elog. di Giov. Aurispa). » E E DI ALCUNE OPERE LESSIGRAFICHE LATINE E VOLGARI DE’ SECOLI XIV E XVI 7 sopra YIiade in due gran volumi; tutte le opere di Platone, di Proclo, di Plotino, di Senofonte, di Luciano; le storie di Arriano, di Dione, di Diodoro Siculo; la Geografia di Strabone, e più altri libri di molto pregio (1) ». Il Tiraboschi avverte con ragione che nessuno prima dell’ Aurispa aveva recato in Italia sì gran copia di libri greci, e che il Filelfo, non venne con somigliante tesoro in Italia se non quattro anni dopo l’ Aurispa, essendo questi approdato a Venezia nel 1423, e quegli nel 41427 » (p. 475). Nel tempo stesso che il Panormita lo invitava a Napoli, il vicerè di Sicilia, Nicola Speciale, concittadino dell’Aurispa, il pregava di recarsi in patria, e dalla lettera di risposta al vicerè, scoverta dall’ ab. Nicolò Buscemi in un codice della Comunale di Palermo, e pubblicata nelle Effemeridi siciliane (t. V, p. 145 e seg.), sappiamo che in quella raccolta di codici l’Aurispa aveva speso tutto il suo, e più che a privato uomo fosse convenuto, sì che spesso do- vette dare fino agli abiti per aver libri (2). Come al Panormita, così all’Aurispa ‘ si coniarono medaglie a sommo onore, e ce ne ha lasciata descrizione il Mazzu- chelli, che già le possedeva nel suo Museo (3). Ma nel tempo stesso che l’Aurispa a Ferrara, spandeva molto lume di sapienza l’altro notigiano, Antonio, Cassarino , a Genova, dove si era fermato, dopo di essere stato anch'esso dieci anni in Grecia, avere professato lettere latine e greche a Costantinopoli, ed essere stato per tre anni con pubblico stipendio maestro celebratissimo di grammatica in Palermo (4), ove ebbe a scolare l’illustre storico .Pietro Ranzano (5). Il Mongitore dice che dimorando il Nostro in Costantino- noli v’insegnò retorica per cinque anni « magna auditorum frequentia, maximoque civium, et Imperatoris plauso », e che ritornato in Italia professò arte oratoria in Pavia, in Milano, e finalmente in Genova, dopo moriva per caduta dall’ alto passando dalla sua in altra casa in un tumulto nel 1444. Tradusse i libri della Repubblica di Platone, dedicandoli a re Alfonso, prima che il Ficino ne facesse ‘a Firenze la sua famosa traduzione; e fu oratore a Filippo Maria Visconti e al senato Genovese. Nè minore di merito a questi illustri fu tenuto Pietro Gravina palermitano, del quale raccolse alcuni Epigrammi, carmi e poemetti latini Scipione Capece, e oltre al Pontano, al Sannazzaro, al Giovio, fece bella lode il suo con- cittadino Giano Vitale, l’elegante poeta della corte di Leone X, l’amico del Bembo (1) TIRABOSCHI, op. cit. t. VI, p. 178. (2) « Qua in re tantum auri expendi ut privatum hominem tantum aut potuisse, aut ausum fuisse non credatur. Alii equos, multi domos, alii res alias sibi comparaverunt. Ego omnem indu- striam, omne argentum, vestimenta etiam saepe pro libris dedi. Nam memini Constantinopoli grae- culis illis vestimenta dedisse, ut codices acciperem; cujus rei nec pudet, nec poenitet. » (3) V. Scritt. Ital. v. 1, p. 1278. (4) V. MoncIToRE, Biblioth. Sicula. t. I, p. 58. (5) V. TIRABOSCHI, op. cit. t. VI, p. 980. Opusc. diaue. secil. t. VI, p. 75. 8 DEGLI ERUDITI SICILIANI DEL SECOLO XV e del Sadoleto, in stupendi distici (1), non superati da’ versi che più tardi gli dedi- cava negli Elogia Siculorum Poetarum ) altro dotto palermitano Filippo Paru- ta (2). Il nostro Gravina orò innanzi a papa Alessandro VI nel 1493 con elo- guenza degna del suo concittadino ed amico Antonio Panormita, dell’Aurispa e del Cassarino (3). Così Andrea Gatto, Messinese, che fu assai dotto nel latino e nell’ ebraico , perchè si ammaestrasse anco nel greco viaggiò in Grecia, e pro- fessata filosofia e teologia nella Università di Bologna e di Padova, caro al Bes- sarione, a papa Nicolò Ve a Sisto IV, andò più volte oratore del papa a Ferdi- nando II, e moriva nel 1484 encomiato da tutti i contemporanei. Nel 1428 nasceva in Palermo Pietro Ranzano, che ebbe a maestro il Cas- sarino, e fattosi compagno a Teodoro Gaza a Pisa e a Firenze, ascoltò in questa città il famoso Carlo Marsuppini. Indi fu alla scuola di Tommaso Pontano in Perugia, e ivi, nota il Tiraboschi, l’anno 14441 conobbe Ciriaco d’Ancona ; sic- come due anni appresso si trova nell'Università di Pavia uditore di Apolinnare Offredi « filosofo a quei tempi rinomatissimo. » Tornato a Palermo, entrò nel- l'ordine domenicano, e da’ superiori fu altra volta mandato a continuare i suoi studi per le principali città d’ Italia, stringendo amicizia co’ più dotti di quel tempo. « Lorenzo Valla, ricorda a proposito il Tiraboschi, avendo allora intra- presa la traduzione di Tucidide, gliela veniva successivamente mostrando, perchè egli la rivedesse ; il che ci mostra ch’ era il Ranzano in fama di uomo assai dotto in quella lingua (4). » Fu nunzio pontificio in Francia, ambasciatore pe’ reali di Napoli in Ungheria alla corte di Mattia Corvino, di cui recitò nel 1490 la funebre orazione ; e alla corte di Napoli Ferdinando I il volle maestro del figlio Giovanni. Moriva final (1) Così il Vitale : Hanc tibî pro tumuli Janus Vitalis honore Ramosam laurum, magne Gravina, dicat : Hic ubi odorata Manes requiescere in umbra, Floribus in medtis , et iuvet esse tuos. Illa, Notis quoties rami quatientur et Euris, Perstrepet in laudes, sancte poeta, tuas. (2) Aureus ille senex hic est, cui semper Apollo, Cui Musae comites, cui genialis Amor. Parthenope et Catane tantum sibi pignus honoris Optavere; tamen sola Panhormus habet. (Ms. 299. C. 24. Bibl. Com.) (3) Nel Teatro degli Uomini letterati di Palermo di Vincenzo Auria, Ms. della Bibliot. Comu- nale di Palermo, segn. Qq. D. 49, oltre il bello elogio del Panormita, già da noi pubblicato (v. Nuove Effemeridi Siciliane etc. Serie III, v.1, disp. 1° e 2°. Pal. 1875, è pur altro bello elogio del Gravina che anche vedrà la luce nelle Nuove Effemeridi Siciliane. (4) Storia della Lett. Ital. t. VI, p. 980, 981. E DI ALCUNE OPERE LESSIGRAFICHE LATINE E VOLGARI DE’ SECOLI XIV E XVI 9 mente tant'uomo vescovo di Lucera nel 1499; e storico illustre, lasciò una storia universale, che è servita di fonte agli storici posteriori siciliani, e si conserva mss. nella Comunale di Palermo. Certamente nessuno potrà poi dimenticare fra i cultori delle classiche lettere in quel secolo XV, Giovanni Marrasio di Noto, e Bernardino Riccio messinese. Il Marrasio, amico di Leonardo Aretino, fu detto da Vespasiano Bisticci, che « dilet- tossi assai di questi studi di umanità , e fu molto atto al verso, in modo che vi furono pochi che venissero dove era lui di scrivere in versi, ne’ quali fece più elegie molto stimate ed avute in grandissima reputazione, e venne in tanta condizione, che secondo che era la fama, fu laureato poeta (4). Fu tanto atto al verso, che l’età sua ebbe pochi che v'aggiunsino (2). » Il Riccio, ammaestrato nella lingua greca dal Lascari, poetò anche elegan- temente in latino, e lodatissima fu la sua Monodia composta e pubblicata nel 1497 per la morte del principe Giovanni figlio a Ferdinando e ad Isabella di Castiglia (ristampata nel t. VIH degli Opuscoli siciliani a p. 3847-24), per la quale il suo condiscepolo Francesco Faraone di Palermo diceva all’autore : Jam tibi Parnasi veniunt de culmine montis Carmina, seque tibi Musa benigna dedit. Non meno poi onorato per la sua eloquenza, come pubblico professore d’arte retorica, e come oratore, fu Lucio Marineo, di Vizzini; discepolo in Palermo di Giovanni Naso, amico a Roma di Pomponio Leto, maestro a Salamanca con Pietro Santeramo messinese, che verso il 1480 insegnava a Palermo, di lettere latine, e oratore per la Sicilia alla corte Spagnuola celebratissimo. E sappiamo poi dal- l’Adria quanta fama si avesse allora Tommaso Schifaldo di Marsala, filosofo, oratore, poeta, e scrittore di un’ arte metrica, sì che fu maestro di quanti si tennero dotti ed illustri nelle lettere latine, ed ebbe a uditore lo stesso re Alfonso quando da Napoli si riparò a Mazzara. Nè sdegnò di farsi storico elegante, come il disse il Ranzano, della guerra di Cipro, quel valoroso cavaliere catanese Giovanni Filin- geri, che militò in quella guerra e difese eroicamente Famagosta, tanto che questo ricordo volle consacrato nel suo epitaffio, che fino al secolo passato si leggeva in versi volgari nella chiesa di S. Francesco di Palermo (3). Co’ quali dotti, storici, poeti, letterati, è da porre senza dubbio Giovan Filippo de Lignamine, messinese, scrittore lodato, e più di tutto benemerito per la diffusione della stampa in Sicilia (4), e per le sue relazioni con Giovanni Naso (1) E da notare che de’ poeti laureati del quattrocento fu il primo il nostro siciliano Antonio Panormita. (2) V. il nostro scritto, Giovanni Marrasio ecc, nella serie IT delle Nuove Effem. Sicil. pag. 345. (3) V. MoncITORE, Biblioth. Sic. t. I, p. 344. (4) V. NARBONE, Storia lett. sec. XV. L. VII, c. VII, p. 79. 10 DEGLI ERUDITI SICILIANI DEL SECOLO XV di Corleone, segretario del senato palermitano, pubblico maestro di lettere in Palermo, e autore di versi latini per la resa di Barcellona nel 1472 da’ nostri tuttavia ricordati (1), come pur ricordati sono gli estratti dotti de’ nostri antichi prin- ‘ cipi greci dagli Apoftegmi di Plutarco. Fra’ dotti filologi ed eruditi fu eziandio quel Nicola Valla o la Valle, girgen- tano, autore di un Vocabolario latino italiano, e scrittore latino di una gramma- tica col titolo di Gimnastica litteraria, pubblicata in Venezia nel 1516; e assai rinomato fu in Sicilia e in Roma, dove andò a morire, Antonio Flaminio di Mineo, del quale fu detto: « cujus praelectionibus Roma longa annorum serie. nihil habuit eruditius » (2); diverso dall’altro Flaminio, di nome Lucio, che fu com- pagno a Salamanca del Marineo. Questo nostro Luca Marino, nato come si è detto in Vizzini, fece per gli studi classici in Spagna, quanto il Panormita in Napoli, e l’Aurispa in. Ferrara. Giovinetto fu a Catania scolare di Pietro Anguessa, poi a Palermo imparò lettere latine da Giovanni Naso, e greche da Giacomo Mira- bella. Recatosi a Roma, forse compagno ad Antonio Flaminio da Mineo, col quale poi lontano tenne corrispondenza di lettere , fece parte della famosa Accademia o scuola di Pomponio Leto, nella quale ridusse all’antica il suo nome e cognome di famiglia, indi chiamandosi Lucio Marineo, col qual nome è passato appunto alla posterità. Ma trovandosi il Nostro a insegnare in Palermo con frequenza inere- dibile di scolari e rinomatissimo per fama, fu verso il 1484 o 86 invitato dal- l'ammiraglio di Castiglia Federico Henriquez, venuto in Sicilia a sposare la con- tessa di Modica, a recarsi seco in Spagna, ove ebbe insegnamento di lettere in Salamanca, nella quale città stanziava l’ altro letterato siciliano Lucio Flaminio, e strinse calda amicizia col celebre Antonio Nebrissense, inteso allora a richia- mare i buoni studj sugli esempi classici ed antichi. Se non che, ne’ dodici anni che il Marineo tenne pubblico insegnamanto accompagnando a questo gli scritti, a cominciare da una grammatica latina, recò tale impulso al buon avviamento delle lettere in Spagna, che Alfonso Seguritano , scrittore contemporaneo , ebbe a dire del Nostro : « che al suo arrivo, tutta Spagna prese nuova luce, e fu cac- ciata la barbarie dal rozzo latino che per secoli vi regnava, sì che al Marineo (4) Siccome la stampa di questi versi del Naso senza data è stata contrastata a Palermo, giova qui ricordare che Alfonso da Segura, discepolo del Marineo, facendo l’elogio del maestro verso il 1509, vivente il Marineo stesso, così scriveva del Naso « cujus extat opus heroicum de celebritate rerum, quod, (0 quas) Panhormum edidit, cum Barcinona Gothalana civitas rebellis Joannis Regis in deditionem post decem annos se subjecit. » Or questo passo del Seguritano riferito dal Mongitore, dallo Schiayo, ec. è stato argomento di calorosa disputa fra’ nostri bibliofili nella questione dell’ introduzione della stampa in Palermo. V. Nuove Effemeridi Siciliane, Serie 1°, v, 2—Serie 2°, v. 4, disp. IX-XII. Pal. 1874. (2) V. NARBONE, Op. cit. t. X, p. 249. ( dae E DI ALCUNE OPERE LESSIGRAFICHE LATINE E VOLGARI DE’ SECOLI XIVEXVI ff si deve il trionfo della lingua latina in Salamanca e pel resto della Spagna, come al Valla quello di Roma e del resto d’Italia (41). » L’ardore che era intanto per tutta Italia a raccogliere codici illustrare i testi antichi, non poteva non essere eziandio in Sicilia, dalla quale erano usciti VAu- rispa e il Cassarino a percorrere la Grecia e portare in Italia quanti più libri potevano, sì che il primo fu accusato al Paleologo di spogliare le greche città e recarsi in Italia i migliori codici profani e sacri. Le prime raccolte di libri, di che ci è restata memoria sono del secolo XIV. Il duca Guglielmo figliuolo di re Pietro di Aragona lasciava per testamento i suoi libri al Convento de’ frati Predi- catori di Palermo: il monastero benedettino di San Martino delle Scale aveva secondo il catalogo tuttavia esistente del 1384, una copiosa bibblioteca di prezio- sissimi codici greci , latini e volgari; e il Capitolo della Cattedrale palermitana possedeva non pochi codici, che ci lasciò descritti l Amato nella sua erudita opera De principe Templo Panhormitano (2). Paolo Visconte, nobile palermitano, con- fessore di papa Nicolò V, e arcivescovo di Palermo, lasciava ben 300 volumi al convento del Carmine, del quale era stato Priore; e di codici antichi esistenti in uma libreria di Catania del secolo XIV fa ricordanza Giov. Morino parlando di un penitenziale trascritto da Luca Alstenio bibbliotecario del cardinale Barbe- rini sopra ms. del secolo XI appartenente a quella bibblioteca catanese (3). Sopra- tutte ricchissima era la bibblioteca pubblica di Messina pe’ mss. greci donati dal Lascari, come l’altra del Monastero del Salvadore pe? libri del celebre prete Sco- lario (4), e pe’ codici mandati dall’Aurispa ; e così le altre del monastero della Maddalena, e di San Placido, nel quale il Pirro notava una bibblioteca assai nobile di antichissimi codici greci e latini. La prima delle quali andò dispersa nelle fortunose vicende del 1679, e l'altre recentemente guaste degli incendi del 1848, sì che pochissimi codici al paragone siano avanzati a tante rovine, oggi esistenti nella pubblica Biblioteca della Università. i Fra i molti codici che esistevano in quella Biblioteca del Salvatore de’ quali fu fatto catologo nel 1563 per volontà di papa Pio IV, indi pubblicato dal Mont- faucon nella sua Biblioteca de’ manoscritti (t. I, p. 198), era il pregevolissimo Les- (4) « Quo adventante, quod possum vere dicere, tota Hispania jam tandem incipit splendescere... Ad hoc ibi in maximo pretio habitus, per duodecim annos , aut certe amplius, publice professus, non modo barbariem prostravit, et delevit, sed et extirpavit , et eam radice evulsit, vel minimum quippiam non amplius propagaturam; idque fecit diligenter, et adeo ut non minus Salamanticae et per totam Hispaniam de linguae Latinae triumpho Lucio tribuatur, quam Romae et per totam Ita- liam Laurentio Vallae...» V. Memorie per servire alla stor. letter. di Sicilia , t. Il, p. 306. TiRABO- ‘SCHI, op. cit. t. VII, p. 1485. MoNGITORE, Bibliotech. Sicul. t. Il , p. 16. NARBONE , Stor. letter. di Sicilia, t. X, p. 221. (2) V. NARBONE, op. cit. Appendice II, p: 22. (3) V. NARBONE, op. cit. Appendice II, p. 22. Ie VI (4) V. Pirro, Sicilia sacra, L. IV, not. 12 DEGLI ERUDITI SICILIANI DEL SECOLO XY sico di Suida, portato da Grecia dal Lascari, detto dal Montfaucon antiguissimus, ma già sin dall’ora non più esistente in quella Biblioteca (4), e o mandato in Spagna, o portato a Roma dall’ abbate Menniti che parte de’ codici messinesi del monastero del Salvatore recò poi in quello di S. Basilio di Roma (2). Ed è poi saputo che la Sicilia fornì codici di molta importanza alla prima stampa, come i frammenti di Polibio, di Dionigi d’ Alicarnasso, di Dione Cassio, il poema astronomico di Arato , e il Cronicon Alessandrino conosciuto col nome di Fasti Sicoli ; e che codici greci molto pregiati si sono raccolti per diverse vie nelle biblioteche di oggi, e specialmente nella Nazionale di Palermo, già affidata ai PP. Gesuiti. Nella biblioteca che si fondava nel secolo XIV nel Monastero di S. Martino di Palermo erano codici e sacri e scientifici e letterarii di molto valore, siccome si vede dai titoli di 400 e più codici notati nel catalogo del 1384, pubblicato dal Di Blasi, e da quanto ne abbiamo detto altrove a proposito de’ codici volgari che vi esi- stevano (3); e i pochi restati fino a noi e oggi nella Nazionale di Palermo, fanno fortemente lamentare la perdita de’ tanti che sin da’ tempi del Di Blasi più non esistevano; siccome non si sa come andarono eziandio dispersi i codici della Cappella Palatina, che nell'inventario del 1309 giungevano a più di 50, e gli altri dell'archivio del Duomo , posto nella Cappella dell’ Imcoronata, nel quale ai tempi stessi del p. Amato, cioè nel 1728 se ne contavano più di 40, fra quali i libri ad Erennio, i Posteriori e i libri Fisici di Aristotile, con i comenti e le sommule di Paolo Veneto, e opere di S. Agostino, di S. Girolamo, di Beda, tra- scritte in Palermo nel 1174, di S. Bernardo, ed altre di liturgia e di storia eccle- siastica siciliana (4); forse del tutto perduti nell’incendio della Cappella dell’ Im- ‘ coronata avvenuto nei giorni della rivoluzione del 1860. (1) « Codices illi majoris pretii, ut Suidas ille integer, Clementis Alexandrini Stromata, Epi- phanius adversus Haereses, jam non extant in Biblioteca S. Salvadoris (t. I, p. 198). V. ScHIAVO, Memorie per servire alla st. letter. di Sicilia t. 1. Par. IV, p. 49. NARBONE, op. cit. App. p. 4d. (2) V. NARBONE, Op. cit. loc. cit. (3) V. Filologia e Letterat. Siciliana, vol. I, p. 122. Pal. 1871. (&) V. Amato, De principe Templo Panormilano, L. XIII, c. I, p. 420 e segg. Pan. 1728. Oltre questi codici vide l’Amato negli armadii del Tesoro sette libri « membranacei, caractere Gothico in folio » e in quello che segna col n. 3, nota trovarvisi a f. 18 « Kyrie Regis Guillelmi secundi cum Gloria » e a fol. 107 « acciamatio Regi Friderico Primo, Suevo, mox Imperafori post ejus corona- fionem 4198; » la quale così trascrive: « Christus vineit, Cristus regnat, Cristus imperat: exaudi Christe: Domino nostro Regi Friderico, magnifico et triumphatori, ac invictiss. vita perpetua; exaudi Christe, Salvator mundi tu illum : adjuva Redemptor mundi tu illum : S. Trinitas ta illum : S. Maria tu illum: S. Michael tu illum : S. Gabriel tu illum : S. Raphael tu illum : S. J. Bapt. tu illum. Regi nostro Frid. glorioso et triumphatori pax sempiterna: exaudi S. Petre tu illum: S. Paule tu illum, S. Sthephane tu illum: S. Laurenti tu illum. Pacifico rectori et piissimo gubernatori, Regi nostro Frid. lux indeficiens et pax aeterna: exaudi Christe : S. Sylvester tu illum : S. Maria Magdalena tu illum : S. Christina tu illum : S. Agatha tu illum. Christus vincit ete. exaudi Christe : ipsi soli honor et gloria virtus et victoria per infinita saecula saeculorum, Amen » p. 425. FAC-SIMILE DELLE PERGAMENE ALCARESI des rargirag aperto oNGsi CAPITA: B risa _' Sa OO FTBOP Map rudere pedro - n" isdn (ua Tua puo o pu «pol P —ovonppate inudd pas QRSE a SUI PUSO AU Cp reno rt 6h —v prov omPdicey "te OSH TE 7 A 86 o nei 1$ co rd vendo ; Koopuirons : n eù nu NOIE DO péocor mm bi TA ertosme ent pu: alla i ras w SEprope S o er a pi i YI I - ugo o SR E delia LAI Vergamenza! « del DJesato Ina Tea o ù ( 32 fi el ALA o yevi* «peo Ran ava creo -vaf Top "to) mel Zroy ray Secolo K° : Sellero del Secolo D e) È sete Sosa Cai nà Q D 14 1 si r / 04 tea EA erede ist AS. buy Uve EROI | IVI ei vo MOTI PELI PALO PALO | TRO Le 7A OP OLI BV LE pete Povass vor Es dww we: mie AI» LOI ARE. DA Il'metà I Sirolo TX LE PERCAMENE GRECHE PIU’ ANTICHE FIN ORA CONOSCIUTE IN SICILIA LEZIONE DEL SOCIO P. FILIPPO MATRANGA Recitata nel dì 24 gennaro 1875 SUL MERITO DELLE ‘PERGAMENE Le pergamene di San Nicolò pria di tutto hanno l’inestimabile pregio di es- sere sacre reliquie del medesimo Santo. Quindi meritano di essere autenticate dal Monsignor Vescovo Diocesano: chiuse e suggellate in apposito reliquiere, ed esposte alla venerazione dei fedeli. In oltre sono pregevoli quali monumenti antichi per la loro autenticità, essendo state conservate sempre dentro l’ arca sepolerale del Santo, come si sa per tradizione. Pregevoli per la paleografia, come anche per le specialità paleo- grafiche non comuni nei codici greci. Queste specialità sono due. Le indicazioni marginali delle pagine, e le in- terruzioni delle linee, per dare luogo alla fine dei #roparti precedenti con il se- gno ::, (vedi nel facsimile) che equivale ad una forma di croce; croce, che ve- desi chiaramente ripetuta allo stesso fine nei due frammenti di Salmi delle no- stre medesime pergamene. Queste due particolarità mi riuscirono nuove, e mi persuasi del loro va- lore, dopo lunghe osservazioni fatte sulle pergamene, non avendole vedute no- tate nè nella Palaeographia Graeca del Mont-faucon, nè in quella del Padre Piacentini Basiliano di Grottaferrata. Però bisogna notare, che le indicazioni marginali scritte verticalmente. (vedi nel facsimile) non sono generali per il libro, bensì parziali per ciascuna per- 2 LE PERGAMENE GRECHE PIU’ ANTICHE gamena, onde il legatore non rovesciasse I’ ordine dei fogli, essendo, come ap- parisce, la maggior parte pergamene staccate: dissi la maggior parte, perchè tra le pergamene del medesimo santo, compagne delle nostre, che sono in possesso degli Adernesi, si vede una in doppio foglio. Per l’ordine generale delle pagine non si scorgono indicazioni nelle nostre membrane; ma, se pure vi fossero state, lo dovettero essere forse nelle estremità delle stesse, che poi, dopo fatta la cu- citura di tutto il libro, furono tagliate, per pareggiarne i fogli. CLASSIFICAZIONE DELLE PERGAMENE Ho segnato in rosso sì le singole pergamene, come anche la copia del testo e la traduzione, con le lettere dell’alfabeto greco, cioè «, 8, Y, 0; (E, GE LITIGIO, invece di apporvi il segno con numeri arabici, il che mi parve poco conveniente a riguardo specialmente delle pergamene. L’ordine alfa- betico però non è conservato, perchè nel progresso dello studio ho dovuto tra- sportare le pergamene qua e là a seconda dei toni, come le veniva mano mano deciferando. Ora poi volendo riunire le due partite delle pergamene sì Alcaresi, che Adernesi, a queste ultime, che sono sette di numero, ho apposto per segno le lettere majuscole dell’alfabeto greco, cioè A, B, T, A, E, Z, H, avendo dato loro il posto conveniente giusta il sistema stabilito. I tre frammenti segnati con le lettere A, «, e 6, sono in doppio foglio, quindi hanno quattro facciate ciascuno, e sono frammenti di due separate colle- zioni di Exapostilarii, cui per la loro antichità ho dato il primo posto nel clas- sificare le membrane. Le due prime segnate con A e « sono le pergamene più insigni, perchè più antiche, alle quali senza punto esitare assegno la data. Esse sono del secolo IX o della prima metà del secolo X. All’altro frammento, segnato con la f, perchè di caratteri meno belli, e per essere irregolare nel numero delle linee, e non isbiaditi i suoi caratteri, come osservansi quelli delle due precedenti pergamene, potrei assegnare per data la seconda metà del secolo X, ovvero la prima dell’XI. Questi frammenti di due libri separati, e ciò risulta non solo dalla forma dissimile dei caratteri, ma anche dal numero delle linee, in essi tracciate, e dalla grandezza differente delle membrane, sono di sommo pregio, per essere una ra- rità. Imperciocchè avendo mandato il frammento segnato con la f, copiato e tra- dotto, in Roma all’E.mo signor Cardinale Pitra Bibliotecario della Vaticana, be- nignamente mi riscontrò il dottissimo Porporato, dicendomi: che Egli non co- nosceva se non un solo esemplare di somiglianti raccolte, e che quindi era sul punto di asserire in una sua imminente pubblicazione, essere stata quella una FIN ORA CONOSCIUTE IN SICILIA ò collezione di uso privato: ma ora, dopo l’esempio della nostra pergamena, cam- biò parere, e giudicò simili collezioni essere state di uso pubblico. Allora gli mandai copia della prima pergamena Alcarese, cioè di quella segnata con |’ a, per confermarlo vie più nella cambiata opinione. Per il che queste tre. perga- mene, quantunque frammentate, sono sommamente preziose, e meritano essere riguardate come un vero tesoro. Seguono poscia le altre pergamene, che in classe formano la seconda parte. scritte con caratteri più®grossi, chiari e pronunciati, sino alle due che conten- gono frammenti di salmi ; cioè le segnate principiando dalla lettera B, poi T, Y, 4, ete., sino alla Z. Ora questi frammenti appartengono ad una collezione di orazioni (che direi Nlorilegio) dette nella ufficiatura greca Moparii, la maggior parte dirette alla Beata Vergine con la interpolazione di altri roparti in onore di S. Nicolò di Mira nella Licia, ed altri in onore dell’Arcangelo S. Michele. In- terposti sono anche i così detti Hirmi, altri interi ed altri accennati. Questi hirmi sono canti, e servono di regola di modulazione ai susseguenti 4roparti. Di hirmi e di troparii sono composte le Odi, e queste sono nove, e di queste nove Odi è formato il così detto Canone, (sunt autem Odae novem, quia cae- lestis hierarchiae et hymnodiae ‘imaginem pracferunt. Zonaras.) che si recita o si canta nel mattutino della ufficiatura greca. Quando le Odi sono nove, si dice Canone; quando sono quattro, si dice Tettraodion; quando tre, Triodion; quando due, Diodion. Ora le nostre pergamene, poichè vi si vedono notate le Odi nello insieme sino alla IX, dovrebbero dirsi una raccolta o Florilegio, al quale mi pare, che dovesse essere stato apposto il seguente titolo : Hiuplevixòy AvdoXdytoy Tot Kavoveg eis TÙY Yreporytav Geotozoy ex Ti MapaxAntwxT xa c\Xay bey inde[opuevo VircIiNEUM FLORILEGIUM SCILICET CANONES IN SANCTISSIMAM DEIPARAM EX PARACLETICA ET ALIUNDE SELECTI. Perciocchè la maggior parte di questi Zroparii sono desunti dai Canoni della così detta Paracletica, sceltine quelli consacrati alla Vergine. La Paracle- 4 i LE PERGAMENE GRECHE PIU’ ANTICHE tica è uno dei libri corali della ufficiatura greca, composto da S. Giovanni Da- masceno. Una buona parte dei #roparii delle nostre pergamene sono di fatto reperibili nella Paracletica ; altri sono irreperibili, e perciò inediti. Gli Hirmi sono registrati nell’Hirmologion, altro libro di ufficiatura greca. Indi ho dato alla meglio un certo ordine a tutte le pergamene, anche alle inedite, regolandomi con gli hirmi, giusta i Toni, che nel canto Greco sono otto, come otto sono nel canto Gregoriano. Ma l'ordine dei Toni nel canto Greco è differente di quelli del canto Gregoriano. Del canto Gréco l’ordine è il seguente: Tono I; Tono II; Tono III; Tono IV; Obliquo, o Plagale del I; Plagale del II; Plagale del III, detto Grave; e Plagale del IV. Ora secondo questo ordine mu- sicale ho cercato di dare il posto loro a tutte le pergamene di questa seconda parte, meno le due ultime segnate, la prima con la lettera v, che nella perga- mena è X in rosso, e l’altra che è una metà di pergamena tagliata e segnata con la lettera Z. Queste due ultime membrane sono dello stesso genere di collezione delle precedenti pergamene: ma quella segnata con la p....} è un frammento di al- tro libro, perchè i suoi caratteri sono assai rozzi e le sue linee non confron- tano con quelle dei precedenti frammenti. Poichè quelli contano costantemente n.° 17 linee in ambe le facciate, questo al contrario, nella prima facciata conta n.° 16 linee, e nella seconda n.° 15. Perciò è evidente, che, differendo dalle precedenti pergamene, questa è un frammento isolato di un’altra collezione. La seconda segnata con la Z, non presentando alcun segno di Tono, non può essere classificata, quindi l’ ho confinata all’ ultimo posto. Così che fin quì abbiamo i frammenti di quattro libri distinti e differenti fra loro. In una membrana ho scritto in rosso questa parola, &déotoroy, che signi- fica non habens dominum, ossia ignota, perchè illegibile. quantunque, dopo espur- gatala dalla terra, da cui era bruttata, avessi adoperato tutti i mezzi a fine di risuscitarne i caratteri. Non vi potè né l’acido tanico, nè l’acido gallico. Laonde, essendomi riuscito vano tutto quel lavorio, la mandai alle calende. Le sopra de- scritte indicazioni marginali si osservano solamente in una gran parte di queste pergamene, che sono al certo del X secolo. A questi due Florilegii seguono due frammenti di Salmi. Separandoli dal resto delle membrane, ne ho formata la terza parte, con l’aggiunta dei due fram- menti di un antichissimo Menologio , dei quali terrò parola alla fine di questo discorso. I due frammenti di salmi sono segnati con le lettere v...w rosso, e $...v rosso; e quì, prendendo per le sottili la disamina, dovrei dire, essere due fram- menti di due salterii, perchè il primo differisce dal secondo e nella forma dei caratteri, e nel numero delle linee. Vi si osservano dei difetti nelle linee, con- tandovisi nella prima facciata 18 e 17 nella seconda, il che è un disaccordo: w FIN ORA CONOSCIUTE IN SICILIA 5 mentre il secondo. frammento è scritto con caratteri più nitidi, ed è regolare nella numerazione delle .linee, poichè vi si coritano n.° 17 in ambedue le fac- ciate. Ma per non moltiplicare gli enti, dirò piuttosto così alla grossa, che que- sti due frammenti, quantunque discrepanti fra loro, sono parte di un Saltero. Di modo che abbiamo i frammenti di cinque libri belli e buoni. Anche queste due pergamene sono del X secolo. Questa moltiplicità di libri non deve recare maraviglia, perciocchè, essendo . stato il Santo un monaco Basiliano, benchè del piccolo abito, e recitando l’uf- ficio divino, un libro solo non poteva bastare a quella recita. Io sono prete di rito greco; è facile capire che mi reciti il divino ufficio, e perciò, anzi che ma- ravigliarmi, comprendo bene, che il Santo, non avendo avuto in uso per quella recita libri adattati e proprii, non fosse stato sacerdote, ma semplice laico. Im- perciocchè le pergamene non danno altro che il risultato di due collezioni di Exapostilarii, di uno o due Florilegii della Paracletica, e di un Sellero; men- tre per la recita del mattutino e del vespero corale spesso occorrono più libri. Occorrono oltre l’Horologion, che sarebbe quasi il Breviario, il Menologion, la Peracletica; nella quadragesima invece del Menologion il Triodion, o ambedue; spesso l’Hirmologion per gli Hirmi; e dal dì della Pasqua di Resurrezione sino alla Pentecoste prende posto il Pentecostarion; il Saltero poi si recita per tutto il corso dell’ anno. Qual maraviglia pertanto che dentro la tomba del Santo si trovassero cinque libri, che si potrebbero ridurre a tre? Primo: in due raccolte di Erapostilarii, che non si contano tra i libri dell’ufficiatura greca, almeno ai nostri tempi, e che si riducono ad una sola specie di libro. Secondo: in due Florilegii, composti di hirmi e di 4roparii in onore della B. Vergine; ed anche questa sorta di Florilegii non sono ammessi per la soddisfazione dell’ obbligo delle ore canoniche. Terzo: in un Salfero, ammesso nella ufficiatura canonica, ma questo libro fu ed è per le mani di tutti anche secolari di ambedue i sessi. Anzi, perchè mi costa, debbo asserire, che sono anche donne in Oriente ai no- stri giorni, le quali sanno a memoria gran parte dei Salmi. Quindi pare, che i monaci, compagni in qualche modo del Santo, vedutolo morto con uno dei suoi libri di orazione in mano, abbiano ottimamente deliberato di, collocare den- tro la sua tomba anche gli altri libri usati da Lui nelle sue orazioni. (Vedansi il Surdi al GC. XXXII, $ 6, ed il Gualteri Parte 1°, G. VII: più le pitture in Alcara, che contano tre secoli di antichità, presentano il Santo in ginocchio col bastone e col libro aperto in mano e cogli occhi rivolti al cielo, che è 1° atteg- giamento in cui si trovò morto dentro la grotta da Lui abitata per più di 30 anni nella montagna, detta Calamnia, presso Alcara. La tradizione non inter- rotta attesta essa pure questo fatto, onde pare, che poco si possa dubitare sulla verità, che il Santo avesse fatto uso di quei libri.) Finalmente debbo ragionare sulla tavoletta di legno, che è tra le membrane 6 LE PERGAMENE GRECHE PIU’ ANTICHE Alcaresi. Questa è una metà di legatura di libro, ma non delle nostre perga- mene, perchè molto più piccole e sproporzionate, messe al paro della estensione della tavoletta. Nella parte interna di questo piano di legatura vedesi incollata una antica pergamena scritta, che fa l’ufficio di quella carta marmorea, o di altro colore, applicata ai nostri tempi nelle parti interne delle legature dei libri, e che di- cesi guardia. Questa pergamena, che abbraccia trenta linee di scrittura, segnata da me in rosso con la lettera o, appartiene ad un Menologio antico. (Il Menologio della ufficiatura greca costa di dodici volumi, uno per ciascun mese dell’anno.) Questa fa parte del Canone del giorno 10 del mese di ottobre, nel quale la Chiesa greca celebra la memoria dei santi martiri Eulampio ed Eulampia, i quali furono martirizzati sotto Massimiano nell’anno 296. Questa pergamena è scritta con caratteri più belli di tutte le altre sopra- descritte, e perciò è più antica di lutte, e non saprei allontanarmi dal giudi- carla della seconda metà ed anche della prima del secolo IX. Perciocchè, atten- dendo agli autori di questo frammento e dell’altro, di cui appresso ragionerò, i quali sono Giuseppe Studita , che visse nel 717, e Teofane, il Grapto, vissuto nell’ 829, a più antica data non la potrei assegnare: e dissi del secolo IX, per- chè, se il legatore del secolo XII adoperò questo foglio a guardia di legatura di libro, allora dovea essere in uno stato sì lacero il Menologio, di cui faceva parte questa membrana, da non potere più servire all’uso del coro; e perchè un libro membranaceo fosse ridotto a un simile stato, almeno dovean passare circa quat- tro o certo tre secoli. Cito un caso ben diverso, ma che può in qualche modo avere la forza di persuadere. Noi vediamo quasi intatte le prime edizioni dei libri stampati in carta bambagina del 1440, epoca della invenzione della stam- pa: or bene; ad un libro scritto sulla pergamena, ancorchè di continuo fra le mani, non saprei se si potessero negare, se non quattro, almeno tre secoli alla sua integrità. Questo giudizio ha per base la narrazione storica, i monumenti e la tradizione, dalle quali si ricava, che il Santo morisse con uno dei suoi libri di orazione in mano, come dissi, e che con tutti i suoi libri sia stato collocato nel suo sepolcro, dal quale di fatto sono state tolte queste pergamene, e man- date a me per interpetrarle. Conviene ora riferire una bella coincidenza; ed è, che tra le pergamene degli Adernesi, che ho presso di me, favoritemi dal Rev. Canonico Petronio-Russo, ho osservato una, la più lunga di tutte, essere la pergamena, che era incollata nell’altra tavoletta, la quale servì di piano del libro antico, compagna dell’ altro piano di legno già descritto. Un frammento della tavoletta, sulla quale era in- collata la pergamena Adernese, si trova fra i frammenti delle pergamene man- datemi da Alcara. Ora precisamente la membrana Adernese è quella, che era FIN ORA CONOSCIUTE IN SICILIA T incollata nel pezzo della tavoletta, compagna della sana armata della pergamena. La membrana Adernese è frammento anche quella dello stesso mese di ottobre e del giorno 9, nel quale si celebra la memoria di San Giacomo Apostolo. Chi è che non si avveda, che il legatore andasse mano mano strappando i fogli del vecchio Menelogio per gli usi della sua arte? — Ho avvicinato la pergamena Adernese al frammento della tavoletta, e combaciano perfettamente; ai buchi ca- gionati nella tavoletta dai chiodi di rame, ornamento e custodia della esterna coperta della legatura, ribaditi nella sua parete interna, corrispondono i buchi della pergamena causati dalia rugine di quella ribaditura, ed anche le tracce dei caratteri, lasciate sulla tavoletta per causa della incollatura, combaciano esse pure. Per cui è fuori dubbio, che la pergamena Adernese sia la compagna di quella, che vedesi incollata nella tavoletta sana, che è tra le pergamene di Alcara. Questa notizia è veramente interessante: dà forza di autenticità alla per- gamena Adernese, e merita di essere tenuta cara nella memoria degli Alcaresi. Da noi Siciliani poi in generale, quantungue non tutti Adernesi. vale quanto dire, non tutti concittadini del Santo: nè Alcaresi, i quali sono i possessori del sacro suo corpo; questi frammenti di greche membrane meritano essere ammirati e riguardati quale un prezioso tesoro monumentale. Perchè, dato, che i giudizii appoggiati alla storia, ai monumenti ed alla costante tradizione, da me portati, siano esatti, queste sono le pergamene greche più antiche fin ora conosciute in Sicilia. i A SIE 8 ; -LE PERGAMENE GRECHE PIU’ ANTICHE . Perantiqua et Pia—Pergamenarum Graecarum —fragmenta —Al- cariae adservata—in sepulero—Beati Nicolai vulgo de Politis— Ordinis divi Basilio Magni (parvi habitus)— qui caelestia pe- tut tabernacula—XVI Calendas Septembris—A. D. MCLXVII —quibus accedunt—alia earumdem pergamenarum fragmenta — quae apud Adranenses reperiuntur—in unum collecta — et ordinatim junctua—Pnnppo MatrANGa—Sacerdote Graeco-Siculo — interprete. MONITUM Cum fusius de pergamenarum istarum praestantia dixerim in dissertatione italico sermone scripta, quam ad calcem hujus libelli consulto alligavi, tamen quaedam mihi videntur hic praenotanda esse, ut origo, progressus et finis hujus operis dignoscantur. Mense itaque Decembri anno MDCCCLXXII hortatu Canonici Adranensi Rmi. Dni. Salvatoris Patronio-Russo, qui typis consi gnare studet vitam et gesta concivis sui Divi Nicolai de Politis, Si. culi quondam Eremitae, a Rmo. Archipresbytero Dno. Antonio Rundo ab Alcaria ad me missae fuerunt pergamenarum reliquiae, quae in arca sepulcrali sancti viri asservabantur, ut eas interpretarer; bio-. graphus enim inde eruere posse indicia certa, quibus inchoatam ope- ram perficeret, autumabat. At vero cum interpretatio membranarum Alcariensium satis procesisset, epistolam scribere supra memorato Petronio-Russo vo- lui impetraturus, ut mitteret ad me pergamenas, quae apud Adra- nenses reperiuntur, quaeque jam ab anno MDCCCLXX Romae in- terpretatae fuerant a Jeromonacho Cryptoferratensi Dno. Antonio Rocchi, ut cum mea prope confecta Alcariensium pergamenarum interpretatione conferrem. Absoluto satis hujusmodi difficili opere, manum admovi ad in- terpretandas. de integro hasce alteras Adranensium, ut omnium fragmentorum interpretatio sibi constaret. FIN ORA CONOSCIUTE IN SICILIA 9 Confecta vel hac bono omine; quo meliori potui ordine, et sparsa velut membra digerere, atque in unum colligere corpus institui. Atiamen ut discriminarentur pergamenae Alcarienses ab Adra- nensibus, unamquamque illarum in calce paginae obsignavi literis quidem graecis majusculis illas Adranensium, minusculis vero, item graecis, caeteras quae Alcariae adservantur. Hisce cognitis, unicuique facile erit adire locum, ubi reposita inveniet archetypa, ad collationem, si libeat, faciendam cum ista mea humili interpretatione, et cpdQuara, si quae sibi appareant - hic ir- repsisse, corrigere. 40 LE PERGAMENE GRECHE PIU’ ANTICHE PARS PRIMA PERGAMENARVM QUAE CONTINET Sragmenta duarum collectionum CExapostilariorum ineditoram Collectio prima Exapostilariorum » a xa Lo 20 @. le ie; Le. “e. (l'e ve, e) \ le (o Ve) i Si O 0a 0 0 0 0 0 0 0 è 0. 0.0 . _ 2 N [N nixfie,, ce. Titel t'et. te ei Ace: Ve: l'alveo; sal le, e) LVe:T re\(ce Veio nei co) [si lo...) ‘o. Te. Lieif{ei La) .e) ci9ì Lo; Lol e 12. Mavi 9 abdro xd'rÎc dflag TIWTOUAPTUPOG 13. xa. icatoctdiov @éxAng: mods TOV pabntoy (ONU) LO LIO VI e AE OO CO oi LOI O o pato oro Pergamena A Juxta R. P. Rocchi n.° 6 Pagina haec valde est vitiata, cujus characteres evanuerunt. Latina traductio linearis, quae respondet textui graeco ad verbum, pari incessu procedens, ita ut perfecte ipso textui jungatur. 412. Mense eod. (Sept.) XXIV. Sanctae Protomartyris 13. et paris apostolis Theclae: ad mod. Discipulorum î È Lee ele e 6 + » COMMISErationis DOT oe ACILIA SUI admirabilis martyr (I ia vio no O 0 XI DD Ta VW 0a FIN ORA CONOSCIUTE IN SICILIA d\N AVTETALO dvdprziv : GTopyÎs culsyou \oa- È 7 x / GA TAViov vat uovoy Tao- Modica * tà beta ddduara:— . . + Tpòg quvaîzec dxovticinte Tpofetoa xaddirapleve * taî- (1) e belare elonyAaecuy * t0Î beo- xipuros Tavdov * pUaprod pvnorfipos masîdes * xai Toò- Toy Azodovinoas * TpwTO- . piotus Toivale * © Oéx}- a icamdatode * dò xai vixn(6) OTEOAVOVG * TUpd ypLoTod iemuico:— \ i > _- TÀ n > da n 14. Maì 76 adro xs' tod drooti. io ToÙ PIE > A OeoXoy. Tpòs imeoxtbato pds ‘Hyamnpévos uaîntis * nat (1) Exapost. editum. desunt paginae sed repulisti virilem * amore consortis solu- . ta * Pauli et solummodo di- ligens * divina praecepta:— ...ad modulum Mulieres audile Corroborata pulera virgo * . divinis doctrinis * Dei prae- . conis Pauli * interitui obnoxium . sponsum contempsisti * et bunc . Imitata es * proto- ; . martyr in lucta egregia * o The- . cla par apostolis . coronam * a Christo accepisti:— . Mense eodem (Sept.) XXVI. Apostoli Joannis . Theologi: ad modulum Visifavit nos . Dilectus discipulus * et * propterea et victoriae Nota: signum (") est transcriptio puneti musici textus. 14 Variantes,quae le- guntur in editioni- bus Venetis, quae- que sunt melioris notae. P'oodeîca eienyroect x QPapròy uvnoriipa...nal TodTtO TÒ GTÉO0G Exapostilarion est quoddam fasciculum spirituale, quo terminatur Matutinus, inde incipiunt Laudes. EEE ET TEN A von oo 15. a 9 19 he o LIS Ò ° D ° . ® ° ° ‘O 00 + DU a 0020 412 LE PERGAMENE GRECHE PIU’ ANTICHE Tv * 6bev ce diddnpa dNOxAN- pov * e VixmTày dprépue * pefcNopdpTus nette * yprotòdg e 7 , O TAVTWY deGToTns se n DI n ro) 3 € Mavi tO adt@ xd toù Octov Ilaplwyog: Tpòs Tòv.év épripuo Adpdbavta * xat xdopov xatavydlovra ° TÒV Tépaci xai onpetorg * x DS vi Tapa yprotod Tiovrmobevta * TÒV péyav Dapiova * Gidaî- la dVELQNUAGO ev * Toec- Beder qap Éxdotote © brè- oi 4 1 p TOY TIOTEL TEMOUYTWY * TV iepàv adtod uviuavi— . .. unde te diadema inte- grum * ut victorem, Artemie * magne martyr, laudat * Christus omnium Dominus:— Mense eodem (Octobr.) XXI. S. Hilarionis: ad mod. Mulieres In eremo fulgentem * et mundum illustrantem * prodigiis et miraculis * a Christo locupletatum * magnum Hilarionem * canticis celebremus * interce- . dit enim semper * pro fide celebrantibus * sacram ejus commemorationem:— Mense eodem XXII S. Patris nostri Aberchii: Mendae Codicis quvatzes x 4 n n 1 ui a > ES > Mavi té durò xB toò Ocgiov Toarpds sipov Afspxiov: xAenler FIN ORA CONOSCIUTE IN SICILIA °°. +. Toòg yuvatzes dx0vTio)nts OSH "A Bépxtoy TIpaowpev * Toy Lepdoy mv ATTAVTEG * TOY , DS qao darpovoy (avre L= x ) idrxardoato (60ey ; TOÈS) TASL(V) sEe(didate*) Tpudda céBsuv dvttatov * (xat vdcove de)dexdrotat * Ta- nd Tistov Gvoudoln © (Be- hi l a Li DD 0 I DUI WI VA ? RA, cTÉGtos) ETUCLOG I PN ° Mavi T@ adr xy rod dy. ‘TaxdBov E, 0 TORA 0 Rd RR a. NE OC Hanc paginam obliteratissimam, quasi divinando, post multos labores restitui. ad modulum Mulieres audite . Aberchium honoremus * . hierarcham omnes * et- . enim daemonum oracu- la * condemnavit, unde * . omnes edocuit * . Trinitatem colere invictam * et . morbos decimatus est * - a fidelibus noncupatus est * (et) 410. divinus pro dignitate:— 41. Mense eodem XXIII Sancti Jacobi 12. fratris Domini... ...... ARENA a ot 45 n: . CAT 4 sauro cal 14 LE PERGAMENE GRECHE PIU’ ANTICHE Mendae Codicis >, Dit 7, dejdmng obdiv Tpoxpivas dotav micav Yivov xa- invoy Té\eutes * xai Auxtviov eÙ- Vzuviov doro N n SI TÀ xAeray * xo TOÙ YpIoTOÙ GTPATNAA- GIPATTÀ..... tune dà TOvV d0Xwy éfévov:— . + + Trpdg yuvaîxes dnovticànte Eravpò Bmpaxioduevog * / LA o € TavoTtiLav dracav* 6 ODIO x ” > / ”, È Bavpaotòs Év dvdpia | dvdpeta @eddwpog tvpnpetolo * de- dv Yap Tv devdeyupov * den dovupov x CI 7) f e’ GÙv Toîc s1d0Norg dract * nai Td Tepévn Eprebev® vai cTEpavov dobapotas * > - E) 4, / odpavéy év den yopeder it «+ + TOÙ dytov TOAUZApTOL ad e rr PD Tu won O Pergamena x Deest principiùm RR ei algo GUAIO 4. (Febbr. VII) dilectioni nihil anteponens * 2. gloriam omnem terrenam 3. dereliquisti * et Licinii glo- 4. riam * et Christi dux * 5. per certamina factus es:— 6. ad modulum Mulieres audite 7. Cruce loricatus * 8. armaturam omnem * 9. praeclarus in fortitudine * 40. Theodorus laudetur * de- 41. am enim falsi nominis * (1) 4 12. cum idolis omnibus * i 13. et delubra ussit * et 44. coronam aeternitatis * (accipiens) 15. caelorum in gloria exultat:— 16. .... (Febbr. XXIII) 8 sancti Polycarpi (1) Deam falsi nominis, idest Artemidem. ” FIN ORA CONOSCIUTE IN SICILIA x n 4, \ CI .’ LV DS LA XAL puadéXgov: TPOG Ò OUPAVOY TOÙG AGTOIOLS Toy CRETINO eréomn Tacebdopios uvdun * n , Guy Toiuzdoto TO bet- x N Lei zar oadioo TO Td yu Tag CÙTON GOTEI Tpeo- VA È, LI , x / 5 Beturs © EMEmony TOV Xaov cav: x Tpos goîs pabntaîs cuviNlwuev 00 I Dì Ut a wo D Kaprovs “iuds eLbdogny * 10. peravotas détmg * mpes- 11. fetzis 6 epydecdai ° Tpos C) 1124. YPLOTOY Tuppnciav ° roXÙ- 115 xapre Beopope | E fwy ©- 14 CI DECISE È x YA pa . G LEpaoy ne" xal udpTus Lo. ATEPLTPETTOG * ©e val 16. TpoToY ZON OVOVERIN SUS In Martyrologio Romano die 26 Januarii sic legitur: Smyrnae, natalis S. Polycarpi, qui beati Joannis Apostoli discipulus fuit..... cum quo etiam alii duodecim ex Philadelphia venientes in prae- fata urbe martyrio consumati sunti. PA 4dEX90g (Philadelphus) est forte unus ex istis duodecim. In Menologio Basilii Imperatoris DLXddc) gog notatur die VIII Febbr., HoXvxaprog vero die XXIII ejusdem mensis.—Notandum hie, quod postremum Ezapostilarium est incompletum, desunt enim XXX syllabae, ideoque remanet suspensum, et patet ex metro cantici. Syllabae XXX quae deficiunt, sic sunt divisae IV, XI, VIH, VII canticus integer sequenti modo dispositus est in syllabis, 8, 7, 8) 7; 8, 7, 8, 7, 4, 11, 8, 7. Desunt ergo paginae. 4. et Philadelphi: ad mod. Caelorum astris 2. Fratrum germanorum advenit * 3. venerabilissima memoria * 4. divi Polycarpi * 5. et illustris Philadelphi * 6. eorum, Salvator, suppli- 7. cationibus * miserere populi tui:— 8. ad mod. Discipulis adjungamur 9. Fructus nobis concede * 410. poenitentiae digne * 11. quod intercessionibus efficitis * ad 12. Christum confldentia * Poly- 13. carpe deifere * habens ut 14. hierarcha * et martyr 45. firmus * ut et 16. consuetudinem et thronum . .... Si Postremum hoc exapostilarion est incompletum, ideoque hic aliquo modo completus videtur sensus.—Concede ut digne fruamur fructibus poenitentiae; quod intercessionibus efficitis (refertur ad Polycarpum et Philadelphum) confidentia ad Christum, quoniam, o Polycarpe deifere, habes uti mar- 15 Coda. habet > , ETEGTEL Lepapynv tys firmus consuetudinem, et ut hierarcha habes thronum, unde obtines omnia a Christo. Sua AHAH OT 10 20 D O DI DU a wo - D 16 LE PERGAMENE GRECHE PIU (mpòs yuvalues dsovricdnte) (1) Zoptay TÙY oùpavioy * pepo Unxiie drdorode * TÙdS di- Tio TV putopwy * xl dapove TOY doTpovopewy * déXvcas TT NOTTI 601 * ò pdpue Tavaoidipe * naù pua- Ontà< evopevog * TÉTpOv n - > f S 9 TOÙ GOÙ aToctTo)ou * EVa- Ts ydpuros cov xipuxa * x > / DS i}. ° x al UÙTOTTNV TOÙ Xoyou KAl > , , - ù Lu d\nberag paptupa * xat obpaviov Gu|fpagéa * edayfe- Mov Tod delov * cè yervdoro- , ’ >» pev pupe * Qeotéore a- mioTode * iv @daîg edpa- est in praecedenti pagina. (ad modulum Mulieres audite) . (Apr. XXV) Sapientia caelesti * im- . butus * Apostole ver- . sutias rethorum * et . calculos astronomorum . dissolvisti lingua tua * o . Marce celeberrime * et di- . scipulus Petri Apostoli . tui * (praedicans) Evan- . gelii verbum:—ad mod. Discipulis . Gratiae tuae praeconem * . et oculatum testem Verbi * et . veritatis martyrem * et . caelestem scriptorem * Evan- . gelii divini * te agnosci- - mus Marce * divinitus inspirate A- . postole * canticis cele- * yyEXtov Tòv Abfov:- tpòs Toîc pab. Cod. habeat ACTP_VOLowY UÙTOTTLY (1) Modulus est additus, et deet in pergamena propter deficientiam paginarum, ut demonstratum FIN ORA CONOSCIUTE IN SICILIA 47 Cod. habet uodpuev * TÀv Lepay * pvapav N L x E) n Gv Tavo\fie xat artod- uev* mpecpéferv pos TÒv D 4 € x / x lA / / Kuptov * UTEp xocuov un Vette i KOGUW,.., \ELTILS Ti B' ToÙ detov Tatpds ipy > , N toi > , abavactov: Tpos mbg Uva d\otwToy Eis Ticav fiv beogavrop * x n TA TÀ x GU TNC Tprddog unpstas "TO O 00 I O Uta WI ouoodarov TedTEO * dpiov ai ca- ar Se BeXMfou * xaxodottav xa- a pen Detdeg * dbavaotas * ino pa O vue Lepdya:— fa Do EC TV 1 TOÙ drostINOv xal pad Dr edayfeMiotod ‘O TO Oeod: Tpòs..... ae I Tòy 0soXdyov Taveogov (MN D UUGTONERTAV Hal xApuxo. 4. bramus * sacram * memoriam 2. tuam beatissime et posci- 3. mus * ne deficias intercedere al 4. Dominum * pro mundo:— 5. Die II (Maii) Sancti Patris nostri 6. Athanasii: ad mod. Lumen immutabile 7. In omnem terram theologe * 8. tu Trinitatis praedicans * 9. homousion Pater * Arii et Sa- 10. bellii * malum dogma condem- 11. nasti * immortalitatis * co- 12. gnomine hierarcha :— 43. Die VIII Apostoli et 14. Evangelistae Joannis Theologi: ad mod... .. 15. Theologum sapientissimum * 16. sacrum oratorem et praeconem h 18 LE PERGAMENE GRECHE PIU’ ANTICHE Exapostilariorum Collectio altera recentioris notae Codex habet Ti té Noeppiov TOY day. Mapripwv xa. duodoyatòy ° giu, Toupia, Zapwvî mai Afifov: mpòs tmeoxtburo . Toy dilogopoy è pvipn: Zapo- vd ToÙ Tovpta © epicmmzeY nat AptBov * dvevpaprcopev APBA00 Tovtovs * og Elpuptav Tv x0pnv © dTACAVTEG Éx TOÙ TAOOV:T n DSi , n € > Mavi T$ aùdr@ 16 TOÙ Ay. dmoGtdd o Mardatov TOÙ eDayfeMLotod . +» Tpòs TOv pabnTo®v OoIOUA WITH Tv éxtedbv où xupuxa yeyovo- 10. ta | xuì TpoceXbovra ToÙTOv del Sere uabntetav © dravtes Ma- 12. tiatov tèv drdotolov evdotwy 13. awpyyriowpev* dg ToÙ yprotod Lrep 14. roélov © tò evayffMuov Jpddas:— TÙY edayÉXuov 15. Mavi 76 adr@ ‘0 god dy. Tpnyoptov god dav- 16. patovpyod: mpòs Oùpavdv Toùs deTporg 47 AdeApoxTovoy Mpvav * EErpavag 18. xa. Totapod* dpuiv Avéeoterras 19. fabdov - mugduevos Bavparovp- Pergamena } Die XV Novembris Sanctorum Martyrum et'Confessorum Guriae, Samonae et Abibi: ad mod. Visitavit 4. Victorum certaminis memoria * Samo- 2. nae Guriae * advenit et 3. Abibi * celebremus 4. istos * quoniam Euphemiam puellam * (1) 5. rapuerunt a sepulero:— 6. Mense eodem XVI Sancti Apostoli 7. Matthaei Evangelistae : 8....ad modulum Discipulorum 9. Perfectorum non praeconem fa- 10. ctum * et accedentem hunc 41. ad doctrinam * omnes 12. Matthaeum Apostolum * honorifice 13. celebremus * quoniam Christi pro 14. amore * Evangelium scripsit:— 15. Mense eodem XVII S. Gregorii Thau- 16. maturgi: ad modulum Caelum astris 417. Fratricidam lacum * arefecisti 18. et fluminis * impetum retinuisti 49. baculum * dirigens thaumatur- (4)m menologio non est pronunciatum nomen Puellae Euphemiae, raptae a sepulero; ideoque pri- mum Exapostilarium hujus paginae pertinet ad historiam. FIN ORA CONOSCIUTE IN SICILIA 10 po uu bavatodTat EPpatos è 2. etovlevficar ce 0Éfwv:- Tpds MO avaXAolwroy . PocTip Querdpo(v) édety0no* Tpnyo- 4. pre tepdpya* xai davpardbou- . TOG TÉ\WY * TAGAY TÙV XTI- 3 4 5 6. cu gwrtters* xat xutagàé- 7. yes alpéaerc* nai T&v dorpoveov 8. macav dy by indiozercit 9. Mavi 76 adr ui toÙ dj Matovogi mpdc OG AvAAà: 10. dos Tòv papripov edeiy0ns* Md 11. to oTEppOs tvabdicas * xat uao- 12. tupiov otepdvov: ivdotws xare- > / 19. xocunbns * xa cbv dyyéXows yo- 14. pesdov* pò duarettns © éxduow- 15. mv tòv Zotfipa:— do dpotov 16. H Tavayia Iaplévos * Tapaxa)0d- 17. ca tòv Oedv: Yié uov xat AuTewTA 18. uov* Stay xabioers cis xpiowv® 19. duaptorodg più xoldons* ele ai- 20. oviovs Bacdvovs :— . gum * et occiditur Hebraeus * contem- . nere te volens:— ad mod. Lumen immutabile . Splendor stellarum apparuisti * Grego- . rie pontifex * et miraculis refer- . tus cum sis * omnem creaturarum universi- . tatem illuminas * et combu- . ris haereses * et daemonum . omnem caliginem expellis :— . Mense eodem XVIII S. Platonis: ad Lumen immutabile 10. Lux martyrum visus es * Pla- 11. to strenue certatus * et marty- 12. rii coronis * gloriose exor- 13. natus es * et cum angelis tripu- 14. dians * ne intermittas commove- 15. re precibus Salvatorem:- aliud simile. 16. Sanctissima Virgo * obsecrans 17. Deum * Fili mi et liberator 18. mi * quando sedebis in judicium * 19. peccatores ne damnes * ad ae- 20. terna tormenta:— © 90 x So SO N D e ® WVHEHLHKKHKHKAKKKLKHEHNHW 5 LL FOLTA WDWDnO PETTINE 20 LE PERGAMENE GRECHE PIU’ ANTICHE \ n ci LS s O c) x n e 4, Mavi TO aùtò xd TÀ cicodizà TÎS Drrepaytas Ocotozov: Tpos palntov Naòg ò nabapdTatog TOÙ ZmwTpoc® Ta- N © zi x s GTA “) Toiutiuntog xat Taplé- vog* Gupepov eicdyetar eis dyua® TÀ TOV dytov dfla: ds odca fifracpévn * TO) Pacréwg Tv dAwv:- Tpòs imecxtbaro € DZ Nile NRE x /, H ebpuyopog Gav TÒ Lepdv TaXdti- ov° Toù facuéws TT Ode me * Èv TO 0x0 TOÙ Oeod* orpepov dvari- Betar® xa Tpo@piv obpavobev® d- VA 9 4). 3. x Da Ele ivdéyetan: — No Tpos yuvaîzec e\ SI ‘Oy Tdiat TPOXATNYYELAY * TOY (1) Tpopntov dò GYXXoyog® aTdpyvoy xai pabdov xat Bpdvov © xa diard- untoy 6pog* Mapiav tiv beoTar da ° TISTSC avevqupriomuev* cY- uepov Yap Tpocgpépetar * cio d'yia TOY dejiov © dvarebfivar Kuplp:- GINO Tpds pobntats A°Yf{wv tà GTpatesuata © cvue- (41) Exapost. editum cum variantibus. Mense eodem XXI introitus sanctissimae Deiparae ad modulum Discipulorum Sacrarium purissimum Salvatoris * tha- lamus pretiosus et Vir- go * hodie introducitur ad Sancta * Sanctorum Sancta * ut sit consecrata * Regi universorum:—ad mod. Visitavit Spatiosum tabernaculum * sacrum palati- 9. um * Regis gloriae * in 10. domo Dei * hodie dica- 44. tur * et escam caelitus * di- 42. gne recipit:—aliud ad Mulieres 13. Quam olim praenunciaverant * 44. Prophetarum consessus * urnam 415. et virgam et thronum * et inexcis- 46. sum montem * Mariam Dei ancil- 17. lam * fideliter celebremus * ho- 18. die enim offertur * ad Sancta 19. Sanctorum * consecrari Domino:- aliud ad Discipulis 20. Angelorum agmina hodi- Codex habet eUpriyopos . vi où pavobev Tpoxate tyyrday FIN ORA CONOSCIUTE IN SICILIA 1. pov avupvoderv® tiv ddtav R. Tod Oeod siuòv* év bbtotors Bo- 3. Gvra' xaù Toîg îv YA Tv ei- 4. privav* tiv Vedrarda xdpnv* 5. BadiCovoav eic dqua * TV 6. dyfov opovtowv*® xa tT6Y Boo- 7. tiv. iupavos dvd new 8. TpodnAodeay * fv TdviEg 9. pefaduvopev® dg Tpostd- 10. tuv 10ò xécpov:— 11. Mavì 76 adr@ xB' rod dy. Tpafopiov 12. où "Axpayavtivod: Tpds pis dvaXdotwtoy 13. dog în dicewo dvaretdag® TA- 14. cav tiv xtionv quriters® 15. taîs ppuxtopiars Tv Adyov® 16. Tpayspre icpdpya * dnparyav- 17. tivov tò xAfog ® TE ExxAnoi- 18. as * ò dravyàs papyagtTasi 19. Metà paprspwy duGwTEL ® TÒv 20. ereruova Oeùy * Tavbpyn(Te Oeotdxe) 21 Codex habet Opovtoy TpostaTav esset potius TpooTATIÒa, vel rpo- etAtW per licentiam, attenta eurithmia can- tici. TAG QPUXTOWPLUG . e laudant * gloriam Dei nostri * in excelsis cla- . mantia * et quibus in terra pa- . cem * Dei famulam Virginem * . gradientem in Sancta * . Sanctorum videntium £ et morta- lium * palam revocationem . ostendens * quam omnes . celebramus * ut patro- . nam mundi :— . Mense eodem XXII Sancti Gregorii . Acragantini: ad mod. Lumen immutabile . Lumen ex Occidente emittens * om- . nem creaturarum universitatem illuminas * . splendoribus verborum * . Gregorie pontifex * Acragan- . tinorum gloria * Ecclesi- ‘ . ae * perlucida margarita:— . Cum martyribus obsecra * misericordem Deum * celebratissi(ma Deipara.) è * ini o_o O LISTS > = de i e DI DD da (1 ded e i o DI Di x9 2 FINIS PRIMAE PARTIS PERGAMENARUM Victaai svitio TA IONI r i: sso: snai a ag tai, rStusderoogae». driisait rog: viràno. ira Men i ot i Dì A Agi plat rn romania dada ele para "4 api ì mM, S e =setiaen SAGGIO STOCICO-CRITICO SUL QUARTO VOLUME DEGLI ANNALI DI PIETRO RANZANO del Socio Padre LUIGI DI MAGGIO Letto nella tornata dell’ Inglio 1875 Se è debito d’ ogni cittadino rischiarare giusta i propri lumi e le proprie forze quanto concerne la storia politica, letteraria e civile, affinchè essa sia, a detta dell’oratore Romano, la testimonia sincera dei tempi e la luce fulgidissima della verità; discaro non torni, che io chiamato all’ alto onore di parlare per la prima volta dinanzi a voi, illustri accademici, fermi la vostra attenzione sopra un argomento agitato e non mai definito, che da poi quattro secoli interessa le ricerche degli eruditi e la mente de’ dotti. Il quarto volume degli annali di Pietro Ranzano, che in onta alle più accurate diligenze si trova mancante fra gli otto, i quali compongono |’ intiera opera; opera scritta in bello e nitido carattere da di- versi amanuensi con rari pentimenti e molte postille , delle quali talune sono autografe e non poche di propria mano di Tommaso Fazzello; opera conservata sino al 1866 religiosamente nella Biblioteca di S. Domenico di Palermo, e dopo la soppressione di quel Convento trasportata nella nostra Comunale, è il tema su cui dovrò intrattenervi. Quistione ardua; onde discordi sono gli scrittori no- strani e stranieri, i quali non potendosi affatto persuadere , come mai in un lavoro di otto volumi da molti riputato compito ne manchi uno intermedio , il quarto, e non potendo, nè forse volendo penetrare sino al fondo delle cose hanno scritto. non dirò con mala fede, ma al certo con leggerezza imperdonabile , le varie loro sentenze, le quali voi comprenderete ben tosto quanto siano lontane 9, ‘ SAGGIO STORICO-CRITICO dal vero ; e quel che è più, ingiuste ad un tempo e ricolme di calunnie e di vitupero verso gli uomini insigni del mio ordine, a cominciare dal padre della Sicula storia Tommaso Fazzello. Mettere in chiaro la verità, rivendicare l’onore d’uomini prestantissimi, ai quali mi lega non pure la stima e l’ affetto, ma eziandio la comunanza dello istituto, ecco lo scopo precipuo di questo qualsiasi discorso ; il quale non sarà di sole congetture e opinioni mai fondate , ma ricco d’ argomenti irrefragabili. poggiato a’ documenti quasi sineroni; che anzi alla stessa autorità del Ranzano : avendo io potuto con calma e pazienza svolgere più volte quegli annali ed an- che una buona parte de’ tanti manoscritti, che potevano darmi lume per gli avvenimenti storici, e formavano la gloria della Biblioteca e dell’ Archivio dei frati di S. Domenico di Palermo. Se le mie ragioni e l'autorità de’ documenti, che verrò sommettendo a voi, i quali siete la parte eletta del paese e i veri cultori delle arti. delle lettere e delle scienze, varranno a provare il mio assunto, e a persuader ancor voi che il quarto volume degli annali del Ranzano manca, non perchè perduto nè involato , ma perchè l’autore rapito dalla morte non arrivò a scriverlo; avrò al certo portata ancor io la mia pietruzza al grande edificio della storia , ritraendone compenso abbondante per la mia povera fatica. Che più; la vostra indulgenza potrà essermi di pungolo ed incoraggiamento a trattare in questo augusto consesso materie di simil fatta, alle quali nel torno di dieci anni spolverando e frugando vecchie e sdrucite scritture lo consacrato le ore libere dalle occupazioni del mio ministero. Pietro Ranzano nome assai caro all’ Italia e segnatamente a Palermo, che nel 1428 gli dié i natali. uomo dottissimo, detto dall’ Imveges (4), di elegantis- simo ingegno, come afferma il Mongitore (2), poeta egregio , retore valente ed oratore facondissimo, esperto mirabilmente nelle fisiche, geometriche e astrologiche discipline, storico a niuno secondo, giusta quanto ne dicono non pure i nostri ma eziandio gli scrittori stranieri. Cosa rara per gli uomini illustri Siciliani dei primitivi secoli dopo il risorgimento delle lettere : poco , anzi pochissimo cono- sciuti di là dell’isola. sia per le molteplici distanze e la difficoltà delle rela- zioni, sia per l involontaria negligenza dei padri nostri, usi più a far cose grandi, che a menar vanto di loro grandezze, sia per ispirito d’invida e di non curanza, sia altrimenti, ma sempre pochissimo conosciuti dagli estranei, che ignari si addi- mostrano degli uomini e delle meraviglie di questa classica terra , la quale se più studiata e più compresa , sarebbe senza fallo più apprezzata e più onorata. Laonde mentre veggiamo tacersi i nomi di tanti letterati ed artisti di quel tempo, fra’ quali il nostro Raffaello Vincenzo Anemolo, di cui serbano ingrato (4) De Panor. antiq. (41) Bibliotheca Sicula {. Il. SUL QUARTO VOLUME DEGLI ANNALI 3 silenzio gli storici più rinomati delle Arti Belle, troviamo però che tutti ne par- lano, ed encomiano tutti il Ranzano. Lasciando perciò da canto i nostri e il Faz- zello, e l’Auria, e il Mongitore, e il De Gregorio, e il Valguarnera, e il Barcellona e l’Oliveri, e molti altri; non posso non ricordare Leandro Alberti, il Tiraboschi, il Bettinelli, Amat de Graveson, l’Ughelli, il Lopez ed altri moltissimi scrittori non siciliani, i quali lo portano a cielo, chiamandolo concordi ornamento e decoro del secolo decimoquinto. Non è mio intendimento discorrere della vita privata e pubblica del Ranzano, né de’ suoi pregi morali, scientifici, civili: chè il campo diverrebbe assai vasto e mal potrei restringerlo nei limiti, che mi sono prefisso. Tacerò quindi degli uomini insigni, dai quali egli apprese le lettere e le scienze come d’ un Antonio Cassarino rinomato pro- fessore di lettere umane, d’un Carlo d'Arezzo, d’un Tommaso Pontano, de’ quali egli serba gratissima memoria negli annali, come pure del luminoso suo avanzamento ne- gli studi, del nome onorando lasciato nelle cospicue università di Pisa, Firenze, Pavia, de’ viaggi scientifici e continui, delle conoscenze ed amicizie contratte coi più celebri e peritissimi uomini di quel secolo, encomiati altamente da lui stesso negli annali medesimi, e Ciriaco d’Ancona, Vitaliano Borromeo, Apolinnare il filosofo. Leonardo Aretino, Giovanni Filangeri, Lorenzo da Ripafratta, Gian Battista da Fabriano, Francesco Filelfo da Tolentino, e sopra tutti Lorenzo Valla, il quale in tale stima lo tenne da volergli sommettere la traduzione del Tucidide in latina favella, affinchè egli la rivedesse. Tacerò inoltre degli onori eminenti e delle cariche dignitose di cui il nostro concittadino venne insignito. Dalla corte di Napoli chia- mato ad ammaestrare Alfonso e Giovanni figli di Ferdinando d’Aragona, e da quella di Roma elevato al grado di Maestro del Sacro Palazzo e di Vescovo di Lucera. Spedito da questa per ben due volte ambasciatore a promuovere le crociate contro i turchi e da quella ora in Francia ora appo Mattia Cervino re d’ Unghe- ria, ove per tre anni con somma sagacia adempì il suo compito : facendo sempre negli intricati affari politici prevalere il suo senno pratico e il suo meraviglioso sapere. Né io bramo fermarmi sulle molteplici opere da lui scritte, delle quali talune veggonsi oggi pubblicate come quella sull’origine, antichità, primordii e progresso della felice città di Palermo (41), sulle vite di S. Vincenzo Ferreri e di S. Bar- bara. Di ciò potrassi riscontrare |’ esatto elenco che il Domenicano Antonio Lo Presti, uno fra’ dotti del secolo caduto encomiato dallo Scinà (2), sotto il nome di Valentino Barcellona, ci lasciava nel libro intitolato Memorie della vita letteraria e dei viaggi di Pietro Ranzano (3). Mia meta, come già vi dissi, è parlar degli (1) De origine, antiquitate, primordiis et progressu felicis urbis Panormi. Opusc. d’Aut. sicil. t. 9. (2) Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo XVII, t. I, p. 178 e t. II, p. 207, 277. (3) Opuse. Siciliani, tomo VII. 4 SAGGIO STORICO-CRITICO annali soltanto, e precipuamente del quarto volume d’ essi che trovasi mancante. Gli annali del Ranzano dall’ origine del mondo sino al 1448 formano dav- vero la gloria precipua del nostro concittadino. Opera ardua per lui, che agli studi della vita privata dovea accoppiare le cure del proprio ministero, gli uffici e gli incarichi della vita pubblica. Opera difficile e nuova. Fu il primo slancio del genio umano, il quale non pago di sapere i fatti domestici e cittadini volle spiccare un volo ardimentoso ed aggirarsi come arbitro e sovrano nello spazio immensura- bile del tempo, divorando a libito i rotanti secoli per raccoglierne l’epoche più me- morande. E se a’ dì nostri non desta tanta meraviglia, perché il progresso letterario ci fornisce abbastanza storie universali , e forse , più esatte e meglio ordinate. non è poi giusta critica di quella rinnegare i pregi ed il merito; che giganti ci si presentano risalendo quattro secoli indietro, quando era assai malagevole raccogliere i fatti e gli avvenimenti lontani, e per la difficoltà de’ viaggi, e per l’ isolamento de’ regni e delle città, e quel che più monta per la rarità de’ codici, essendo allora in sul nascere il grande beneficio della stampa: conciossiacchè non è bene giu- dicare gli uomini sfaccandoli da’ luoghi, da’ tempi, dalle circostanze. Epperò questo lavoro sì pregevole, benchè non manchi de’ suoi difetti come tutte le opere di simil fatta, rimase inedito : salvo i libri 43 e 44, che trat- tano della storia d'Ungheria, ei quali vennero pubblicati più tardi (4): come ancora qualche piccola memoria e taluni brani, tra’ quali piacemi quello rammentare, in cui l’autore parla di Branca Sicolo e del figlio Antonio prestantissimi Chirurgi dei suoi tempi, inventore l’uno della rinoplastia e della chelioplastia l’altro (2). Inven- zione nostra contrastataci pure dagli scrittori d’ oltremonti e d’ oltre mari ; usi non di rado a spacciar come proprie, le scoperte da noi fatte tanti secoli prima! Gli annali anzidetti sono divisi in 50 libri e in 8 volumi incompleti, benchè altri li affermasse in libri sessantuno e in otto volumi completi tutti, e tutti esistenti. Ciò mostra ad evidenza che pochi li videro e li svolsero, e i più dis- sero ciò che loro non costava. Da qui la grave controversia insorta, non si tosto venne annunziato da chi pazientemente li percorse e li studiò che l’opera è divisa in libri 50, ed è incompita: anzi il quarto volume onninamente mancante. Fu questa nuova che divise gli scrittori siciliani e stranieri in due campi. Gli uni sostenendo il quarto volume o involato o perduto sulla fine del diciassettesimo (1) La prima fiata nel 1558 per la stampa di Vienna d’ Austria, e la seconda nel 1600 in Francofort col titolo Epithome Rerum Hungaricarum per indices auctore Petro Ranzano (2) Trattandosi d’ una invenzione , la quale è tutta gloria nostra è bene qui segnare le pa- role stesse dell’autore scritte nel vol. VIII, pag. 207, anno 1442. « Claret quoque per haec tempora Branca Siculus chirurgicorum omnium, qui toto orbe sunt, praestantissimus. Iuvenit in ea aetate quaedam admiratione digna, et fere incredibilia. Excogitavit enim modum, quo mutilatos nasos re- formaret, ac suppleret. Cujus filius Antonius pulcherrimo patris invento non parum adierit. Quippe non solum nares, sed labraque et aures mutilatae quemadmodum resanarentur excogitavit. PO SUL QUARTO VOLUME DEGLI ANNALI 9) secolo o sul principio del secolo decimottavo : non essendovi dubbio veruno della primitiva esistenza, avendolo scrittori degni di fede avuto fra fe loro mani e stu- diato : e gli altri più audaci asseverandolo rapito da Tommaso Fazzello, il quale ne fece tesoro per l’opera sua intorno alle cose di Sicilia (1). E questi concetti furono così fitti in mente, che il Tiraboschi, I Apostolo Zeno, il Lo Presti ed anche l’Olivier, ricordato con onore dallo Scinà per le fisiche conoscenze (2), uomo laborioso e diligente nello svolgerei manoscritti dell’ Archivio e della Biblioteca di San Dome- nico, tutti ci hanno a coro ripetuto il quarto volume degli annali o rubato o perduto. Concetto invalso comunemente anche a’ dì nostri, cui assentì fra gli altri lo storico Emiliani Giudici e quel vero amator delle patrie cose, uomo di gran cuore ma facile a dar fede a’ detti altrui, Agostino Gallo, il quale mi si presentò un giorno, sono ora tre lustri in quel momento in cui m° accingeva a ponderar bene questa quistione, e gongolante di gioja m° annunziava ritrovato l’anzidetto volume aven- doglielo assicurato un dotto tedesco, che diceva averlo. veduto in una biblioteca delle città del Nord; equivocando senza fallo col Ms. sulla vita di S. Vincenzo esistente in Utrecht, o pure con qualche altro volume di lettere ed’ orazioni, che inedite rimasero in Ungheria. Richiesto in fatti l’esimio viaggiatore del paese della Biblioteca in cui esisteva il desiderato volume, non fu possibile nè su- bito, nè poi averne risposta. Nè poteva aversi; perchè esso a mio avviso non venne mai scritto. Prima di ciò dimostrarvi stimo ben giusto ribattere le due opinioni esposte, donde più facile mi si aprirà la via a comprovare l’assunto. Però. debbo innanzi tratto rigettare onninamente ciò che scrive l’Amat de Graveson (3), il quale ragionando degli Annali del Ranzano dopo d’ avere asserito che questa opera venne composta in libri sessantuno e in otto volumi, conchiude : esisterne un solo a’ suoi tempi, cioè | ultimo, intorno alle cose d’ Ungheria; non dando mente che quest'opera da lui citata , e forse sola da lui conosciuta perchè già data alla stampa come accennai, non contiene che due soli libri del volume ottavo. Devo anche respingere ciò che affermano quei due scrittori il Gerio (4) e l'Oleari (3), entrambi ingannati nel riputare gli annali del Ranzano divisi in sei libri. Però lasciando da canto ciò che altri scrisse non dando mai nel segno circa al numero de’ volumi e de’ libri in cui l’opera fu divisa, non posso tacermi di quel cele- bre storico Leandro Alberti, il quale del Ranzano così discorre « trovandomi a Palermo volli vedere i quattro grossi volumi di questo autore pieni di scienza, (1) De Rebus siculis decades Il. (2) Op. cit. t. II, pag. 37. (3) Historia Ecclesiastica tomo V. (4) Append. ad par. Il Histor, liter. Gulielmi Cave. (5) Bibl. Script. Eccl. \ 6 SAGGIO STORICO-CRITICO di geografia, di storia. scritti con dolce e leggiadro stile (4). » Ora 1 errore in cui cadde 1’ Alberti è assai evidente. I quattro grossi volumi da lui veduti nella Bi- blioteca di S. Domenico non erano um’ opera diversa dagli annali, ma quattro volumi di essi; e mi reca meraviglia in pensare come egli domenicano, e perciò in istato di svolgere a suo bell’agio l’ intiera opera, quattro e non più ne avesse veduto. ‘Veniamo ora alle due opinioni da me annunziate circa al quarto volume degli annali suddetti, le quali benchè in senso diverso , pure concordi sono nel so- stenere che esso o involato venne o pure perduto. Il Mongitore, cui dobbiamo essere grati per le sue laboriose opere intorno alle cose di Sicilia gittò, forse non volendo, il pomo della discordia, e colpa sua se coloro che gli tennero dietro, il Tiraboschi (2), lo Zeno (3), il Quetif (4), 1'Oli- vier (5) ed altri moltissimi, poggiati al suo nome ed alla sua autorità, indotti furono nello stesso errore, dimenticando essi medesimi il tanto noto e trito adagio: non volere giurare nel detto del tuo maestro : perchè la sana critica deve fondarsi su’ fatti e su’ documenti, e non già sulle asserzioni spesso dubbie e non di rado false di chi ha scritto e parlato prima di noi (6). Il Mongitore invero facendo cenno delle svariate opere del Ranzano cita principalmente gli annali, e li chiama opera sommamente egregia e eruditissima, MS. in otto grandiosi volumi in foglio. Contiene, egli dice, libri sessantuno, i quali abbracciano la storia di tutti i tempi e di tutte le nazioni, donde non pochi hanno tratto materia per arricchire le loro storie. I volumi d’ essi annali si con- servano nella Biblioteca del Convento di S. Domenico di Palermo, i quali più volte io vidi e svolsi, quos pluries vidi et evolvi. Nè di ciò ancor pago, poco appresso si fa a biasimare Tommaso Fazzello. e dice: che questi fu tratto in inganno nel chiamare opera incompleta gli annali del Ranzano, mentre dallo svolgimento d’ essi chiaramente si manifesta, essere stata l’ istoria condotta al suo perfetto compimento Ranzanum Historiam suam ad umbilicum perduzisse (7). Che anzi- per confermare il suo assunto c'invita ad esaminare l’intiera opera dal primo all’ot- tavo volume cioè dall’ origine del mondo sino al 1448 , senza punto badare (1) Descrizione di tutta l’ Italia, e propriamente nella parte in cui tratta delle Isole apparte- nenti all’ Italia?medesima. (2) Storia della letteratura italiana, tom. VI, par. Il. (3) Diss. voss. t. I. (4) Scriptores Ord. Praed. Opera incominciata dal Quetif e compita dall’Echard. (5) Annali del Convento di S. Domenico di Palermo vol. in fol. MS. che faceva parte delle scritture di quel Convento. (6) Leggendo accuratamente gli scrittori sopra citati e tanti altri venuti dopo il Mongitore si vede chiaro che intorno a ciò seguirono come ciechi la sentenza di lui, mentre del suo nome e della sua autorita si fanno scudo. (7) Bibliot. Sic. tom. II. SUL QUARTO VOLUME DEGLI ANNALI 7 che i mancamenti vi si scorgono sin dallé prime pagine, e che l'esame anche più superficiale ci porterà a conchiudere tutt’altro di ciò che sostiene il Mongi- tore. Qui non ci è da ridire, i fatti non si distruggono con le parole, nè l'autorità, nè il nome di persona qualsiasi potrà mutare la realtà delle cose : o che il chia- rissimo scrittore non svolse mai quegli annali, o ne sfiorò appena qualche pagina, o meglio prestò fede alla relazione, che gliene fece qualcuno inesperto. Come verrò esponendo, gli annali sono incompiti, i libri sono cinquania non già sessantuno e il quarto volume a’ tempi del Mongitore non esisteva affatto: come adunque prestar fede alle parole di lui pluries vidi et evolvi ? Un documento irrefragabile condanna il Mongitore. In mezzo a’ tanti Mano- scritti del Convento di S. Domenico per fortuna ne trovai uno sdrucito e abba- stanza logoro col titolo Manoscritto della storia dell’ ordine dei Predicatori t. II (4). Esso è in caratteri diversi, e fu scritto in varii anni dal cadere del 1500 sino all’an- no 1632. Non più tardi affatto del 1640, perchè parlandosi della Chiesa di S. Dome- mico di Palermo si ragiona della seconda fabbricata a' tempi del Rauzano mede- Simo , e si afferma quale oggi si trova. Or la presente è la terza chiesa, la cui prima pietra fu gettata l’anno 1640, del quale avvenimento non havvi affatto memoria nel citato manoscritto. In esso pertanto, là ove si ricorda il Ranzano si legge (2). Y/ra Pietro Ranzano ha scritto 50 libri in otto volumi in foglio assai grande intitolandoli. Annales omnium tempormn. Acciocchè poi non nasca equivoco, poco appresso (3) si ritrova scritto dalla stessa mano e con carattere identico: Omnia opera Ranzani sunt lib. quinquaginta et volumina septem. Se adunque prima del 1640 i volumi esistenti nella Biblioteca di S. Domenico erano sette e non già otto, se i libri erano cinquanta e non già sessantuno, se essi erano incompleti e non già completi, come può dire il Mongitore |’ istoria del Ranzano essere stata conduita al suo termine? come aggiungere in conferma del suo -asserto io, io stesso li vidi più volte e li svolsi, pluries vidi et evolvi? Venuta meno | autorità del Mongitore cade da per sè stessa quella degli scrittori susseguenti, che, poggiati all’autorità di lui, asserivano a piena gola il quarto volume esistere nel secolo diciassettesimo nella Biblioteca Domenicana, e dopo essere stato involato o perduto. Strana cosa pei fatti e per la storia giu- dicare dalle parole di un solo: la scoperta de’ documenti ci smentirà di leggieri, lasciandoci la macchia d’inconsiderati e di plagiarî! Tolta così di mezzo la prima sentenza, alla seconda è d’uopo/rispondere, la juale, non vel niego, mi fa rimescolare il sangue nelle vene; perchè getta il (41) La dizione originale è la seguente. Manuscritte Historiche dell'Ordine di Predic. t. 1I. Non ii fu possibile ritrovare il primo volume benchè ne avessi fatto le più diligenti ricerche. (2) Pag. 4 a tergo. i (3) Pag. 34 a tergo 8 SAGGIO STORICO-CRITICO fango in faccia ad un uomo decoro ed ornamento del mio ordine e della Sici- lia, Tommaso Fazzello. Oh come è potente il serpe maligno dell’ invidia! Gli uomini elevati sono quelli che più ne risentono i morsi velenosi, mentre i me- diocri e gli oscuri passano illesi e inosservati. Non mancherò provarvi come il quarto volume degli Annali non venne mai scritto, per cui senza fonda- mento l’ accusa: ma prima voglio dirvi come l’involarlo sarebbe stato difficile, dirò anzi impossibile pel Fazzello, suppostane pure l’esistenza. Non v’infastidite se scendo a ragguagli forse noiosi, ma interessanti al mio scopo. Io debbo esporvi le leggi e le usanze del mio istituto alla morte di un religioso, e comprenderete meglio da per voi stessi quanto vi affermo. Av- venuta la morte il cadavere era trasportato nella stanza mortuaria, i suggelli si apponevano alla porta della propria cella alla presenza dei padri seniori formanti il Consiglio, nè quelli si rimuovevano se non dopo tre giorni coll’intervento del Consiglio medesimo: quindi si redigeva un inventario di tutti gli oggetti, e il prezioso passava alla casa amministrativa, i libri e i manoscritti alla Biblioteca per essere registrati nell’ indice universale. Seguite appuntino tutte queste for- malità come potersi rubare e smarrire un manoscritto. se avvenimenti abba- stanza gravi non avessero messo sossopra le Biblioteche? (1) Il Fazzello nep- pure potè trovarsi in quel torno; chi lo afferma disconosce la storia. Quando i manoscritti del Ranzano furono depositati nella Biblioteca di S. Domenico, il che dovette accadere tra il 1492 e il 1493, il Fazzello non era ancora nato, e solo quattro lustri dopo che il Ranzano si moriva, egli entrava a far parte dell’ or- dine domenicano. Nè poteva compire un furto sì ardimentoso in tempi posteriori, perchè lasciando da canto la sua morale e la sua dottrina, impossibile ciò era di fronte a’ religiosi cospicui di quei tempi, che come lui sudavano nella Biblioteca a studiare quello ed altri manoscritti, da’ quali arriechivano il loro sapere. E quando ciò non fosse, come mai non trovarsi veruna memoria d’ un furto così interessante o d'uno smarrimento importantissimo nè nel manoscritto testè citato, nè in altre scritture sinerone o quasi sinerone della Biblioteca o dell’ Archivio? Non si trattava d’' un’ opera poco conosciuta e poco apprezzata. ma d’un lavoro che tosto s’ ebbe il plauso universale, ed encomiato venne dallo stesso Fazzello. Però lasciamo le prove di ragione ed entriamo sino al fondo della qui- stione. AI che comprendere siami permesso toccare di volo le materie conte- nute negli Annali e il quando e il come furono scritti dal Ranzano. Ciò servirà a distruggere onninamente il detto del Mongitore, il quale li vuole compiti; e a far sì che non si desti meraviglia se si trovi mancante un volume il quale in or- dine è il quarto, anziché l’ottavo, il quale è l’ultimo. (1) Quando il religioso moriva fuori del proprio convento, i libri e i ms. venivano assicurati con le medesime cautele e poi a quello fellelmente rimessi per l’uso anzidetto. SUL QUARTO VOLUME DEGLI ANNALI 9 Il Ranzano, come tutti quei sommi che imprendono opere gigantesche, serisse i suoi Annali a riprese, e non già con quell’ordine e quella continuità come è solito seriversi una novella o una piccola cronaca. Ciò che potrassi os- servare facilmente svolgendo i sette volumi; ne’ quali, checchè ne dica il Mon- gitore, si trovano lacune moltissime, e quando mancano intieri indici o capitoli. quando questi segnati senza il loro svolgimento, lasciandovi uno o più fogli in carta bianca. per indicare il posto ad essi destinato, e quando ancora intieri li- bri. Là infatti (41) ove si descrive la Siria trovasi il seguente titolo. Ebbe la Siria moltissimi uomini illustri, non solo filosofi, ma eziandio nella religione e nella dottrina cristiana eccellenti (2 ); però i nomi di questi non vi si leggono, il fo- glio è lasciato in bianco, e solo trovasi scritto in sulla fine: Sin qui intorno agli uomini illustri che ebbe la Siria (3): dando a conoscere che tale era il suo concetto, il quale non potè portare a compimento. E altrove parlando di Lucano e della sua Farsalia dice: Dalla stessa Farsalia ho poi raccolto molte sentenze degne d’ essere osservate. le quali ho segnato in questo luogo (4). Ma le sen- tenze non vi sono descritte, e il foglio anche è rimasto in bianco. Lo stesso è a dirsi de’ tre libri del vol. VI (5), ove doveano svolgersi gli avvenimenti da’ tempi di Ludovico il Pio, sino al 1440 in cui comincia il lib. 40: spazio as- sai poco per circa cinque secoli di storia! D’ essi libri appena è scritta la prima facciata e non intiera, cui seguono poi diversi fogli in bianco con in fine cin- que linee autografe del Fazzello, riportate dal Barcellona (6) e novissimamente ristampate dal solerte e laborioso nostro socio Ab. Di Marzo, dalle quali si ri- leva che quelli non furono composti dall’autore (7). Jo son d’avviso che il primo concetto del Ranzano non fu quello di seri- vere la storia universale , sì bene gli Annali de’ suoi tempi. L’ ottavo volume ch'è creduto l ultimo da lui composto fu anzi il primo, e ciò si rende mani- festo dalle parole dello stesso scrittore intorno a S. Vincenzo Ferreri. Poiché, (4) Tomo 3, pag. 30. (2) Tulit Syria viros per plures illustres non modo philosophos, verum etiam Christiana reli- gione ac doctrina praestantes, loc. cit. (3) Tom. cit. pag. 30 a tergo. Hactenus de viris illustribus, quos tulit Syria. (4) Tom. 6, pag. 123, ex ipsa autem Pharsalia multas delegi sententias notatu dignas, quas hoc loco adnotavi. (5) Lib. 37-38-39. (6) Memoria cit. (7) Bullettino della Biblioteca Comunale di Palermo, anno 1874, N. 4 — Le parole del Fazzello sono: « Hic deficiunt tres libri, videlicet 37, 38 et 39, quos vel auctor non edidit, vel furto aliquis extraxit. Sed primum certius videtur: cum ut videre est libro 37 titulum inscriptum tantum; sed res gestas non composuit, ut retro ante nonum folium est legere, in quo a fronte est titulus, et a tergo vacat cum reliquis aliis foliis: quod evidentissimum ejus est signum, quod pro certo affir- mandum est. » 2 410 SAGGIO STORICO-CRITICO egli dice, delle meravigliose virtù d’' un tanto uomo dovrò parlarne a suo luogo, tralascio in questo tutte quelle cose etc. (1). Quando adunque egli scrisse l’ottavo volume non avea ancora scritto la vita del Ferreri: non così quando ei com- pose il quinto; perchè in esso ci parla della vita di S. Vincenzo già scritta da lui stesso per comando di Callisto III Pontefice (2), il cui governo fu dal 1455 al 1459. Ne conseguita quindi che l'ottavo volume fu scritto prima del quinto. e questo non più tardi del 1459. Se mi sarà lecito annunziare una idea, dirò che l’ordine seguìto in quest’o- pera fu il seguente. Il lavoro incominciò coll’ottavo volume, poi col quinto, se- sto e settimo, cui tennero dietro gli altri dal primo al terzo; onde prevenuto da morte non potè scrivere il quarto. Questa mia congettura prende argomento dagli stessi Annali. Divisi in cinquanta libri o in cinque decadi si possono consi- derare come lavoro intento a segnare due periodi distinti; il mondo antico e il mondo nuovo. L’ antico dalla creazione del mondo a G. Cristo, ciò che dovea essere tema dei primi quattro volumi, e il nuovo da G. Cristo a’ tempi dell’au- tore ciò che dovea esser trattato negli altri quattro. Nulla quindi da stupire se nel volume quinto in cui era scritto lib. 24-22-23 si vedono cancellati questi nu- meri e suppliti col lib.14, 2, 3. il che non più si avvera dal lib. 24 in poi. Nè monta che nel volume primo il Ranzano parli del Redentore , perchè ivi ne discorre più teologicamente che storicamente, e si parla più del Messia stesso che degli avvenimenti del mondo dopo la venuta di lui: i quali narrati si veggono a cominciare dal quinto volume. Che l’ ottavo volume impertanto fosse stato scritto prima del quinto non è dubbio, ma che il primo, il secondo e il terzo fossero stati composti dopo i secondi quattro è una mia congettura, la quale giustificare non posso con documenti, ma vi prego non respingerla del tutto, dando mente che 33 anni passarono della vita del Ranzano dal dì che il quinto volume fu composto; e se gli altri fossero stati compiti allora quando il detto volume fu condotto al suo termine, tempo abbastanza ei si avrebbe avuto ad ultimare il lavoro ; riflettendo eziandio che il quarto volume in cui dovea toccare dell’Impero Romano, delle isole adiacenti all’Italia, e in particolar modo della Sicilia, dovea esser la parte più importante serbata all’ultimo, di che dava ad ogni passo le più belle speranze e le più lusinghiere promesse. Che più: se il quarto volume compito egli avesse quando ebbe composto gli ultimi quatiro, ne avrebbe senza fallo fatto ricordanza, come fece della vita del Ferreri, della quale, non sì tosto adempì la sua fede, che ce ne rese avvisati. (4) Vol. 8, lib. 46, pag. 382.— Quoriam tanti vini mirificis virtutibus mihi suo loco dicendum est, praetermittam hoc loco ea omnia ete. (2) Tom. V, lib. 22.—Claruit Patrum nostrorum memoria P. Vincentius, cognomento Ferrertus, natione Valentinus, cujus coelibem sanciamque vitam scripsi ego jussus a Callizto Maximo Pontifice. SUL QUARTO VOLUME DEGLI ANNALI 41 A chiarire sempre più il mio asserto , siate cortesi nel seguirmi in un. breve cenno delle materie che il Ranzano svolge ne’ suoi Annali. Tenuta pre- sente la distinzione de’ due periodi, vedremo come i primi quattro volumi do- veano essere divisi in 20 libri per narrare i fatti dell’èra antica, e gli altri in 30 per isvolgere quelli dell’ èra novella. Il primo volume, di cui sventuratamente mancano non solo i primi tre indici o capitoli del lib. 4, ma eziandio tanti al- tri o in tutto o in parte dei libri susseguenti , e il quale è pieno di tante la- cune, tocca gli avvenimenti in generale delle varie età del mondo sino a G. C. Lacune non poche si trovano nel secondo volume, in cui partitamente ragiona . de’ Medi, Indiani, Egiziani, Assiri, e dell’ Etiopia, Abissinia, Africa, Asia Mi- nore, Armenia. Le stesse lacune si scorgono nel volume terzo in cui tratta della Siria, Arabia, Grecia, Turchia; si parla pure di Maometto, ma credo che questo periodo stia meglio altrove. E qui mi piace ricordare, che il Ranzano lascia tante volte la veste di storico per rivestire quella di teologo, apologista, biografo, poeta: onde veggiamo sparsi qua e là trattati di teologia dommatico-mo- rale, d’ascetica, d’apologia e insieme biografie di santi e di uomini illustri, non che bellissime poesie. Certamente se la vita non gli fosse venuta meno, e tempo avesse avuto a darvi il limue labor, molta materia avrebbe dagli Annali sottratto, e messa a proprie posto. Chiude il terzo volume col lib. 44 e 45 in cui parla dell’Italia, prima in generale e poi in particolare, dividendola in diciassetie parti, o provincie, o regioni, che dir si vogliano, e sono l’Etruria, il Lazio, l'Umbria e Sabina, la Campania o Terra di Lavoro, la Lucania o Magna Grecia, la Calabria, la Pu- glia, il Regno Napolitano cioè Abruzzi, la Marca Anconitana, la Flaminia o Ro- magna, la Lombardia, la Marca Trevisana, la Venezia, il Forwm Juli o VAqui- leja e I Istria. Forse a questi due libri precipuamente intese fare allusione il citato Leandro Alberti quando (4) dietro d’ aver chiamato il Ranzano uomo dotto, virtuoso e saggio disse: Sono molto obbligato a questo letterato uomo per avere avuto lume da lui in descrivere alquante regioni. Nulla però il nostro concit- tadino scrisse nel terzo volume sull’Impero Romano e le isole adjacenti all’Italia, questo dovea essere tema de’ cinque libri del quarto, non potendone trattare negli altri posteriori, riserbati alla narrazione de’ fatti dopo la venuta di G. Cristo. Nè punto m’inganno. Egli stesso sulla fine del terzo volume scrive: poichè il Ro- mano regno, onde sarò quindi per trattare nella stessa Italia fiorì: e poco ap- presso aggiunge: non ho pertanto toccato dell’ isole, che sono adjacenti all’ Ita- lia, delle quali farò menzione ne’ luoghi più idonei (2); e questo luogo idoneo (1) Op. cit— Descrizione di tutta l’Italia. (2) Ecco le parole originali: « Propterea quod Romanorum regnum, de quo sum hine scripturus in ipsa (cioè Italia) floruit..... itaque neque ipsas attigi insulas, quae Italiae adjacent, de quibus men- tionem in locis magis idoneis, » vol. 3, lib. 15, p. 507 a tergo. 12 SAGGIO STORICO-CRITICO dovea essere per conseguenza il quarto volume, non avendone egli nè ne’ susse- guenti, nè altrove giammai parlato. Nel quinto, sesto e settimo volume raccoglie l’autore la storia dell’èéra volgare, e questi sono i volumi che hanno minori la- cune ; ciò che mi conferma sempre più d’ essere stati scritti innanzi che com- posto avesse gli altri. Discorre in essi di G. Cristo, degli apostoli, de’ discepoli, de’ pontefici. de’ concilii, degli imperatori d'Augusto a Costantino, e da Costan- tino a Carlo Magno; come pure degli uomini illustri a cominciare da’ tempi di Augusto. Ne’ tre libri 37, 38, 39. e che egli non arrivò a scrivere, dovea nar- rare, come già vi dissi, la storia da’ tempi di Carlo Magno sino al 1439 per così attaccare coll’anno 1440 in cui comincia l’ottavo volume. Dal fin qui detto ne emergono le seguenti conseguenze : f. Che gli Annali del Ranzano non sono un lavoro compito . come volle asserire il Mongitore. 2. Che l’autore non li scrisse per ordine cronologico, nè cominciò dal primo per poi finire coll’ottavo volume; sì bene con ordine inverso incominciando dal- l’ultimo, o per lo meno questo dettando prima del quinto. 3. Che il quarto volume dovea contenere la storia dell'Impero Romano, delle isole adjacenti all'Italia e precipuamente della Sicilia nostra. 4. Che esso non esisteva verso la metà del secolo XVII, l’ autorità del Ms. di sopra ricordato ne toglie ogni dubbio. 5. Che lo storico Fazzello non l’involò, nè lo potè affatto involare. 6. Ch’ è assai probabile, se non d’ una certezza evidente, che il detto vo- lume quarto non venne mai composto, benchè più volte promesso, dico non d’una certezza evidente, perchè mi manca un documento sincrono: però le parole stesse dell’ autore e quelle del Fazzello potrebbero anche questa certezza costituire , e metterci al caso d’un giudizio esatto e sicuro. | E qui pria di dar termine al mio dire, lasciate ch’ io vi presenti taluni passi raccolti dagli Annali medesimi con in margine le postille del Fazzello , e spero sentenzierete ancor voi, che il quarto volume fu sempre promesso e non mai composto. È Ed in vero descrivendo il Ranzano l'Etiopia e toccando come per incidente d’un legato spedito di colà ad Alfonso verso l’anno 1450, promette a suo luogo trattar molte cose intorno a questo Re, e spiegare sì la venuta che il motivo della ambasceeria allora quando sarebbe stato per narrare le cose degne di memoria acca- dute nell’anno di sopra citato (1). Eppure di questo avvenimento non se ne fa più motto, il che mi porta a conchiudere essere ciò una semplice promessa, la (1) De quo rege (Alfonso) multa mihi sunt suis in locis commemoranda: tom. 2, pag. 94 e pag. 93 a tergo aggiunge: Adventus ac legationis ejus causam explicabimus, quum narranda nobis fuerint quae relatu digna in orbe attigerunt anno ab ortu Jesu Christi, quem ante expressimus. ———_ e -}——x\.;-_c. SUL QUARTO VOLUME DEGLI ANNALI 15 quale dovea trovare il suo posto o nel quarto volume serbato agli avvenimenti di Napoli e di Sicilia, o pure nella continuazione del volume ottavo, ove egli avesse avuto in mente di scrivere gli Annali dal 1449 in poi. Però la prima idea mi sembra più esatta, e me ne dà ragione lo stesso Ranzano, il quale parlando di Roberto Guiscardo in sulla fine del terzo volume, e come a prepararsi la via per le materie da svolgere nel quarto, dice: Ove sarò per narrare la serie di coloro che nell’isola di Sicilia, e nel regno il quale chiamasi Napolitano Impero da’ tempi antichi sino a questi nostri governarono (1). Promessa anche questa non adempita mentre di carattere autografo del Fazzello sta segnato in margine. Il che non scrisse, piaciuto fosse al cielo che l'avesse scritto (2). Un’altra promessa fal- lita noi leggiamo nel vol. 8 (3) là ove discorrendo de’ re Normanni fa sperare che verrà tempo, quando in luogo proprio farà d’ essi menzione, con che ci rende Sempre più certi. che ivi esso non era, sì bene nel quarto volume da lui non com- posto. Onde il Fazzello di sua mano scrisse al margine: L'autore promette esser per trattare dei re di Sicilia, della espulsione dei Saraceni, dei re Normanni, ma il tempo gli venne meno, per cui ciò che avea in animo non compose (4). La stessa promessa rinnova poco appresso (3) nel parlare d’ Alfonso figlio di Fer- dinando di Aragona e di Sicilia, dicendo: Che sarà per farne menzione. K il Faz- zello anche ivi volle di sua mano segnare in margine: Che Vautore afferma do- vere in seguito parlare de’ regni di Spagna e di Sicilia, ma il tempo gli mancò e l’opera non compose (6). Nè monta che in sulla fine dello stesso volume par- landosi d'Andrea sposo di Giovanna, figlia del Re Roberto, si trovi: come a suo luogo manifestai, ostendi, dettando il catalogo de’ re di Napoli (7). L’ostendi pas- sato fu al certo un errore dell’amanuense , e il Fazzello affinchè nessuno ca- desse in errore di sua mano pose in margine queste severe parole: Le quali cose da lui composte non mai leggemmo, anzi nulla trovando ne’ libri antece- denti, a’ suoi detti non presto fede (8). E ciò è fuor d’ogni dubbio, perchè par- (1) Quo sum scripturus seriem eorum, quae in Sicilia insula, et in regno quod dicitur Neapo- litanum imperium a priscis temporibus ad haec usque nostra tempora tenuerunt. vol. 3, pag. 319 a tergo. (2) Quod non scripsit, utinam autem scripsisset-loc. cit. (3) Pag. 145 — Reges a Normanniorum sanguine ducti, de quibus suo loco mentionem ali- quando faciam. e (4) Auctor de regibus Siculis, Saracenorum expulsione et regibus Nortmannis promittit se tra- claturum, sed tempus ei desinit. Itaque quod erat in animo non composuit. (5) Pag. 157 a terso: Alphonsus Ferdinandi Aragonum Siculorumque regis filius.... In Aragonia et in Sicilia, atque in coeteris regnis; quorum sum mentionem facturus. (6) De Hyspaniarum et Siciliae regnis asserit hic auetor se postea memoraturum, sed desiniente sibi tempore opus non composuil—loc. cit. (7) Pag. 313 — ut suo loco ostendi catalogum regum neapolitanorum. (8) Loc, cit. Hacc ab eo edita numquam legimus, et cum in superioribus libris non habeautur 2 his ejus verbis fidem non adhibeo, d) 14 SAGGIO STORICO-CRITICO SUL QUARTO VOLUME DEGLI ANNALI lando più tardi del Re Carlo (1) non usa il verbo passato, ma il futuro dimo- strerò, demonstrabo; il che sarebbe in contraddizione coll’ostendi: onde il Faz- zello solerte ed accurato vi aggiunge la solita avvertenza dicendo: Sin qui (cioè sino alla fine dell'ottavo volume) l’autore non ha parlato della Sicilia (2). Ma a che citare altri passi per comprovare che il quarto volume fu pro- messo e non mai scritto? L’autorità del Fazzello che i nemici di lui tengono a vile, per me e per gli altri estimatori del grande storico vale tanti cento più di quella d’ ogni altro: perchè ei raccolse le tradizioni più prossime, e svolse più volte quei dotti volumi, lasciandoci scritto a chiare note insieme all’ elogio del Ranzano che, questi compose gli Annali di tutti i tempi, ma quest'opera a cagion di morte non compì (3). Ecco, egregi Accademici, quel poco che ho potuto raccogliere, e che lascio alle vostre savie e giuste riflessioni. Altri di me più fortunato svolgendo e stu- diando quegli aurei volumi potrà darvi notizie più precise e schiarimenti più esalti. Lo bramo, anzi l’anelo; perchè ne acquisterebbe sempre più la verità della storia, verrebbe tanto meglio, ch'io non avessi potuto, esaltato ad un tempo il nome del Ranzano, e rivendicata gloriosamente la fama dell’ immortale Faz- zello. Entrambi insigni, entrambi nostri Siciliani, entrambi scrittori delle patrie glorie e delle patrie sventure: e a’ quali e per sentimento d’ affetto e per onore della patria comune vorrei vedere ben tosto innalzato un monumento nel no- stro tempio di S. Domenico. convinto che il Mongitore, il De Gregorio, il No- velli, il Morso, il Barcellona, il Meli, il Ventura e quanti altri sono colà cele- brati, avranno a gloria vedersi accanto due personaggi cospicui ornamento della patria, decoro e lume della sicula storia. Voi pertanto che siete i dotti e i suc- cessori de’ grandi nostri, incoraggiate e promuovete questa mia ardentissima brama, perchè appartiene a’ posteri eternare i nomi de’ padri e a’ cultori delle lettere e delle scienze glorificare coloro. che primi ne diedero l’infaticabile esempio. (1} Vol. 8, pag. 449. Carolum Andegaviae, provinciaeque, comitem, qui regnum postea obtinuit Siciliae, ut suo loco demonstrabo. (2) Loc. cit. Haec usque auctor de Sicilia non locutus, (3) De Rebus Siculis dec, I, lib. 8. Scripsit Annales omnium temporum, quod opus morte prae- ventus non complevit, DEGLI STUDJ SCIENTIFICI E LETTERARI BIESCIA NEL PRESENTE SECOLO L'ECONOMIA POLITICA IN SICILIA NEL SECOLO XIX di pel Socio Avo. FRANcESco MAGGIORE-PERNI Fra le scienze sociali quella che a buon dritto può dirsi nuova è 1’ econo- mia politica; fra le scienze sociali quella che governa da più vicino gl’ interessi degl’ individui e delle nazioni è la scienza economica. Nei libri di dritto e di politica, nei canoni delle discipline agrarie e com- merciali, nelle opere di filosofia e di storia s'incontrano delle belle pagine che accennano a degli argomenti della economia sociale, ma non sono la scienza. I governi invigilavano sulla vita economica degli Stati, i popoli prospera- vano nelle industrie, i banchi fiorivano, le navi solcavano i mari spandendo la ricchezza, si consumava e si produceva; ma la scienza non era ancor nata. La scienza che doveva insegnare agli uomini di Stato a governare le nazioni dietro una norma; che dovea proclamare 1’ utile come principio etico, non come canone di egoismo; che in mezzo alle contraddizioni ed ai voti antisociali dovea scorgere l’armonia degl’ interessi che si svolgono per mezzo della libertà; e che la libertà è una legge suprema e naturale , principio , mezzo e fine della vita economica. oh! questa scienza non è che nuova. E dal suo nobilissimo scopo che ha di raggiungere il ben vivere, col sem- plice principio di lasciare svolgere i germi di quel progresso che provvidenzial- mente sono nel seno degli uomini, può a ragione dirsi essere fra le sociali disci- pline la più eccelsa ed importante. Ad essa, più che al dritto e alla politica o alle altre sociali. discipline, deb- besi, col bandire la liberta del lavoro, la rigenerazione delle odierne società; in modo che ben fu detto , che la storia della economia politica è la storia della libertà del lavoro e dell’ umano incivilimento. Ad essa più che ad altra si debbe la riforma degli Stati e le di loro libere costituzioni; ad essa il bandire una legge di pace fra le società e le nazioni; l’elevare la dignità umana e l’emanciparsi delle serve classi; ad essa un miglior soddisfacimento degli umani bisogni sia fisici che morali. Per essa sono caduti i vincoli, e 1 industria è progredita; si sono abbattute le barriere, e il commercio si è svolto; si sono moltiplicati i prodotti, risparmiando il lavoro dell’uomo con le macchine ed aumentando il capitale col credito. Ed è per essa che si scorgono le colossali imprese, e quell’ impulso attivo di movimento economico che fa ricche e felici le popolazioni. Ed è per essa infine che la terra è solcata di vie e 1l mare è popolato di legni, ed il fischio delle loco- motive e dei battelli a vapore avverte che gli uomini da un punto ad un altre si abbracciano come fratelli. e si scambiano civiltà e ricchezza. 4 L'ECONOMIA POLITICA IN SICILIA E solo i nemici della libertà, della ricchezza e del progresso umano, sono stati i nemici di questa scienza. Tutti questi beneficii si devono alla economia politica, al principio di libertà da essa proclamato; e il secolo XIX è stato il campo nel quale essa ha agito, ispi- rando un alito ed un impulso che condurrà sempre avanti. Dire quindi della economia politica in Sicilia nel secolo XIX, è dire della storia di questa scienza fra noi, dei sistemi che hanno dominato, degli uomini che l’ hanno sostenuto, della influenza che le dottrine hanno avuto nella vita eco- nomica siciliana e nello sviluppo della sua ricchezza, e come abbia seco condotto la riforma delle leggi e del governo dello Stato. L LA SICILIA AL CADERE DEL SECOLO XVIII , I SUOI ECONOMISTI E L'INFLUENZA DELLE LORO IDEE NELLE RIFORME SOCIALI All’ inizio del secolo XIX si agitavano in Sicilia le grandi riforme politiche ed economiche, e si preparava il periodo , in cui la lotta per il principio della libertà, doveva far sentire la sua influenza nella vita economica e nel rinnovarsi degli studii delle sociali discipline. Noi uscivamo dal secolo precedente, i cui fatti svolti negli ultimi anni eser- citavano una grande influenza nel nuovo secolo e davano una spinta a quel pro- gresso , che l’ aristocrazia e la borghesia, e gli uomini della scienza e gli uomini di Stato avevano preparato con indefesso lavoro. Scappata alla soggezione straniera, si era veduto un Re giurare l’ autonomia della nostra nazione, e con un governo del paese cominciarono a svolgersi gli elementi della sua potenza e della sua ricchezza, per l’ azione di buone leggi che assicuravano le nostre franchigie e di buoni intelletti che svolgevano la nostra col- tura. Il movimento della riforma ebbe salde radici nell’ Isola; e da qui propagossi spesso in talune regioni del continente Italiano; la rivoluzione non scosse 1’ auto- rità e la libertà, ma progressiva e pacifica spargeva i suoi benefici effetti sul- l’ ordinamento sociale ed economico del paese. Chi si fa a considerare lo stato della Sicilia a quei tempi, in relazione alle altre parti d’ Italia, osserverà come qui i germi di un pacifico progresso e di una politica libertà temperata trionfassero a preferenza, in mezzo ad una società, in cui, quantunque la parte aristocratica ed ecclesiastica prevalessero, pure la bor- ghesia dal potere regio sorretta esercitava la sua azione, e i poteri si bilancia- vano a vantaggio pubblico. Il feudalismo erasi spogliato gradatamente delle sue prepotenze, la guerra feudale fra i partiti pareva spenta, e si preparava il solenne e nobile sagrifizio dei baroni che rinunziarono generosamente ai loro privilegi. Il potere ecclesia- stico, quantunque godesse delle immunità e avesse gran parte dei latifondi, pure non faceva sentire un peso opprimente, e si preparava a perdere i suoi, privi- legi, a veder censite le sue terre, ad esser soggetto alle pubbliche gravezze. Ari- stocratici ed ecclesiastici sentivano il bisogno di adoperare i loro mezzi a pubblica utilità, nè li trascuravano. Lo spirito. d’ indipendenza zionale esistente in tutte le classi del popolo, e in nome del quale si era combattuto, imprimeva qualche cosa di originale nella coltura e nella vita politica, che più tardi modificò l’oltre marina influenza. La vita economica del paese risentiva dei vizii dei sistemi allor dominanti, e che la spagnuola dominazione aveva introdotto. Ma lo spirito del paese e il libero reggimento che qui esisteva facean sì che producessero meno perniciosi effetti, — e‘ rr q@@e=lio@ttt5y—@1l4212%121yz121,II2@.1_211_1 SIANO IAMERSRZNI NEL SECOLO XIX 5 di quelli che si vedevano negli altri stati italiani, c che gli storici e gli econo - misti dei tempi ci han dipinto nelle loro opere. Pure non è a tacersi come disordinata fosse la moneta , ristretto il com- mercio dei grani, la proprietà mal divisa, le arti in corporazioni, i freni e i vin- coli opprimenti, le privative da per tutto, le imposte ineguali, i balzelli mal col- locati. i vizii del sistema feudale in vigore, le strade mancanti, le industrie deca- dute, il commercio interno inceppato , l’ esterno languente : e le carestie per le mete, e il manco di sicurezza per il brigantaggio, e una sproporzionata ricchezza accanto alla miseria, frutto d’un’ordinamento economico, sorretto da errori e pre- giudizii. Ma la riforma si facea strada. Il colbertismo dominava nelle idee ; i fisio- crati avevano da poco propagata la loro dottrina, lo Smith non aveva per anco pubblicata la sua opera immortale. degli economisti italiani era sol noto il libro del Genovesi , il Verri ed il Beccaria preparavano la stampa dei loro celebri Scritti, e qui Emmanuele Sergio fin del 1762 scriveva di cose economiche , e preparava la opinione coi suoi scritti e apriva il campo ‘alle nuove idee di riforma, che trovarono propugnatori negli uomini di Stato. Da colbertista che egli era, riteneva la ricchezza nel denaro e intendea tutto volgere a beneficio delle manifatture e del commercio. Egli avea molto a com- battere di leggi, di abitudini, di pregiudizi, e combattè. Le idee del sistema pro- tettore servirono a dar corpo alle sue memorie, che in rapporto ai tempi hanno una seria importanza, e schiusero un nuovo campo agli studii; e in mezzo allo errore dominante del suo sistema, pur si sentivano ripetere delle grandi verità e delle idee libere e nuove, che scotevano principi e popoli, per dare un crollo al vecchio ed empirico sistema di economia che governava. La sua memoria sulle strade, di cui noi mancavamo , è il suo più importante lavoro ; egli ne dimo- strava dal lato economico l’assoluta necessità per lo svolgimento delle ricchezze. E le idee si facevano strada, e la scienza economica acquistava popolarità e cul- tori, tanto che nel 1779 fondavasi nel nostro Ateneo la cattedra di Economia politica, col titolo di Commercio ed agricoltura, che fu quarta in Europa e terza in Italia. Egli in essa leggeva le Lezioni del Genovesi, del più grande economista dei tempi, il quale in mezzo ad un errore fondamentale, pure spargeva i primi germi della libertà e combatteva i perniciosi sistemi che attentavano allo svolgimento della vita economica dei suoi tempi; e fulminava i vincoli, i monopolii, i regola- menti, il disordine delle monete, | ineguaglianze delle imposte e tutti quei mali che costituivano la miseria e la decadenza degli Stati. : I messinesi Era, Bottari e Carmelo Guerra seguirono lo stesso sistema. Ed era bello il vedere, come l’opinione si scotesse , come le idee della scienza si svol gessero e come i fatti economici e le pubbliche calamità fossero spesso argomento di memorie, di scritti e di una lunga discussione da cui il paese avvantaggiava. Le idee le più ardite per allora si messero avanti: si propugnò l’abolizione di ogni balzello e l’ imposta unica sulla rendita, 1 abolizione delle immunità daziarie sulle terre dei baroni e degli ecclesiastici e il censimento dei fondi di quest’ultimi, la libera circolazione degli uomini e delle merci. Ma ancor certi sistemi non si osavano attaccare, e taluni sostenevano i privilegi, i vincoli, le compagnie nello scopo di proteggere l’ industria nazionale, svolgere il commercio e render propizia la bilancia commerciale. E la memoria del Sergio per la riedificazione di Messina e il ristabilimento del suo commercio, scritta nel 1783, quando la regina del Faro fu distrutta dal tremoto, e il suo commercio rovinato pel mutato camino della navigazione delle Indie, può ben presentare il programma delle idee di questo primo periodo di eco- nomia in Sicilia. ° 6 L'ECONOMIA POLILICA IN SICILIA Aver a minor costo le produzioni industriali per agevolare il consumo, ridurre i dazii di consumo sui generi di prima necessità , dichiarando libera la paniz- zazione, riformare non abolire le corporazioni, togliere il divieto ai prodotti esteri, ma garentire con pesanti imposte le industrie nazionali, abolizione del dazio di estradizione nei prodotti manifatturati, fondazione di nuove manifatture, istitu- zione di una compagnia Reale di Commercio per il traffico, che non potea eser- citarsi dai privati. Ecco le idee proposte. L’ ingerenza governativa, che la scienza vinse con la libertà, e che gli odierni autoritarii invocano; allora faceva sentire la sua funesta influenza. Si temevano le carestie, ed era il governo che con la sua ingerenza le accelerava; la estrazione dei grani era proibita per dar da vivere al popolo, senza prevedere che ciò produceva la fame. La quistione dei grani era sempre all’ordine del giorno. Nel 1785 essa entra nel campo della discussione economica, e fu argomento di buoni scritti che valsero a dar rilievo ‘agli studii. Il Caracciolo napolitano, ma da vicerè in Sicilia, educato agli enciclopedisti francesi, tuonò contro la libera estrazione dei grani, ordinata dal suo predeces- sore, gridò alla carestia, e chiuse la tratta. La sua memoria sosteneva un errore fondamentale; ma nelle idee secondarie espose delle verità in ordine ai tributi, agli ostacoli dell’interna circolazione, al feudalismo, piaggiando le popolari passioni, alla guisa dei riformatori francesi. Contro di lui alzossi un potente ingegno e un felice scrittore a propugnare la libertà. Questo fu Saverio Scrofani. Egli presentava al Re nel 41795 una me- moria, la quale al dir del Pecchio con una rapida logica e con uno stile ani- mato sostenne la libertà del commercio dei grani di Sicilia. « Sia la M. V. sicura, Scriveva , che la sussistenza dei popoli per cui trema a ragione il suo. paterno cuore, non sarà mai così certa se non nelle mani di un libero commercio. » E questi tra i primi liberisti nella economia pubblica siciliana. La sua voce non fu intesa, ma le sue idee penetravano; e la libertà trovava poco dopo dei seguaci che dovevano gradatamente vincere i vincolisti di quei tempi, e far trion- fare le loro idee nella pubblica opinione e nei consigli del principe. Così i fatti e gli scritti davano sviluppo agli studii; mentre la scuola di Eco- nomia tenuta dal Sergio propagava la scienza fra i suoi numerosi uditori; e la stampa di varie opere di economia nazionali e straniere ne popolarizzava i principii. Gli errori si logoravano, e per ovunque parlavasi di strade per migliorare. il traffico, di stabilire delle manifatture per aumentare la ricchezza, di riformare il sistema tributario per far equa distribuzione delle imposte, combattendo le innu- merevoli allora esistenti, e proclamando che quand’ esse son moderate rendono dippiù. E Domenico Gianrizzo scriveva nel 1778 sulle strade carrozzabili del Regno propugnandone 700 miglia, e Guglielmo Silio nel 1792 dettava il Saggio sulla influenza dell’ analisi nelle scienze politiche ed economiche applicato ai con- trabandi, e il Gallo Gagliardo nel saggio storico politico del setificio di Sicilia, scritto nel 1788 sosteneva il ristauramento di questa industria, e il giurecon- sulto La Loggia scriveva nel 1791 un saggio economico politico per l’ introdu- zione e il ristabilimento delle principali manifatture nel Regno. Le idee domi- nanti di questi scritti si basavano sul sistema protettore e mercantile ; ma se ne discostò Marco Antonio Averna nella sua disertazione economia politica sul lanificio di Sicilia, scritto nel 1800, ove intende ai modi di migliorare questa manifattura, all’aura della libertà industriale. E mentre manifatture e commercio erano l’argomento principale degli studii, non mancarono di quelli che si volgevano a considerare lo stato economico della nostra agricoltura ; e Pietro Lanza principe di Trabia nel 1786 scriveva sulla NEL SECOLO XIX Ù decadenza dell'agricoltura nella Sicilia e sul modo di rimediarvi. Delle impor- tanti cose egli sostenne; e tra esse è da rilevarsi come si facesse sostenitore del censimento dei beni della Chiesa, dello Stato, dei Comuni; che più tardi ebbero effetto, e della di fondazione un Istituto agrario ove a spese dei signori si mantenes- sero 60 alunni per istruirsi ed istruire nelle cose agrarie, concetto che fu attuato dopo e a sue spese dell’ immortale principe di Castelnuovo. Dopo lui, scriveva nel 1800 Camillo Gallo-Gagliardo sopra è! sistema di mi- gliorare V agricoltura di Sicilia ; ebbe idee sorrette da buoni principî ; trattò dell importante quistione se più convenga la grande o la piccola coltura, senza dar prevalenza all’ una sull’ altra, combattendo i difetti della censuazione delle terre che allora facevasi, dividendole a piccoli lotti, venendo così ad esser posse- dute da uomini senza capitale. Noi non ci staremo a dir di quanti altri scrissero in questo periodo di cose economiche ; ci basti avere accennato al movimento degli studii, ai sistemi che dominavano e come a poco a poco il fecondo principio della libertà si mostrasse, per combattere nel secondo periodo della nostra vita economica, e trionfante domi- nare negli scritti degli illustri economisti contemporanci. Ma questo movimento non rimase ozioso; esso esercitò la sua valevole influenza nella vita economica siciliana, nelle sue leggi, nelle utili istituzioni, nelle radi- cali riforme. La Sicilia, dicemmo, godeva di una secolare libertà, la sua nazionalità era man- tenuta; e sebbene la sua corona posasse sul capo di chi imperava un altro regno, pure eravam noi che formavamo le leggi, eravam noi che governavamo il paese; chi rappresentava il principe avea la facoltà del principe stesso ; e durante il governo del Colonna del Caracciolo del Caramanico e di altri vicerè di questo periodo si videro delle utili riforme economiche e delle opere che i nostri Par- lamenti e i nostri funzionarii promovevano e caldeggiavano. E difatti al 1774 il Parlamento votava delle somme per l'apertura e il ristau- ramento di 700 miglia di strade, onde agevolare il nostro commercio; nel 1784 si aboliva l’ odioso monopolio dei tabacchi come nocivo all’ industria, che vedemmo sotto la libertà italiana ripristinarsi nel 1875 ; si restituivano onze 150,000 a coloro che avevano comprata la tratta dei grani, che ne danneggiava il commercio; si ricomprava il venduto ufficio delle Poste; si aboliva in Palermo il prezzo fisso del pane, primo passo per il libero beneficio e l’ abolizione delle mete; e fu dato ai vassalli la libertà di lavorare anche fuori il territorio baronale, e ciò fu il primo attentato che portò il Caracciolo al feudalismo siciliano; si votò contro il volere dei baroni, e tra gli applausi degli scienziati che vedevano il frutto delle dot- trine sulla libertà del lavoro. E fu in questo torno che il benemerito Monsignor Giuseppe Gioeni e Valguar- nera dei Duchi di Angiò fondava i premii per la scuola di Economia politica della nostra Università e dotava di una rendita il Reale Albergo dei poveri per istituire una fabbrica di tessuti. Ed il Caracciolo dava un colpo fatale alle corpo- razioni di arti e mestieri, abolendo i consolati e aprendo: il campo alla libertà del lavoro, e mettendo ogni studio ed ogni sforzo a ciò gli agricoltori e l’ agri- coltura si affrancassero delle pastoje del feudalismo. La legislazione economica andavasi gradatamente svolgendo, e comparivano i primi albori d’ un periodo, in cui la vita economica dovea progredire. Già cominciava a parlarsi di regolare catasto delle terre a ciò i tributi fos- sero divisi ugualmente, e i grandi aristocratici e la Chiesa possessori della terra non ne fossero esenti: e il Parlamento del 1786 domanda la rettifica della cata- stazione; e respinge la nuova proposta della privativa del tabacco. L’ industria dello zolfo comincia a sorgere, e si danno premii e privative per la fusione di questo ricco minerale. 8 L'ECONOMIA POLITICA IN SICILIA Nel 1787 si ordinò il censimento delle terre comunali, che segna il prin- cipio del progresso della nostra agricoltura, facendo passare la terra in mani pro- duttive ed elargando il numero dei possessori. E nuove e più adequate istru- zioni (1789) si veggono per la numerazione delle anime e il rivelo dei beni, onde distribuire i donativi fra i contribuenti. Nè il commercio è trascurato; leggi lo proteggono nel suo sviluppo, e lo difendono dai pirati che infestano il mare. E a far sorgere un’illuminata marineria spuntava per iniziativa del prelodato Monsignor Gioeni l’ Istituto nautico, da cui uscirono ed escono gli arditi marini, che formano l orgoglio della siciliana navigazione. Il. LA SCUOLA LIBERALE E LA PROTEZIONISTA DAL PRINCIPIO DEL SECOLO AL 1830 E GLI SCRITTI E LE OPERE DI BALSAMO, SCUDERI, SANFILIPPO, PALMERI Ma già ci avviciniamo a tempi più maturi, già siamo nel secolo nostro. La libertà informa la vita siciliana; essa è principio fecondatore della politica e della economia , degli scrittori e degli uomini di Stato. Ma ancora vediamo per qualche tempo perdurare la lotta tra la libertà e il vincolo , tra il lasciate fare e l’ingerenza autoritaria. La lotta è nella scienza e nella pratica, fra gli serit- tori e fra i governanti. E se la tirannide soffocava nel sangue la libertà poli- tica, la libertà economica trionfava negli scrittori e nella pubblica opinione, e vinceva nel governo dello Stato, in cui le idee liberali penetravano ed erano poco più poco meno incarnate nelle leggi e nelle istituzioni: ed ogni riforma non era che un passo verso la libertà che proclamava l’economia politica, per mezzo dei suoi professori e dei suoi scrittori , libertà che non si osò ne anco combattere nei tempi di maggior dispotismo, e che simulò e mantenne desto il fuoco della libertà politica. Il principio del secolo si apriva agitato dalle guerre che la libertà francese portava in Europa e specialmente in Italia. La Sicilia restò immune dall’ inva- sione delle nuove idee, essa non ebbe imposte con la violenza ed i danni della rivoluzione le idee dei novatori, ma proseguiva il proprio e graduale sviluppo nella riforma e nella scienza; essa svolgeva il bene senza essere soprafatta dal male ; essa non vide la gioja dei pochi fra le maledizioni dei molti, e tutto il paese pigliava pacatamente parte al naturale e spontaneo movimento, senza gli eccidii e i saturnali degli uomini di parte. La economia politica ebbe un luminare che svolse le idee di libertà econo- mica , e che fece sentire la sua influenza nella vita politica ; questo fu Paolo Balsamo. ; L’ Accademia degli studii di Palermo a sue spese mandollo ad educare in Francia ed Inghilterra; fu allievo di Arturo Yung, apprese la scienza eco- nomica sull’ immortale libro di Smith, ed esaminò le pratiche agrarie e i feno- meni della vita economica non che a Parigi e Londra, in Italia e nelle Fiandre. Di robusta intelligenza educò la mente alle idee di libertà, e questo principio fu il programma di tutta la sua vita ; ed altro scopo non ebbe che combattere in in Sicilia le cattive pratiche agrarie e gli ostacoli al progresso della agricoltura, e propagare con la voce e.gli iscritti le idee liberiste nel sistema economico della. nazione. i Tornava in Patria nel 1794, preceduto da un aureola di fama che diede pre- stigio al suo nome , e aprì in quell’anno stesso il corso di agricoltura. L° eco- nomia politica non fu il suo principale oggetto: il Sergio continuava a dare le sue lezioni sul sistema protettore; ma il Balsamo trovava modo di dar risalto alle nuove idee di libertà, che parvero una rivoluzione per quei tempi in cui ad ogni costo si volca il vincolo, per essere produttori di tutto. NEL SECOLO XIX 9 Egli divise la scienza nella parte teorica o economia agraria, e nella parte pratica. Amico dei fisiocrati e professore di agricoltura vide in questa la prima fonte della ricchezza , ma non trascurò le altre , e sostenne libertà del lavoro , libero uso dei prodotti, e aprì ardita e incessante guerra al sistema protettore. Né con la voce soltanto, con gli scritti ancora si fece banditore di questi principii in varie Memorie che nel 1802 videro luce col titolo Memorie eco- nomiche ed agrarie riguardanti il regno di Sicilia, e in esse condannò il sistema delle ferze parti, gli appalti, le leggi annonarie, proclamando la libera circolazione dei grani; combattendo il pregiudizio dei monopoli dei proprietarii e mercanti di grano, e bandendo le idee liberiste, che trovavano tuttavia un urto non che nei governanti nella pubblica opinione; ma egli liberamente scriveva, ed ogni cosa era animata dal rigeneratore principio della libera concorrenza. Metteva a nudo le piaghe della nostra agricoltura, e con le nuove idee ne proponeva i rimedii. Constatava la via del progresso ove eravamo, ma mostrava, ad eccitamento, quanto ci restava a raggiungere di fronte alle altre nazioni. Egli se volea che lo stato togliesse i vincoli, non volea che con la forza s’ imponesse l individuo ad innovare; volea libertà intera, non ignorando come il principio autoritario, anche nel bene è un male; le riforme si devono accettare sponia- neamente, l’ utile è la molla che spinge a migliorare. Ma nel 1801, ritiratosi il Sergio dal suo insegnamento, le due cattedre si fon- devano e il Balsamo all’ insegnamento dell’agricoltura aggiungeva quello della Eco- nomia politica; così ebbe più largo campo per isvolgere la scienza e propagare il sistema della libertà. i Il Balsamo avea mente più elevata che il Sergio, e le stesse nuove idee che bandiva davano maggiore risalto alle sue lezioni, in modo che la scuola fu più frequentata, e da ogni parte giovani vogliosi venivano ad udirlo. Se egli come professore di agricoltura avea dato preferenza a questa indu- stria, come professore di economia non tralasciò le manifatture e il com- mercio. Il lavoro comunque applicato è ricchezza , egli insegnava ; tutti i prodotti che soddisfano gli umani bisogni non sono che ricchezza. i Ma la scienza che egli svolgeva, la trattava applicata ai nostri bisogni; in modo che non un corso completo della Economia politica egli dava, ma argo- menti slegati, entro i quali diceva dei principii che governano la scienza. Egli avrebbe potuto fare di più, ma nol fece; egli studiò a tratti la scienza, in modo che non ci lasciava che delle varie memorie che interessano le manifatture, il commercio, la moneta ed altri argomenti della disciplina che egli insegnava. Nelle sue memorie sopra la mancanza e V imperfezione delle manifatture di questo regno, sulle false cagioni della mancanza delle manifatture del regno di Sicilia, in quelle due inedite sul commercio, in quelle sulla moneta e in varie altri scritti di occasione, ben si rileva come fosse valente economista e come propugnasse le idee di libertà. Egli combatte il sistema protettore , i premii , gl’ incoraggiamenti, i dazii d’ importazione e di esportazione alle materie prime e ai prodotti, le corporazioni di arte, e mostrò i danni di questo sistema, tanto verso il produttore che verso il consumatore , proclamando la libera con- correnza. La causa delmanco delle industrie la trova nel manco di capitale ed istruzione, nel difetto di fabbriche e di macchine, nell’ alto interesse del denaro che era allora del 15 per 100 : Come volete manifatture egli esclama senza capitali ? Noi siamo agricoli, noi non dobbiamo produrre tutto. Miglioriamo la nostra agri- coltura, quando saremo ricchi, quando la terra non domanderà più capitale allora saremo manifatturieri. La ricchezza non sta nel denaro; e quindi attacca le leggi che vietano l’ estrazione del denaro , che mettono un limite al suo interesse, e tuona sull’ avvilimento del valore della moneta e contro i suoi falsificatori sieno 10 L'ECONOMIA POLITICA IN SICILIA essi governo sieno privati, e mostra i danni di tutte le false idee che allora domi- navano intorno alla moneta. Nè dimenticò il credito e i banchi; e scrisse ancora su questo argomento, e ne mostrò l’ utilità, come i mali fa intravedere dell’ abuso di questo agente della circolazione , e segnò delle regole affinchè le cedole di banco, eil Banco che esisteva da più secoli in Palermo, potessero recare i vantaggi che ci è dato sperare. Nè fu preterito il sistema daziario; e a principii delle imposte mise che non opprimano, che siano equabili e proporzionate alle forze dei contribuenti ed esatte senza durezza. L’ imposta unica sulla terra fu combattuta, e le tasse indirette preferite alle dirette, e le varie e miti alle poche e forti. Belle idee che la scienza anche tutto giorno proclama ; ma l’ epoca in cui le bandiva non era del tutto favorevole. Egli combattè energicamente, e vinse; spesso facendo prevalere parte dei suoi principii , da Pari nel Parlamento sici- liano del 1810 e del 1812 ; ed è a ritenersi un maestro nella scienza e un benefattore della civiltà, che si diede fra noi in nome della libertà a far guerra al vincolo che arrestava ogni progresso. Alla sua voce rispondeva nel continente quella dell’ esule siciliano Saverio Scrofani, illustre ed eloquente economista; di lui dicemmo come avesse combat- tuto la tratta dei grani, ed or con una memoria stampata a Venezia nel 1793 e qui venuta altre 10 anni, col titolo Saggio del commercio generale di Europa e speciale di Sicilia, bandì le idee del libero cambio, e mostrò la necessità che la Sicilia trafficasse con una propria marineria, e non lasciasse che le altre nazioni facessero il commercio dei suoi prodotti. Ma fu inutile: le idee liberali, sebbene penetrassero in taluni rami della vita economica, il sistema vincolista e protettore dominava, e dominò lungamente; e la cattedra di Catania dal 1808 e quella di Palermo dopo il Balsamo se ne fecero espositori con lo Scudieri sino al 1840 e col Sanfilippo sino al 1830. E in questo lungo periodo, se togli il Palmeri e qualche altro, che furono per la libertà, nel resto era il sistema protettore che imperava, temperato dalle verità dalla scienza, e sorretto dal sicilianismo , che volea non solo la indipendenza politica, ma la economica altresì, e il dritto all’ una non faceva scorgere l’errore dell’altra. Salvatore Scuderi, allievo del Sergio e del Balsamo, nella giovine età di 28 anni fu portato nel 1808 a professore di economia politica nell’ Università di Catania, il Sanfilippo saliva alla cattedra di Palermo 8 anni dopo, abbandonando le libere idee del suo illustre predecessore. Entrambi seguivano il sistema protet- tore, l'uno più fidente e di saldi propositi scendeva nel sepolcro al 1840 legato all’ antica fede; l’altro convinto dell’errore, abbracciava nel 1830 il sistema libe- rale, e recava così un grande beneficio allo sviluppo della scienza e al paese, con le nuove idee. Lo Scuderi legato all’antica scuola italiana leggeva dalla cattedra, ad imita- zione del Sergio, 1’ opera del Genovesi, con qualche idea dello Smith; padrone della scienza nel 1814 pubblicava le sue Disertazioni economiche riguardanti il regno di Sicilia. Alla forma del Balsamo era la economia applicata alle condi- zioni del paese. L’ economia per lui non ebbe un solo scopo : la ricchezza; ma tre obbietti : la popolazione, la ricchezza, la potenza dello Stato, e nell’ attuazione, modificare i principii della scienza a seconda delle immutabili e particolari circostanze della nazione, e conformare le mutabili ai principii della scienza. Ecco qui formulato un concetto che non disdegnano gli odierni economisti autoritarii ; lo Scuderi sessanta anni addietro lo avea detto. Preferisce le manifatture al commercio e all’ agricoltura , e riproduce gli errori del protezionismo, facendo guerra alla libera concorrenza nell’ esterno com- mercio: volendo solo la libertà nell’ interno traffico, sino e combattere le mete. NEL SECOLO XIX 44 : Pochi anni dopo riproduceva questo primo lavoro corretto ed accresciuto di una disertazione sulla moneta e sul credito , ove l'argomento si direbbe com- pletamente ben svolto, se le idee vincoliste non "lo portassero fino a sostenere la ne- cessità di fissarsi l'interesse legale. Ma la memoria sulla rendita rurale, pubblicata nel 1818, mostrava il sottile intelletto dell’egregio economista; egli sostenne, seb- bene non sia accettato dalla scienza, che la rendita è l’annuo frutto del valore o lavoro antecedentemente accumulato sulla terra, e vien rappresentato dal pro- dotto netto. Riccardo è il fondatore della teorica della rendita, e non fu di questa opinione; ma pure è singolare, che mentre |’ americano Carey e il francese Bastiat si disputavano la originalità della loro teorica sulla rendita, ambedue non ave- vano che seguita in parte l opinione del siciliano economista, che ne scrisse 20 prima del Carey e 30 avanti del Bastiat. Ma il corpo intero delle dottrine che professava il dotto economista comparve nei tre volumi dei Principi di economia civile, stampati a Napoli nel 1827. Qui la scienza è abbracciata per intera, dalla sintesi dai principii viene alla analisi, e alla applicazione, e si mostra ingegno poderoso e sottile. AI triplice scopo della scienza risponde la sua trattazione : la ricchezza nazio- nale, la popolazione, il sostenimento dell’ ordine naturale. : I travaglio è il motore della ricchezza e si attua nel commercio nelle arti nelle manifatture nell’ agricoltura. Il commercio interno bandisce libero, vincolato l'esterno; la bilancia di com- mercio non calcolata alle forme dei colbertisti , ma alla propria: il bilancio farsi, non sul prezzo di vendita delle merci, ma su “quello di costo. Le arti e la mani- fatture preferite. all’ agricoltura, perchè più produttive ; le corporazioni d’arte, le tasse sui prodotti brutti condannate , l industria nazionale protetta, la divi- sione del lavoro, le macchine, l’ associazione sospinta; manifatture ed artieri pre- miati. L'agricoltura risente i movimenti impressi nel commercio e nelle manifatture e ad essa .è d’uopo togliere ogni ostacolo: migliorate le strade, libero l’ uso della proprietà e dei prodotti, ajutata l’ industria col credito agrario. L’ impiego del prodotto del travaglio o la distribuzione e consumazione segue le idee dominanti della scienza; e il valore e il prezzo e la moneta e il credito e i banchi sono egregiamente svolti, sebbene ad ogni tratto traspajono i prineipii vincolisti a cui ispiravasi. Le idee sulla popolazione sono quelle allora dominanti di Russeau e di Bec- caria ; la popolazione per lui dev’ essere proporzionata alle sussistenze; e la sua divisione in classi non è che l’effetto della divisione del lavoro; raccomanda i censimenti per conoscere il suo crescere e il suo decadere; per lo sviluppo esu- berante raccomanda le colonie. per il suo decadere sospingere l’ aumento della ricchezza; Il intervento del governo non è dimenticato. Il sostenimento dell’ ordine sociale ,: che è l’ ultimo oggetto della scienza , completa le leggi finanziarie, i bisogni dello stato e le imposte. Consono ai suoi principii, preferisce le imposte sull’ agricoltura, perchè si restringono ad essa sola, mentre quelle sulle arti e sul commercio fanno sentire in tutte le industrie il loro potere; accenna ai caratteri delle tasse dannose e che non debbono imporsi; fra le tasse dirette vuole quella sulla terra, fra le indirette quelle che pesano sui prodotti di commodo e di lusso, risparmiando quelli di prima necessità; i dazii di dogana li difende non solo come entrate per lo Stato, ma come moderatori della industria nazionale. Ecco le idee che allora erano in voga e che si bandivano dalla cattedra, e che di conseguenza dovevano far sentire il loro potere nella pubblica opinione e nei consigli di governo. Fa pena che un eccelso intelletto come lo Seudieri fosse Stato sostenitore di errori: pur non dimeno la sua opera era lodata dal Say, e 2 19 L'ECONOMIA POLITICA IN SICILIA se fosse stato liberista , la sua fama sarebbe stata assicurata e si sarebbero fin dal principio del secolo risparmiati tanti errori nelle leggi e nello sviluppo eco- nomico. Il Sanfilippo dalla cattedra di Palermo facevasi altresì banditore del vincolo, ma meno assai dello Scudieri; e se non ebbe la robustezza della mente e la felice padronanza della scienza fu chiaro espositore e più legato all’ ordine che vi die- dero i grandi maestri. Egli da professore è solo nel 1822 che pubblicava il primo scritto: Cenno sul modo di migliorare V agricoltura le manifatture il commercio di Sicilia , e due anni dopo le Istituzioni di Economia Politica. Fu questo il primo libro della scienza che si fosse pubblicato fra noi, perchè precesse di 3 anni l’ opera dello Scudieri. L’ epoca in cui sorgeva questo libro era di risveglio negli studii economici; vincolisti e liberisti si dibattevano ; la gioventù accorreva alle scuole, in cui il professore avea saputo ispirare l’ amore alla scienza, e i premii angioini, che in quel torno si davano, erano d’ incentivo. L’opera del Sanfilippo contribuì grande- mente al propagamento degli studii ; essa fu divisa in teoretica e pratica; e vide solo la luce la prima parte, le idee del Say furono esposte, traviate però dal si- stema vincolista, di cui si fece banditore il palermitano economista. Il corpo delle dottrine ampliate e corrette videro luce pochi anni dopo nel suo Corso, pubblicato col titolo: Sposizione dei principii di economia politica. A differenza dell’ opera dello Scudieri che assegna tre oggetti alla scienza economica, qui ve ne è un solo: conoscere in che consiste la ricchezza, come si formi, si distribuisca e consumi per l’ uso dei privati e del pubblico. Con un unico oggetto, la scienza ebbe la scolastica divisione di produzione, distribuzione e consumo della ricchezza; e la ricchezza fu definita tutto ciò che soddisfa i nostri bisogni, avendo a fondamento l’ utilità. Le ricchezze, naturali e sociali, e queste ultime, materiali ed immateriali; ed ecco anche qui un passo sullo Scudieri. Fonte della ricchezza il lavoro che dà il prodotto; e le industrie : agricola, manifatturiera commerciale. I capitali mezzo della produzione; operatori dell’ industria il filosofo, l’intraprenditore, l’operajo; condizioni necessarie sicurezza nella proprietà, libertà nella circolazione. Ecco qui idee più ordinate ed esatte. La grande cultura preferita alla piccola, ma libera la scelta ; l’ ingerenza governativa bandita dall’ industria, la bilancia di commercio un errore. Ma quando esamina se più convenga alla prosperità di una nazione la libertà o il vincolo; egli da protezionista si dichiara pel vincolo ; la libertà , egli dice, restringe la quantità degli impieghi produttivi; con la protezione si allarga, po- tendosi creare fra noi i prodotti che vengono da fuori. E quando tratta dei privi- legi li condanna in principio, li consente in date circostanze. E così, che mentre la libertà si proclamava da ogni parte, essa veniva com- battuta, ove era pur necessario il suo impero. Nella distribuzione sono chiamati coloro che concorsero a produrre. Dal concetto del valore, distinto in naturale e di cambio, viene alla legge che lo determina, che trova nella sola offerta e ricerca; le idee dello Smith e del Say sono incomplete. ? Le rendite , i profitti, i salarii trovano la loro espozione ; l’ interesse del denaro è proclamato libero; la moneta, studiata nella sua origine e nel suo ufficio, non è segno o misura del valore, ma intermedio del cambio; il credito ha la sua giusta importanza, meglio ancora che nel trattato del Say, il suo abuso è scon- giurato ; le banche e i valori fiduciarii trovarono il loro posto. i * La popolazione è ritenuta in proporzione dei mezzi di sussistenza; l aumento non sempre fenomeno di ricchezza, le grandi città, dice, esercitare una grande in- fluenza sulla ricchezza, e rifagge dalle dottrine malthusiane. NEL SECOLO XIX 11193 Le spese pubbliche vi sono studiate; non così le imposte; dei debiti è mostrato il danno , quando il denaro non è impiegato riproduttivamente , e di rado gli Stati ne fanno buon uso; e quindi combatte questo pericoloso mezzo che hanno i governi per sciupare la pubblica ricchezza; 1 ammortizzazione peggiora la con- dizione, e solo Vl economia può riparare a questo male. Queste idee il Sanfilippo svolgeva dalla cattedra e propagava con gli scritti; erano idee che si popolarizzavano; ma in mezzo al bene era il male, in mezzo alla verità era l errore, in mezzo alla libertà era vincolo. E quando due illustri professori contemporaneamente, egli e lo Scudieri, si facevano per lunghi anni ban- ditori di queste idee, non è a meravigliare, se il vincolismo ebbe proseliti e facile Vittoria; e se le leggi, ad esso informate, avevano impero e plauso. Pure non mancava la voce che mantenea viva la nobile tradizione del Balsamo, non man- cavano i liberisti; e tra questi il più saldo ed eloquente fu Nicolò Palmeri. I vincolisti trionfavano da per tutto ; la smania a ciò la Sicilia divenisse manifatturiera, con le tariffe protetrice, era comune, il nobile sentimento della indipendenza caduta al 1846 e soprafatta al 4824 si manifestava attraverso i prin- cipii, il rancore verso di Napoli, che ci volle aggiogati al suo carro era profondo, e la proibizione si voleva estesa sino al cabotaggio, che chiedevasi vincolato; la stessa legge doganale del 1824 parve poco vincolista, e 1’ era di troppo, perchè lasciavasi 1’ Isola esposta all’ invasione dalle manifatture napolitane; e Pasquale Calvi nel 1825 si faceva eco di queste opinioni in uno scritto: Sulla necessità delle manifatture in Sicilia. Nicolò Palmeri si volse solo a combattere questa piena di vincolismo; egli da liberista vedea, come al Balsamo. che la Sicilia avrebbe dovuto fecondare l’ agricoltura, di già troppo decaduta; essendo essa la industria favorita dalla natura; pensare alle manifatture, quando all'ombra della libertà, potessero sor- gere, e quando i capitali non più inservienti alla terra cercassero uno sbocco ; e nel 1826 scrisse il suo stupendo libro : Saggio delle cause e dei rimedii delle angustie attuali dell’ agricoltura. Al suo apparire un grido d’indegnazione mosse il grande partito dei vincoli- sti; i sostenitori della libertà l’applaudirono. Egli aveva dipinto lo stato miserando della nostra agricoltura , e le cause che vi avevano influito , ed avea proposto quanto accorreva per parte dello Stato, dei proprietarii, degli agricoltori per rial- zarla ; i suoi rimedii erano ispirati alla vera scienza , egli avea fatto una bat- taglia contro il vincolo, e nell’ ultimo capitolo addimostra la utilità delle sue riforme. Ma nulla fu attuato del suo libro, che, in mezzo ai difetti, conteneva delle grandi verità, massime nel combattere il protezionismo. Uomo di grande merito come politico e come storico può benissimo tenere un posto onorevole tra gli economisti del suo tempo ; sostenendo egli solo con coraggio la dottrina del libero cambio. E contro lui si levarono i vincolisti , che allora si facevan forti delle dot- trine del Gioja , ma non osarono allora attaccarlo; e solo dopo 2 anni Emma- nuele Viola venne a combatterlo con apposita memoria: Sulla utilità della legge che vieta o limita l'estrazione delle materie prime ad oggetto di favorire le mani- fatture nazionali, in risposta ad un opinione del Signor Palmeri-; la quale, se togli i principii pretezionisti, a cui era ispirata, e appuntati dal Romagnosi, è degna di lode. Su quest’ opera del Palmeri scrisse altresì, allora giovine, il dotto economista Placido Deluca; egli vi fece delle giusie osservazioni, ma, quan- tunque vincolista, non usò pronunziarsi nettamente sulla quistione della libertà dell’ industria; fu questo il primo lavoro, di chi più tardi dovea sedere alla cat- tedra di Scudieri e di Genovesi. Il Palmeri però non si ristette; ribadìi le sue idee, lacerò le vincoliste dot- 44 L'ECONOMIA POLILICA IN SICILIA trine del Nuovo prospetto delle scienze economiche del Gioja, e in vece di rivol- gersi ai suoi critici, che sdegnava , attaccò il loro pericoloso maestro. Ancora pochi anni e il campo sarà dei liberisti, dappoichè il tempo logora Vl errore e corrobora la verità. I. LE CONDIZIONI SOCIALI DELL'ISOLA NEI PRIMI TRENT'ANNI DEL SECOLO XIX, E LA INFLUENZA DEGLI STUDJ ECONOMICI NELLE RIFORME LEGISLATIVE L’ influsso delle opposte dottrine che dominarono in trent’ anni, per quanti ne corrono dal principio del secolo al 1830, si fece potentemente: sentire nella vita economica e politica del paese, in mezzo all’ urto dei principii e dei memo- rabili avvenimenti che scossero il paese a quel tempo , in cui la libertà predo- minò sino al 1815, e dopo il vincolo fu in trionfo. Era pria la libertà che dovea prevalere, quando 1’ indipendenza dell’ Isola esisteva; poscia il vincolo all’ esterno, da che all’ interno da tutti volevasi distrutto; e il vincolo, più che una guerra alla libertà, larvò col protezionismo l’amore della perduta indipendenza; la scienza si mescolò alla politica, la libertà economica parve ostile al pensiero della indi- pendenza siciliana, el’ errore fu sostenuto con un patriottismo degno di miglior causa. Pure l’azione degli opposti principii fu valevole nella nostra vita econo- mica ed amministrativa; e i primi tre lustri del secolo segnano I’ apogeo delle nostre riforme economiche, le quali aprirono il varco a quelle che ebbero luogo in proseguo. Fin dal 1806 il Parlamento votava le imposte per le strade, unico mezzo per agevolare il commercio; ed onde rendere più facile l’ interno cambio dimandò ‘ l’uniformità dei pesi e delle misure in tutto il Regno, che tre grandi uomini, il Piazzi il Balsamo il Marvuglia, compirono nel 1809, ed ordinossi in oltre che gli atti notarili si stendessero in italiano. Il sistema tributario. non pesava su veri principii ; ma la mitezza delle imposte, che per tutto il regno si elevavano all’ incirca a 4 milioni di lire, non ne mostravano l’ enormezza; pure la scienza propagata mostrava il bisogno di riforme. A1 1840 si volevano oltre 10 milioni di lire del siciliano bilancio, la proprietà urbana e rusticana con uniforme censimento dovea tassarsi del 5 per cento, e le imposte parvero esorbitanti, perchè doveano gravare disugualmente; e il Bal- samo faceva approvare il suo nuovo. progetto che riducevasi a catastare i fondi e le rendite di qualunque natura e imporvi un 5 per 100. I bisogni dello Stato crescevano; la corte cacciata da Napoli volea da Sicilia supremi sagrifizii per una causa non propria; il progetto del Parlamento parve al Ministero non possibile di spedita esecuzione, e si misero avanti due proposte: avocare allo Stato le pro- prietà dei Comuni e della Chiesa per venderli , e imporre l’ uno per cento su tutti i pagamenti, che uno Scaduti avea proposto con apposita memoria. Il Par- lamento non votò, il re volle fare da se, e la rivoluzione scoppiò, sorretta dai Baroni, gelosi custodi delle franchigie e delle nostre politiche istituzioni, e si inau- gUTÒ quel periodo in cui gli studi economici fecero sentire la loro influenza nel memorabile Parlamento del 18412. L’ abolizione della feudalità fu uno degli articoli di base della Costituzione, ‘che venne fecondato nello Statuto presentato al re, in cui coi dritti signorili caddero aboliti i dritti proibitivi e privativi , le prestazioni personali, i dritti di servitù sui fondi per legnare, pascere, prevenire ed occupare terre e simili, altri vincoli, come pregiudizievoli all agricoltura e alla libera economia dei ‘prediî. Così venivano a trionfare due grandi principii promotori delle ricchezze: |’ uguaglianza NEL SECOLO XIX 45 e la libertà; il vincolo cedeva; e dovevasi allo sviluppo della scienza economica sì rigeneratrice legislazione. Il Parlamento dal 1810 avea gettato le basi della riforma daziaria, gli ulte- riori Parlamenti, sorretti dalla voce degli scrittori, produssero il resto. Non vi fu quistione importante della scienza che in questo periodo non fosse trattata, gli studii risorgevano, e davvero. Anzitutto quella del censimento dei beni ecclesiastici fu dibattuta e fuori e dentro la Camera. In sostegno del censimento, come mezzo di togliere lire 13 milioni debito pubblico , fu un anonimo , che nel 18483 scrisse una Memoria sui beni ecclesiastici, a cui anco anonimamente fu risposto. A. viso aperto ne. trattò in favore il Barone Ventura con la sua memoria Intorno ai Corpi ecclesiastici e i loro beni, a cui rispose il sacerdote Costanzo con il saggio la Proprietà eccle- siastica e 1 ab. D’ Angelo con la memoria Contro il progetto della censuazione dei beni della Chiesa votato nella camera dei Comuni nel 1845. La scienza del dritto e la economica furono svolte largamente da ambe le parti, la Camera dei Comuni votò la censuazione, quella dei Pari rigettò, e il censimento non ebbe luogo. Non così pei fedecommessi; la loro abolizione fa parte del corpo della Costi- tuzione, e la storia nota come degl’ importanti lavori giuridici ed cconomici si fossero pubblicati in questo tempo. Il messinese Francesco Romeo dava fuori le Osservazioni sui fedecommessìi e sulla censuazione dei beni nazionali; un dotto anonimo scriveva la Memoria di abolire î fedecommessi; Leon Francesco Borgia il Progetto di abolizione e modificazioni dei fedecommessi ; e il principe di Castelnuovo si fece, sorretto del Balsamo, principale propugnatore di questa abo- lizione, che dovea rigenerare la nostra vita economica. Le quistioni finanziarie attiravano la mente di tutti. La falsa dottrina dei fisiocrati dominava alla Camera : qualunque dazio ricade sulla terra, quindi è meglio gravar su essa direttamente, e la terra fa segno all’ imposta. Contro questo sistema col nome accademico Ereino comparvero due Discorsi sulle contribu- zioni in generale, e sul sistema delle contribuzioni di Sicilia, nei quali si sostenea il sistema inglese, che pesava sulle imposte indirette , e risparmiava l’ agricoltura ; ottimo lavoro in mezzo agli errori che pur vi si trovavano ; nè mancò chi rimpiangesse l’ antico sistema tributario , scrivendo: Confronto tra Vantico e nuovo metodo di esigere le pubbliche tasse, Le tasse d’ esportazione e d’ importazione dovevano essere oggetto di riforma del parlamento, e Giovanni Andrea Lo Tardi scriveva il Discorso intor no alla riforma delle dogane. Egli combatteva le dogane interne, le differenti tariffe, i privilegi e le esenzioni, e propugnava le umifor mi e moder ate tariffe, non che i mag azzini di deposito con dritto di esportazione , e la libertà del commercio di cabotaggio. Il Parlamento compì talune di queste riforme, altre le domandò, come i magazzini di deposito nel porto di Siracusa, ed altre infine furono acquistate col tempo. Ad estinguere il debito pubblico fu progettata da un Pari / ammortizza- zione, istituzione, che allora era in uso in Inghilterra, e che la scienza non aveva ancora fulminato come dannosa. Il bisogno di strade e la necessità delle tasse di pedaggio fu sostenuta dal Duca di Serradifaleo in una memoria Intorno all’ organizzazione delle barriere, ed esse fecero parte dei dazii votati dal Par- lamento; come altresì il Parlamento stesso incaricò il ministro delle finanze per compire la rete stradale della Sicilia e avvisare ai mezzi economici, preferendo la strada consolare già cominciata da Palermo a Messina per le montagne ; e a render l’ isola sicura dal brigantaggio la divise in 24 distretti, e creò la utile istituzione delle compagnie d’ armi, che resero grande utile alla sicurezza delle campagne. La libertà dell’’annona, sostenuta con buoni argomenti da un anonimo 46 L'ECONOMIA POLITICA IN SICILIA al 1813, non prevalse. La pubblica opinione era ostile, come anche oggigiorno; la libertà di vedere consacrata nelle basi della Costituzione dal 1842 fu scon- fessata un anno dopo; le mete formarono legge fondamentale dello Statuto ; nè questo solo, che anche per Palermo fu regolata la così detta Colonna frumen- taria, per cui il comune si facea incettatore e venditore di grano, violando così i principii elementari della scienza; eppure contro questi errori scrissero l’abate Palmeri Salazar, e un Pari in una lettera ai suoi colleghi nel 1844. I soste- nitori del vincolo , appoggiati dall’ erronea opinione del popolo , che credevasi affamato dalla libertà prevalsero. La moneta fu anche soggetto di studio. Una sproporzione tra il valore reale e il nominale esisteva fra le monete ciò produceva un gran disturbo nella cir- colazione, dappoicchè il sistema delle monetazioni poggiava su un errore; a com- batterlo videro luce nel 1814 le stupende Memorie storiche ed economiche sopra la bassa moneta di Sicilia di Antonino della Rovere, sopraintendente generale delle monete, per dar termine a questa crisi. Il governo l’ ascoltò , e la circo- lazione fu liberata da questa piaga. Tanto movimento dovevasi all’azione della scienza che logorò in pochi anni grandi errori. Non vi fu riforma che non fosse proposta o votata; il tempo mancò, e il risorgere delle idee ristrettive al cadere della libertà dopo il 1815 arrestò il nostro progresso, e le riforme vennero graduate e stremate. Gon la libertà cadeva l’ autonomia siciliana; gli studii economici illanguidi- rono; e pure il germe sparso cominciò a germogliare, in mezzo alla decadenza economica che le mutate condizioni avevano prodotto. La legislazione giudiziaria commerciale ed amministritava fu rifatta e con grande utilità: nel sistema d’ imposte l’ industria e il commercio furono rispar- miate, anzi talune tasse furono abolite; i privilegi del porto di Messina furono confermati nel 1817; nel 1818 fu data una grande spinta ai lavori stradali con plauso pubblico, e un anno dopo, a dare una rappresentanza al traffico fu costi- tuita la Camera di Commercio; furono dichiarate di libera immissione le materie . prime per costruire i bastimenti onde svolgere la marineria ; furono aboliti i Caricatori. primo passo alla libertà di estrazione dei grani; e per trattati inter- nazionali vennero aboliti i dritti di albinaggio , e riformato il magistrato di salute pubblica, che se recò bene al commercio, venne a menomare le garenzie della vita delle popolazioni. La rivoluzione del 1820 parve ridestasse la vita siciliana, ma non fu che un lampo. Gli accentratori napolitani rovinarono la loro e la nostra causa, e il dispo- tismo tornò novamente ad imperare. Pure le riforme proclamate dalla scienza proseguirono. L’ amministrazione delle acque e foreste riordinavasi nel 1820; delle leggi che diminuivano o a tempo o perennemente le tariffe doganali si pubblicavano con grande vantaggio del commercio in questo e negli anni successivi. E nello stesso anno 1820 si videro stabiliti dei premii per migliorare le razze pecorine, e premii alle migliori lane manifatturate da esporsi: fu data franchigia all’ immis- sione degli animali lavorieri pei campi; fa ridotto da 17 lire a 4 il dazio di esportazione del cotone per ispingere questa cultura; fu introdotta la coltivazione del riso cinese, dando i semi il governo; e più che altro fu in Sicilia abolita la leva per noa distrarre la popolazione agricola dai lavori campestri, che per manco di braccia non progredivano in un paese eminentemente agricolo; e a ristabilire il credito agrario privato si diedero delle norme circa alla sommini- strazione del grano e dell’ orzo per la semina. Nè ciò solamente; ogni cura si volse al miglioramento delle industrie e del commercio; era l’ apogeo della ingerenza governativa ; era un sistema autori- tario che dominava , combattendo la libertà , e che trovava eco nelle idee di allora. NEL SECOLO XIX 407 Saverio Serofani era incaricato di una statistica generale dell’Isola che abbrac- ciasse ogni ramo sociale, nella stessa forma che il De Ciocchis avea fatto per la parte ecclesiastica ; e gli studii statistici cominciavano a svolgersi e a far parte da sè, mentre in prima entravano come notizie nelle opere di economia e di amministrazione. i Nel 1822 s’ incaricava una commissione per un progetto di legge intorno alla navigazione mercantile della Sicilia, per isvolgere le risorse del nostro com- mercio marittimo; e le tasse d’ immissione ai prodotti esteri erano diminuite al 4823 qualora si trasportavano con legni nazionali; e dopo ancora, agevolezze e premii furono accordati alla nostra marineria , ed abolivasi il dazio sui legni che si riattavano nelle nostre spiagge. Le fabbriche industriali di Messina vennero incoraggiate, un mutuo di 2,690,000 lire fu fatto per costruire le strade, e privative di 5,10 e 415 anni si accorda- rono agl’ introduttori di nuove macchine. La grande riforma doganale, sebbene improntata ad idee protettrici , com- parve nel 1824. stabilendo la libertà del cabotaggio, che i vincolisti videro come un danno alla Sicilia per la concorrenza delle manifatture napolitane; ed appar- tiene allo stesso anno la famosa legge delle assegnazioni per le quali la pro- prietà obberata di debiti fu fatta libera, e i creditori di soggiogazioni divennero proprietarii di terra, così dando un salutare impulso alla nostra agricoltura. Nel 1825 vennero le prime leggi per lo scioglimento della promiscuità, a togliere gl’ immensi vincoli che impedivano il progresso della nostra agricoltura e la libertà dei fondi ; e si mise avanti la proposta per la creazione di un debito pubblico, e nell’ anno appresso comparve il decreto della libera escavazione delle miniere, che aprì il varco alla nostra ricchezza , e al commercio degli zolfi ; e l’altro della costituzione dell’ Ufficio per la garenzia e il marchio delle manifat- ture di oro e di argento. Ed è a notarsi che anco in questo anno fondavasi una cassa rurale per diffondere i prestiti ipotecarii, primo tentativo dell’ istituzione del credito fon- diario; e due anni dopo per non recar danno all’ agricoltura si rigettava il pro- getto della privativa dei tabacchi , quantunque per le angustie del bilancio era pur necessaria la somma di 350,000 lire che prevedevasi da questo monopo- lio; mentre pubblicavansi altre leggi protettrici per agevolare la navigazione nel Baltico e far sviluppare la industria della seta, che fin dai saraceni erasi introdotta in Sicilia. Infine è dal 1829 la fondazione dell’ Istituto d’ Incoraggiamento e delle dipendenti Società economiche che, recò immenso utile allo sviluppo industriale dell’ Isola, e che fu il centro donde si partirono le idee di libertà , e in cui operò una scuola devota alla scienza economica e fautrice della libera concor- renza. E pure tante leggi, tante riforme tanti incoraggiamenti , perchè non fon- dati sul sistema della libertà non apportarono il previsto bene; e solo solleva- rono la nostra vita economica quelli, in cui lo Stato, non uscendo del suo officio, limitò la sua ingerenza a rimuovere gli ostacoli; prova evidente come il sistema autoritario sia improduttivo. IV. LA NUOVA SCUOLA LIBERALE E IL RINNOVAMENTO E SVILUPPO DEGLI STUDII ECONOMICI DAL 1830 aL 1849 PER OPERA DEI SUOI ECONOMISTI I germi erano sparsi, le nuove dottrine erano penetrate nella gioventù, le scienze sociali, ispirate alla libertà, elargavano i loro confini; e la economia poli- tica, non attenendosi più al semplice studio del fenomeno della produzione e della 15 L'ECONOMIA POLITICA IN SICILIA sua manifestazione nella industria, approfondiva i fatti e abbracciava in complesso la società e i suoi bisogni, e si clevava ai principii di giustizia e di perfeziona- mento. Il governo che si inaugurava al 1830 rianimava le speranze dei liberisti, e con le riforme amministrative e le brillanti promesse accennava mettersi nella via del progresso. Alla fondazione dell’ Istituto d’incoraggiamento si aggiunse la creazione della Direzione di Statistica, di cui fu capo l'illustre esule Saverio Scrofani. Queste due istituzioni erano proprie di popoli liberi, ed esse agevolarono il progresso delle scienze economiche e statistiche, e fecero sentire la loro influenza Sul governo. L’ Istituto d’ Incoraggiamento, con l’ essere officialmente inteso nelle materie "di economia e di commercio, dava campo ai suoi socii di studiare la scienza e discuterne i principii e la pratica come in un pubblico Parlamento. E la Dire- zione di Statistica, col suo monumentale giornale, facea conoscere lo stato della popolazione di Sicilia e le sue forze produttive: dava grande impulso alla scienza statistica discutendone il tipo e i principii, e trattava le più importanti quistioni economiche, che riguardarono i sistemi e la loro attuazione nella siciliana ammi- nistrazione. L’ Istituto d’ incoraggiamento e il Giornale di statistica furono il campo ove i ferventi liberisti ruppero 1’ ultimo avanzo del protizionismo, e fecero trionfare la scienza, mentre dalla cattedra di Palermo la libertà si bandiva a tutta oltranza, e quella di Catania piegavasi alle liberali dottrine : Queste due istituzioni tanto benemerite della libertà spegneva l alito inar- dente della centralità italiana dopo il 1860; e pure di esse avean fatto parte tanti illustri uomini, devoti al principio della libertà. Distribuire equamente le imposte dirette , togliere alle dogane il carattere protettore, informare ai principii di libertà le industrie furono i primi passi nella via delle riforme, in cui si metteva la nuova amministrazione, ajutata dalla voce e dagli scritti dei siciliani economisti. Il nuovo catasto era riputato necessario per riparare le ingiustizie degli antichi; e nel 1832 agitavasi questa quistione. Salvatore Vigo scrisse allora la sua Storia critica di ‘parecchi censimenti per servire alla rettifica del catasto di Sicilia, nella quale si pronunzia pel sistema geometrico , per |’ estimo dei fondi fatto non solo per perizia, ma in raffronto agli atti di fitto e di vendita, preferendo a tutti i metodi il napolitano , aggiungendovi delle utili modifiche , dovendosi applicare alla Sicilia; ed il suo voto fu in parte .esaudito nel 1833. Contro lui levossi Francesco Mortillaro sostenendo opposto sistema ; egli era per l’ immobilità del catasto, ammettendo solo parziali verifiche; egli non volea punita la industria e premiata l’ indolenza, egli ai dazii diretti proferiva gl’ indi- retti; era sostenitore delle idee inglesi, e noi, a meno di talune idee secon- darie, che non possiamo accettare, incliniamo a sostenere la tesi del Mortillaro; noi siamo per la immobilità dei catasti non solo, ma per la immobilità dell’ impo- sta, non vogliamo nè le continue sperequazioni, nè l'imposta progressiva che immiserisce e arresta ogni progresso dell’ agricoltura. Ma là ove la quistione prese più largo sviluppo fu quella de’ dazii protet- tori e dell’ ingerenza dal governo nelle industrie, dacchè la Sicilia dovesse ad ogni costo essere manifatturiera era nella mente di molti. La prima esposizione delle opere industriali che nel 1834 fece 1° Istituto d’ Incoraggiamento confortò in questa idea, e da ogni parte si volevano mezzi protettori per rialzare le industrie. Fu allora che Raffaele Busacca nel 1835 veniva a togliere queste illusioni, e a proclamare i principii di libertà nel suo Ragionamento economico sull’ Isti- tuto d’ Incoraggiamento e sull'industria siciliana. Egli , esagerando i nostri NEL SECOLO XIX 19 mali, attacca arditamente il pregiudizio ; proclama la libertà, limita 1’ inge- renza dello Stato nelle industrie a solo rimuovere gli ostacoli; e come mezzi al mostro miglioramento economico dimanda | istruzione in tutte le classi, i mezzi di comunicazione, l’ abolizione dei privilegi, la diminuizione dei dazii che gra- vano sull’ agricoltura e la riforma delle tariffe doganali , abolendo ogni avanzo di protezionismo. Due anni dopo , nello stesso Istituto , agitavasi il cabotaggio fra Napoli e Sicilia. L’ Istituto si divise in due campi i più contro la libertà, i meno in sostegno di essa; ma per la libertà era la scienza e il valore dei Suoi sosteni- fori; a capi di questa libera scuola erano Emerico Amari, Francesco Ferrara, Raffaele Busacca ; il Malvica, il Mortillaro e Michele Amari erano pel vincolo. Si pubblicarono memorie dall’ una e dall’ altra parte; la voce del vecchio econo- mista Scudieri si fe sentire in sostegno del protezionismo; ma la vittoria fu della Scienza, e il cabotaggio fu libero. Così le idee liberiste progredirono, e con esse la scienza che trovava caldi e dotti espositori che in ogni evenienza le proclamavano. La quistione dei zolfi presentossi per la prima in campo, onde attuare le libere idee. La industria dello zolfo svolgevasi; queste miniere facevano presagire do- vere essere la ricchezza della Sicilia; ma imperfetti erano i modi di estrazione e di fusione, e la crescente produzione, anzichè. essere argomento di incoraggia- mento, era estremo timore, perchè i prezzi abbassavansi. I sostenitori dell ingerenza governativa nell’ industria, amavano tenere a livello la produzione col prezzo, e una forte tassa di esportazione veniva a danneggiare l’ industria. La produzione di 35,000 quintali avanti il 1830, era salita a 400,000 nel 1832, e poco dopo era aumentata a 900,000. Gl’ inglesi ne facevano acquisto, ed esercitavano un monopolio sul prezzo; la produzione sem- brava più della richiesta, e parve un bene accordarne la privativa del com- mercio alla inglese Compagnia Taix Aycardi. Le idee vincoliste erano prevalse; l’ Istituto d’ Incoraggiamento che per la bocca dei suoi liberi economisti si era pronunziato per la libertà e contro il mono- polio non fu intesa; ma le funeste conseguenze dell’ intervento si fecero sentire; nel 1838 divennero più fatali; l industria era impacciata, la Sicilia era privata della sua ricchezza, e l’ esecuzione del contratto accresceva le difficoltà; la qui- stione economica divenne una quistione politica tra Il Inghilterra e le due Sicilie, e la mediazione della Francia fece sciogliere il contratto con un forte indennizzo: Y Istituto d’ Incoraggiamento che per la voce del Busacca, che in un magnifico discorso sulla quistione degli zolfi, fu per l’ abolizione della privativa, si fece sentire, e nel 1840, il monopolio fu distrutto, la tassa di esportazione fu abbas- sata, il commercio degli zolfi divenne libero, e la ricchezza della Sicilia fu in tal modo assicurata. Nello stesso anno il sistema protettore ebbe altro colpo fatale. In Francia agitavasi la quistione degli zuccheri indigeni e i coloniali, la scuola del vin- colo in Sicilia agitavasi per il pretezionisrzo, allora appare la bella memoria di Emerico Amari: il sistema protettore e la collisione degli interessi rivali. Egli combatte completamente i protezionisti con profondità ed efficacia; non è mosso a scrivere che per la verità , e aciò « coll’ esempio dei mali prodotti dai falli altrui allontanar dalla nostra patria i funesti effetti di um sistema di menzo- gna e di violenza cui tanto inclinarono i tempi d’ ignoranza ». Il concorso alla cattedra di Economia di Catania nel 1844 era nuovo incen- tivo a discutere i principii liberali della scienza nei due -campi che se li dispu- tavano. Il soggetto che trattossi estemporaneamente dai concorrenti fu intorno all’utile e svantaggio che producono all'industria è privilegi. Placido Deluca 20 L'ECONOMIA POLITICA IN SICILIA e Salvatore Marchese si disputavano fra i concorrenti il primato ; l'uno ostile ai privilegi in principio, li credeva utili in date condizioni ; l’ altro era per la completa libertà, e contro i privilegi. La scienza veniva in lotta, con la libertà subordinata del Deluca e la libertà completa del Marchese; le due scuole soste- nevano a vicenda colui che erasi fatto banditore delle loro dottrine. Emerico Amari nel giornale di Statistica, come caldo sostenitore delle idee liberiste, si volgea contro il Deluca, che non era stato per la in completa libertà; altri in di lui favore scrivevano, tra i quali Benedetto Castiglia nella Ruota; ma la vittoria fu pel Deluca ; e a dir vero era esso mente di economista valente. che, tornato dopo pochi anni alle idee liberali, sedè per concorso professore di Economia in Napoli, e illustrò con le sue opere la scienza e la Sicilia. A queste robuste voci che parlavano per la libertà, si aggiungeva quella del grande economista Francesco Ferrara, che con opuscoli, e in varii giornali bandiva aperta guerra al vincolo e alla protezione, per il libero cambio, facendo a queste idee inclinare la Camera consultiva di commercio, di cui era segreta- rio e il giornale di essa, che egli dirigeva. Nè questi soli argomenti, ma quelli che si volgevano ad altro scopo di pub- blica utilità si trattarono. Il conte Ferdinando Lucchesi Palli nel 1838 pubblicava la sua Diserfazione economica storica sulla rendita pubblica, nella quale svolgeva quale sia il miglior modo di ordinare le entrate degli Stati; Pietro Lanza Principe di Scordia trat- tava nel 1841 Sulle opere pubbliche di Sicilia, combattendo la centralità napo- litana che le attraversava, e chiedendo il loro sviluppo in Sicilia per dar fine a quell’epopea di sventure onde comprendesi la storia siciliana dei moderni fempi, e poco dopo ad animare tra noi il difetto di associazione scriveva dot- tamente sullo Spirito dell’ Associazione inglese: Francesco Ferrara egregia- mente, a proposito di opere straniere, scriveva dei Fanciulli abbandonati trat- tando dal miglior modo di organizzare questo ramo di beneficenza, e delle riforme delle poste ; ‘il Prof. Emerico Amari apparecchiavasi a scrivere un opera sul- l’ Industria siciliana e pubblicava nel 1844 una memoria che dovea precederla Su Vindole la misura ed il progresso della industria comparata delle nazioni, stupendo lavoro , sorretto da accurate analisi e di elevati principii; e il Profes- sore Giovanni Bruno, allora giovanissimo si presentava nel 1842 col suo hello e studiato scritto Su! vantaggio e progresso delle casse di risparmio e sui mezzi di istituirle in Sicilia, lavoro che ripubblicò nel 1852, nella speranza di ridestare la discussione e la filantropia degli uomini zelanti del pubblico bene. Di già il pretezionismo era spento , il monopolio e i privilegi erano stati combattuti, la libertà nella scienza era assicurata, e si apparecchiava la tratta- zione scientifica di essa, senza scompagnarla dalle applicazioni all’Isola nostra. Nobile gara era questa , in cui gli economisti con santo fervore venivano bandendo le loro dottrine; e questo periodo, di cui noi parliamo, e che si chiuse nel 1848, fu il più battagliero che mai. La scienza pura e la scienza applicata si svolse; la libertà economica larvava la ;libertà politica , e la rivoluzione morale negli studii aprì il varco a quella solenne rivoluzione, nella quale l’ Isola reclamò con le armi la libertà che avea proclamato con, gli scritti; e sanzionò con le leggi nella popolare assemblea quelle dottrine che si erano bandite dai libri e dalle cattedre. Placido Deluca passava per concorso della cattedra di Catania in quella di Napoli nel 1844, e nello stesso anno Giovanni Bruno anche per concorso saliva in quella di Palermo, già vuota per la morte del Sanfilippo. Il professore ‘di -Catania lasciava Della fama di se in Sicilia, e portava fuori Y Isola onorato e caro il nome siciliano. Egli in un discorso sullo studio della scienza economica nelle condizioni dell’incivilimento stampato in Catania nel 1842, ©) NEL SECOLO XIX 94 rivelava il suo poderoso ingegno, e dava il programma del c corso delle sue lezioni, scagionandosi dell’ accusa di vincolista e proclamando la libertà. Ma tutta via er a incerto , e solo più tardi si convertì interamente. La sua introduzione al corso di economia pubblica e commercio di Napoli nel 1845 lo addimostra sollevarsi in una sfera più elevata , abbracciar tutto l’ uomo come soggetto dell'economia, i suoi bisogni, i suoi mezzi, il suo destino, bandendo ogni umana ingerenza in ciò che armonicamente avea ordinato la Provvidenza. Il suo corso era plaudito, e i resoconti annuali, che egli ne faceva, di cui taluni in Palermo altri in Napoli pubblicati, mostrano come ei trattasse la scienza sociale. Il Professore di Palermo , giovane animoso e fidente, con l’energia e l’ elo- “quenza della sua parola bandiva le verità economiche, proclamava la libertà in tutto e per tutti; ed elargando i confini della scienza imprimeva un impulso negli studii economici e trascinava la gioventà, attirata dall’ efficacia delle dot- trine, che si sollevavano ai principii del dritto e della giustizia. Col suo discorso preliminare allo studio dell'economia sociale, pronunziato nel novembre del 1846, difese alla economia politica il titolo di scienza, e ne mostrò il nesso e lo scopo, proclamando la libertà come suo principio costitutivo , delineando 1’ importante officio, a cui è chiamata come riformatrice delle odierne società, A Francesco Ferrara era serbato più tardi l’onor della cattedra, e l’ebbe a Torino e Firenze; avendo più vasto campo e più prospere condizioni allo sviluppo del suo ingegno e alla estensione della sua fama. Economista come egli era dotto e profondo, e scrittore facile ed attraente , si trovò tra i primi siciliani a ban- dire il liberismo; il suo nome era popolare e caro fra noi priachè l eco dei suoi successi ci giungesse dalla terra dell’:esilio. Qui con portentosa vena scriveva su varii argomenti di economia politica e sempre bene, e sempre applaudito ; e i suoi due ultimi lavori, che videro luce nel 1847, I periodi dell’ economia politica, e Malthus è suoi avversarii, i suoi seguaci, le conseguenze della sua dottrina, sono degli stupendi scritti che bastano a costituire un nome imperituro, assegnandogli un posto tra i primi economisti; e il suo meriggio ha corrisposto a questa splendida aurora. Belle illustrazioni al certo son queste che ha la storia della economia sociale fra noi, e. che han formato una scuola devota alle idee liberiste. E a questa scuola appartengono, attenendoci al periodo di cui parliamo, Vito D’ Ondes Reggio, Francesco Perez e Gaetano Vanneschi che scrissero nel monu- mentale Giornale di Statistica: Vincenzo Cordaro-Clarenza , che successe al De- luca nella cattedra di Catania, Salvatore Marchese che sedette a quella di dritto na- turale, Filippo Cordova che ebbe ad applicare non sempre bene la scienza da mini- stro in Sicilia e nel regno d’Italia, Giulio Albergo che scrisse incompleta una storia dell’ economia politica in Sicilia, Mario Rizzari che dettò una memoria sulle condizioni della industria siciliana, e più che altri Salvatore Majorana Calatabiano che nel 1847 scriveva un nuovo trattato di economia politica col titolo di Ric- chezza e miseria, nel quale mostra Vl armonia della economia colla politica e colla morale, come la ricchezza producasi, e come le cause della miseria stiano nella ignoranza della scienza. V. IL PROGRESSO DELLA SCIENZA ECONOMICA :pAaL 4850 AL 1860 E I SUOI ESPOSITORI ED ORDINATORI Tanto movimento ebbe il suo massimo sviluppo nel 1848, quando la Sicilia, rovesciando una secolare tirannia , fu di se stessa padrona : e gii uomini che con gli scritti avevano avviato il paese alle idee «di libertà economica e civile 99 L'ECONOMIA POLILICA IN SICILIA le poterono sostenere da rappresentanti, ed attuare da legislatori. Ma quel periodo fu breve e contrastato; la rivoluzione fu vinta, la libertà cadde nel 1849, e con essa parea che dovesse arrestarsi il movimento della scienza economica e la pro- paganda delle sue libere idee. «Ma come esso avea potuto esistere avanti il 1848 , così potè risorgere al 1850; meno focoso e meno battagliero, ma non meno produttivo. E se pria gli scrittori poterono mischiare la politica alla scienza, si concentrarono dopo alla scienza soltanto; ed essa progredì e si svolse; e se i più splendidi ingegni bat- terono la via dell’ esilio, ne rimasero; e gli esuli colà portarono la nostra tra- dizione, illustrando il nome siciliano, e di là l'eco dei loro successi rianimava gli spiriti nostri , che chiusi entro le pastoje di una censura, pur fecondavano la scienza. Il governo poteva in Catania destituire Marchese e Cordaro-Clarenza, ammonire in Palermo Bruno, infrenare in Napoli Deluca; ma non poteva però impedire lo studio e lo svolgimento della scienza, che guadagnò nel metodo e nella esposizione, senza perdere nei principii, e in quello apostolato di libertà eco- nomica, che dopo 10 anni dovea dietro sè trarre la politica. L’ Istituto d’ Incoraggiamento tuttavia esisteva, e fondava un proprio gior- nale ; una Commissione per l’ agricoltura e pastorizia di Sicilia si creava, ed avea periodici atti; il giornale di statistica ripigliava la sua vita , il Giornale dell’ Accademia Gioenica di Catania ripubblicavasi, gli Annali di Agricoltura siciliana nascevano; la Camera consultiva di Commercio rinnovava il suo gior- nale; l’Empedocle si occupava a preferenza di pubblica economia; i giornali scien- tifici davano un posto alle materie economiche , e tra questi nel 1858 e 1859 l’ Idea ne facea parte precipua dei suoi argomenti. Erano questi gli organi più efficaci; e in questi la scienza si trattava , la libera concorrenza si proclamava, utili istituzioni si preparavano a vantaggio del- l economia dell’ Isola, lasciandosi indirettamente discutere e censurare le leggi allora vigenti, e non alterandosi il carattere tradizionale della nostra scuola, di contemperare la teoria alla pratica, scuola che al dir del De Cesare non fu diser- tata mai dai migliori ingegni dell’ Isola. E soggetto di dotte scritture erano per il Prof. G. Bruno il sistema doga- nale in Sicilia e la scala franca în Palermo, il libero paneficio e le mete , il divieto dell’'importazione degl animali bovini, V esposizione industriale ed agricola del A85T, il credito territoriale, la origine della economia sociale. E l’ Intrigila pubblicava è suoî saggi di economia politica, e metteva fuori degli scritti sulla carità privata e la pubblica beneficenza, sui provvedimenti anno- narti, sui capitali immateriali; e il Biundi scriveva elaborate memorie sulle assise, sui monti di Pietà, sui porti franchi , sulla proprietà letteraria, sulla popola- zione, sul credito agrario e sulla istituzione di una banca territoriale; quale argomento del credito era stato trattato dall’Accordino con la memoria suuna Banca Agraria, dal. Mazza col suo progetto di aggiungere al Banco di Palermo le funzioni di sconto e di circolazione e dall’ Albergo nel suo scritto sulle casse di sconto di! Palermo e di Messina, ai quali volea accoppiare 1’ emissione dei biglietti fiduciarii. Nè è a tacersi, come venivano ad accrescere il lustro della nostra storia della economia politica, gli scritti del Cordaro-Clarenza sul fravaglio e talento, sul capitale, sul valore e sul prezzo, le notizie economico-statistiche sui catasti di Sicilia del Mortillaro, gli Studi del commercio di Sicilia del Barone d’ Antalbo, le scritture sugli istituti di Beneficenza di Palermo del Di Menza, la memoria del Deluca sull’ ammortizzamento , quella del Longo-Signorelli sulle cause di decadimento della agricoltura e \° altra del Tedeschi Amato su una nuova teoria della rendita del terreno; e il libro del Sac. Filippo Evola: la dottrina cattolica e l economia pubblica. e i vari scritti del Majorana-Calatabiano. Quali scritti NEL SECOLO XIX 23 ed opere ricordate, se non iutti eccellenti, pure posson dar prova del movimento degli studii in Sicilia; nel quale, anche noi negli ultimi anni, portammo il nostro contributo, scrivendo sulla esposizione industriale ed agraria in Sicilia nel 1857, sul credito territoriale ed agrario, sulla necessità delle strade ferrate in Sicilia, sulle materie prime e è prodotti e su varii altri argomenti di pubblica econo- mia , sia teoretica , che d’applicazione, non dilungandoci mai dai principii della scuola siciliana: devozione alia libertà, affetto all’ Isola nostra. L’agricoltura e la pasforizia siciliana furono altresì argomento di serii studii, nel fine di migliorarne lo sviluppo; e sull’oggetto sono a lodarsi gli sforzi e gli scritti del Majorana, dell’ Inzenga, del Mazza, dello Sturzo, del Di Martino, del Todaro, del bar. Turrisi, del Biundi, del Minà-Palumbo, dell’Evola, del Chicoli e del barone Francesco Anca; mentre che le miniere e 1’ industria dello zolfo erano argo- menti di studii e di utili scritti di Pietro Calcara e di Francesco Dotto-Scribani. E questo certamente un quadro, che ben dimostra come l’economia politica in Sicilia sia bene rappresentata; e pure non è il tutto. Noi non abbiamo accen- nato che alla parte applicata della scienza in questo periodo; ma la parte pura, la teoria, ebbe dei lavori che ben possono alla posterità assicurare il nome di un paese, nella scienza sociale. A quest’ opera immensa concorsero i tre nostri valenti professeri Placido Deluca, Francesco Ferrara e Giovanni Bruno, di cui abbiam detto nel corso di questo lavoro; i quali con la loro voce dalle cattedre di Napoli, di Torino e di Palermo, e con le loro opere diedero nuovo ordinamento alla scienza e tratta- rono le più ardue quistioni di essa. Placido Deluca nel 1852 pubblicava in Napoli i suoi Principii elementari della scienza economica. Mente esatta ed analitica, valente nelle scienze filosofiche e ‘giuridiche, scrittore netto e preciso, si chiuse entro gli stretti cancelli della scienza, e ne scrisse con logico rigore e col linguaggio delle scienze esatte, senza incontrar mai quell’ animata forma, che attrae e solleva. Egli, abbracciando in complesso tutta la scienza, metteva sotto una veduta ontologica la causa, il mezzo ed il fine, non trovando altro scopo se non il per- fezionamento fisico e morale dell’uomo, non altro mezzo che l’uomo con le sue forze e colla sua attività, non altra causa che l’uomo stesso così come esce dalle mani del creatore. Il lavoro dell’uomo, le forze della natura appropriate, il capitale sono i tre grandi poteri produttivi, che stanno naturalmente in armonia; e niuno può aver dritto alla produzione, senza non avere cooperato con uno di questi titoli. Ma il modo come avea veduto trattare la scienza non gli parve adatto e con- forme alla verità, e la volle studiare sotto tre punti di vista. Nel primo esaminare il modo come i tre poteri produttivi si mettono in ar- monia : feoria dei cambii e della circolazione. Nel secondo conoscere come agi- scono siffatti poteri produttori , che, per la loro cooperazione a produrre , han dritto ad una quota-parte del prodotto , cioè della proprietà. Nel terzo studiare come questa proprietà deve raggiungere e provvedere ai bisogni dei consociati cioè della ricchezza. La genesi della scienza, lo studio di essa, il distintivo del carattere della scuola italiana costituiscono i prolegomeni dell’ opera, la quale va divisa nei tre libri della feoria dei cambii, della proprietà, della ricchezza, trattando in essi con rigoroso ordine tutti gli argomenti della scienza economica, svolti a norma dei principii i più sani, senza elargare per nulla i confini assegnati alla scienza dalla scuola inglese. Ebbe a base il liberismo, animatore dello sviluppo della ricchezza e del ben essere sociale; i beni materiali ritenne come mezzi a conseguire fini più alti e più nobili, e la prosperità di nn paese volle doversi misurare dall’ agiatezze 24 L'ECONOMIA POLITICA IN SICILIA diffusa sul maggior numero degli abitanti; ed accusato di seguire le teorie sociali, disse che. era seguace del socialismo che sta mei limiti della giustizia. Della sua opera ne staccò due parti le Finanze e la Popolazione; le prime videro luce in Napoli nel 1859, in un grosso volume, col titolo’ la Scienza delle Finanze, opera completa ed applaudita dagli italiani e dagli stranieri, ove mostrossi non solamente valente e liberale economista, ma assai pratico della ammimistra- zione finanziaria ; il lavoro sulla Popolazione però rimase inedito , dacchè egli era rapito alla scienza, morendo a Parigi nel 1862, dove il rappresentante del collegio di Bronte erasi ridotto nelle vacanze del 1° Parlamento italiano. Francesco Ferrara , dopo la caduta della libertà in-Sicilia, portava alto e glorioso il nome nostro nel continente , e dalla cattedra di Torino bandiva fin dal 1850 le verità della scienza economica, che avea professato fra noi. Ro- busto pensatore e scrittore falicissimo , con l eloquenza del suo linguaggio fon- dava .nel continente una egregia scuola di giovani devoti ai principii della libertà, che taluni poi rinnegarono. La sua voce e le sue dottrine erano spesso di rimprovero alle false che prevalevano nel Parlamento subalpino. e una gioventù entusiasta seguiva annual mente il corso delle sue lezioni. La Biblioteca degli Economisti, divisa nelle due serie di trattati complessivi e speciali, che iniziò nel 1854 e compì nel 1870 è uno splendido monumento , in cui presenta agli italiani le più importanti opere di economia politica antiche e moderne, italiane e straniere. Questi 24 volumi sono preceduti da importanti Prefazioni, nelle quali largamente è svolta quasi tutta la scienza, tanto storica- mente, che teoricamente, tanto nella parte generale. quanto nella parte speciale. Egli con quel fare tutto proprio, con quello stile efficace ed attraente , con la larghezza delle sue vedute , disse molto di nuovo nelle singole quistioni della scienza , portando sempre alta l idea delle libertà economiche , cementando di belli e robusti concetti il grande edificio della scienza, da collocarlo a capo degli economisti d’ Italia, e tra i primi d’ Europa; in modo che il suo nome è oramai da pertutto un’ autorità rispettata. L’ antica scuola e la fisioerata , e quanto di nuovo e di utile quest’ ultima introdusse nella scienza niuno meglio di lui ha trattato nella prefazione ai Fisiocrati. La scuola italiana, sebbene trattata con molto rigore, è scolpita con larghe vedute in quella che precede le immortali opere del Genovesi, del Beccaria, del Verri, del Filangieri. La teoria della produzione e dei prodotti immateriali è svolta nelle introduzioni allo Storch e al Dounoyer; quella del valore nelle introduzioni al Senior, al Bastiat, al Say, al Carey; quella della rendita e la discussione sul prodotto netto e sulle spese di produzione e riproduzione nelle introduzioni al Malthus al Carmes al Riccardo. La proprietà in economia è trat- tata nell’ introduzione al Say e al Trasy ; la libertà nella scienza economica e la teoria del libero cambio nella introduzione al Bastiat; la libertà del lavoro in quella del Dounoyer; la Zibertà del commercio e le moderne dogane in quella che precede gli scrittori sulla libertà del commercio. E poi tratta la teoria delle mercedì nella introduzione al Dounoyer, le crisi economiche in quella che precede gli scrittori sul Commercio; la moneta e i suoi surrogati, che supera le 300 pagine, in quella innanzi al volume del Credito e Banchi; e le quistioni che riguardano Vagricoliura nell’ introduzione al volume , che accoglie gli scrittori che trattano di questo argomento. Le introduzioni al Rossi al Chavalier se non trattano appo- sitamente di qualche argomento della scienza, l’abbracciano tutta, e rappresentano il movimento economico e politico della Francia e dell’Italia dal 1830 in poi. Noi qui non possiamo venire esponendo il modo come risolve le ardue qui- stioni, che tratta ; ma in complesso possiamo dire, che le sue 20 introduzioni, giacchè mancano quelle ai volumi delle Imposte, della Popolazione, della Beneficenza, costituiscono un solido edificio della scienza, tanto sotto il riguardo della storia Po NEL SECOLO XIX 25 che della teoria e dell’applicazione; sono più che 2000 pagine che formano un corpo di dottrina, un esame accurato e dotto di circa 100 opere di valenti economisti, la cui vita e il cui carattere sono delineati con la profondità di un scienziato, con la bellezza di un artista. Diremo solo due parole sul nuovo zen fativo di esporre la economia politica, lavoro ardito e dottissimo , che fa parte della prefazione all’ immortale Corso di G. B. Say. Egli si parte dal concetto che non bisogna esaminare il fenomeno econo- mico in tre fasi, ma sotto un punto di vista, in rapporto alla causa efficiente, che è l’ uomo; dappoichè , trattarlo come si è fatto sin oggi è erroneo , perni- cioso, imbarazzante. E appoggiandosi sull’ agente, egli lo considera come essere isolato, poi come essere complessivo costituito da molti uomini, e poi come un essere ancora più complessivo costituito da molte riunioni di uomini. Allora il fenomeno economico è abbracciato tutto intero e si esamina in questi tre stadii, formando tre sistemi, « ai quali, dice l'illustre economista, per avere un frasario stabile, darei nomi distinti, come sarebbero quelli d’Economia, individuale, sociale, internazionale ». Ecco il nuovo concetto di esporre la scienza, del prof. Ferrara; e a chi si fa a leggere le splendide pagine in cui lo svolge, spunta intenso il desiderio di vederlo attuato, tali sono le attrattive con cui è vestito e il rigore con cui è soste- nuto. Ma però non trattasi che di semplice modo di esposizione,, non si tratta che del solo fenomeno economico, ispirato agli alti principii dalla libertà e della giustizia. Il professor Bruno corse più avanti ; e il suo modo di ordinare la scienza, frutto di lungo studio e di pratica nell’ insegnamento : quantunque possa parer sospinto dall’ idea del Ferrara, pure da essa molto si distingue sì nel concetto. come nella esposizione. Il Bruno non piglia solamente ad esaminare il fenomeno economico sotto un nuovo punto di vista, ma intende abbracciare tutto il fenomeno sociale, che non complette la sola parte economica; allarga i confini della scienza, e della eco- nomica politica fa la Scienza dell'ordinamento sociale; e con questo titolo ha pubblicato un opera completa , di cui il 4° volume vide luce nel 1859, il 2° nel 1865, ed ora si aspetta il resto. Egli come al Ferrara si partì dal concetto dell’ uomo, ma abbracciò l intero fenomeno sociale; e 1 esaminò in tre stadii dell’ individuo, della famiglia, della società; e avendo a scopo il progresso, venne a dividere il suo corso in tre parti, cioè: delle condizioni organiche per la conservazione e îl mantenimento progres- sivo dell’ individuo, della famiglia, della società, a cui fa seguire a compimento un’ ultima parte, che complette le finanze pubbliche o è mezzi di sovvenire ai bisogni ordinarii e straordinarii della società. Ma quanto prevale nell’ opera è la parte economica, sebbene egli abbia mirato a tutto l ordinamento sociale. I due volumi fin oggi pubblicati hanno riscosso le lodi di dotti economisti, ed hanno avuto l'onore di ottenere favorevole rap- porto del grande economista Passy all’ Istituto di Francia. Noi non ci facciamo qui ad esporre le idee fondamentali del professore di Palermo, perchè ne abbiamo detto; solo avvertiamo come egli si poggi sulla giu- stizia e la libertà, come abbia sorretto l’opera sua, dandovi vero carattere di scienza, coi grandi principii della morale e del dritto, vestendo le sue lezioni di una forma animata che sa ispirare in chi le studia l’amore alla scienza. Esaminare quale dei tre modi d’ intendere ed esporre la scienza, che ci han dato il Deluca, il Ferrara e il Bruno, sia preferibile non è proprio di questo lavoro; solo abbiamo voluto constatare questo importante avvenimento nella storia della scienza , come tre Siciliani abbiano dato un nuovo ordinamento alla economia 26 L’ ECONOMIA POLITICA IN SICILIA politica, ristringendo o elargando i confini della scienza, e svolgendola in rapporto al loro diverso carattere, sebbene tutti ispirati ai grandi principii del dritto e della morale. Ed è gloria singolare per l’ Isola, e chiara espressione del suo progresso negli studii economici, come essa presenti contemporaneamente ingegni ed opere pode- rose, che con nuove ed elevate vedute abbiano ordinata e svolta la scienza eco- nomia, che insegnarono dalle più illustre cattedre dell’ Italia. VE LO STATO ECONOMICO SICILIANO DAL 1830 aL 1860 E L’ INFLUENZA DELLA SCUOLA LIBERALE NELLE RIFORME GOVERNATIVE Idee , fatti, scienza proclamati con tanto ardore e con tanto sapere, popo- larizzati dalla cattedra e dai congressi economici, nei giornali e nelle opere, nelle quistioni amministrative e nelle discussioni scientifiche dovevano certamente pro- pagarsi, e far sentire il loro efficace potere nelle leggi e nel pubblico indirizzo. Il principio della libertà , regolatore della scienza , dovea esercitare la sua influenza col mantener desto il sentimento della libertà politica; e i reggitori se paventavano questa. e con la forza la comprimevano. mostravano però di sentir poca gelosia dell’ altra, e se ne facevano, forse per ostentazione, sostenitori; in modo che nel lungo periodo che corse dal 41830 al 1860, poco più, poco meno la libera concorrenza si proclamava e il libero cambio era la divisa di chi gover- nava il paese; ed è storico come Ferdinando Il avanti il 1848 fosse animato di queste idee , sino ad avere spedito a Robert Peel una sua professione di fede economica liberale, che fu pomposamente citata nella Camera dei Comuni, come avverte il Ferrara. Tanto movimento era 1’ effetto dello sviluppo degli studii economici che qui trovavano energici sostenitori, sorreti dalle riforme, iniziate dal governo nel 1830, quando |’ aura di libertà si facea senza sospetto sentire da per tutto. Fu allora che le strade ebbero um serio sviluppo, e varie arterie in breve tempo si compirono; tentativi di ristaurare delle manifatture si videro, ma caddero, col cadere della protezione e la riforma doganale. La città di Catania iniziava il suo molo, e quella di Messina consolidava i suoi debiti. 1)’ Istituto d’ Imcorag- giamento facea sentire il suo potere, e le sue esposizioni industriali a brevi inter- valli si succedevano. Ma la centralità, costituita nel 1838, inaridiva i germi delle propagate idee, e facea illanguidire il movimento economico Siciliano. Allora l’odio tra la Sicilia e i suoi governanti continentali assodossi , e l’ opposizione e la vendetta e la necessità della emancipazione divennero il programma di quanti intendevano alla prosperità dell’ Isola. Ogni atto, ogni legge divenne segno della pubblica disapprovazione, e solo con popolarizzare le libertà economiche si venne a popolarizzare lo spirito di libertà politica. x Due grandi leggi meritano in questo tempo 1’ attenzione dello storico della economia politica: la grande riforma doganale del 1844, ispirata ai principii del libero cambio, e la completa abolizione della promiscuità. La prima svolgeva lar- gamente il commercio e la navigazione e portava la ricchezza nel paese; la seconda sbrigliava la proprietà terriera, ed imprimeva un singolare sviluppo all’ agri- coltura. hi Era il principio della libertà, bandita dalla scienza, che con la franchigia a taluni generi e l'abbassamento delle tariffe e i trattati doganali con tutte le nazioni del mondo , rimoveva ogni ostacolo al commercio , per cui costituivasi apposita borsa in Palermo, e agevolava la libera consumazione dei prodotti; e che con 1’ abbolizione della promiscuità toglieva i gravi vincdli, che impedivano lo svol- gimento della agricoltura. NEL SECOLO XIX 27 La libertà economica e lo sviluppo delle industrie erano nel programma del governo, Sino a proibire le mete, che ai generi annonarii imponevano le auto- rità municipali, come non conformi ai principii di libertà e dannosi agl’ interessi dei consumatori. Le tasse erano poche, e ben collocate; esse pesavano leggermente su tutti; il che dava agio al libero sviluppo della vita economica, che non era vincolata da oppressive imposte , che tolgono ‘il capitale a produrre e scoraggiano ogni movimento ed ogni immegliamento nelle fonti di ricchezza; ciascuno sapea che della produzione e del suo svolgersi era solo padrone chi l’ avea fatto nascere; il governo non pesava opprimente, nè era un socio, che partecipava largamente agli utili al di là del suo dritto. Il movimento progressivo verso le libertà economiche continuava , quando venne la rivoluzione del 1848. I popoli non vivono solamente della vita econo- mica, vi ha la morale e la politica che chiedono il loro dritto; non potevasi lasciare un paese nell’ abbandono intellettuale e nella oppressione politica, che una cen- tralità invadente di uno Stato vicino rendea più pesante e ignominiosa, ferendo la dignità nazionale di un popolo culto, che era trattato da barbaro, e a cui dal Continente si mandavano organatori e rettori. La rivoluzione del 1848 fu la più sacra delle rivoluzioni ; non si chiedea solamente la libertà violata, ma la personalità distrutta; non i soli dritti politici, ma i dritti di uomini; e sebbene essa fosse caduta oltre un anno di vita gene- rosa e sospinta , pure sotto questo riguardo il 1850 fu un progresso sul 1847 ; noi avevamo riacquistato la personalità che le leggi del 1838 avevano can- cellato. Erano le stesse idee che predominavano nella scienza , e che si attuavano nella vita economica; un progresso lento, ma graduale, che ii governo non spin- seva di troppo, perchè la sua ingerenza pesava il meno possibile, lasciando tutto alla iniziativa privata: la quale era debole e se vuolsi inerte , perchè mancava lo spirito di associazione; nè lo Stato credea supplievi per non aggravare i con- tribuenti, che pagavano sparute imposte, le quali anzichè aumentarsi, con un sistema di economia, si vedevano spesso togliere o diminuire. E se non fosse stato per l’ opprimente governo politico, sospettoso e feroce, che pur facea sentire la sua funesta influenza nello svolgimento economico, un giudizio severo non si sarebbe portato sull’ ordinamento economico e su quanto facevasi per migliorare le condizioni dell’ agricoltura e delle industre. Pure non è a preterire, come le poche imposte e la crescente attività, non che le utili leggi. abbiamo portato un considerevole sviluppo nel nostro movimento econo- «mico, aumentando la pubblica ricchezza, massime nella seconda metà del decennio. La creazione di un debito pubblico siciliano nel 1850 dié un utile impiego ai capitali, e vi produsse un movimento; la istituzione del Banco autonomo con una forte dote. e la giunta ad esso di due casse di sconto, luna in Palermo e Valtra in Messina nel 1859, diedero un grande impulso al credito ed al traffico , che dovea esser completato con l’agregazione ad esso delle Casse di risparmio. Il porto franco di Messina ampliato alla città fu un bene per tutta Sicilia, a quei tempi in cui mancavano i magazzini di deposito, col mantenere un porto franco, ove l’ esterno commercio potesse affluire. L’ avere esteso nel 1856 il fido doganale sino alle infime classi dei commercianti rese più facile e. sbrigliato il commercio. L’aver. messo sul piede di perfetta uguaglianza e reciprocità il libero cabotaggio tra Napoli e Sicilia, che si volea abbolire , recò un gran bene allo sbocco dei pro- dotli siciliani nel continente napolitano, mentre i trattati commerciali migliora- rono l’ esterno cambio , e le comunicazioni con | estero aceresciute rendevano più propizii i commerci. Nè questo solamente: la riforma postale del 1858 facca più rapide e vicine A 28 L'ECONOMIA POLITICA IN SICILIA le comunicazioni, e la tassa delle lettere ridotta ad 8 centesimi rendea più facile la corrispondenza tanto necessaria agli affari e ai traffici. Nel 1850 si creava il corpo del Genio civile, e in un decennio si compivano 370 miglia di strade rota- bili per l'interno dell’ Isola: mentre in soli due anni dal 1856 al 1857 si met- tevano 700 miglia di fili eletrettici telegrafici e un filo sottomarino con Malta Gli antichi e poco utili Fari furono rinnovati ed accresciuti con forti spese, e intel- ligentemente diretti e conservati. I porti che trovavansi in riprovevole abbandono furono rinettati e conservati; e pel bisogno del cresciuto commercio fa designata la costruzione di un porto in Milazzo e di un altro in Licata, i cui lavori furono alacremente iniziati; mentre, per sottrarre le navi siciliane alla necessità di recarsi a Malta o Tolone per riattarsi, nel 1859 fu ordinata la costruzione in Palermo di un bacino mercantile di raddobbo. Lo sviluppo della proprietà terriera e della industria agraria non fu trascu- rata : nel 1852 era ordinata la vendita dei beni Pii laicali, dei Comuni e del Demanio , onde le terre sminuzzate si riducessero in mani più produttive; e a render libere le terre era più tardi stabilita la redimibilità dei censi che si appartenes- sero a Corpi Morali. Si completò e rettificò il catasto fondiario nel 1853, senza dar luogo a reclami, e la tassa diveniva sempre più lieve per l’ aumento graduale nel valore delle terre. E a rendere libera la irrigazione nel 1850 si dichiararono di demanio pubblico i fimmi di Sicilia, togliendo tante contestazioni tra i possessori riverani e i proprietari dei feudi , che, in forza delle leggi del 1811, credevano di loro proprietà esclusiva le acque fluviali che scorrevano nei fondi; e a com- pletare questo supremo bene all’ agricoltura e alle industrie nel 1860 si aggiun- geva al codice civile la servitù legale degli acquidotti, nel modo della legislazione lom- barda; come altresì si promoveva e si attuava la digazione e distribuzione delle acque dell’ Anapo nel 1857 e di quelle del Simeto nel 1858. rendendo incom- mensurabili vantaggi all’ agricoltura della provincia di Siracusa e di Catania. Nè meno salutari furono gli sforzi per abolire le decime e riformare la legislazione boschiva, sebbene lento andasse il lavoro, per conciliare l'utile pubblico col sacro dritto di proprietà. Nè meno feconda di favori alla popolazione rurale, che spar- gevasi per le campagne, fu la legge con la quale inibivasi ai comuni di estendere ad essa i dazii di consumo, finchè i casolari aggrappati non avessero raggiunto la popolazione di oltre i 250 abitanti. AI principio della libertà economica si stette fermi; ed è rimarchevole come nel 1850 fossero state respinte le proposte di estendere alla Sicilia la privativa del tabacco e del sale , onde riparare al deficit della finanza , ritenendola non conforme alla libertà e nociva all'industria privata; come, nell’ aver fatto il rego- lamento per il nuovo e più utile metodo di fondere gli zolfi, si dichiarasse non essere obbligatorio pei proprietari, i quali più che dalla forza vi dovevano esser condotti dall’ utile; e come in fine, all’ occasione che |’ Intendente di Catania avea messo un limite al prezzo cresciuto della molenda, si avesse, revocando quest’ ordine, dichiarato, con circolare dell’ ottobre del 1857, che |’ autorità non dovea immi- schiarsi nelle private economie, essendo un attentato al libero uso della proprietà e dell’ industria. Eppure questo movimento, di cui abbiam detto, era molto debole e ristretto di fronte a quello a cui si aveva dritto, e che trovavasi nelle altre nazioni. Il sospetto politico era di ostacolo al progresso economico, e il nessuno accordo tra governanti e governati rendea spesso inani gli sforzi degli uni e degli altri. Le idee morali e politiche trionfavano e pr endev ano prevalenza sulle economiche, il reciproco sospetto spingeva gli uni contro gli altri, e la mancanza di libertà politica inceppava lo sviluppo della ricchezza, che alimentata dalla sua salutare influenza avrebbe fatto sentire la sua azione sulla fioridezza delle industrie e del commercio e sul generale immegliamento. NEL SECOLO XIX 29 VH L'ECONOMIA POLITICA DOPO IL 1860 E IL CARATTERE DELLA SCUOLA SICILIANA La rivoluzione del 1860 ci diè la libertà, ma privocci allo stesso tempo della nostra personalità; e se togli il periodo della Dittatura, entro cui fu l’ele- mento locale che governò. e che fece degli atti di grande efficacia allo sviluppo economico del paese, nel resto non vi ha nulla che possa attirare |’ attenzione dello storico. La Sicilia si ridusse a condizione di slegate provincie , che non hanno alcun nesso; in modo che il proprio indirizzo mancò, e le leggi e le isti- tuzioni non risentono più dell'elemento locale, nè di quei principii, che ispirati alla libertà economica ed alla divozione al dritto, erano il patrimonio della scuola economica siciliana, contemperati all’ amore del suolo natio. L’ ingerenza autoritaria, la centralità assorbente , l’ imposta progressiva ed espoliante divennero i principii su cui si poggiava il nuovo ordine di cose; e nel vortice della distruzione e del rinnovamento , e fra la profusione delle spese e le estorsioni esorbitanti dell’imposte e fra i plausi interessati dei pochi e il silenzio minaccioso dei molti sorgeva il nuovo indirizzo economico, entro il quale fu trascinata la Sicilia, fra le proteste di parte di quegli economisti che avanti Il 1860 aveano predicato per la libertà e vi avevano in certo modo trascinato il governo; e i nomi di Ferrara, Perez, Bruno figurano tra i primi con belle pub- blicazioni sull’oggetto. E se del bene incerto e ristretto ha dovuto risentire la Sicilia, debbesi alla conquista della libertà politica, che poco più poco meno deve far sentire la sua influenza in tutto e per tutto; mentre nel resto la perdita della personalità ammi- nistrativa , l’ ingerenza ingiustificata del governo e gli errori economici attuati sono state la causa di tutti i mali di cui è afflitta; e del non aver potuto rag- giungere quel grado di sviluppo economico, a cui è chiamata dalla Provvidenza, e che solo la libertà e il dicentramento possono dare. E difatti, mentre da una parte si è di molto migliorato il servizio delle poste e dei telegrafi; costruite talune linee di ferrovie, nello scopo d’ isolare Palermo; fondate delle Casse di Rispar- mio; istituita una Banca di credito fondiaria; sorte delle società di credito e di assicurazioni; sviluppata un poco la navigazione; dall'altro abbiamo veduto cre- scere a dismisura la rata del nostro debito pubblico , triplicarsi le imposte con gran danno dell'agricoltura e delle industrie, vendute le nostre proprietà dema- niali, involate le ricchezze dei nostri Enti ecclesiastici, portato da 50 a 150 mi- lioni l'attivo delle nostre gravezze, distrutta la libertà della coltivazione e della industria del tabacco, chiuso l' Istituto d’ Incoraggiamento, abolita la Direzione siciliana di, Statistica, annullata ogni memoria. della nostra personalità, e stretti in un cerchio d' ingerenza e di vincoli ci è negato il progredire. Ma l'economia politica come scienza e come scuola non ha perduto fra noi il suo notevole carattere di liberista e di attaccata alla tradizione siciliana nella sua applicazione. E qui più che altrove hanno trovato opposizione gli errori economici nel sistema governativo; qui più che altrove è stato attaccato il sistema immiserente delle imposte ; qui più che altrove è stato respinto quella specie di socialismo ‘col quale si spogliavano le varie parti d’Italia dei beni dei loro Enti morali; qui più che altrove si è combattuto contro 1 ingerenza autoritaria e il regolamen- tarismo e contro |’ accentramento, col quale si è portata la decadenza e la miseria nelle più ricche regioni d’ Italia. Importanti scritti ed opuscoli sì sono pubblicati sull’ oggetto da quegli stessi economisti che avean levata la voce sino al 1860 , e da altri ancora; sebbene non siano mancanti dei ligii, che rinnegando tutto, 3 L'ECONOMIA POLITICA IN SICILIA NEL SECOLO XIX han volto la scienza al proprio tornaconto. E quantunque i mezzi di pubblicità si siano diminuiti col chiudersi degli speciali giornali di scienze economiche, avendosi dovuto supplire imperfettamente coi pochi giornali politici: e quantunque gli scien- tifici, se si toglie la SiciLia rivista periodica, che dal 1865 al 1869 si occupò di prefe- renza a combattere gli errori economici di questi tempi, non si siano volti a questo scopo; e quantunque i giornali di materie agrarie non si siano sollevati alle ardue quistioni economiche; pure non è mancato mai occasione in cui giornalismo, catte- dre, accademie, società abbiano protestato; e da questi mezzi di studii e di pubblicità si è partita la voce degli economisti e dei pubblicisti siciliani, che mantengono alta la bandiera delle libertà economiche, tuonando contro gli errori, causa dei nostri mali. Non intesi, o inavvertiti, non si sono arrestati nel grande officio di mantenere desto il sacro fuoco delle verità della scienza, che presto o tardi dovranno trion- fare, e in quest’ opera efficace anche noi abbiamo portato il nostro debole concorso con varii libri e scritti, con la coscienza sicura di adempiere ad un sacro debito. Ed è rimarchevole, non solo per la storia della economia politica di Sicilia, ma d’ Italia, che, oggi, che il governo, come in Germania, chiama la scienza a giustificare il suo funesto intervento, e che si eleva una scuola, sparuta sì, ma interessata , di economisti autoritari , la prima voce che levossi a difesa della libertà, voce autorevole e potente, fu quella di un Siciliano; fu Francesco Fer- rara, il più grande economista «d’Italia, che gettando il grido d’allarme, ha rac- colto tutti i difensori delle libertà economiche nella società di Economia politica sotto il nome di. Adamo Smith. E fra le regioni italiane la Sicilia fu tra le prime a levarsi tutta per protestare contro questo pernicioso retrocedere della scienza economica verso il vincolo e Vl ingerenza: e il prof. Bruno, ha fatto sentire per primo la sua voce in difesa della libertà, e con | ardore di una giovine mente ha costituito in Palermo a 29 marzo 1875 una Società siciliana di Economia. politica, la quale ha dato i primi frutti, e di cui fa parte quanto vi è di più intelligente ed illustre nell’ Isola, associandosi in difesa delle minacciate libertà economiche e in sostegno delle verità della scienza. La economia politica in Sicilia nel secolo XIX corse in principio le fasi della libertà e del vincolo; ma da 40 anni a questa parte è stata la libertà la sua divisa; e i suoi scrittori e i suoi professori in patria o fuori si sono indeffessamente ado- perati a mantenerla. e a farne il concetto di una scuola, che ha fatto sentire la sua influenza negli atti del governo, e nei movimenti della vita economica del paese. La scienza ha avuto il suo sviluppo e il suo avanzamento , e la pratica ha sanzionato |’ attuazione delle verità scientifiche nel governo dello Stato, finchè: la Sicilia ebbe vita. Non chiusa entro gli stretti cancelli dell’ utile si è ispirata alla morale e al dritto; e i suoi principii con tanto ardore propagati hanno portato alla conquista della libertà politica; e la libertà politica, rendendo più facile la diffusione delle idee, servirà di mezzo alla conquista delle libertà economiche, che oggi si violano impunemente, col funesto accentramento, e con l’ingiusta ingerenza auto- ritaria; né in tutto ciò è venuto giammai meno, per l’ unità, l’amore all'Isola nostra, di cui, insieme alle prospere industrie e ai floridi commerci, al propagate: ben essere , si chiede la perduta personalità giuridica, senza della quale ogni progresso è impossibile, e il rigoglio della nostra vita economica sarà un desi- derio che non vedremo giammai tradotto in atto. E il paese dovrà al certo essere riconoscente alla economia politica e ai suoi cultori e propagatori di quel bene che ha potuto conseguire e di tutto quanto gli resta ad ottenere. per raggiun- gere il ben vivere sociale. Palermo 15 agosto 1875. SULLA LEGISLAZIONE E GIURISPRUDENZA DI SICILIA NEL SECOLO XIX pel Socio Viro La MANTIA Grandi e continui furono in Sicilia i miglioramenti della legislazione e giu- risprudenza dai primordi del nostro secolo, fino all’ odierno riordinamento italico. La sicula monarchia conservava le sue principali istituzioni e leggi antiche, modificate alquanto nel corso di vari secoli. * Il Parlamento nazionale, diviso in tre Camere o bracci, ecclesiastico, baro- nale e demaniale, adunandosi per breve tempo e ad intervalli d’ordinario trien- nali, dopo il consueto voto per imposte, sussidi o donativi , proponeva impor- tanti provvedimenti e riforme. Eransi raccolte e pubblicate le infinite leggi siciliane in codici di vario nome in epoche diverse ; e numerose opere di pratica giurisprudenza sicula aveano svolte infinite quistioni giuridiche. In Sicilia, come nelle più colte regioni d’ Ku- ropa, il dritto comune era stato grandemente modificato da statuti e leggi mol- tiplici, che costituivano il complemento o la riforma del dritto comune, dive- nuto per varie parti inopportuno: alle mutate condizioni della società ed ‘al ere- scente incivilimento. Gli studi legali erano fra noi coltivati dai migliori ingegni e con nobile gara; poichè la gr ande mole di liti d’ ogni genere offriva agli avvo- cati e causidici fonte inesausta di lucri continui. Al temporaneo ufficio di giu- dici erano sempre chiamati i nostri avvocati, e molti pervenivano ai più alti ufficii; sicchè, come nei secoli precedenti, la civile prudenza e la buona fama dei siureconsulti era il mezzo più sicuro di ottenere i più distinti titoli e le più erandi fortune. L’ insegnamento delle giuridiche discipline continuava nell’ antica Univer- sità di Catania; e ad essa erasi aggiunta |’ Accademia palermitana, che nei pri- mordi del secolo ebbe titolo e grado di Università, e distinti professori di scienze giuridiche. Non si limitava lo studio legale alla sola interpretazione di testi delle varie leggi: ma comprendeva le parti razionali e positive della giurisprudenza , per guisa che le più sane teoriche del naturale diritto e della economia civile si univano al lungo studio delle leggi civili, feudali e canoniche. I giureconsulti siciliani seguivano il progresso delle scienze sociali, e vedeano il crescente miglio- ramento delle condizioni civili della società, quantunque non fosse del tutlo rico- nosciuta la civile eguaglianza , poichè i privilegi signorili ed ecclesiastici , tut- tavia esistevano, ancorchè grandemente scemati. Studiavano i nostri completa- mente il patrio diritto; ma non più si occupavano di scriverne commenti, poichè sentivano la necessità di grandi riforme. 2 SULLA LEGISLAZIONE E GIURISPRUDENZA DI SICILIA Le leggi criminali, comuni e patrie. non più esprimevano le condizioni civili della nazione, ed erano molto inferiori al miglioramento teorico delle scienze giu- ridiche. Nella pratica perciò erano in gran parte cadute in desuetudine, o rimaste inefficaci, sia per le frequenti grazie e commutazioni di pene, sia per le benigne sentenze dei magistrati che applicavano sovente pene arbitrarie inferiori alle legali; ma pur sempre severe, ove si pongano in confronto con le odierne. Le . forme dei giudizi cransi migliorate da molti anni per le nuove Istruzioni per l'esempio lodevole delle riforme toscane, e diveniano più ragionevoli e moderate nella pratica , ed era sempre crescente |’ aspirazione a maggiori garentie della innocenza ‘e a pratiche più umane in ogni criminale processo. Tre importanti lavori vennero pubblicati in quell’ età sul dritto pubblico e privato della Sicilia. Il sommo Gregorio esponeva nella Università di Palermo il dritto pubblico siciliano, aiutato da regia munificenza nei suoi studi e nella raccolta e pubblicazione di storici monumenti. Con grande ingegno e dottrina egli raccolse ed ordinò le storiche notizie e le leggi che informano il nostro pub- blico dritto. Descrivendo le condizioni della Sicilia nel tempo della conquista nor- manna, additò gli ordini primitivi della nostra monarchia, le prerogative della regia dignità, la introduzione degli ordini ed usi feudali, le giurisdizioni regie e baronali , i sistemi di milizia feudale , le contribuzioni pubbliche nelle città Cemaniali e nelle terre baronali, ed infine le parti essenziali della nostra poli- zia ecclesiastica. Tale prospetto storico-giuridico del dritto pubblico veniva svol- gendo per varie epoche, sotto il governo dei re normanni, svevi ed aragonesi, e indicava poi le novità introdotte nell’epoca vice-regia, nelle giurisdizioni, nei supremi magistrati e nel reggimento municipale, esponendo così le vicende del dritto pubblico siciliano sino alla fine del secolo XVII. Se morte immatura non avesse interrotto i lavori del Gregorio (1809), egli avrebbe più liberamente scritto nel tempo delle riforme siciliane (1842), e con- dotto le sue storiche esposizioni fino all’ età sua , mostrando intere le vicende del nostro dritto pubblico, che egli di tanta luce adornava, quando la sicula monar- chia già volgeva al suo termine. Una vasta fatica di un genere affatto diverso compiva in quel tempo Fran- cesco Candini. Senza trattare alcuna quistione di pratica giurisprudenza, nè occu- parsi per nulla delle storiche origini o delle generali teoriche, egli offriva sotto nome di Codice , un prospetto che conteneva per ogni materia quasi un com- pendio di tutto il dritto pubblico e privato della Sicilia , additando tutte le leggi importanti, con ordine, chiarezza e metodo soddisfacente. Vari lavori sul dritto siculo pubblicava in quel lempo il Rocchetti, in lingua volgare, per la pratica utilità del foro; ma rimanevano incompleti forse per le sopravvenute mutazioni politiche. Recava però egli a termine una vasta opera che esponeva l'Ordine dei giudizi civili. Premettendo alquante teoriche per ogni materia, spiegava le norme di rito secondo il dritto comune e siculo ed aggiu- gneva copiose formole, che resero quelle spiegazioni più utili nella pratica quo- tidiana. Erano queste le condizioni della legislazione e giurisprudenza siciliana nei primordi del secolo; e non si erano da alquanti anni migliorate con nuove riforme, perchè gli eccessi della rivoluzione francese aveano ingenerato terròri e sospetti contro ogni progetto di novità. Ma pel progresso dei lumi e per le continue notizie delle grandi novità francesi ed italiche , cresceva il desiderio di migliorare le proprie sorti'e di ottenere nuove garentie per la sicula libertà e indipendenza. I colti e sinceri siciliani giovaronsi deltempo propizio a tali riforme, pel favore del governo inglese, che allora difendeva dalle armi francesi la corte borbonica qui rifuggitasi, e sosteneva gli amatori delle garentie costituzionali nella bra- mata riforma Di Sicula costituzione. NEL SECOLO XIX ò Con lieti auspicii in questa antica capitale del regno di Sicilia si riunivano in generale e straordinario Parlamento, i tre ordini dello stato, per la riforma e il miglioramento delle leggi; e una concordia ammirevole ispirava le basi della costituzione novella. Si designarono i limiti delle regie prerogative, convenienti alla dignità reale in una monarchia temperata; fu diviso il parlamento in due sole camere dei Comuni e dei Pari; fu assicurata la indipendenza dell’ autorità giudiziaria, e venne garentita da ogni arbitrio la libertà individuale. I baroni proclamarono solennemente l'abolizione dei feudi e di ogni giurisdizione signo- rile. Si designavano poscia le facoltà e i limiti dei tre poteri sovrani, legislativo, esecutivo e giudiziario ; si fissavano le norme per la libertà della stampa, e si riordinavano più liberamente i consigli civici e i magistrati municipali. La costi- tuzione sicula di antica origine veniva così riformata con grande prudenza poli- tica nel nuovo statuto, che era allora unico nell’ Italia; poichè la dominazione napoleonica introduceva grandi riforme e leggi, ma impediva ogni garentia costi- tuzionale in Francia e in ogni parte della penisola. Il nostro statuto, alieno egualmente dalla tirannide e dalla licenza, opportuno a promuovere tutti i miglioramenti civili, non rinnegava le tradizioni giuridiche e le istituzioni preesistenti, ma le contemperava alle nuove leggi, conciliando, per quanto era possibile, le istituzioni liberali d’ origine francese con le monarchiche e quasi aristocratiche, sia esistenti nell’ isola nostra, sia attinte per imitazione dalle leggi inglesi. Malgrado le discordie e gli ostacoli per cui rimase incompleto il grande lavoro furono di somma importanza le riforme della legislazione siciliana. L’ abolizione del feudalismo e le moltiplici sanzioni, che poneano fine a molti privilegi ed abusi, iniziarono un rinnovamento della nostra società. Svanivano del tutto le disuguaglianze giuridiche delle condizioni personali, e tutti gli abitanti dell’ isola proclamavansi di eguale diritto e condizione. Si svincolava la proprietà immo- biliare dal sistema che per sette secoli avea distinto i feudi dagli allodî, la pro- prietà signorile e privilegiata dalle minori, libere e inferiori proprietà allodiali. Spenta ogni distinzione introdotta dal feudalismo , tutte le proprietà divennero allodiali presso ciascun possessore, e soltanto rimase inalterato l’ ordine di suc- cessione, perchè gravi discordie impedirono la sanzione della legge sui fedecom- ‘ messi. Non furono nell’ abolizione compresi i dritti legittimi di dominio privato od enfiteutico; nè si confusero cogli abusi baronali le prestazioni regolarmente dovute, e non dipendenti da abuso o prerogativa signorile. Furono chiaramente indicati i vari dritti e gli usi civici e le promiscuità di dominio, per cui occor- reva lo scioglimento o il compenso. Si proclamò |’ abolizione di ogni pena arbitraria, e si prescrisse che la cri- minale legislazione fosse riformata ; ma insieme fu sancito che le leggi vigenti rimanessero ferme fino alla sanzione di un nuovo codice penale. Se ne compi- lava un progetto , che studiavasi di modificare in molte parti l’ antico diritto , imitando il codice francese, e conservando molta parte del dritto preesistente comune e sicolo; ma quel progetto non venne esaminato dal Parlamento, e le leggi cri- minali rimasero nell’ antica condizione. Nella pratica però tutto era mitigato per la moderazione ispirata dal civile progresso; e la prudenza dei magistrati appli- cava pene arbitrarie , invece delle legali più severe, infliggendo così pene più miti, e convenienti alle condizioni degli accusati, alle speciali circostanze del fatto ed al grado delle prove raccolte. Ciò non è conforme ai sani principii della odierna scienza di ragion criminale; ma nella pratica era il mezzo unico e giuridico di miti- gare gli errori e l’ antica severità delle sanzioni penali del dritto romano e sicolo. Grande mutazione si fece negli ordini giudiziali; poiché si abolirono tutte le giurisdizioni baronali, i meri e misti imperi , i fori privilegiati e moltiplici , e a tutti sostituivasi l’unica potestà giudiziaria dei magistrati ordinarii. Gravi dispute 4 SULLA LEGISLAZIONE E GIURISPRUDENZA DI SICILIA ritardavano oltremodo la sanzione del nuovo ordinamento; ma venne alfine san- cita la riforma generale degli ordini giudiziali secondo i progetti e regolamenti dell'ultimo parlamento, che ottenero sanzione sovrana, e servirono poi di norma ai posteriori riordinamenti. Erasi istituito un Tribunale supremo di giustizia, simile in parte alla Corte di Cassazione ; si conservarono le giurisdizioni della Gran Corte e del Concistoro, oltre le Curie inferiori di Palermo, Messina e Catania, e i magistrati locali in ogni terra e città. Alla Corte dei Conti o del R. Patrimonio sostituivasi il tribunale dell’Erario, e per le cose commerciali riordinavasi il Supre- mo magistrato di commercio, e i Consolati di terra e di mare. Presso le varie corti si istituirono avvocati e procuratori dell’ Erario e della legge, ed avvocati e procuratori dei poveri. Si vollero eletti a vita i capi di quei tribunali, ma biennali i giudici, che secondo l'antica consuetudine si sceglievano fra gli avvo- cati. Si conservava così la base delle antiche giurisdizioni sicole, mista in gran parte al sistema giudiziale francese, che introducevasi senza servile imitazione. Riconoscendo insufficiente la sorveglianza dei magistrati superiori, fu sancito un popolare sindacato , ammettendosi l’ azione popolare innanzi il parlamento per ogni colpa od abuso dei magistrati. Pel rito. civile si introdussero tre grandi novità, poichè si proscrisse l’ uso del latino, si ordinò la esposizione dei motivi in ogni sentenza, e si statuì che due sentenze uniformi farebbero cosa giudi- cata; ma i progetti del nuovo rilo non vennero mai in esame, e rimasero vigenti le forme antiche. i Sul rito penale si promulgarono alquante norme fondamentali, si vietarono i processi per inquisizione e senza accusa di parte lesa, tranne pei casi più gravi; si volle un mandato scritto dal magistrato per ogni arresto, e si agevolò la fide- iussione per evitare la detenzione preventiva. Si vietò ogni sevizia e si pre- scrisse che i. testimoni fossero intesi in presenza dell’ accusato. Si volle per le cause criminali il giudizio dei giurati o giudici di fatto; ma non vennero ordi- nate le norme per la esecuzione di questa nuova istituzione, rimasta del tutto ineseguita. Molti furono in quel tempo i lavori speciali su varie parti del dritto pub- blico e privato che voleasi riformare. Si pubblicavano progetti, opuscoli, memorie e polemiche, e tutto rivelava con quanto zelo ed ingegno i siciliani trattassero quegli argomenti, applicando con senno pratico le più importanti teoriche sia a sostegno dei vari progetti., sia a difesa di antiche istituzioni. Le controversie su varie materie di dritto pubblico ecclesiastico per la proprietà dei beni del clero e delle corporazioni religiose e pel progetto di censuazione dei beni ecclesiastici, furono svolte ampiamente con molta dottrina; perchè. sorse allora grave ed osti- nata in Sicilia quella disputa che rimase allora indecisa, e che vedemmo rina- scere dopo mezzo secolo, con poca novità di principi, e forse con minore sin- cerità di propositi. — Prove solenni rimangono della esatta cognizione del dritto pubblico siciliano, e delle sapienti dispute intorno alle varie sue parti, che si doveano modificare alquanto secondo le nuove condizioni sociali. Balsamo mostra nelle sue Memorie Segrete le ragioni di ogni progetto e le opposizioni diverse, con una franca espo- sizione che rivela il precipuo autore dei principali progetti; poichè Balsamo, come egli narra « fu incaricato di studiare quanto più potesse di costituzione siciliana e britannica, e abbozzare e presentare degli articoli, che senza distrugger molto, riformassero e migliorassero l’esistente politico edificio del regno ». Palmeri, amico e discepolo del Balsamo, traeva poi da quelle Memorie gran parte del suo Saggio storico e politico sulla Costituzione del regno di Sicilia e pur dichiarava che « Balsamo pieno la mente della Costituzione d’Imghilterra che aveva a fondo studiata nella sua dimora in quel paese, non sì tosto ebbe esaminati i Capitoli del regno di Sicilia, conobbe che la differenza tra la costitu- ‘ ” NEL SECOLO XIX o zione inglese, e |’ originaria costituzione di Sicilia era effetto o dell’abuso o del- l'inosservanza di alcuni capitoli » ed aggiugne che « sarebbe stato a desiderare per lo bene della Sicilia che quel piano (di Balsamo) si fosse adottato come nacque.» Palmeri mostrasi bene istruito delle leggi fondamentali della sicula monarchia ; ed egli studiando la storica esposizione che il Gregorio avea fatto del nostro dritto pubblico, seppe giovarsene, facendone savi e rapidi cenni nella sua Somma della Storia di Sicilia. Gagliani faceva poi un brevissimo quadro delle vicende del dritto pubblico siciliano, che desumea dalle Considerazioni del Gregorio, ma che sventuratamente destinava a notare gl’ inconvenienti delle viete istituzioni, non già per inferirne (come avrebbe dovuto) la importanza delle libere e sapienti riforme sicule di quel tempo; ma per mostrare invece la utilità dei nuovi ordini allora arbitrariamente e con tradita fede introdotti, sulle rovine della libertà e indipendenza siciliana. Fodera con grande ingegno ed entusiasmo giovanile ideava sulla criminale legislazione un ampio lavoro che appena iniziava, limitan- dosi alla esposizione generale dei principii, attinta al sistema di Bentham, allora dominante , e studiandosi di farvi qualche modificazione. Pubblicava poi una elaborata Memoria all’ Alta Corte del Parlamento; di cui non fanno menzione i suoi biografi, ma che pur merita alta lode, perchè offre una pregevole narrazione di avvenimenti e disegni politici di quella età, e addita liberali teoriche intorno alle garentie novelle della libera stampa, spiegando le antiche leggi sui libelli , ed applicando tutto con grande libertà ed ingegno alle condizioni speciali di quell’epoca sempre memorabile per la Sicilia. Tante riforme iniziate, e tanti studi e progetti mostravano le basi di una legislazione novella ed un rinnovamento di ogni civile istituto senza disordini e orrori di rivoluzione, e senza comando arbitrario di legislatori stranieri; talchè la Sicilia, per libero voto del proprio parlamento, saviamente conciliava le antiche istituzioni e le norme del dritto comune e patrio agli esempi utili dell’Imghilterra e alle migliori riforme italiche e francesi. Tutto però rimaneva imperfetto per le grandi mutazioni politiche avvenute dopo i disastri napoleonici. I due regni di Napoli e Sicilia, divisi da molti secoli si vollero improvvidamente congiunti in unico Regno delle Due Sicilie, togliendo all’isola nostra istituzioni, titolo e dignità di regno indipendente. Riordinavasi il nuovo regno unito con sistemi novelli e di origine francese; ma non si spegneva del tutto l'autonomia sicula; poichè con legge speciale erano conservati alquanti privilegi. I nuovi decreti rivelavano con quanta cura si volessero sostituire agli ordini preesistenti le nuove istituzioni e leggi uniformi con grande pompa di zelo pel pubblico bene e pei miglioramenti civili. Vedeasi la necessità di conservare le riforme principali sancite e giurate in Sicilia, sì per le leggi concernenti le persone o i beni liberi e feudali, come pei civili fi criminali giudizi; e per Napoli era del pari importante la conservazione delle grandi riforme di leggi ed istituzioni introdotte dalla dominazione francese e non ripugnanti alle condizioni sociali. Si prepararono riforme sapienti nella legislazione unica sostituita alle antiche leggi e destinata quasi a darci un compenso delle nostre perdute libertà politiche. Fu sancita per la Sicilia l'abolizione delle sostituzioni filecommissarie e la speciale divisione dei beni pria vincolati per patti e leggi speciali. Un nuovo ordinamento giudiziale sulle basi dei sistemi francesi conservava in parte le giurisdizioni e riforme dal nostro parlamento adottate, tanto per i magistrati inferiori in ogni comune, e per le sette corti criminali sostituite alle proposte sette corti dei giurati, quanto per le tre corti civili di Palermo, Messina e Catania e per la Corte suprema di giustizia della Sicilia. Si regolarono con nuovi sfatuti i sistemi di amministra- zione civile, simili ai francesi e napoletani, conservando sempre una parte della sicula autonomia amministrativa e giudiziale. Promulgavasi il Codice unico di legislazione civile e criminale, con molte sapienti riforme delle leggi francesi , 6 SULLA LEGISLAZIONE E GIURISPRUDENZA DI SICILIA che sarebbe superfluo enumerare , sia per alquante mutazioni nel dritto civile, sia per molti e grandi miglior amenti introdotti nelle leggi penali secondo le più sapienti tradizioni della scienza italiana. Varie leggi speciali allora e nei tempi seguenti provvidero opportunamente alla conciliazione di alcuni antichi usi della Sicilia con le nuove leggi e vennero designati i modi più convenienti per l’ abolizione d’ ogni residuo di abusi feu- dali e per lo scioglimento di dritti promiscui , di servitù ed usi civici che si giudicavano dannosi alla prosperità della sicula agricoltura. Imprudente unificazione e promiscuità di uffici fu indi fatta per un decen- nio (1837-1347); ma la grande rivoluzione siciliana (1848) rivelò insopportabili i mali dell’ improvvida fusione, e indusse il restaurato governo borbonico a più miti consigli, conservando ana separata amministrazione. I miglioramenti delle leggi e della pubblica amministrazione erano in gran parte superiori ai contemporanei istituti e codici italiani; ma la forma del governo assoluto, la dura repressione delle civili e liberali aspirazioni sicule impedivano maggiori riforme convenienti al civile progresso ed ai sistemi adottati dai liberi governi ed agli ordini costituzionali, che la Sicilia bramava per costante tradi- zione, come rimedio ai suoi mali. Gravi e infinite contestazioni sorgeano specialmente fra le ricche famiglie patrizie per le abolizioni di feudi e lo scioglimento dei fedecommessi, per le nuove regole di successione, e poi pei dritti promiscui e per altre speciali novità e riforme di leggi ed usi antichi. Si trattavano perciò innumerevoli quistioni di dritto comune e sicolo e di nuova giurisprudenza, complicate oltremodo; ed ampiamente svol- geansi nelle memorie legali, nelle arringhe alle solenni udienze di nostre corti e nelle decisioni che poneano termine alle grandi controversie. Molti distinti magistrati ed egregi avvocati in questo periodo (1846-1860) seppero con grande ingegno e legale perizia applicare nei giudizi le nuove leggi e contemperare le dottrine dell’antica giurisprudenza comune o sicula pei dritti anteriormente quesiti e per le moltiplici quistioni transitorie. E superfluo additare gl’ illustri nomi dei giureconsulti siciliani di questa età , tutti educati agli studi severi della romana giurisprudenza e del patrio diritto, che seppero con grande senno svolgere ed applicare nei giudizi. Foderà, divenuto uno dei primarii avvocati, non intermetteva gli studi di lettere e scienze. e pubblicava una dotta memoria per difendere la pratica siciliana dell’ utile interdetto salviano sotto lo impero del nuovo codice. Franco illustre magistrato, e già ministro, distingue- vasi per forte e sottile ingegno, che pur volgeasi ad altri studi; e perciò la pub- blicazione postuma di alquanti suoi manoscritti, il dimostra profondo conoscitore delle più astruse investigazioni metafisiche. Scovazzo fu chiarissimo nei più alti uffici, e sempre caro ai Siciliani per la sua dottrina ed onestà, e perchè tentò di conciliare le nostre franchigie (1848) con la unità monarchica delle Due Sicilie, allora imposta forse dalla diplomazia europea. Di lui rimangono poche riflessioni sulla Corte di Cassazione, che egli sostenne contro il progetto della Terza Istanza; ed un suo bel giudizio sulla importanza della costituzione siciliana (18142) fu da me pubblicato e rivela il costante suo amore pel paese natio dopo la odierna uni- ficazione (1). Non occorre ricordare i meriti speciali dei chiari giureconsulti, di che la Sicilia si onora, e basta accennare che fra noi rimane cara ed onorata memoria dei molti egregi avvocati e magistrati, Zurretta, Sollima, Pasqualino, Cupani, Foderà, Ognibene, Fardella-Cumia , Scimonelli, Antonino Franco e Francesco (1) Questo eccellente giudizio di Scovazzo sul nostro statuto del 1812 fu da me pubblicato (se- condo |’ autografo che ne conservo) nel v. II, p. 241 della mia Storia della legislazione civile e cri- minale di Sicilia comparata con le leggi italiane e straniere dai tempi antichi sino ar presenti. Palermo. 1874. NEL SECOLO XIX di Franco, Agnetta, Scovazzo, Catuliotti , Napolitani, Calvi, Scoppa e Viola, ed altri non pochi in Palermo, Messina e Catania ed altrove, che di tanta luce ador- narono la magistratura ed il foro; talchè si può francamente affermare che la Sicilia si reputerebbe felice e onorata, se nei tempi presenti e nei futuri avesse magistrati ed avvocati che per ingegno e dottrina potessero dirsi eguali o degni rappresentanti di quegli illustri giureconsulti. Avrebbero potuto i nostri giovare alla scienza e alla pratica con opere vera- mente importanti di giurisprudenza, in questo periodo: ma le grandi e luerose occupazioni impedivano i distinti avvocati e magistrati dalle gravi e lunghe fatiche indispensabili per le opere giuridiche di grande importanza: e peraltro appena promulgati i nuovi codici, quasi conformi ai francesi, quì pervenivano e a tutti giovavano le varie opere francesi di giurisprudenza. Negli anni seguenti i più celebri commentari pubblicati in Francia quì tosto si studiavano, anzi per mag- giore comodo degli studî legali erano in Napoli e in Sicilia tradotti e annotati o comparati con “le nostre leggi, che in varie parti ne differivano. Molte opere di vario merito vennero in luce su diverse materie di pratica giurisprudenza , della giurisprudenza siciliana, ed alquante raccolte in vari tempi si pubblicarono talchè tutto indicava come sempre fossero fra noi coltivati gli studi legali, quan- tunque non si facessero commentari dell’ intero codice, e si fosse invece preferito l’uso delle eccellenti opere francesi, e per le materie penali anco di varî egregi lavori napolitani. Erasi migliorato l insegnamento delle scienze giuridiche ; poichè oltre gli studi di economia politica, di filosofia morale e naturale diritto , e del diritto romano e canonico. per cui si otteneva la laurea dottorale in ambe le leggi, si aggiunse (1841) l insegnamento della nuova legislazione, civile, commerciale, e penale, e di medicina legale. Distinti professori. nelle tre nostre Università inse- gnavano le discipline legali, e fra essi basta ricordare i due celebri nomi di Eme- rico Amari e D'Acquisto. Noto per profonde opere di metafisica, che restaura- rono in parte le tradizioni migliori della filosofia italica, D’ Acquisto otteneva lodi merilate ; e pubblicava i due corsi di Milosofia morale e Filosofia del dritto, con metodo razionale e profonde riflessioni degne dell’egregio filosofo, che avea esposto i più grandi principii metafisici nel suo pregiato Sistema della scienza universale. Amari pubblicava pregevoli lavori economici e giuridici nel Giornale di sta- tistica, che offriva ai colti ingegni siciliani occasione propizia di svolgere le più gravi quistioni delle moderne scienze sociali. Annunziava libere e ingegnose vedute sul diritto criminale, su la statistica penale e sul popolare giudizio dei giurati; e con vari lavori rivelava la moltiplice sua erudizione e la profonda cognizione delle migliori teoriche. Studiavasi con la voce e con gli scritti di preparare mi- gliori destini alla patria nostra, ispirando ai giovani siciliani i più liberi e nobili sensi di umanità e di civile progresso; talchè la nostra gioventù cresceva allora educata ai sani principii delle scienze sociali e a vero amore di patria, mal- grado i tempi difficili che indi seguirono. Dopo alquanti anni di nuove fatiche incoraggiato dagli egregi cultori della filosofia civile, e specialmente dall’ illustre Mamiani restauratore dell’italica filosofia, e con lui vivente in esilio onorato, Amari pubblicava in Genova (1857) la eccellente Critica di una scienza delle legisla- zioni comparate. Questo grande lavoro rivela i lunghissimi studi e le profonde meditazioni filosofiche, storiche e giuridiche dell’ illustre autore, e rimane monu- mento immortale di gloria pel nome siciliano. Così in Sicilia all’età nostra erano degni di lode e convenienti alla moderna civiltà i codici, la giurisprudenza, l insegnamento giuridico , la magistratura e il foro; quantunque le condizioni politiche e la forma del governo assoluto non consentissero né l’intero svolgimento del nostro inciv rilimento, nè la libera diffu- 8° SULLA LEGISLAZIONE E GIURISPRUDENZA DI SICILIA NEL SECOLO XIX sione dei grandi principii di verace libertà e progresso. Questa più ampia libertà desideravasi fra noi, per rianimare di novello vigore le nostre istituzioni e le colte menti dei nostri giureconsulti, quando per grandi mutazioni politiche la Sicilia riunivasi alle altre regioni italiche. Cessavano allora le nostre leggi ed istituzioni in breve tempo; introducevasi la generale promiscuità degli ufficii, rifor- mavasi il sistema d’ insegnamento, e si mutavano alquanto gli usi del foro sici- liano. In tante mutazioni ordini e leggi, i Siciliani si sono distinti per l’applica- zione e lo svolgimento delle nuove istituzioni , politiche, amministrative e giudiziali, di cui sarebbe superfluo additare i pregi e i difetti. Non occorre indicare fatti odierni o persone viventi, e basta accennare che male sono state comprese in varie parti d’ Italia, e mal descritte e giudicate le nostre condizioni dopo l'unificazione delle leggi. Senza vanità municipale possiamo affermare, che è un fatto innegabile e provato da ogni maniera di documenti e da cifre Stati- stiche, che nella Sicilia i magistrati, il foro e i cittadini giurati si sono mostrati degni” delle libere istituzioni — come i colti italiani di altre regioni. Ricordando le gloriose memorie della civiltà, legislazione e giurisprudenza sicula dei tempi precedenti, noi possiamo a giusto titolo prevedere che anco nell avvenire, se la libertà politica congiunta alla ‘giustizia darà protezione sincera e costante al merito intellettuale e morale i in tutti i pubblici uffici. il vivo ingegno e la generosa indole dei Siciliani, ne trarranno sempre incoraggiamento a severi studi e a virtù citta- dine, e sorgeranno fra noi con nobile gara importanti lavori storici e filosofici, che faranno. progredire le scienze giuridiche ed agevoleranno ogni progresso civile. Palermo, 20 giugno 1875, SUGLI STUDJ FILOSOFICI IN SICILIA NEL SECOLO XIX pel Socio Prof. Vincenzo DI GIOVANNI è L’ ultimo ventennio del secolo passato vedeva in Sicilia a poco a poco venir meno gli ultimi maestri di filosofia cartesiana e leibniziana, o wolfiana che si dicesse; vedeva dilatarsi la-scuola Miceliana per tutta l' Isola, quantunque per le opposi- zioni dello studio di Palermo, e indi di Catania, non giungesse a dominare le pub- bliche scuole; e notava finalmente l’ entrata eziandio in Sicilia dell’ insegnamento lokiano , quando nel 1781. l’anno stesso della morte di Vincenzo Miceli, era coneeduto che nel R. Studio di Palermo si leggesse la logica del Locke comen- tata dal Soave, mentre in Catania si disputava pubblicamente per tre giorni in favore della nuova filosofia (1). Non diversamente nelle altre parti dell’ Isole si osteggiavano i wolfiani in grazia delle 1.ovità, e dagli studiosi si preparavano nuovi libri di testo per le scuole, ne’ quali dopo P esempio de’ Ragionamenti filoso- fici (1785) del gesuita Giamb. Guarini, e delle Lettere filosofiche (1780) della - cultissima donzella Anna Gentile Gagliani, avesser posto la osservazione fisica e la filosofia della esperienza esteriore ed interiore. Vero è che dopo breve tempo, tanto in Palermo quanto in Catania, tornava altra volta nelle scuole il wolfianismo, e quindi già dal 1792 sappiamo usato nello Studio palermitano (2) il testo del Mackone ; ma ne’ primi anni del presente secolo due scuole sola- mente si trovano in Sicilia per le discipline filosofiche,’ la scuola Miceliana che è seguita da’ più forti ingegni ed è scuola tutta siciliana, e la scuola sensista, che era entrata da fuori, e trovò, moderandosi e temperandosi, anche casa fra noi. La scuola Cartesiana aveva avuto il suo poeta in Tommaso Gampailla da Modica , 1’ autore dell’ Adamo, (41709. 1728, 1737) pel quale il Muratori aveva chiamato il nostro filosofo siciliano il Lucrezio cristiano : la leibniziana van- tava tuttavia vivente il marchese Tommaso de’ Natali. che con le Riflessioni intorno all’ efficacia delle pene dalle leggi minacciate, aveva data la Filoso- fia Leibniziana esposta in versi toscani (41756); e la miceliana si lodava del- l elegante poesia latina del poemetto Vera Philosophiae natura (1790) di Vin- cenzo Scafiti da Bronte (3): nessun poeta de’ nostri di proposito cantava le dot- (1) V. Scinà, Prospetto della Storia letter. di.Sicilia nel sec..XVIII, t. Ni, c. 1 e la nostra opera Storia della filosofia in Sicilia da’ tempi antichi al secolo XIX. Vol. 1, 1. 111, p. 373 e segg. Pal. 1873. (2) Era professore il Sac. Leonardo Piazza da Salaparuta. V. FRANCO, Scritti lelterarii e filosof. postumi, p. XXV e XXXVIII. Pal. 1875. (3) V. Storia della Filosofia in Sicilia ete. Vol. I, lib. IH, vol. I, lib. IV, p. 474 e sega. 2 SUGLI STUDJ FILOSOFICI IN SICILIA trine della novella scuola sensista: ma Domenico Tempio in Catania beffando i wolfiani, e Giovanni Meli in Palermo scherzando colla sostanza e col sistema di Miceli (4), ajutavano indirettamente la nuova scuola, la cui leggerezza faceva buona fortuna in faccia all’ ardita e difficile speculazione de’ Miceliani. Fra' quali più operoso e più illustre di tutti l’ abbate Gaspare Rivarola benedettino, pareva aver portato con se il fervore del maestro, e parlando e scrivendo, o commer- ciando con lettere, teneva ben viva fino al 1822, che moriva nella sua stessa città natale, Palermo, la fiaccola del Micelianismo, tuttavia non del tutto spenta in Sicilia dopo presso a un secolo dalla morte del grande filosofo di Monreale (2). Un anno innanzi alla morte del Rivarola era mancato Saverio Guardì, 1’ illustre teologo Miceliano degno di stare a lato al p. Barcellona dell’ Oratorio , anch’ egli della scuola del Miceli : e indi nel 1835 moriva eziandio Giuseppe Zerbo pur di Monreale, l’ autore della vita del Miceli premessa all’ Zsagoge, e delle Institu- tiones philosophiae scritte, e non ancora edite, a sviluppamento dello Specimen Scientificum del maestro (3). Si era detto che la scuola Miceliana sentiva d’idea- lismo e di panteismo, ovvero di spinozismo cristiano; e però fu creduta opera buona il soppiantarla col sensismo dapprima, e col psicologismo ed eccleticismo dappoi, finchè saviamente si ripigliò altra volta la via del Miceli, e correggen- done i difetti potè vedersi vigoreggiare in Sicilia 1’ Ontologismo de’ nostri tempi (4). Adunque , i primi anni anzi il primo ventennio di questo secolo , in cui mancavano per morte i più arditi e vigorosi Miceliani, videro le Isfitufiones philosophiae di Giacomo Sciacca, professore nel seminario di Mazara, nella quale opera se pur si comincia dalla percezione del senso, va questa compita dall’ altra della conscienza e della ragione; con più sano intendimento della Istituzione dì metafisica proposta da Giuseppe Donzelli sul gusto di Locke, Condillac, Bonnet, e della Logica in cui non sapeva l Autore abbastanza commendare i maestri della verità che avevano « sostituito gli oggetti sensibili agli astratti, 1’ esperienza alle sottigliezze, e l’ esame all’ autorità. ». Era da tutti desiderato in * quell’abban- dono dell’ antico e amore del nuovo, un Corso d’Istituzioni filosofiche o di Ele- menti Ideologici, come si diceva, « degni in tutto di questo nome (5) »; e un tal Corso, dopo i tentativi (1844) dell’ ab. Saguti, era finalmente pubblicato nel 1822 in Messina dal can. Giuseppe Accordino da Patti, col titolo di Elementi di Filo- sofia, divisi in tre volumi , la cui partizione , siccome altrove avvisammo (6), tosto ti dà a vedere come l’ autore sia appartenuto alla scuola del Condillac e del Tracy. Lodatissima era quest’ opera da’ contemporanei; e benchè avesse l’autore seguito ne’ principii fondamentali la scuola sensista, aveva saputo con molta avvedutezza e buon giudizio correggerla , sì che continuarono in. questa corre- zione il Carrozza palermitano e il Pizzolato da Pietraperzia, mentre si levava oppositore a quella scuola il Rodriquez di Lipari, e sovratutti si faceva notare sin dal 1817 pel suo insegnamento di psicologia spiritualista, con novità di pro- fondi studii che fecero tra noi e fuori celebrato il suo nome appena pubblicava (1) Della poesia satirica del Meli anche rideva lo stesso Miceli, che voleva letti dagli amici i versi scherzosi del grande poeta, dicendo che « Meli aveva poste in veduta con buona grazia e con talento le difficoltà che soleano opporsi al sistema ». V. Stor. della Filos. in Sicilia, vol. IL p. 308. (2) V. Op. cit. vol. Il, lib. IV, cap. I. go 0) ) V. Op. cit. vol. I, p. 491-472 , ove abbiamo la prima volta pubblicati alcuni capitoli el Zerbo. (4) Così il Franco sin dal 1836 giudicava del Miceli: « Noi avemmo in Monreale il valorosis- simo Miceli che tuttora è ammirato da chi ha intelletto per comprenderlo, dispregiato da altri. Dopo Miceli, di cui conservo i manoscritti, fu quasi muta in Sicilia la vera filosofia... Oh! se forti d’in- gegno e di amor di patria avessimo meglio apprezzate |’ altissime dottrine del Miceli. » V. Scretti letterari e filosofici postumi, p. X. Pal. 1875. to) V. Storta della Filosofia in Sicilia ete. vol. II, p.- 7. (6) V. Op. cit. vol. II, p. 71. NEL SECOLO XIX 5) i suoi Elementi di Filosofia, (1832), anzi la Lezione sull’anima umana (1828), Vincenzo Tedeschi Paternò Castelli di Catania , professore in quella Università dal 1814 al 1858, e meritevole delle lodi del Galluppi, del Cousin, del Gioberti. Giudicava gli Elementi di Filosofia del Tedeschi Emerico Amari, allora (1833) gio- vane, ma sempre di alta mente e di profonda dottrina, e notava in quel libro « un moderato spiritualismo congiunto con assai speculazioni trascendentali, il buon senso scozzese, e poche idee sperimentate col criticismo kantiano, in una parola il moderno ecletismo, ecco lo spirito che ei sembra l’opera dei Tedeschi ». Si disse pure da altri che cogli Elementi del Tedeschi la scienza si andava in Sicilia allontanando dal senismo del Condillac e del Tracy, avvicinandosi invece al moderno ecletticismo (1); e mentre si davano questi giudizi sull’ opera del filosofo catanese si preparavano appunto da Salvatore Mancino palermitano quegli Elementi di filosofia (1835), che fecero officiale 1’ eceletticismo in Sicilia per circa un ventennio, e meritarono le belle lodi del, Cousin (2), e più di dieci edizioni in Sicilia e nel resto d’ Italia, ove furono ammessi anche a testo di scuole pub- bliche e private. In tanto moto di studi e di novità d’ indirizzo dal 18410 al 1820, la Com- missione di pubblica Istruzione ed Educazione in Sicilia già sin dal 1824 dava avviso che si attendeva a una compilazione di nuove Istituzioni d’ Ideologia , e però provvisoriamente invece delle Istituzioni del Soave si lessero gli Elementi di filosofia del Galluppi, finchè a proposta dello Scinà si mandava fuori nel 1326 un programma, pel quale erano invitati i cultori degli studi filosofici a presen- tare un corso d’ Istiluzioni ideologiche per uso delle scuole; e l’opera che avrebbe vinto il concorso per la mazeria, per l’ordine , e per la lingua , sarebbe stata pubblicata a spese della R. Università degli studi di Palermo e adottata per le scuole di Sicilia (3). Quattro opere furono presentate all’ esame della Commis- sione (dall’ab. Mancino, dal can. Calcara, dal p. D'Acquisto, dal prof. Tedeschi); e di queste cadde la scelta sugli Elementi del Mancino, al cui autore fu confe- rita la cattedra di Logica e Metafisica nella R. Università palermitana; cattedra che tenne dal 1836 al 1863, quando fu ritirato dall’ insegnamento col grado di professore emerito, e da quell’anno ad oggi è restata vuota di professore ordi- nario (4). Se non che , il concorso al testo di Filosofia per le scuole di Sicilia fece venire nel campo degli studi metafisici un frate francescano . concittadino del Miceli (morto nel 1867 Arcivescovo della sua città natale), Benedetto D'Acquisto, che pubblicò allora i suoi Elementi di filosofia fondamentale (41833), indi seguiti sino al 1867 da numerose e profonde opere che fecero il D’ Acquisto principe dei filosofi contemporanei siciliani. Col quale illustre uomo vien su la scuola ontolo- gica, e oramai è saputo che il nostro monrealese precedette di qualche anno (1835) il Gioberti nel porre a fondamento di tatti i problemi della filosofia il principio di creazione. Delle opere e delle dottrine logiche, metafisiche, morali e giuridiche del D’ Acquisto non è possibile fare esposizione in questa brevissima notizia, e già a lungo ne abbiamo detto in un libro di proposito (5); nè possiamo intrat- tenerci degli altri della scuola ontologica siciliana ivi ricordati, alla quale scuola (1) V. Op. cit. vol. II, p. 84. (2) V. il nostro libretto Salvatore Mancino-e l ecletticismo in Sicilia. Pal. 1867 , e la Storia cit. vol. II, lib. IV. (3) V. Storia della Filosofia in Sicilia ete. Vol. II, p. 96-97 e segg. (4) V. Op. cit. vol. II, p. 100 e p. 360. (5) V. D'Acquisto e la Filosofia della Crue in Sicilia. Fir. 1867, Storia della Filosofia in Sicilia, vol. II, lib. IV, cap. IV, p. 214 e segg. E vedi 1° Essai sur l’ historie de la philosophie en Italie au dix-neuvibme siecle par LOUIS FERRE n 1, p. 159. Paris 1869. 4 SUGLI STUDJ FILOSOFICI IN SICILIA NEL SECOLO XIX pur appartennero Paolo Morello, di recente mancato ai viventi, e Antonino Franco di cui or ora può dirsi è venuto fuori un libro postumo di Scritti letterarii e filosofici (Pal. 1875), ne’ quali trovi la stessa altezza di mente metafisica am- mirata nel D’ Acquisto , e quella virtù d’ ingegno comprensivo, che attinta alle fonti del Miceli, alle quali bevve pur il D’ Acquisto, ti danno la bella imagine di un profondo cultore della filosofia, il quale meritò a ragione la stima del Cousin, che pur colla mente e col cuore si pregiava di assistere alle dotte conversazioni filosofiche che ogni domenica tra il 1838 e il 1850 si tenevano in casa del Franco, e vi pigliavano parte assidua il Mancino , il D’ Acquisto e il p. Romano (4), i più illustri uomini che di quel tempo insegnasseru e scrivessero di filosofia in Palermo. Ultimo de’ quali resta il p. Romano che vive tuttavia, ma per la espul- sione della Compagnia di Gesù decretata in Sicilia nel 1860, dimora in Costan- tinopoli , e così non ha potuto far seguire altre opere alle due ben note della Scienza dell’uomo interiore ete. (1840-49), e degli Elementi di filosofia (1853). Nè tacendo del Romano, dirò degli altri egregi uomini viventi, il Catara Lettieri di Messina, il Maugeri di Catania, il Corleo di Salemi, il La Rosa di Cartagirone, il Sergi ed altri, che e in Palermo e in altre città dell’ Isola coltivano amorosa- mente gli studi filosofici e accrescono con le loro opere il catalogo de’ libri e delle scritture d’ argomento filosofico di scrittori siciliani di questo secolo XIX, che messo in appendice alla mia Storia della Filosofia in Sicilia (v. 2° p. 577-596) ha mostrato come, e fu già ben avvertito da scrittori italiani e stranieri, que- st’ Isola non ceda a nessun’ altra parte d’ Italia nel culto de’ nobili studii e delle filosofiche discipline, la cui storia fra noi corre da Pitagora ad oggi, cioè per ben venticinque secoli. Meno seguaci che altrove ha avuti negli ultimi tempi in Sicilia la scuola tradizionalista , benchè nato in Sicilia e palermitano fosse stato il principe di questa scuola, Gioacchino Ventura, il cui nome vale un elogio : e del modo stesso non più di due o tre partigiani potrebbero esser contati per la filosofia detta positiva e per la scuola critica, alle quali fan di cappello più che in Italia, in Inghilterra e in Francia, rinomati scrittori contemporanei. Pertanto, col secolo presente e per tutto il primo ventennio ebbero voga fra noi le dottrine della scuola sensista lockiana e condillachiana, quantunque assai temperate e corrette : indi verso il 1830 riuscì a pigliar il governo il psicolo- gismo eclettico, il quale circa il 1845 dovette cedere all’ ontologismo, che risvegliò le tradizioni Miceliane (Garzilli, De Castro, D’ Acquisto) come di scuola nata in Sicilia e ben conformata all’indole dell’ ingegno siciliano, non potuto sottoporsi nè al tradizionalismo, nè al poositivismo, per quell’ indole sua propria già avver- tita da Michelangelo Fardella (2), e provata colla storia della Filosofia in Sicilia dalle origini ai nostri tempi. Onde è che la storia della Filosofia in Sicilia nel nostro secolo va ben distinta in Miceliani, sensisti, eclettici, tradizionalisti , ontologisti.; e le opere e gli scritti che si son pubblicati da siciliani dal 1800 al 1875 sommano a più centinaja e sino a centoventi i nomi de’ loro autori (83). (4) V. Scrétti letterarii e filosofici postumi di AntoNINO FRANUO pubblicati per cura di VincENZO DI GiovaNnI. Pal. 1875. Avvertenza e Lettere filosofiche. 3 (2) « Quaedam autem architectrix et robusta mens ad scientias et artes logius promovendas comparata maxime in sicula gente elucet. » Univ. Philosoph. Syst. t. I, p. 433. i “ANG DA . . (8) V. Storia della filosofia in Sicilia cit. vol. Il. Append. Opere di filosofia di scrittori sici- liani. Sec. XIX, p. 877-596. SUGLI STUDI SACRI IN SICILIA NEL PRESENTE SECOLO pel Socio Sac. SALVATORE Di BARTOLO L’ Accademia di Scienze Lettere ed Arti di Palermo, poichè con nome com- prensivo ha accolto nel suo seno insigni cultori di sacre discipline, sente il dovere di porgere in quest’ anno, nella solenne occasione dell’ accesso in Palermo dei rappresentanti del sapere italiano , un ragguaglio degli studi di quelle scienze , che hanno l’epiteto di sacre. La Sicilia isola fecondissima d’ ingegni svelti e profondi non ha lasciato giammai senza cultura il vastissimo terreno della Teologia. Come avrebbe potuto fra noi tollerarsi trascuraggine di quelle scienze, che han per iscopo la soluzione degli ultimi e più grandi problemi dell’ umanità, han per obbietto quel complesso di princìpi speculativi e pratici, i quali risguardano l’uomo in tutte le applicazioni della vita privata e pubblica ? A dire il vero dal 1750 in poi gli studi sacri assunsero caratteri più spic- cati e luminosi; da quell’ epoca cominciò a misurarsi attentamente il campo delle scienze religiose, onde apparvero individui, che rifulsero quali stelle non che nel nostro cielo, ma in Italia e in Europa. Basta citare per tutti Nicolò Speda- lieri nato in Bronte, rapito a noi l’anno 1795. Egli, oltrechè pubblicista, fu Teologo di gran valore, armeggiò contro Gibhon e Freret, e ne menò trionfo: fu detto due essere i Teologi di quei tempi in Italia Gerdil e Spedalieri. Fiorirono nel sec. XVIII e nei primordi del XIX uomini illustri nelle scienze sacre; se non che il merito che li solleva in faccia alla posterità è la scossa allo Scolasticismo. La Teologia scolastica era stata maneggiata da splendide intelligenze quali s. Pier Damiani, s. Anselmo di Cantorbery, s. Tomaso di Aquino, s. Bonaven- tura ed altri celeberrimi: però furono gravissimi gli abusi introdotti da Teologi di poca valentia: più si lottava per questioni inutili, si soggiaceva ad Aristotile, riputandolo superiore all’evidenza e agli esperimenti, si pensava alla polemica , e non abbeverarsi nelle fonti della Rivelazione: la Scrittura e la Tradizione. In Sicilia nella seconda metà del caduto secolo e nei principii dell’attuale brillarono incliti personaggi, che presero dalla Scolastica i molti buoni elementi che da secoli ereditava, e con sanissimo criterio n’espulsero i cattivi. Nomino come preclari in quest’aringo Nicolò Riccioli Cassinese di Catania, Gabriello, Salvatore ed Evangelista Diblasi Cassinesi di Palermo, Pennisi Dome- 2 SUGLI STUDJ SACRI IN SICILIA nicano di Aci-Reale, Gresti, Diez, Vincenzo Avvocati Domenicani benanco, Ales- sandro Burgos Minore Conventuale, Giacomo Gravina Teatino. Gli Ordini religiosi presentarono mai sempre nel nostro secolo individui rag- guardevoli nella Dommatica cattolica. Fra i Basiliani Arsenio Foti messinese fu prodigio di sapere nelle lingue antiche e moderne e nelle scienze teologiche , Alberto Corrao messinese ancora studiò la Teologia nelle più larghe vedute. e professore nell’ Accademia Carolina della patria ispirò venerazione alla sua persona per la vasta sapienza, ond’ era fornito. Trai Cassinesi si distinse Emanuele Pilo che pubblicava il carteggio scientifico dommatico fra la Contessa Brunn e l’ ab. Vielli. Furon celebri i Domenicani Laganà professore di Teologia nel Seminario di Catania e in quel di Girgenti sede illustre degli studi ecclesiastici in Sicilia, Piazza Maestro interino del Sacro Palazzo in Roma, Aminta che lesse Teologia nel Romano Liceo di Macerata . Teologo Cassanatense, esaminatore dei Vescovi, predicatore agli Ebrei: egli compose un Epitomen de locis Theologicis, V Ebraismo senza replica, Alberti professore di Teologia nel Collegio della Sapienza in Roma , Santamaria conoscitore pro- fondo delle opere di s. Tomaso d’ Aquino, e meritò il titolo di Siculo Cicerone. Si sollevarono frai Cappuccini Salvatore da Alcamo, Giacinto da Palermo ; ebbero ancora rinomanza Giuseppe Mistretta da Salemi Agostiniano , Gabriele Pelais ed Angelo Maria Firenze Carmelitani scalzi, Barbo e Cannatelli del ter- z° ordine di s. Francesco. Presso i Padri della Compagnia di Gesù richiamata in Sicilia nel 1805 fiorì la Teologia. I due fratelli Narbone di Caltagirone. Sgarlata, Romano si addimostrarono Teologi di gran polso. Eglino teneano desta una nobile gara nel clero regolare e secolare. Nel clero secolare ebbero rinomanza il can. Giacono Lopresti, il can. Giuseppe Serio il sacer. Antonio Criscuoli autore di Istituzioni teologiche dommatiche ; però sopra tutti spiccò Paolo Filippone, il quale lesse Teologia dommatica nella Università di Palermo e fu riputato dalla s. sede degno dell’ Arcivescovado dn partibus di Patrasso. Il suo lavoro teologico è molto conosciuto fra noi, pregevole per la storia delle eresie, la distinzione dei dommi dalle materie controverse, l ordine delle tesi, la lucidità delle dime:ivazioni; e se non soddisfano i volumi del Filippone a tutto che si richiede in siffatte opere . sappia il lettore che la pubblicazione n’ è postuma. Nella morale Teologia abbiamo avuto insigni uomini: il p. Agostino Fer- rara da Catania Carmelitano che sostenne la cattedra di Teologia morale nello Archiginnasio della Sapienza in Roma, il p. Corso Domenicano Professore della medesima scienza nella Università di Palermo, il p. Di Giovanni Gesuita il quale ci fè conoscere annotato da lui il prezioso Compendio di Teologia morale del Gury, e ridusse egli, valentissimo matematico, direi, a formole algebriche la morale cristiana. Se non che basterebbero a decorar la Sicilia in queste discipline i due pre- lati Mercurio Teresi e Domenico Gilluffo. Il primo Arcivescovo di Monreale cessò di vivere nel 1805. Egli in varie opere tutte relative al ministero sacerdotale insegnò la morale cristiana senza asprezze o rilassamento , attingendo mai sempre alle pure fonti della Scrittura e dei Padri. Il Gilluffo stato Giudice della R. Monarchia, Presidente della Pubblica Istru- zione in Sicilia ed Arcivescovo in partibus di Adana lesse in sin dal 1813 per il corso di cinquant’ anni Teologia morale nell’ Università di Palermo. tgli svolse la sua Scienza con ordine singolare, nitidezza di prove, tempe- ranza di opinioni, ricchezza di erudizione e spesso col confronto dei prìncipi della Morale al Codice vigente. NEL PRESENTE SECOLO 3 La Teologia morale da lui lumeggiata avvezzava i discenti, che furono il Clero di quasi tutta Sicilia, a rivangare le intime ragioni dei precetti cristiani ed ecclesiastici, e quindi ad evitare rigori inconsulti o lassezze ributtanti. Il senso dell’ etica di G. GC. era trasfuso da quell’ uomo a chi lo ascoltava sedente nella cattedra. Nel caduto secolo il Domenicano Marullo avea dato un’ alta importanza allo studio- della Legislazione canonica che s’ intreccia sempre al vivere civile; rap- presentò fra noi col suo vasto sapere la scuola critica intra i Giureconsulti eccle- siastici. I grandi lumi gittati sul valore delle Decretati isidoriane dal Card. di Cusa, dal domenicano Kalteisen, da Cassandro, Antonio Conzio; i dotti criteri per discer- nere i documenti autentici dagli apocrifi nel Decreto di Graziano messi avanti da Colonna , Buoncompagni poi Papa Gregorio XIII, Sirleti, Caraffa, Lucatelli, Panfili, Mariano Vettori, Michele Tomasi, Turriano , Ciaconio, Latino Latinio, Flaminio Nobilio, Marino, Antonio Agostino, tutto fu mirabilmente messo a pro- fitto dal Marullo , sicchè potemmo vedere nel sec. XIX una scuola valentissima di Canonisti in Sicilia: Rosario di Gregorio, Stefano Dichiara, Dimichele, il par- roco Nicotra, Salvatore can. Ragusa nel Clero secolare; Luigi Corvaja Benedet- tino Professore in Catania di Diritto canonico. e Drago ancor Benedittino Pro- fessore di Diritto canonico in Palermo, Mannini frai Domenicani autore di Isti- tuzioni di Diritto canonico, Chiarenza e Leopardi Minori Conventuali, il P. Inno- cenzo da Terranova, il p. Luigi da Recalmuto Cappuccini, il p. Giulio da San Giambattista Agostiniano scalzo, il can. Luigi Giampallari. Tl Dichiara solamente sarebbe sufficiente ad onorare la Sicilia. Pubblicò nel 1815 da Professore di Canonica nell’ Università di Palermo l’opera De Capella Regis Sicilie, nella quale svolse, comentò i diritti che la Corona di Sicilia esercitava nella Real Cappella palatina e in altri luoghi di regio patronato, e a tal lavoro poco dopo aggiunse una Diafriba, nella quale esaminò il diritto dei Sovrani di Sicilia di mandar visitatori per le chiese, conventi e monasteri. Quindi illustrò, per non dir dei suoi opuscoli minori , largamente il Diritto ecclesiastico nelle modificazioni giuridiche, le quali si avea da secoli nelle chiese di Sicilia. Filosofo, archeologo, Storiografo fu apprezzato da chi lo conobbe, dai nazio- nali e dagli stranieri. Oltre del Dichiara il Diritto ecclesiastico sicolo è stato nel nostro secolo illu- strato da moltissimi cittadini, trai quali Andrea Gallo autore di un Codice ecele- siastico siculo, cominciato a pubblicarsi in Palermo lan. 1846: opera vasta corre- data di note, se non sempre complete, indubbiamente dotte. Il lavoro del Gallo può riputarsi la continuazione del Codice diplomatico del famoso Giovanni Di Gio- vanni. Il Benef. Luigi Garofalo abilissimo negl’idomi greco e latino illustrò il Tabu- lario della Cappella palatina dal 1048 al 1830 , e il Buscemi ne fè una conti- nuazione, Alla Sacra R. Visita di M. De Ciocchis compose un’Appendice il Marchese Vincenzo Mortillaro. Cosicchè lo studio del Diritto canonico generale e particolare in questo se- colo è stato pienamente dai nostri dotti esaurito. Gli studi biblici furon parimente coltivati nella nostra classica terra. ‘ Per non dire di Domenico Danè dei Minimi e di Granata Teatino, il solo p. Antonino Barcellona mancato ai vivi l'an. 1805 prova quanto gli studi sopra i libri divini siano stati approfonditi fra noi. Egli perito nelle lîngue moderne, nella greca e nella ebraica, nelle antichità sacre e profane imprese a pubblicare in due volumi la Parafrasi dei Quattro Evangeli, ove si addimostrò dotto , critico , erudito , lucido nei suoi concepi- 4 SUGLI STUDJ SACRI IN SICILIA menti; e tale nobilissima tendenza ad armonizzare cose apparentemente dispa- rate fè conoscere in altri cinque volumi ove ci diè la parafrasi dei quattro Pro- feti maggiori e dei dodici minori. Il Barcellona si occupò di ascetica non vaporosa e inconsistente, ma solida e fondata. Al Barcellona possiamo aggiungere il Compagnone dei Padri Predicatori : egli, oltrechè botanico, fu versatissimo nelle lingue ebraica, siriaca, caldaica, araba, greca, e lavorò intorno ad un Dizionario di lingua caldaica per inter- pretare Daniele e per pubblicare un elenco di particelle ebraiche, una versione dei Salmi di Davide, dei Treni di Geremia, dell’ Ecclesiaste, una interpretazione del libro di Giobbe. Frai Padri della Compagnia di Gesù Sgarlata, Vinci, Parisi lasciarono grande rinomanza di conoscitori valentissimi delle sante Scritture. Del Parisi poi versato nelle lingue orientali abbiamo dottissimi comenti sui libri di Giobbe, Rut e sovra I° Apocalissi. Ai dì nostri il sac. Gregorio Ugdulena cominciò la pubblicazione di un comento letterale della Santa Scrittura. L’opera non fu compita per l’ immatura morte dell’ autore : il comento era breve, però si facea ammirare per lo acume dell’interprete, la cognizione delle lingue antiche, la critica, l'eleganza del dettato. L’Ugdulena fu uomo di tal valore che, se, invece di dedicarsi alla vita poli- tica, si fosse dato interamente alle lettere e alle scienze, avrebbe immensamente onorato il secolo, l’Italia, la Sicilia nostra. L’Oratoria non è stata punto negletta. Nel passato secolo fiorirono Francesco Carì, Camillo Di Maria, Em. Lucchesi di Campofranco; nel nostro fecero bel comparire Monti, Lenzi, Sanfilippo, Calì, Campisi, Saitta, Tognini, Nascè, Cavallaro, Rizza. Levanti, Bonfiglio, Granata , Guardo, P. Gaetano da Castelbuono, Scalabrini, Leone, Bellingeri, Mereo; Fer- rara, Pietro Fontana. Dottissimo commovente e lepido era in Palermo il Ciantro Vin- cenzo Fontana : superiore a tutti, maraviglia agli Italiani e agli stranieri fu il p. Gioacchino Ventura Teatino, ch’ebbe culla in Palermo. La storia della Chiesa, di questa grande istituzione di G. C., venne larga- mente svolta e conosciuta. Il Benef. Niccolò Muroli ne scrisse un Corso compivto, il Ciantro Fontana annotò il Dannenmayer che si dava ai discenti. dell’Università, il can. Ema- nuele Vaccaro onorò la cattedra medesima con opportune pubblicazioni; nel 1847 si rese di pubblica ragione la storia ecclesiastica di Sicilia dell’illustrissimo Mon- signor Di Giovanni morto il 1753, con la continuazione e le note del P. Salva- tore Lanza di Trabia. Scuole, Accademie, Giornali fomentavano le ierologiche discipline. Per opera di Mons. Francesco Sanseverino Arcivescovo di questa città ri- destossi l’amor del sapere nel Seminario arcivescovile, e furon chiamati insigni individui a leggere le sacre dottrine. L’Università di Palermo accoglieva una numerosa gioventù, in essa il Clero sentiva il suo dovere di custodire la scienza, e a quella della capitale univansi l’antichissima Università di Catania e l’altra di Messina. Non mancarono Accademie, nè Giornali ecclesiastici tra i quali Le memorie di letteratura ecclesiastica edite in Messina nel 1804 sotto la direzione del dotto parroco siracusano Giuseppe Logoteta, la Biblioteca sacra di Buscemi e Pasca, La Tromba delle Religione in Catania collo impulso del celebre D. Gregorio Bar- naba la Via priore cassinese, il Gerofilo siciliano , Vl’ Eco della Religione. Era come un continuare la preziosa raccolta di Opuscoli siciliani che ha lavori pregevo- lissimi intorno a materie religiose. NEL PRESENTE SECOLO 5 Gli studi sacri nei rapporti alle altre scienze sono stati benanco approfonditi; potremmo citare in questo riguardo Zanghì Consigliere di suprema Corte di Giu- Stizia che lavorò sovra L'accordo fra gli evangeli e le leggi romane , Angelo Allegra, Agatino Longo, Giuseppe di Lorenzo Calandrini, Ant. Ruffo, Ant. Maugeri. Se non che come aquile sopra gli altri si sollevarono Mons. D'Acquisto Ar- civescovo di Monreale e Gioacchino Ventura : eglino colla penetrazione mirabile dell'ingegno e con la vastità delle conoscenze fecero rilevare i vincoli e le ar- monie fra il Cristianesimo e le altre umane discipline. D'Acquisto è conosciuto sublime filosofo in Italia e in Europa , e, percorso il campo delle scienze metafisiche e giuridiche, volle ancora affacciarsi a quello della Teologia, e vi si mostrò dialettico valentissimo. Il P. Ventura fu tal uomo, a cui non occorre fare elogio; il mondo lo co- nosce oratore, pubblicista, filosofo. In Francia si pose egli alla testa della scuola, che poggiata alla Tradizione, assaliva di fronte il Razionalismo : le moltissime sue opere, delle quali abbiam potuto vedere molte edizioni, si citano con riverenza; fu detto da Gioberti bastare il suo nome per onorare il monachismo del secolo XIX. La Sicilia ha promosso nel secolo che volge gli studi teologici : Foti, Pen- nisi, Filippone, Gilluffo, Dichiara, Gallo, Barcellona, Compagnone, Parisi, Ugdulena, D'Acquisto, Ventura, senza i moltissimi che gli emularono, valgono a mantenere l’isola nostra nella alta reputazione di terra feconda di grandi ingegni pur nelle discipline sacre. Le prove tuttochè laconicamente esposte lo addimostrano nel modo più luminoso. Presso di noi si coltivan tuttora questi studi; nel Clero in ispecie, nell’Episcopato vi ha molti individui che attendono a queste importanti occupazioni (4); e di loro taluni l'Accademia nostra ha voluto annoverare frai suoi soci. Se non che le ruine , che grandissime si accumularono intorno al Clero , sono la causa dolorosa, che ha ritardato gli ulteriori sviluppi di siffatte discipline, e ne ha ristreito sempreppiù il numero dei cultori. Noi uomini della scienza, che diamo uno sguardo al passato, non che degli studi cristiani nel mondo, al passato degli studi siciliani sul campo delle scienze sacre stiamo fiduciosi, che l’ardore quandocchessia ricomincerà viemeglio fecondo e fruttuoso. Tostochè sarà un fatto innegabile e sicuro la indipendenza della Chiesa con- giunta alla libertà delle professioni, dell’associazione e dell’isegnamento: in altri termini, tostochè il diritto che ha da G. C. la Chiesa di esistere sulla terra sarà riconosciuto sinceramente, e farà parte delle libertà pubbliche, gli studi sacri ri- sorgeranno, anzi avviveranno ogni tralcio dell'umano sapere, poichè la Scienza è un grand’albero, di cui la radice è Dio. (1) Cultrera, Turano vescovo di Girgenti, Celesia arcivescovo di Palermo, Lanza di Trabia ec. si occupano in modi svariati e con valore delle dottrine teologiche. Di proposito non abbiamo voluto estesamente giudicare dei viventi. SULLE ARTI DEL DISEGNO IN SICILIA NEL SECOLO XIX pel Socio GrusEPPE MELI prof. di pittura, Segretario della Commissione di Antichità e belle arti per la Sicilia in Palermo Le arti del disegno dell’undecimo sino quasi al cadere del 16° secolo cb- bero in Sicilia un carattere distinto dal restante d’Italia e dalle altre nazioni. Sebbene ai tempi della dominazione de’ Normanni 1 architettura derivasse dagli elementi del bizantino . del romanesco e dell’ arabo , furono essi riuniti dagli artefici dell’Isola in modo speciale. La scultura e la pittura, arti che tol- gono a tipo la forma umana ed altri oggetti naturali, tennero più originalmente la manifestazione del sentire siciliano. Nel corso del secolo XV la pittura in Messina dagli studî fatti dal celebre Antonello in Fiandra ed in Venezia risentì una lieve influenza per circa cinquant'anni, la quale però non giunse al punto da farle perdere la sicola fisonomia. Nè la dimora in quella città di Polidoro Cal- dara dopo il 5° lustro del 16° secolo produsse nel modo di dipingere un radicale mutamento : la scuola pittorica di Messina conservò sempre uma varietà di appa- renza con quella di Palermo. Ma negli ultimi lustri del secolo dinanzi notato , coi viaggi di molti gio- vani che all'arte andavansi ad educare in Napoli, Roma e Milano,o di artefici del continente o stranieri che vennero nell'Isola a far lavori, cominciò ad in- trodursi un modo di architettare, dipingere e scolpire che ebbe qualcosa di co- mune colle scuole allora in rinomanza nel continente italiano, e nelle Fiandre. Pure distinsersi sempre i Siciliani per una tal quale vividezza del genio isolano in modo da riuscire originali seguaci di quelle scuole. anzichè imitatori. E però da notare che i mutamenti insinuavansi nell’ Isola con ritardo, e per additare di tal fatto qualche esempio tra molti va ricordato che la influenza del Bernini nell’architettura e nella scultura apparve tra noi molto tardi, e nella pittura il forte ombreggiare di cui il primo esempio in Italia fu dato da Michelangiolo Amerighi da Caravaggio si vide circa cinque lustri appresso nelle opere del potente ingegno di Pietro Novelli da Morreale; ed il modo di aggruppare, at- teggiare ed ombreggiare le figure creato in Italia innanti la prima metà del se- colo 17° dai poderosi ingegni del Lanfranco e del Berrettini, fu seguito dai dipintori dell'Isola nei primi decennî del decimottavo. Inoltre nella scultura quello stile che nacque dalla imitazione dei simulacri pagani della Grecia e di Roma, creato nella seconda metà del secolo trascorso da Antonio Canova, fu poscia 2 SULLE ARTI DEL DISEGNO IN SICILIA importato in Sicilia solo da chi ne fu allievo; ed il modo di disegnare e dipin- gere del quale il primo diede esempio Antonio Raffaello Mengs, modo che i po- steri chiamarono statuario, fu tolto ad esempio da qualche artifice siciliano che erasi stabilito nel continente d’Italia, ma non seguito dai dipintori educati nell'Isola. Architettura La Sicilia nel secolo 18° ebbe molti architetti di fecondissimo intelletto, pa- recchi dei quali furono ecclesiastici. Rifulse tra essi per fama più estesa, come avviene ai siciliani che lavorano fuori della terra natia, il sacer. Filippo Juvara da Messina, che per le ingegnosissime fabbriche da lui erette in Piemonte ebbe dal re di Sardegna l’abazia di Selve: non ultimo de’ pregi del Juvara fu quello di avere educato all’arte il celebre Lodovico Vanvitelli, l’ autore del palazzo di Caserta, il quale, poscia ch’ebbe da un valoroso artista siciliano imparato, un’altro non meno valente insegnavane, il palermitano Giuseppe Venanzio Marvuglia, che operò molto anche nel secolo presente. Questi applicossi da principio all’ archi- tettura nella città in cui vide la luce; ma recandosi già adulto in Roma volle a direttore dei suoi studi il Vanvitelli il maggiore degli architetti d'Italia. Sotto la guida di lui fece disegni, e misurò i grandi monumenti che attestano tuttavia la potenza di Roma pagana; e mentre su di essi forbiva il suo ingegno , teneva in alta considerazione i consigli del maestro. Ma il Marvuglia ebbe il giudizio di non ammirarlo ciecamente , e però non credè seguirne gli esempî in talune for- me decorative che quegli avea ereditato dagli antecessori, più per prepotenza dei tempi che del suo genio. Il Marvuglia restituissi in patria nel corso del secondo lustro dopo i primi cinquant'anni del secolo che l’attuale precesse, e fu molto ac- cetto ai magnati. Edificò due palazzi al principe di Belmonte uno nella via To- ledo oggi corso Vittorio Emmanuele rimpetto alla piazza Bologni, alla contrada dell’acquasanta l’altro; riformò in gran parte quelli dei marchesi Geraci e Co- stantino; architetto il grande edificio del monastero de’ pp. Cassinesi di S. Mar- tino, e l'Oratorio a canto alla chiesa de’ pp. di S. Filippo Neri all’Olivella. Gli fu conferita la cattedra di Architettura nell’Accademia degli studî di Palermo, poscia divenuta R. Università ; e quando il Vicerè Caramanico allogò al De-Fourny francese l’edificio per la scuola di Botanica, questi conoscendo il valore del Mar- vuglia gli affidò la esecazione delle fabbriche, e gli procurò l’incarico del calida- rio e tepidario che quello fiancheggiano, del pregio dei quali fu tanto il grido che l’Istituto di Francia lo elesse a suo socio. Carico di anni e di gloria compì nel 1814 la mortale carriera. Altro allievo del Vanvitelli fa il prete Giambattista Vaccarini: da giovane recatosi in Roma prese domestichezza con monsignor Galletti vescovo di Catania, che seco lo condusse, e nominollo canonico della Catanese Cattedrale. Edificò in quella città il prospetto del Duomo, la chiesa del Monastero di S. Agata, la fonte dell’ Elefante, il refettorio ed il museo de’ pp. Benedettini e l’ ingresso della casa S. Giuliano. Altro architetto da non passarsi in silenzio ebbe Palermo in Antonino Interguglielmi, il quale, sebbene come il Vaccarini non avesse intera- mente lasciato le forme architettoniche del secolo trascorso, mostrossi d’ingegno non volgare negli edificî che costrusse , e particolarmente nella chiesa della confraternita di santa Maria degli Agonizzanti di Palermo. Nel tempo medesi- mo fiorì Carmelo Battaglia Santangelo, che nacque in Catania dove innalzò la cupola del Duomo, e fu autore della scala e del prospetto del vastissimo mo- nastero dei Cassinesi. Venuto in Palermo in età avanzata vi morì nel 1807. Da lui fu educato all’ arte in Catania il nipote Antonino, che nella città natia edificò la facciata della R. Università, ed altre opere minori, e nel 1828 passava di questa vita. NEL SECOLO XIX 3 Il Marvuglia in Palermo elevò alla retta ragione dell’arte tre giovani, i quali, comechè non possano dirsi genî. come -il maestro, mostraronsi nelle opere di sveltissimo ingegno ed ornati di buoni studì. L'uno fu Emmanuele di lui figliuolo, di cui abbiamo il palazzo del principe di Belmonte in contrada Olivuzza, e l’edi- fizio dei Bagni della città di Termini; l’altro Antonino Gentile il quale ebbe per con- corso la cattedra all’Università di Palermo nel 1819. Eresse questi per allogazione del principe di Castelnuovo l’edificio destinato alle scuole agrarie ai Colli; ebbe dalla città di Trapani l’incarico dei progetti del teatro, della casa sanitaria e del Lazza- retto; ma l’ultimo di essi soltanto gli fu dato eseguire. Alla R. Università di Palermo fece la grande sala con vestibolo, che destinavasi alle solennità del conferimento delle lauree , ed il così detto teatro anotomico cioè scuola di anatomia. In contrada Olivuzza fu sua opera il palazzetto del negoziante francese sig. Donaudy. Reca- tosi per un’affare in Catania, attaccato da acutissima malattia vi morì nel 1834 non ancora varcato il nono lustro. Il terzo fu Vincenzo di Martino il quale in- ventò e costruì in gran parte l’edificio del nuovo carcere in Palermo; furono anche sue opere lodate il portico ch’ edificò alla villa Giulia, e due ponti ch’eresse su i fiumi Salso e Simeto. Ebbe rinomanza nel tempo medesimo Salvatore Zahara Bada. Nacque da genitore maltese il quale dopo di essersi distinto per le cognizioni ma- tematiche in Russia, in Francia, in Germania ed in Italia andossi a fermare in Catania. Salvatore fu educato dal padre alle scienze esatte, e nel corso della car- riera di architetto diè al pubblico un’opera di matematica che fu applaudita. Eresse nella nativa città il quartiere militare della decima,ilpalazzo Redigagi e la casa Man- ganelli. Mancò ai vivi nel 1832. Contemporaneamente in Messina operava Giacomo Minutolo: si fa lode di lui per avere architettato nella città in cui ebbe i natali il palazzo civico ed il prospetto della chiesa di S. Francesco di Assisi. Visse sino al 1827. Né va trascurato di far parola di altri due valenti catanesi, Se- bastiano Ittar e Mario Musumeci, l’uno e Vl altro illustratori di alcune antichità di Catania. Disegnò il primo i monumenti dell’ Acropoli di Atene che furono lodati dal celebre Hittorff nel rapporto datone alla società delle belle arti di Fran- cia. L'altro ebbe occasione di mostrarsi nell’arte con la fabbrica del carcere pro- vinciale di Catania, dove occupò la cattedra: passò di vita nel 1852. Un archi- tetto ebbe anche Palermo in Fommaso Ferriolo di cui rimane il palazzo del Prin- cipe Pignatelli Aragona nella strada fuori porta Macqueda. Dal Gentile imparò Carlo Giacchery, il quale nacque in Padova; all’età di anni sei fu dal padre portato seco in Palermo dove venne a stabilirsi e però per l’arte va considerato come siciliano. Egli dopo compito il corso degli studì all’Università recossi in Roma dove ebbe occasione di ascoltare i consigli del Ven- turoli e del Cavalieri: pare che natura lo creasse, e tale fu l'opinione concorde degli uomini versati nelle discipline architettoniche, più alla parte edificatoria anzi- chè allo splendore decorativo dell’ arte. Tornato in Palermo ebbe per concorso la cattedra nella quale insegnava a preferenza la parte costruttiva. che fece non poco progredire. Accortosi che un solo insegnante non bastasse propose che fosse istituita una cattedra di architettura decorativa. ritenendo egli la statica, ed affi- dando ad esperto artefice l’altra. Di lui esistono: la sala che nella casa in contrada Arenella edificò al nego- ziante sig. Florio. Narrasi che piacesse tanto all'Imperatore delle Russie, che la vide quando recossi in Palermo, che ne volle il disegno onde riprodurla in un suo palazzo delle vicinanze di Pietroburgo, luogo di delizia. Rifece |’ edifizio de’ Mi- nisteri di Sicilia del quale fu lodata molto la scala a chiocciola di acuta statica speculazione e di perfetto eseguimento. Edificò al Molo il palazzo del negoziante sig. Pace , ed alla spiaggia del Sammuzzo lo stabilimento industriale del signor Pojero. Manco di vita nel cinquatesimo terzo anno nel 1865. 4 SULLE ARTI DEL DISEGNO IN SICILIA AI corso delle di lui lezioni assistette Giuseppe di Bartolo da leso c il quale nato col genio dell’arte espostosi al concorso del pensionato governativo ottenne la palma. Recatosi in Italia per natural gusto applicossi con preferenza allo studio delle opere del Brunellesco, del Bramante e degli altri grandi di quell’ alto pe- riodo dell’arte italiana. Da tali esempî colse uno stile di architettonica decora- zione che, quando in esso addottrinato tornava in Palermo, appena avuta occa- sione di portarlo in atto gli fruttò la stima e l'ammirazione di quanti ne videro il primo edificio che fu il prospetto del teatro di S. Cecilia allogatogli dal Go- verno. Nella via oggi denominata di Cavour costruì il palazzo del sig. Cata- liotti; due altri in Caltanissetta ne eseguì pel marchese Benintendi e pel barone Bordonaro. Decorò il vestibolo della magione del conte Lucio Tasca nella via Lincoln. Imventò e diresse la decorazione della chiesa maggiore della terra di santa Margherita. Fu componente della Commissione dei lavori pubblici presso il Ministero di Sicilia. Non ancor grave d'anni compì la mortale carriera con do- lore di quanti lo conobbero ed ammirarono. Oggi quest’ Isola può vantare molti architetti di alto ingegno e forniti di studî sulle grandi opere dell’epoca più rinomata delle arti italiane. Parecchi già si sono mostrati in fabbriche che riscuotono ammirazione da coloro , che nel- l’arte edificatoria cercano non solo le mura e l’utilità. ma bene anco la eleganza delle forme e degli ornamenti. Pittura Molti dei siciliani, che dieronsi all'arte di dipingere nella seconda metà del secolo che a questo precesse, ebbero a maestri i più rinomati artisti di Napoli e di Roma, il Solimene, il Benefial, il Conca, il Gianquinto, uomini di sommo inge- gno, ma che pel gusto dei tempi furono compositori macchinosi e disegnatori di for- me umane esagerate e di panneggiamenti con pieghe convenzionali, ma esperti di- pintori di grande effetto di chiaroscuro e colore e valorosi affrescanti. Fra co- loro di quest'isola che svilupparono l’ingegno in Roma, parecchi ebbero in quella città lavori d'importanza ed onorificenze. Tengo parola soltanto di quelli, che lavorarono anche nel secolo presente, nei primi decennî del quale durò fra i ric- chi, i magnati ed i dignitarì ecclesiastici l'inclinazione e la gara di abbellire chiese e palazzi. Mariano Rossi, ch’ebbe nella città di Sciacca i natali, fu dal principe Bor- ghese adoperato a dipingere nella volta della galleria della villa fuori di porta del popolo un vasto affresco rappresentante Camillo che rende a Roma la li- bertà; opera colla quale si fece tale nome che ne riscosse le lodi sinanco dal conte Cicognara, tuttochè questi parteggiasse pella nuova maniera di dipingere che aveva il Mengs introdotto in Italia. N re di Napoli chiamollo a decorare alcune sale del palazzo di Caserta che oggi ammiransi da chi si reca a vedere quella celebre regia magione , la più grandiosa dell’Italia. La città natia volle sue opere, e gliene commise parecchie, tra le quali va lodata, con ragione, la bellissima sacra famiglia per la chiesa di S. Lucia. Quadri rinomati a buon dritto son quelli della chiesa del convento di S. Maria del Bosco, e dell’altra del monastero di S. Nicolò di Bari di Bisacquino; dopo |’ abolizione dei sodalizî religiosi trasferiti al museo di Palermo. Per disavventure sofferte nella invasione che i francesi fecero alla eterna città, recavasi già vecchio in Palermo, dove ebbe allogato il grande affresco della tribuna della cattedrale e parecchi quadri ad olio. Ritornato poi in Roma carico d’ anni e di riputazione vi finì la vita nel secondo lustro del secolo in cui viviamo. Nel tempo stesso impararono in Roma i tre fratelli Manno, Francesco, v } NEL SECOLO XIX (9) Antonino e Vincenzo: tralascio i due primi che mancarono nel secolo passato e dico solo dell’ ultimo che visse sino all’ attuale. Fu cavalier di Malta, dipinse a fresco nel 1799 la maggior parte delle figure de’ pp. e dci dottori della chiesa che sono fra gli archi del sontuoso tempio di S. Giuseppe dei Teatini di Pa- lermo. In Nicosia le volte della chiesa maggiore, e dell’ altra del monastero di S®. Domenica; ornò con affreschi e qualehe quadro ad olio nel 1805 ia chiesa di S. Croce in Palermo, e morì dopo pochi anni. Ebbe contemporanei Elia Interguglielmi di cui sono le tele ad olio delle cappelle della chiesa della confraternita di S. Maria degli Agonizzanti , e Giu- seppe Testa, i quali dai più vecchi Manno impararono, e dal Mercurio. Del Testa principali opere abbiamo i quadri ad clio della nobile compagnia de’ Bianchi , ed un'altro rappresentante Maria Vergine Assamta all'altare maggiore della chiesa Madre di Carini. Giuseppe Crestadoro nato e morto in Palermo nel 1808 di anni 97 lavorò assai fuori della nativa città: a fresco decorò in Siracusa la vòlta della chiesa del monastero dei Francescani detto di S. Maria, e la tribuna della chiesa dello Spirito Santo; fece quadri ad olio pella chiesa di S. Francesco di Paola e di S. Teresa di Messina ; in Palermo al duomo evvi di lui il Batte- simo di Gesù Cristo. Dipinsero nel tempo medesimo con abilità due cappuccini, il P. Fedele della terra di S. Biagio, che scrisse un dialogo sulla pittura , ed un fra Felice da Sambuca, molti quadri non ispregevoli , grandi e piccoli, per le chiese de’ conventi del proprio Instituto. Catania ebbe in questo periodo Olivio Sozzi e Lopresti erede del ce- lebre Oliviero al quale fu nipote. Si lodano di lui: Amore dormente fra le brac- cia del piacere , due Sibille allogategli da Lord Sthanope, e la natività che fu posseduta dal rev. Valle abate cassinese di Catania: passò di vita non vecchio nel 1833. Giuseppe Velasquez nato in Palermo sebbene avesse avuto a maestri il Mercurio ed il Tresca, può dirsi educatosi all’arte da se merlesimo. Sin da gio- vanetto per. bisogno di guadagnarsi la vita dipingeva su cristalli ritraendo dalle stampe de’ Caracci. del Poussin, di Raffaello ed altri celebri che riusciva a procurarsi; abituato a copiarne il modo di disegnare, comporre e disporre, i nudi ed i panneggi, andavasi allontanando dalla maniera dei contempora- nei. e quando cominciò a produrre originalmente prendeva ad esempio le incisioni che gli eran servite a colorire cristalli; così avviò l’arte a forme meno esagerate. Le opere di lui che meritano lode maggiore, a fresco sono: il gran quadro nella galleria del marchese Geraci, i quattro dottori fra gli archi della chiesa di S. Giuseppe; ad olio: pregevolissima è la gran tela dell’assunta al Duomo, ed il S. Vincenzo Ferreri alla chiesa di S. Domenico, e parecchie mezze figure di santi e bozzetti, dei quali alcuni furono dagli eredi Gallo depositati nel museo di Palermo; a tempera dipinse molti quadri sulle pareti di una stanza nel pa- lazzo del principe di Fitalia. Non sempre felice nel colorire, compose e dise- gnò spesso con garbo e correzione, e precipuamente le teste, le mani ed i piedi. Ebbe in età avanzata il crepacuore di vedere per moda preferirsi chi non era all’altezza di lottare colla di lui abilità , e se ne rammaricava. Morì nel 1827 dolente di esser posto quasi in oblio. Contemporaneo fu Giuseppe Errante da Trapani che dimorò in Roma e Milano ; seguace del Mengs studiò i simulacri - pagani della Grecia e di Roma. Dipinse a fresco nella cupola della chiesa della Morte in Civitavecchia le anime purganti, in palazzo Altieri le nozze di Amore e Psiche; ebbe lode pei quadri ad olio delle feste Caliste, e del conte Ugolino, e del- l Artemisia che piange sulla morte di Mausolo. Dopo di avere abbozzato una gran tela rappresentante la morte di Antigone, oggi nella Pinacoteca di Trapani, finì nel 1821 in Roma la vita. Nel tempo stesso sebbene più giovane operava Vincenzo Riolo: naque in Pa- 6 SULLE ARTI DEL DISEGNO IN SICILIA lermo nel 1772; fu figliuolo di un negoziante, ma volle darsi per genio alla pit- tura. Avuti in patria i primi rudimenti da Francesco Sozzi ed Antonino Manno, il padre mandollo a Roma. Colà ebbe consigli da Giuseppe Wicar di Lilla che avea nome nell’ arte ; ma il Riolo lo seguì alquanto nel modo di colorire. Venuto adulto nella natia città dipinse per la chiesa maggiore di Petralia Soprana il gran quadro rappresentante il martirio di S. Pietro e Paolo, il quale fu tanto ammirato che il Velasquez, temendo un emulo, fece in modo che il Riolo spo- sasse una di lui figliuola. Il suocero ed il genero dipinsero a concorrenza due stanze a tempera nella casa del principe di Fitalia. Del Riolo a fresco sono lodati la caduta di Fetonte nel tetto di una sala del palazzo Villafranca, ed i quadri delle volte delle cappelle della chiesa dell’ Olivella; dipinse a tempera nella Reggia di Palermo e nei palazzi del principe di Palagonia e Pantelleria e del negoziante Vincenzo Florio. Colpito da paralisi nel 1834 moriva nel 1837 di anni 62. Dal Velasquez furono all'arte educati Giuseppe Renna, Giuseppe La Farina e Vincenzo Leonardi.Il primo fu d’ingegno sveltissimo ma visse poco; lasciò dipinti a tempera dei soggetti mitologici nel palazzo Trabia in piazza del Cancelliere, nella casa Linguaglossa al Borgo e in quella del marchese Artale: inoltre qualche qua- dro ad olio, e paesi molti per sopraporte. Il secondo a parte di tempere in volte di abitazioni particolari, ad olio lasciò un gran quadro alla chiesa diS.Maria del Lume ed altri due alla parrocchia del Castello a mare, e nella chiesa del mona- stero del SS. Salvatore di Corleone. Il terzo che fu inteso col sopranome di coc- chiara, non molto disposto all’inventiva, servì di aiuto per la sua abilità nelle opere del Velasquez e del Riolo. Fu anche pittore di qualche pregio Calogero de Ber- nardis figlio di volgare ritrattista: ebbe nome pel copiare bene le opere del No- velli, lavorò a fresco taluni quadri nella congregazione così detta del sabato den- tro la casa professa dei Gesuiti. Il Riolo educò in Francesco Ognibene un allievo di alto ingegno, appassio- nato per l’arte; oltre di udire i consigli del maestro disegnò per imparare dai più celebri quadri siciliani del secolo 16°. Dipinse a fresco all’ istituto Castel- nuovo ai Colli, fece ad olio il quadro della Madonna del Rosario alla parrocchia del Borgo ed altri lavori che per brevità tralascio: nel centro della carriera pit- torica per dispiaceri avuti smarrì la ragione, e morì a metà del corso della vita al Manicomio. I Catanesi vantano Giuseppe Zacco di cui lodasi il colorire; Giuseppe Gan- dolfo educato in Italia che seguì i principî del Mengs, ma agiato per beni di fortuna non dipinse molto; fu lodato per un quadro rappresentante Amore e Psiche e per la Merope, fu anche buon paesista , e colse bene le fisonomie : morì nel 1855; e Giuseppe Rapisardi che studiò e fece molti lavori di argomento sacro, e ritratti pregiati in Catania e nei paesi di quella provincia; finì la mor- tale carriera nel 1853. Va ricordato per l'operosità l'abate Giovanni Patricolo da Palermo, che qualche volta dipinse con risultati non dispregevoli: lavorò moltissimo per la nativa e per al- tre città della Sicilia adoperato da frati e monache. Citerò le opere più inge- gnose. La tela monocroma a tempera pella chiesa del monastero di S. Caterina. I quadri ad olio, uno pella chiesa dell’altare maggiore del monastero delle Stim- mate, ed altri per un tempio della terra di Carini : dotti preti l’ ammirarono, e ne scrissero con lode: morì nel 1861. Giuseppe Patania nato del pari in Palermo sortì da natura ingegno fe- race e spiritoso. Da giovane disegnò sotto il Velasquez, ma impaziente di ap- plicazione e bisognoso di guadagno dipinse per vivere quei cartelloni da teatro che solevansi esporre in piazza Vigliena, nei quali rappresentavansi le scene più pro- minenti della opera che davasi al pubblico. Eseguivali con attitudini e colori vi- vaci, e n’ebbe riputazione; fece anche ritratti tra cui quello del celebre abate Gio- x NEL SECOLO XIX T vanni Meli, il quale nel vedersi con somiglianza dipinto gli diresse in lode una poesia. Lodato da poeta lodatissimo s’' innalzò il di lui nome e gli affluirono i lavori; dipinse a tempera nei palazzi dei duchi di Serradifalco e di Castrofilippo, ad olio quadri per chiese di Palermo e delle città e terre di Sicilia: piacquero molto per vivacità di colori e per attrattive di fisonomie. Da principio la- vorò accuratamente, poscia si diede a far presto per soddisfare i molti commit- tenti. Operosissimo, fece anche molti schizzi a penna. Per allogazione di un en- tusiasta ammiratore il sig. Agostino Gallo, dipinse la maggior parte dei ritratti d’illustri siciliani che gli eredi con nobile pensamento depositarono alla biblio- teca civica di Palermo; dipinse anche paesi, frutti, marine. Fu componente della Commissione di antichità e belle arti. Visse anni 72 tormentato da una malat- tia contratta da giovane che gli permetteva di uscir di casa nei mesi più caldi dell’anno soltanto; perciò lavorava continuamente, visitato sempre da amici che non potea visitare. Ebbe moltissimi allievi. Son pregevoli di lui ritratti, bozzetti e quadri di piccole dimensioni, nelle grandi opere non fu felice. Vengo a dire di un mio intimo amico pittore di spiriti elevati, mancato da pochi anni all’ affetto di quanti lo avvicinarono. Andrea d’Antoni nato in Pa- lermo da parenti agiati dimostrò da ragazzo inclinazione alla pittura; andò allo studio del Patania. Feracissimo nel produrre, non ebbe da natura la disposizione a durare in accurati e lunghi studì. La fertile inventiva della quale fu dotato trascinavalo imperiosamente anche sin da giovanetto a fare schizzi e quadretti. Soggiornò per parecchi anni in Roma ammirando entusiasticamente il Bonar- voti. Dipinse soggetti sacri pochissimi. ma molti quadri storici nei quali mo- strossi di alta abilità nella espressione del dolore: furono lodati a dritto la fa- miglia profuga di Parga ove espresse la disperazione di chi per prepotenza debbe abbandonare la terra natia, il conte Ettore di Ruvo che scuote le catene d’in- nanti al suo giudice, e Luigia San Felice nelle carceri dinanzi al feroce Spe- ciale. Lasciò moltissimi schizzi ad acquarello, e parecchi quadri tratti da temi della Divina Commedia che si possono vedere in casa degli eredi, ove è carissimo e pregevole dipinto il sonno dell’innocenza, espresso in due bambine che dor- mono. Gli fu apposto ad errore ritrarre uomini viventi a rappresentare individua- lità storiche di tempi remoti. Non fu molto lodato il di lui modo di disegnare e colorire, sebbene spesso a lampi nei di lui quadri in taluni pezzi sia stato felice disegnatore e coloritove. Fece ritratti di molto pregio. Fu componente della Commessione di antichità e belle arti. Morì in carica improvvisamente non an- cora varcato il dodicesimo lustro. Fiorì in Messina nel tempo stesso Litterio Suba ; disposto per natura alle tre arti sorelle, architettura, pittura e scultura si mostrò in tutte tre ingegnoso: oltre degli affreschi che lasciò nel palazzo del Comune e nella cattedrale fece ritratti e paesi non pochi, e carico d’anni nel 1871 compì il corso della vita. Dal Suba imparò da giovanetto Michele Panebianco. Recossi poi in Roma con pensione del Comune ed ebbe a maestro il cav. Camuccini che godeva al- lora riputazione di pittore di primo grado. Studiò sulle statue pagane e su i grandi italiani del 16° secolo. Inclinato più ad esattamente disegnare che a ben colorire fece quadri giudiziosamente disposti, e regolari nelle forme. Furono te- nuti principalmente in considerazione: il ritratto del cardinal Villadicane, il ri- poso in Egitto . la deposizione della croce per la chiesa madre di Artolio, la compagnia dei Verdi che gli allogò il Municipio di Messina, quadri ad olio. A tempera fu molto lodato il sipario pel teatro della sua nativa città, nel quale con vasta e ben intesa composizione rappresentò Gelone che ferma coi Carta- ginesi le condizioni della pace. Lasciò anche schizzi e disegni pregevoli. Mancò ai vivi nel 1873 di anni 67. 8 SULLE ARTI DEL DISEGNO IN SICILIA Ultimo tra i fignristi colloco Andrea Martino nato in Palermo da padre fran- cese. Studiò in Firenze sotto il’ Benvenuti ch’educavalo alla classica pittura. Tor- nato in patria provossi in qualche tema eroico, che non fu accolto con favore. Acquistò credito per buoni ritratti e quadri di soggetti volgari. Ebbe principal- mente applaudito il venditore di pesce , in cui rappresenta di grandezza natu- rale un marinaio che ne vende ad un frate una sporta, ed un ritratto di un magnate in abito di caccia col cane. Fu veramente singolare nei quadri di pesci, dei quali fece moltissimi e sono sparsi in Palermo e nelle città dell'Isola: dipinse bene anche le stoviglie. Non va taciuto che anche il bel sesso fece le sue prove nell’arte, e Palermo ebbe Carolina di Martino autrice di buoni ritratti ed Annetta Turrisi che di- pinse per diletto ed espose una mezza figura di un moro che fu applaudita , entrambe sventuratamente mancate a’ vivi nel fiore degli anni. Catania si loda della sua Maria Guerrieri e Motta ec ne rammenta il S. Antonio abate. la S. Vergine degli Agonizzanti, ed un Egisto. Pel paese riscosse elogî Teresa Marotta di Pa- lermo. Nè voglio tacere di Giuseppe Scaglione e Giuseppe Sacco: il primo fu accurato nel disegno, e fece di buona composizione schizzi non pochi ; provatosi in figure di grandezza naturale ad olio non ebbe applausi, e si diede a fare ri- tratti a miniatura nei quali ebbe rinomanza. L'altro miniatore del pari di no- me, lavorò d’invenzione piccole mezze figure che piacquero. Ora debbo far cenno della minor pittura. Prospettico valorosissimo e deco- ratore di alto merito fu Benedetto Cotardi nato in Napoli, ma educato in Pa- lermo. Son da ammirarsi di lui gli ornati che eseguì nella chiesa dell’ Olivella. In case di magnati dipinse vòlte a fresco con sapere prospettico non comune ed effetto mirabile, e per indicarne qualcuna invito i lettori a vedere quella della galleria del palazzo del marchese Benenati in via del Bosco, e l'altra della casa di campagna ai Colli del principe di Resuttano. Valoroso decoratore prospet- tico e scenografo fu del pari Gaetano Riolo fratello di Vincenzo. Sono da an- noverarsi tra le opere di lui che riscossero plausi, a fresco la cupola in prospet- tiva nella chiesa di S. Ninfa della casa professa dei pp. Crociferi e la tribuna della chiesa dell'ex monastero dello Schiavuzzo. Servì di scene per molti anni il teatro maggiore di Palermo, passò all’eterno riposo nel 1856 in grave età. Nella pittura di paese ebbe nome Giambattista Carini il quale per ingegno al- quanto strano provossi in qualche quadro sacro ma riuscì poco gradito: di costui son da ammirarsi principalmente gli studì di campagne che ritrasse dal vero che molti cittadini posseggono. Francesco Zerilli fu pure buon pacesante e vedutista, ma di- pinse sempre a tempera, anche con molta abilità toccò le marine, e n’ebbe lu- cro perchè gli agiati acquistavanie ad ornarne le sale. Nel dipingere frutti si distinsero molto il barone Melchiorre Pisani che seb- bene lavorasse per diletto ebbe pregio di artista non volgare: di sue opere facea dono agli amici; Salvatore Ajello, che per la sua valentia ebbe medaglie all’e- sposizione di Sicilia, e Francesco Sozzi che fece pure con grazia e verità a tem- pera molti quadretti di pesci che piacquero. Di un valoroso. sebbene vivente, debbo rammentare i pregi non comuni. Gio- ‘vanni Lentini nel centro della splendida carriera di scenografo e decoratore ebbe la disavventura di perder la ragione , e sta al Manicomio senza speranza di guarire. Dipinse per molti anni sempre con applauso concorde di tutti le scene del teatro maggiore di Palermo, vòlte di stanze nei palazzi del negoziante Bo- nocore e del conte S. Marco, e fece ad olio quadri di vedute di rovine di edificî, che si possono trovare in diverse case in Palermo. Oggi la Sicilia ha cultori riputati molto in ogni ramo dell’ arte. Pittori di storia che seguono i principî dell’epoca più alta delle arti Italiane, ed altri che con gusto diverso operano con elevatezza d’ingegno. Decoratori di pregio che NEL SECOLO XIX 9 battono le vie dell’ arte degli ultimi anni del 15° secolo e dei primi decennî del 16°; Mosacisti che si fanno ammirare dai nazionali e dagli esteri ; Paesanti il di cui nome risuona di elogi. Molti di questi onorano l'Isola operando nelle città del continente , altri lavorano in patria. A tutti auguro che si svegli nei municipi e fra i doviziosi quella tendenza ad abbellir le città, e l'interno di chiese e palazzi che fu cagione della fama che nelle arti belle acquistò la peni- sola italiana nei tempi trascorsi. Scultura La Sicilia nel corso del secolo passato ebbe molti scultori, modellatori in istucco, intagliatori e fonditori in bronzo pieni di spirito e di alta abilità, i quali come quelli del continente Italiano lavorarono con la maniera esagerata di attitudini e forme del corpo umano, e di panneggi, che col suo potente genio creava il Bernini e che per la novità ed altissima riputazione che n° ebbe, fu presa ad esempio da tutti gli artefici. Dei cospicui scultori fu il Palermitano Ignazio Ma- rabitti, che finì col secolo la vita, molto adoperato dai dignitarî ecclesiastici, dai doviziosi e dai magnati. L’ abilità di lui nel comporre e disporre i gruppi di figure, ed i bassorilievi, il modo ardito di lavorare il marmo, imitando stoffe e ricami; la vivacità dei movimenti, e la grazia nelle composizioni di putti, ne fece una celebrità. Son opere di lui che riscossero plauso le fontane che ador- nano la strada che da Palermo conduce a Morreale, la statua di Ferdinando terzo Borbone collocata alla Marina oggi Foro Italico, distrutta dai Palermitani nelle furie antiborboniche del 1848; fece un numero non iscarso di monumenti mor- tuarî, che si possono vedere alla chiesa de’ cappuccini, e quelli che stavano nella chiesa del monastero di S. Giuliano eretti ai fratelli Schiavo , oggi trasferiti a S. Domenico; ammirato è il cavallo marino in piazza S. Spirito, e più la bella statua rappresentante Palermo alla Villa Giulia. Da lui, e dal padre imparava Leonardo Pennino , di famiglia artistica pa- lermitana, poichè ebbe tre antenati scultori. Recatosi giovane in Roma prese ad esempio le statue antiche greche e romane e le opere del Canova; lavorò il busto del Pontefice Pio VII che adorna il salone d'ingresso del quartiere dello Abate nel mo- nastero Cassinese di S. Martino delle scale, i monumenti mortuarî che stanno nella cattedrale di Cefalù a due vescovi di quella diocesi, fece molti ritratti alla famiglia dei Duchi di Terr:nova, ed una statua intera dei Duca a sedere. Contemporaneo ebbe Valerio Villareale, nato in Palermo: da giovanetto mostròssi assai disposto all'arte, e con pensione accordatagli dal Governo fu man- dato a Roma a studiare, nel tempo che il Canova levava di se alto grido. Il Villareale ne seguì i principî e l'esempio, e si applicò a studiare modellando sulle statue raccolte ai musei del Vaticano e del Campidoglio, e lavorando nel moderno stile cominciò ad acquistar nome. Murat allora re del Regno di Napoli. chiamollo a decorare di bassirilievi una delle grandi sale del Palazzo di Caserta. Venuto poscia in Palermo ebbe dall’Amministrazione del Duomo allogati due grandi bas- Sirilievi che decorano le pareti della Cappella di S. Rosalia e n° ebbe lode; fu nominato professore di scultura alla R. Università. Fece poscia statue di Ferdi- nando Borbone primo re del Regno delle due Sicilie, come intitolossi dopo del 1815, e poi pel successore Francesco Primo tra le quali fu molto applaudita quella del Foro Borbonico, atterrata poi nel 1848. Di lui è il monumento al Beato Majale che, fatto per la chiesa dell'Ospedale grande e nuovo di Palermo, trovasi ora in quella di San Domenico; scolpì parecchie statue di soggetto pagano per signori Inglesi tra le quali levò grido la Baccante dormenfe. Pieno di fuoco e d’ingegno ebbe facilità molta ad inventare e modellare, ma fu spesso impaziente a condurre accuratamente sul marmo i lavori. In taluni di essi troppo attaccato alla imita- 10 | — SULLE ARTI DEL DISEGNO IN SICILIA zione delle forme dei simulacri antichi, greci e romani, riuscì non molto felice; ma quando da tale imitazione allontanossi fece con più verosomiglianza e viva- cità. Son lodati di lui a ragione molti ritratti tra i quali quelli dell'Abate Gio- vanni Meli, di cui anche scolpì il bel monumento che si ammira nella chiesa di S. Domenico, del Piazzi, e di monsignor Airoldi. Vecchio fu spento dal cholera nel 1854. Fiorirono in Catania Gaetano Puglisi che morì assai giovane nei primi lustri di questo secolo ; lasciò alla città nativa due statue che adornano la balaustrata della cattedrale. Giuseppe Biondi vissuto sino al 1837, di cui si loda il busto in marmo di monsignor Garrasi arcivescovo di Messina che trovasi nella chiesa di S. Agostino. Famiglia di scultori catanesi fu quella dei Calì Andrea e due suoi figliuoli, Salvatore ed Antonio. Del padre furono accolti con plauso principalmente un putto dormente, e la statua del Principe di Biscari. Di Salva- tore più debole artefice rimane in Catania il medaglione nel prospetto della chiesa di S. Biagio. Valoroso più degli altri fu Antonio. Andato a studio in Roma con pensione del Governo, ebbe a maestro il celebre Thorwadlsen. Stabilitosi im Na- poli lavorò una Baccante pel Principe di Salerno; un pugilatore per l'accademia. Ebbe allogata la statua colossale del S. Luca per la chiesa di S. Francesco di Paola e per la piazza l’altra in bronzo di Ferdinando primo posta sul cavallo del Ca- nova. Per Catania condusse in marmo le statue di Ferdinando primo, Francesco primo e Ferdinando secondo, tra le quali fu altamente lodata la prima; ma tutte e tre nei moti del 1860 furono rotte e sperperate: lavorò Antonio del pari la statua di Ferdinando terzo , innalzata dopo il 1848 al ritorno in Sicilia della napolitana dominazione, alla marina di Palermo intitolata allora Foro Borbonico, la quale fu unanime opinione superasse in pregio le altre due di Francesco primo e di Ferdinando secondo. lavorate da Napolitani. Messina ebbe in Litterio Suba un’ingegnoso artefice che nominai come pittore ed or rammento da statuario : furono di lui lodati re Francesco primo in bronzo, in marmo le vittorie che ador- nano gli archi del Palazzo Amodei. Essendo stata rotta da un fulmine la statua della Ninfa Scilla nella celebre fontana che il Montorsoli nel 16° secolo scolpì in Messina, ne fu allogato al Suba il rifacimento. Trapani ebbe un buonartefice in Federico Siracusa che venne a stabilirsi in Palermo: fu autore della statua di S. Benedetto per la scala del monastero dei padri Cassinesi di S. Martino e dell’ Angelo colossale che sostiene la fonte di acqua santa che sta a canto della porta maggiore della chiesa di S. Giuseppe de’ Teatini, che fa riscontro ad un altro del Marabitti. Scolpì parecchi monumenti mortuarì. In Trapani sono di lui le vittorie che adornano l'ingresso del Palazzo pubblico. Il Villareale educò all'arte Nunzio Morello e Giuseppe Pollet da Palermo e Rosolino Barbera della terra di S_ Margherita. Del primo è la statua del Paride ch’è in una fontana all’Orto Botanico, che fu ammirata non poco, e quella di Fi- lippo IV collocata nell’antico monumento della Piazza del R. Palazzo, oggi detta della Vittoria, la quale non ebbe favorevole accoglienza; ne fece anche una rap- presentante Ferdinando secondo che poi non fu coll ocata pei mutamenti politici del 1848; scolpì il monumento mortuario al Barone Tasca ai Cappuccini e pa- . recchi busti a Professori della R. Università di Paler mo, ove fu maestro poco caro ai discepoli. 11 secondo in Palermo ebbe lode per una statua rappresentante Fi- lottete ch’ espose , e per ritratti. Recatosi a Parigi |’ Imperatore Napoleone III acquistò di lui la statua rappresentante un'ora di notte. Il terzo ebbe poca for- tuna e campò la vita più restaurando che facendo originalmente; pure furon lodati di sua invenzione il Diogene poscia acquistato dal Municipio e posto in una fontana alla villa Giulia, e non pochi ritratti di uomini illustri scolpiti pei mo- numenti della chiesa di san Domenico. Giuseppe Frattelloni da Caltanissetta morto di recente in giovane età, pen- NEL SECOLO XIX II sionato da quel Comune recossi a studiare in Roma e Firenze. Di lui è il mo- . numento del celebre Dottor Gaetano Scovazzo collocato in san Domenico. Dico ora de’ modellatori in istueco, e degl’ intagliatori. Fra Benedetto laico Cappuccino ch’ ebbe i natali in Trapani visse lungamente lavorando in legno per quasi tutti i conventi del suo ordine; lasciò molte opere che il signor G. Ferro novera nella biografia che ne scrisse. Morì nel 1804. In Palermo sono di lui nella sacrestia del convento dei Cappuccini due imagini di Cristo in legno di gran- dezza naturale e altri piccoli. Da Trapani del pari fu Francesco Nolfo che ebbe l’avo ed il palre intagliatori. Lavorò nella nativa città, im Napoli e Roma molti Cristi in avorio e statue in legno: all'età di anni 50 prese |’ abito di San Fi- lippo Neri e morì nel 1809. I Trapanesi additano di lui di grandezza naturale la Vergine addolorata al Carmine, e la pietà nella Collegiata di San Pietro. Sebbene non fossero incolumi del modo esagerato che seguivasi nel secolo tra- scorso, ebbero l’uno e l’altro non poca abilità nel modellare largamente e con accuratezza. Valorosissimo fu nel lavorare in istucco Bartolomeo Sanseverino che imparò dal celebre Giacomo Serpotta e giovane ancora gli servì di aîuto. Di lui è in Palermo la Madonna della Nicchia che è nel prospetto della chiesa di Santa Maria del Carmine maggiore. Meritano di essere additate con molta lode le statue che lasciò nella sontuosa Chiesa del SS. Salvatore in Alcamo segnate del suo nome. Morì vecchio nel principio di questo secolo. Girolamo Bagnasco intagliò in legno molte statue di Madonne tra le quali posso additare quelle lavorate per la chiesa di S. Giuseppe de' pp. Teatini e. di S. Niccolò Tolentino oggi parrocchia. Fu celebre per quelle figurette di legno vestite di cenci e colorite , che servivano a porsi nei paesi in rilievo che facevansi da molte agiato persone ecclesiastiche e secolari per esporli al pubblico nelle feste del Natale di G. Cr., che in Toscana chiamano capannuccie ed in Sicilia Presepe. Francesco Quattrocchi non molto culto di mente ebbe senso ron volgare per |’ arte. Seolpì. operò in istucco , ed intagliò diverse statue. Sono da lodarsi esistenti in Palermo, di stucco l'Eterno padre nella Cappella del T. a manca del duomo modellato con energia. e di bel carattere; il Cristo morto, in legno, della nobile compagnia della Soledad; e talune madonne, che fece per le città secondarie di Sicilia: morì vecchio dopo il 1850. Stuccatori valorosi di ornato furono Tommaso Ferriolo palermitano che finì di vivere nel corso del sesto lustro di questo secolo: decorò in Palermo il prospetto del gran Palazzo Santa Croce in via Macqueda, tutto all’ interi ed esterno quello del Marchese Geraci che van noverati tra le opere più cospicue; Francesco Guarnera palermitano, che ornò la chiesa madre di Caccamo ed in Palermo la facciata del Palazzo Arcuri, l'interno di Porta Nuova, ed il Palazzo del bar. Grasso. Ber- nando Sesta da Serradifalco di famiglia di mediocri stuccatori , educossi alquanto in Palermo al disegno, poi lavorò seguendo |’ arte del padre. Sono opere molte di lui nelle terre diverse di Sicilia: a santa Margherita, la chiesa Madre. a Caltabellotta il cappellone della chiesa di S. Maria, in Palermo lavorò egregiamente il corni- cione della tribuna della chiesa della Casa Professa de’ Gesuiti disegnato dallo architetto di Bartolo. Si distinsero per lo intaglio di ornato in legno Giuseppe Valenti palermitano morto circa due rustri addietro. Possonsi ammirare di lui gl’ intagli dei seggioloni per messe solenni ed i candelieri che lavorò pella chiesa di Casa Professa, per quella della compagnia di S. Orsola, e dei monasteri dell'Origlione e del Cancel liere. Francesco Coppolino che visse circa a tutto il secondo decennio di questo secolo lavorò pel duomo di Palermo la gran lumiera che sta sotto la cupola ed i davanzali dell’ orzano, e pella chiesa di S. Matteo dell'Unione del Misere- meni il seggiolone per le messe solenni. Michele Milana autore della gran Lumiera che è collocata sotto la cupola della Chiesa del Monastero di S. Caterina, e fece 2 12 SULLE ARTI DEL DISEGNO IN SICILIA anche pella chiesa dell’ex Convento di Santa Maria degli Angeli molti candelieri; e Gactano Spinoso che intagliò gli ornati dell’altare maggiore ed altre opere per la chiesa dell’ Ex-Convento di S. Francesco di Assisi. Oggi la scultura ha molti valenti operatori studiosi delle opere delle più belle epoche dell’arte e del vero; nè solo la figurativa ma anche la ornamentale in marmo , in istucco ed in legno, nella quale si fanno opere che possono so- stenere il paragone de’ più cospicui lavori del secolo XVT°. Incisione Per la storia della incisione la Sicilia non può nei tempi trascorsi van- tare molti egregi cultori. Pare che la natura impaziente e fervida del Siciliano non siasi molto prestata ad un arte nella quale la esecuzione ha d’ uopo di lungo tempo e di minuta ed esatta diligenza. Seppure sin dal principio della inven- zione dell’arte, come appare da taluni libri stampati al cadere del secolo 15° e nei primi del 16°, qualcuno la esercitò, non elevossi a tale altezza da meritare ricordanza tra i DOSI: Di lo Grano valente pittore allievo del Novelli trovasi qualche. lavoro nel cadere del secolo 17° e nei principî del 18°. Un Pietro dell’ Aquila da Mar- sala Sacerdote dipintore di qualche vaglia, fece con lode i rami della Battaglia di Costantino, della quale il cartone lasciato dal Sanzio fu eseguito a fresco da Giulio Romano, e di molte opere dal Caracci dipinte al Palàzzo Farnese. Però nella seconda metà del secolo trascorso elevossi Giuseppe Vasi da Corleone inci- sore di prospettiva, il quale diede al pubblico moite vedute di parecchi luoghi di Ro- ma, e fece la grande incisione di tutta la città che dedicò nel 1765 a Carlo terzo re delle due Sicilie. Ebbe tanto nome che fu creato conte Palatino e cavaliere dell’ aula lateranense, e tuttavia sono tenute in alla considerazione le opere che lasciò ai posteri. Un Garofalo in Roma del pari dopo di lui incise passabilmente la figura. Nel corso del secolo presente davasi all'arte Pietro Waincher palermitano. Avendo riprodotto da giovane in piccole dimensioni aleuni de’ bassorilievi delle porte del Battistero di Firenze incise dal Calmulch, recossi in Roma con pensione del Comune. Colà ebbe consigli dal Folo, dal Marchetti e dall’Anderloni, ma fre- quentò più il Betlin. Termirnò i rami cominciati delle porie di Firenze. ripro- dusse le acque forti del »inelli delle scene de’ briganti della Romagna. Tor- nato in patria ritrasse a contorni parecchi quadri del 16° secolo di scuola Sici- liana e la tavola de’ pp. Filippini dell’ Olivella del Credi. Imcise con qualche pregio i ritratti di alcuni uomini illustri fra i quali quelli di Polidoro Caldara, dell’ Abate Meli, del P. Michelangiolo Monti, del Morso e del poeta Scimonelli. Non è da lasciare in silenzio che il Patania, il Riolo ed il Patricolo nove- rati fra i pittori fecero all’ acquaforte a mezza macchia di propria invenzione alcuni temi della Iliade, e della Eneide. Onorò nell’ arte d’ incidere altamente la Sicilia Tommaso Aloysio Juvara messinese che si tolse la vita in quest’ anno con dolore di quanti ne apprez- zarono le cospicue doti dell’ animo e dell’ intelletto. Alla fama che godè a dritto per tutta Europa non ho da aggiungere. Solo ripeto rapidamente della vita e delle opere di lui quanto gli uomini colti ne sanno. Nacque in Messina nel 1809, giovinetto imparò dal Suba il disegno. Recatosi nel 1825 con pensione del Comune a Roma studiò all’ Accademia di S. Luca. ricevè lezioni in Parma da Paolo Toschi : della incisione in acciajo ebbe a maestri in Inghilterra Giorgio Tom- maso Doo, e Samuele Causenz. Quante volte espose in Italia e fuori riportò medaglie. Fu professore d’ incisione a Messina ed a Napoli. Da pochi anni Condiret- tore della Calcografia Romana. |Valorosissimo disegnatore, incise sempre sui proprî disegni , tra i quali ammirabile quello della Candelaîa dell’ Alibrandi che NEL SECOLO XIX 13 sventuratamente non trasferì nel rame. Il ritratto di Pio nono , la Madonna della Regia di Napoli , ed altri eccellenti opere gli procurarono i diplomi delle più famose accademie dell’ Europa. L’ Italia perdette in lui un grande artista , un amoroso ed esperto insegnante, gli amici un egregio cuore, gli allievi un padre amorosissimo. Il Cav. Saro Cucinotta barbaramente trucidato a Parigi nelle san- guinose giornate della comune fu educato all’ arte dall’ Aloysio. Pella sua valen- tia ebbe la distinzione di professore onorario nello istituto di belle arti di Napoli. Di lui rimangono opere di pregio singolare. La incisione del dipinto del Palizzi, Dopo il diluvio, lo sponsalizio di S. Caterina del Correggio dall’ originale bellis- simo della Galleria di Napoli e parecchi ritratti di uomini illustri. Meritano ri- cordanza i nomi di valorosissimi incisori di camei e di conîì, quali furono i Tra- panesi Laudicina zio e nipote. Il primo fu insegnante dell’arte alla Real Univer- sità di Palermo, il secondo trasferitosi in Napoli vi fece dimora per molti anni e vi finì di vivere. Buoni conî lavorò del pari il palermitano Giuseppe Melazzo. Oggi la Sicilia ha valenti artisti che incidono tanto in rame che in acciaîo usciti dalla scuola dell’ Aloysio. Ma l’ epoca non pare propizia a quest'arte ed il grande Aloysio lasciò scritto di essere stato dubbioso ad accettare la carica di condirettore della romana calcografia offertagli dal governo, ma che vi si de- terminò sperando di potere restaurare il solo baluardo rimasto alla arte della incisione in Italia. Non manca del pari oggidì | Isola di artisti rispettabilissimi che lavorano conî e camei (1). {1) Debbo dichiarare che parecchie delle notizie riguardanti gli artisti di Catania e di Mes- sina mi sono state apprestate cortesemente dal valoroso Architetto Catanese signor Carmelo Sciuto Patti e dall’egregio incisore di Messina signor Gaetano Micale. SULLA MUSICA IN SICILIA NEL PRESENTE SECOLO pel Socio PIETRO PLATANIA Direttore del Collegio di musica in Palermo Nibil fam facile in animos influit, quam varì canendi sonì. CICERONE Parrà strano certamente ch'io ponga in testa di questo scritto un motto latino, troppo noto e troppo ripetuto; ma le cose troppo ripetute sono appunto le più vere, anzi la loro verità è causa che tanto le faccia ripetere, e proponendomi io di trattare con esèmpj pratici la presente tesi e farne derivare la dimostra- zione dalla storia, nulla potea trovar di meglio che un motto esprimente |’ influenza della musica nell’ animo umano. La musica, dote di tutti i popoli, dal più civile al più selvaggio , retaggio di tutti i tempi, fu tenuta sempre in diversa considerazione dagli uomini , e definita in mille modi, a tenore dell’infiuenza che ha esercitato e dell’indole più o meno gentile. E certo però che le opere più antiche dei poeti e degli storici, le tradizioni più lontane conservano memorie musicali e dimostrano come quest’ arte nacque coll’ uomo ed è un bisogno quasi della sua vita. L’antichità non segnò epoche di vero progresso per la musica; quest’ arte sino a pochi secoli addietro si mantenne per così dire allo stato di natura ; è opera dell’epoca di Guido Monaco l’inizio del suo progresso, e di quella di Pale- strina, che restaurandola la spinse a luminosa meta nei canti fermi. D’ indi in poi, e fino ai nostri giorni, in tutti i suoi rami, si è svolto gradatamente , il perfezionamento di essa. Tralasciando tutte le varie esplicazioni della musica e le diverse forme che prese fra i diversi popoli, come | Indiana, la Greca, e | Egiziana. che possono riguardarsi come tipi originali dell’antichità nello stato di rozzezza primitiva, o d’incipiente ingentilimento; scendiamo tosto ai due tipi moderni, alle due scuole europee , che sono come due grandi ceppi nati da un diverso terreno, i quali, fattisi ora giganti, s’ incontrano nello spazio colle immense ramificazioni. Parlo delle scuole italiana e tedesca. i Ambidue hanno una tradizione ben definita e basata sulla indole delle due razze latina e teutonica; ambidue hanno mezzi adatti alla rappresentazione dei O. SULLA MUSICA IN SICILIA proprii tipi originali; ambidue hanno un fine stabile, da cui non si può uscire senza cadere nel falso e nel vano. I principali pregi delle opere moderne stanno nello attenersi alle tradizioni storiche e nell’ accettare dalla scuola straniera quanto è solo conveniente; i prin- cipali difetti nello allontanarsi ciecamente dalla scuola propria . per farsi imita- tore servile, tradendo in questa guisa il fine dell’ arte. Dall’ influenza reciproca che le due scuole esercitano fra loro è nata la storia musicale moderna, e tutta quella infinita serie di polemiche, di precetti, di metodi e di apprezzamenti, che hanno condotto da un lato a molta luce. dall’ altro a moltissimi errori. Ma l’ errore stà quasi sempre dal lato di chi si da all’ Arte senza il neces- sario sussidio degli studj di preparazione; ed a questo proposito riporterò alcune parole dell’ egregio Sig. Arcangelo Lauria Lo Jacono che , ragionando sul Pro- getto di riforma musicale per la città di Palermo da me pubblicato l'anno scorso, scriveva : « L'educazione letteraria dei giovani dati alla musica, se in base dev’ essere « uguale a quella data al comune degli studenti, pure bisogna che sia modificata « nello ampliamento della parte estetica. Se ai giovani allievi di musica non è « assolutamente necessaria la conoscenza delle lingue dotte, della retorica e della « parte filologica, debbono però colla maggiore larghezza studiare la storia delle « arti, della musicale in ispecie, i varii tipi musicali in relazione alle epoche, « l'influenza della politica sulla musica: e poi 1’ estetica va assolutamente inse- « gnata, perchè si maturino con metodo filosofico i concetti di forma, estensione, « colorito ed intonazione generale nell’ opera artistica, sia che nasca per la Chiesa « o per il teatro , per l orchestra o per il singolo strumento; poichè dalla sem- « plice arietta per camera alla partitura di un finale o di una sinfonia, dalla sem- « plice sonata a pianoforte al genere fugato e complesso delle parti, son neces- « sarî sempre quella nettezza di concetto e quella sicurezza d’incarnarlo che essen- « zialmente costituiscono la buona educazione intellettuale, essendo essa la base « ed il regolo che tutte abbraccia le parti di un’ opera, e sa perferzionarle con « tatto squisito e sicuro , portandole alla tanto sospirata unità , fine di ogni Cano (0) e La mancanza di questa cultura, che è come una preparazione indispensabile a vedere rettamente nelle cose d’ arti, costituisce la causa vera del deviamento lamentato in Italia dalle tradizioni musicali patrie. Palermo è forse quella città che dà un contingente proporzionatamente infe- riore alla falsa scuola; ed io credo che il metodo osservato nel Conservatorio sia una buona precauzione contro i dettami dei presenti riformisti. Quest’ affermazione non dev’ essere attribuita a vanagloria di chi scrive; io sento il dovere di rendere omaggio e giustizia a colui che mi precesse nella dire zione del Conservatorio palermitano , il sommo Pietro Raimondi mio Maestro ; io non ho fatto che seguire le buone orme del mio predecessore, ampliando 1’ inse- gnamento secondo le richieste del tempo. E per tutti quei mezzi onde il Conservatorio si è arricchito , mi corre il debito di rendere omaggio e giustizia all’ esimio Comm. Vanneschi, e più da presso all’ illustre nostro Comm. Gaetano Daita, Presidente dell’ Istituto per tutto quell’ immegliamento materiale, quella spinta letteraria. e quella cura di padre affettuoso verso gli alunni ed impiegati tutti del Collegio. Che Dio gli accordi lunghissima vita ! Quando rammenterò che dal Buon Pastore in epoca antecedente al 1833 uscirono egregi artisti, e per citarne alcuni tra strumentisti e maestri com- (4) Opuscolo estratto dal Precursore f. 36. PR det io ih D d NEL PRESENTE SECOLO positori, Raffaele Russo(1)Pasquale Bona, Vincenzo Barbagiovanni, Salvatore Urso, Placido Mandanici, Emmanuele Raimondi, Antonino Perez, Leonardo De Carlo, ete. risulterà evidente. la feracità degl’ ingegni in Sicilia e lo sviluppo dell’ arte; come annotando che dal 1833 al 1863 uscirono, il Bonanno, il Fontanazzi, il Mazzocchi, il Fodale, il Geraci, il Rizzo, il Kinterland, il Butera, autore dell’ Atala, il Muratori, il Nicolao, il Saladino, il Milazzo, il Bertini. il Bonomo, il Gambino, il Dotto, il Figà, tant’ altri valenti, quasi tutti gl’ insegnanti attuali del Conservatorio. e molti dei Conservatorii d' Italia, avrò detto abbastanza delle lodi che si debbono al mio illustre predecessore , e del metodo osservato in Palermo. Im fine chi in questi ultimi tempi ha assistito ai saggi del Buon Pastore, non ha dimenticato le lodi che si prodigano in Italia ai nostri giovani compositori ed ai nostri con- certisti ; confesserà che almeno , per quanto si può , dalla classe insegnante di Palermo è è stato posto un’ argine ai così detti riformisti, i quali, ove trovassero nu- merosi seguaci , corromperebbero |’ arte intieramente. E poichè ho fatto giustizia alla storia del nostro Conservatorio, risalirò alla parte più elevata dell’ arte, Lai venire poi all’esame se, in quanto allo scopo di essa, il nostro Colleggio si è attenuto alle leggi del dovere ed alle tradizioni della scuola. Quantunque molti e in ogni tempo hanno tentato relegare la musica nel fondo delle umane arti, facendone una cosa frivola , una specie di passatempo senza importanza, una causa i ammollire gli animi e gli spiriti, e quindi, per certi riguardi perniciosa, pure i più profondi filosofi le fecero giustizia, e seppero definirla con adatti termini. per | influenza diretta e potentissima che esercita sul cuore umano. Appunto perchè la musica è arte sommamente elevata e senza confini, con- tiene potenzialmente la virtà di effetti straordinarii ed opposti, potendo essa risvegliare i sentimenti più vivaci del brio, o più teneri dell’ amore o più ter- ribili del furore, come attutire gli spiriti ed inclinarli alla mollezza ed all’ inerzia. Sotto questo profilo le varie definizioni hanno ragione di essere in quanto ai varî effetti; ma il sommo Gioberti mostrò quest’ arte nella sua vera luce com- parandola all’ architettura in quel trattato stupendo del BeZlo , che nelle disci- pline estetiche segna: un punto luminoso. La musica ha un’ azione pontentissima nell’ ordine morale , e Dl perviene per il mezzo fisico: la ragione di questa influenza nessuno l ha meglio descritta del Gibbon, nè faccia meraviglia che io riporti le parole del sommo storico inglese, è nella storia che si apprende il vero nesso di tutte arti e scienze , poichè la storia è lo specchio fedele dell'umanità , in cui ogni arte, ogni nazione, ogni umana cosa si mostra, per così dire, al suo posto, nella vera luce ed in tutta la sua importanza assoluta, relativa. « L'esperienza ha provato che | effetto meccanico dei suoni rendendo più « vivace la circolazione del sangue e i moti degli spiriti animali, produce sulla « macchina umana una impressione superiore nella efficacia all’ eloquenza della ‘ragione e dell’ onore (?). Quanto non danno a meditare queste parole e quanta filosofia non è in esse ! La potenza della musica , più e/ieace dell’ eloquenza della ragione e del- Vonore è appunto quella che deve imporre il dovere di non allontanarsi mai dal bello e dalle tradizioni patrie. Quando anche la Sicilia non avesse altri maestri che Alessandro Scarlatti, (4) Quantunque nato in Napoli, pure essendo venuto in Palermo dell’età di tre anni, ed avendo fatto in questa città tutti i suoi studj, può a buon dritto enumerarsi fra i maestri siciliani. (2) St. della Dec. dell’ Imp. Rom. Cap. CXVIIT. SULLA MUSICA IN SICILIA Vincenzo Bellini e Giovanni Pacini , tanta parte essi soli della scuola italiana, per non dire di tanti altri celebrati maestri Siciliani come , Erasmo Marotta , Pietro Vinci, Vincenzo Amato, il Barone d’ Astorga, l’Abate Giuseppe Bertini . Giuseppe Ammendola, Pietro Coppola, Mario Aspa etc. (1) dovrebbe essere fiera. di quell''autonomismo, che se non ha senso in politica, ne ha uno grandissimo in arte; autonomismo costante nel conservare le forme patrie, basate sull’ indole nazionale, e condiscendente ad arricchirsi di tutti quegli studj, mezzi, riforme e progressi della scuola tedesca. Come appresso si vedrà , il metodo che regge gli studî del Conservatorio palermitano è informato a questo grande scopo. Si è parlato molto sui tipi musicali e sui concetti espressi per mezzo delle note, ma si commise un’ errore quando si volle determinare e quasi direi fissare il senso delle armonie , come mezzo rappresentativo delle parole , annientando con ciò quasi intieramente la melodia che è cardine principalissimo della scuola italiana. Il concetto dei tipi musicali va preso in quella misura ed estensione che le combinazioni dei suoni, per se stesse indeterminate, concedono. La cosidetta scuola moderna, coll’ epiteto di avvenire ch'io chiamerei piut- tosto vaneggiamento moderno, ha tentato I° impossibile: la traduzione in musica non delle idee ma delle parole. Da ciò nacque quel fare spezzato , senza nesso per volerne aver troppo, senza logica per abuso di essa. e ciò io credo che quasi sempre nasca da insufficienza di studì estetici. o da debole o sbrigliata fantasia. L’ errore viene dalla mente, che per avere adottato una falsa definizione si ribella al cuore; io porterò un’ esempio, e lo prenderò da un campo tutto estraneo alla musica perchè sia più valido. Un celebre romanziere francese scriveva così : « Mi pare che ci sia un duplice incanto nella musica senza parole: non « solamente si gode di una eccellente esecuzione, ma si può applicare il proprio « pensiero del momento alle melodie che si ascoltano e che ne divengono per « così dire 1 accompagnamento (2). Ecco una prova di fatto. La musica di cui parla Eugenio Sue può essere sacra o profana, romantica o classica, pure chi negherebbe' ch’ essa sia suscetti- bile della trasformazione a cui accenna lo scrittore francese ? Or bene i riformisti forse non accetterebbero l osservazione del Sue, e credo anzi che la criticherebbero acremente essendo essi come quel tale, che, avendo letto il paragone di Vincenzo Gioberti tra musica e architettura, volea tradurre meccanicamente gli edificii in musica; ma a chi nelle arti vede il nesso logico, e le fa emergere dall’ indole umana stessa, ciò non parrà strano o inesatto. Il romanziere francese fu un filosofo pratico, e nello scrivere quelle parole considerò l’ arte musicale secondo la sua vera indole. L’ essere stato filosofo ed educato all’ estetica lo fe’ giudicare rettamente. Se la convinzione di quel celebre scrittore fosse nell’ animo dei riformisti, noi non lamenteremmo oggidì | indi- rizzo d’ una ‘scuola falsa, perchè basata sul pregiudizio e non sulla storia. Dirà alcuno che in tal modo la musica non avrebbe mai l’ impronta di una espressione propria, ma io replico che l'espressione sta nel concetto ed il con- cetto si esprime e prende forma nelle opere musicali per una ragione indefini- bile, per quella stessa ragione che fa trasparire il bello ed il sublime nelle crea- zioni di Raffaello e di Michelangelo , di Dante e di Ariosto , di Mozart e di Rossini. Quel Compositore che sortì dalla natura la scintilla della creazione, perchè (1) Mi è grato, ricordare fra i più distinti cultori dell’ arte, l’ egregio dilettante Marcnese Pie- tro Airoldi. i (2) Eug. Sue. Misteri di Parigi C. CLVI. VAI ml O I [La n ® er CAR Sat NEL PRESENTE SECOLO 5 ‘sia ottimo autore , dev’ essere profondo conoscitore delle discipline armoniche , nel più ampio significato, maggiormente oggi . in cui l'arte ha raggiunto uno sviluppo così elevato. Nè può disconoscersi che se l’anima del componimento è il concetto , questo non può incarnarsi nella sua completa bellezza senza |’ ele- mento armonico esteticamente e didatticamente riguardato , poichè | armonia concorre potentemente alla formazione dello stile , al maggior gusto, al totale svolgimento del pensiero ed a rappresentarlo nella sua vera caratteristica. E stata gran fortuna che generalmente il senso del giusto sopravvisse e tenne fronte alle pretese della riforma uscita in campo con una pretensione ed una intolleranza pari alla frenesia di tutto distruggere per edificar nulla. Quantunque l introduzione di nuovi tipi musicali nel nostro teatro, e l’ado- zione di nuove forme abbiamo non poco modificato il gusto del pubblico, pure è sempre potentissimo fra noi il predominio della melodia : e del fare tedesco se n'è accettato quanto basta a non oltrepassare il limite, e a non alterare com- pletamente l’ essenza della scuola italiana.. Di questa grande verità eral pene- trato profondamente l’ immortale Meyerbeer , il quale. non sacrificando all’ arte tradizionale il principio assoluto del bello , ma servendosene come mezzo e non come fine si avvalse tanto della scuola italiana; e ne fan prova le pagine degli Ugonotti e del Roberto il Diavolo, dove si mostra molto spesso italianissimo senza venir meno alla sua caratteristica nazionale. Nè tacer posso dell'immenso Pesarese, il quale, trattar volendo il Guglielmo Tell, apparve gigante; chè usando di tutti i mezzi orchestrali, e di tutta la ric- chezza eminentemente italiana, sublimò | arte a quella perfezione che fece quasi atterrire i vecchi regolisti e i compositori del tempo, ed aperse un campo vastis- simo ed indeterminato ai giovani scrittori. Della scuola moderna adunque sono questi i due veri luminari nei quali specchiar si devono i giovani compositori, conservando quello stile individuale che certo non può smettersi: ed avrà imber- ciato dritto nel segno chi, senza farsi partigiano di cose estreme, con un saggio ecclettismo saprà a proposito adottar quel tanto onde resulti quel bello che il, progresso dell’ arte richiederà. Le arti, nate da uno stesso ceppo, possono valersi dei tesori e delle risorse che non sono nazionali; Meyerbeer in Germania, Verdi in Italia ne han dato splendido esempio ; | uno e |’ altro senza snaturare il tipo artistico nazionale l’arricchirono delle forme straaiere ; ma V uno e l’altro riuscirono , perchè in fondo non vennero meno alle tradizioni dell’arte patria. Il Verdi anzi non si attenne strettamente ai limiti delle riforme, come Meyerbeer fece, epperò prese meglio d'ogni altro degli odierni compositori I esempio e se ne arricchì; e i suoi tentativi furono fortunatissimi. Tra i grandi compositori musicali che segnarono la prima metà di questo secolo abbiamo già detto che Rossini nel Guglielmo Tell, sollevandosi da tutte le pastoje del convenzionalismo, e mirando ad un fine più alto, portò l’ arte in un emisfero più elevato, più spazioso, più libero: contemporaneamente il celebre Mercadante, forte ingegno, profondo in armonia, usò e forse anche abusò dello effetto strumentale, attenendosi però strettamente nei limiti armonici, ed esclu- dendo risolutamente tutti quegli abusi che alcuni compositori moderni lasciano correre o ricercano col pretesto dell’ armonia imitativa e della necessità scenica. Rossini seppe incarnare il religioso ed il sublime nelle semplici note della pre- ghiera nel Mosè; Bellini colla Casta Diva, mirabile esempio di semplicità e di dolcezza. offrì la più bella incarnazione del misterioso e dell’ indefinito; Doniz- zetti nell’ aria finale del Roberto espresse il terribile stupendamente , e gli esempi di tutti i generi si trovano a migliaja nelle opere dei nostri grandi ; i quali non si partirono mai dalle regole armoniche stabilite dalla natura, e non credettero di dover essere scorretti per parer nuovi. 6 SULLA MUSICA IN SICILIA Ma per tornare al nostro tema e per dimostrare come il metodo della riforma entrò nel Conservatorio dopo essere stato sperimentato dagli artisti fatti, diremo che Verdi. studiando profondamente i tedeschi continuò la grande riforma ini- ziata dal Rossini col Guglielmo Tell (1), e tentò la fusione delle due scuole con esito felicissimo in alcune sue opere , tra cui può dirsi più felice il Rigoletto , lavoro di genio, ove sono tutte le tradizioni della nostra scuola sposate ai tesori dello strumentale Tedesco. Il Verdi in seguito divenne più ricercato nei Vespri Siciliani e nel Simon Boccanegra nel Don Carlos, e nell’ Aida spinse più avanti la riforma: e quantunque a volte riappare lo scrittore italiano , pure divenne astruso, ricercato e alcuna volta oscuro. Però queste opere, per la scintilla del genio che sempre si manifesta, per quella maestrìa dello strumentale onde il Verdi è ricchissimo, han girato il mondo; ma a creder mio quando Verdi entrerà nel dominio della storia, è probabile che sia chiamato piuttosto l’autore del Rigoletto e della Miller che del Don Carlos e dell’ Aida. Sulla grande personalità del Verdi mi sono un pò trattenuto: ma nell’ attuale storia musicale il problema principale a risolvere è quello del sistema; ed in questo problema Verdi rappresenta l'esempio più degno di studio: quindi credo aver giustificata la minutezza con cui son disceso a classificare alcune rile- vanti creazioni del grande maestro. Poichè fu accettato dall’ universale il connubio delle due scuole italiana e tedesca, era logico che il metodo del Conservatorio seguisse i nuovi bisogni del tempo; infatti tra gli esemplari per la composizione del quartetto i nostri scolari sono esercitati allo studio delle opere strumentali classiche di Haydn, Mozart , Beethoven, Spoor, Schuman . Weber, Mendelssohn . ed a queste si uniscono i salmi di Marcello e le più scelte partizioni di Spontini, Rossini, Donizzetti , Mcyerbeer ed altri. Nell’ opuscolo. da me pubblicato il 19 maggio 1874 sotto il titolo Poche parole sullo seritto dell’ esimio Prof. A Biaggi, io rammentava una memoria sinviata al distintissimo letterato signor Cav. Cimino , ove parlando dei metodi che, secondo me sono da adottarsi nei nostri Conservatorii, diceva : 1° « Ciò che attualmente sconvolge la mente dei giovani, ponendoli nella « massima incertezza circa il giusto criterio dell’ arte, è l'aver quasi abbando- « nato nello insegnamento musicale quel sano indirizzo di studj, fondati sui veri « elementi del contrappunto italiano , che vanta i migliori luminari. Ond’è di « assoluta necessità il richiamare la gioventù da talune strane idce dell’ epoca. « suscitate da una scuola, che quasi completamente trascura i più severi dettami « dell’ arte, per vagare in un ideale che non so quanto raggiunga lo scopo e « gli effetti cui essa mira principalmente, cioè , il diletto dell’ anima e la chia- « rezza dei concetti, necessaria a conseguirlo. E quindi, oltre allo studio di con- « trappunto, fondato sui precetti della scuola antica italiana , ora quasi messa «im non cale, sarebbe indispensabile agli studiosi adottare ad esempj più efficaci « i classici italiani e togliere dal progresso, cui anela l'epoca attuale, quel tanto « solamente che non contraddice e non distrugge ciò che la nostra scuola ha « riconosciuto e stabilito di fondamentale nell’ arte stessa. 2° « Elargare frattanto il più che sia possibile 1’ insegnamento letterario che «apre le menti dei giovani ai grandi concetti dell’arte ed all’ ingentilimento del « cuore. E ciò dico in forza dell’esperienza ormai acquistata in otto anni d’inse- « gnamento e di direzione nel R. Collegio musicale di Palermo (2). che ebbi « affidato nel 1863, dove i felici risultati mi fanno certo appormi bene nelle idee « dli riforma da me accennate. (1) Anche il Bellini ne segnì l'esempio nei Puritari, e Donizelti nel D. Sebastiano. (2) Ora potrei dire 12 anni. NEL PRESENTE SECOLO 7 Su tal proposito mi fu sommamente gradito il leggere l eloquente lettera del Verdi diretta al chiarissimo Prof. Cav. Florimo, Archivista del Collegio di Napoli, in cui lamentando egli il falso indirizzo in voga , esortava gli alunni di ritornare all’ antico se volessero raggiungere il vero fine dell’arte. Quelle parole confermarono pienamente non solo ciò ch'io serissi anni prima al Ministro di Publica Istruzione, ma il sistema che posi in pratica dal 1863 a questa parte. Lo mostrano infatti i giovani del Conservatorio e fuori di esso che stu- diarono collo stesso metodo. Non occorre rammentare quì i nomi del maestro Natale Bertini , del cieco Pellegrino Di Blasi e del giovane Salvatore Auteri : il primo anni sono produsse l'Elvira da Fiesole io questo Teatro Bellini; il secondo è un valente concertista di violino e bravo compositore di vari generi musicali; il terzo è l’autore della Dolores, testè rappresentata al teatro Del Verme in Milano , con grandissimo successo, e di cui tutti i giornali del continente hanno testè tanto parlato. Sa- rebbe anche superfluo ripetere i molti allievi del Conservatorio se si trattasse della sola Palermo che li ha saputo apprezzare, ma trattandosi di pubblicità è giusto rammentare i nomi di Scontrino (4), Mendola (2), (ambidue valenti contra- bassisti), Graffeo (3), Pipitone (4), Palminteri (5), Scuderi (6), Trigona (1), Spetrino (8) ed altri, dei quali parte esistenti tuttora in collegio, parte già fuori da più anni, tutti più o meno fan fede che il metodo del nostro Conservatorio ha portato buoni frutti. Ma, come abbiamo detto le cause che agevolano l’istrazione e la riuscita dei gio- vani, così è giusto che tocchiamo di volo quelle le quali ne ritardano i progressi e ne inceppano lo sviluppo. Mancano i mezzi pecuniarîì d’incoraggiamento nel paese, e v'è quasi |’ impos- sibilità di farsi avanti colle risorse che offre la terra natale. Non parlo dei teatri, delle misere retribuzioni, delle gelosie di mestiere che mettono inciampi o difficoltà dapertutto, parlo di una ingiustizia evidente e durissima, per la quale languiscono gli studiosi e si disanimano gli artisti. Bisogna che i cittadini colla loro cortesia, e i reggitori della cosa pubblica col loro patrocinio, mostrino un’avvenire meno infelice a chi dedica la vita all’arte. Senza di ciò chi si solleva dalla mediocrità e non ha mezzi proprî, andrà lon- tano dalla terra natale portando nelle altre città quei pregi artistici acquistati nella nostra, e lasciando il pa-se privo di cultori. Mi è doloroso dover concludere questo scritto con un lamento, ma nessun rimedio è sperabile ove non è conoscenza del male; ed è dovere di mostrarne la sorgente. Speriamo dunque nell’ avvenire. (1) Oltre varie raccolte di pregevoli Melodie per camera pubblicate dall’ Editore Lucca , ha pronta un’ opera titolata Matelda acquistata in proprietà dallo stesso editore, prossima a darsi sulle scene, (2) Produsse in quest’ anno nella Sala Accademica di questo Collegio un’ Oratorio col titolo Ezechia; lavoro pregevolissimo di genere sacro che riscosse dal pubblico vivissimi applausi. (3) Nell’ anno 1868 l’opera Buffa Don Asdrubale che venne eseguita nel Peatrino dello stesso Collegio con esito brillantissimo; ed ha pronta un’ opera seria titolata il Conte Geraci. (4) Prossimo a dare sulle scene del Teatrino un melodramma tragico titolato Zelinda di Ve- rona in occasione, del Congresso degli scienzati in Palermo. (5) Valente Pianista ed Autore di un Melodramma tragico (inedito) acquistato dalla Casa edi- trice Lucca che si titola Arrigo e quanto prima si metterà sulle scene. DE: (6) Oltre qualche pregevole composizione vocale, e strumentale è un valente suonatore di VIOININO. (7) Oltre varie belle com posizioni strumentali e vocali per camera tiene allestita un’ opera col titolo Marion de Lorme. (8) Valente suonatore di cornetta , ed autore di varie pregevoli composizioni strumentali e di un’opera che sta lavorando pel prossimo carnevale. I Consiglio Accademico deliberando la presente pubblicazione del quinto volume degli Atti, dispose che vi sì contenessero queste notizie, e per ciascuna classe in cui V Accademia è distribuita , î Socj ai quali furono commesse sì sono alacremente apprestati. Ma non potendosi per V angustia del tempo ora mettere tutte a stampa, s'è dovuto solo farlo per gli studj ne’ quali si occupa la classe di scienze morali e politiche, insieme che per gli studj delle arti che addimandansi liberali o belle. ; Le notizie poi degli studj che riguardano le scienze naturali ed esatte e quelle delle lettere, della storia e dell’archeologia saranno contenute nel volume seguente. E nel medesimo volume- lo sarà il rimanente delle pergamene greche, che fan seguito alla memoria del socio Matranga, delle quali per tal cagione non s'è potuta ora pubblicare che la prima parte. i Rana DI ALTRI LAVORI ACGADEMICI Nella tornata dal 13 dicembre 1874 il socio dottor Giuseppe Pitrè lesse delle Tradizioni no- vellistiche in Sicilia. L'argomento trattato dal Dott. Pitrè nel suo lungo ragionamento è nuovo per |’ Italia, nuo- vissimo per la Sicilia, ove prima d’ ora non s'è mai pensato alla importanza che una novella, una fola popolare possa avere per gli studi di psicologia etnica e di demo-psicologia. Il Pitrè è dunque il primo che tra’ Siciliani metta il piede in questo campo difficilissimo e, nella sua apparente amenità, talvolta disameno. Egli ha diviso in cinque capitoli il suo discorso. Nel 1° ha trattato della potenza ed efficacia delle novelle, presentando la nomenclatura di esse presso tutti i popoli e in tutte le pro- vince d’Italia. Fin qua si son ritenute come esempio di morale; ma la morale non è che la parte esterna per così dire della novella: il lavoro di seconda mano duratovi sopra da chi cercò in esse esempi per la condotta pratica della vita. Rare son le novelle che non racchiudano uno di codesti esempi, un consiglio buono, onesto, proficuo; la novella per la novella è una tradizione senza scopo, na- ta solo per dilettare; quando la moralità non apparisce, bisogna cercarla intimamente. Nel 2° cap. l’ A. presenta la storia letteraria della novellistica popolare all’ Estero e in Italia. Le prime novelle veramente popolari si ebbero con lo Straparola nel 1500 e con Basile nel 1600 : autori l’ uno delle Tredici piacevoli notti , l’altro del Pentamerone , un vero Decamerone napolitano. Carlo Perrault, Madama d’ Aulnoy nello stesso secolo diedero i loro Contes des fées, in Francia; Augusto Muszius diede i Volksmarchen der Deuschen e dopo di lui Guglielmo Ginther i Kinder-Marchen e Vulpius, cognato di Goethe, gii Ammenmdarchen in Germania. Ma i veramente benemeriti della novel- listica popolare sono i fratelli Giacomo e Guglielmo Grimm, i quali cominciando con i Kinder-und Hausmdrchen non si stancarono mai durante mezzo secolo di raccogliere e serbare a durevole monu- mento i Méarchen e le Sagen della Germania; dopo di essi fu un’ attività straordinaria in questa nuova disciplina: ed oggi pochi paesi vi hanno ove non sieno state raccolte tradizioni. L'Italia, che quasi senza coscienza fu la prima a dare in luce favole e racconti popolari, è stata 1° ultima a met- tersi nel campo di questi studi. Prima che gli Italiani però sono stati gli stranieri che hanno fatto in essa quel che essi stessi avrebbero, innanzi a tutti, dovuto fare. Sono opera loro i Mùrchen und 9 ‘ Sagen aus Widilschtirol dello Schneller , i Valksmarchen aus Venetien di Widter e Wolf, gli Italie- nische Mirchen di Knust, i Sicilianische Marchen della Gonzembach , le Folk-Lore of Rome della Busck: novelle tirolesi, veneziane, livornesi e siciliane. Ora ci abbiamo le movelline di S. Stefano del De Gubernatis , la Novellaja milanese e la Novellaja fiorentina dell’ Imbriani. L’ autore è terzo ad entrare in mezzo a questi studiosi, e dal 1873 ad oggi ha dato fuori quasi 40 tra conti e tra- dizioni siciliane, saggio di una ricchissima raccolta da lui fatta ed ora pubblicata , contenente meglio che 409 novelle di ogni genere, prese nella genuina parlata di 46 comuni dell’ isola e arricchita di copiose note, di riscontri con le novelle popolari e letterarie uscite finora, di un glossario, d’una grammatica storia del dialetto e delle parlate siciliane e, che è più, d’un saggio critico della novel- listica popolare, il primo che si sia scritto finora in tutta Italia. Nel 3° cap. l'A. ricerca se le novelle sieno originariamente europee ; e poichè la risposta è contraria, egli ricerca la origine primitiva di esse, e la trova in India; onde le novelle sono docu- ‘menti della parentela tra le razze indo-europee e tra’ varì rampolli delle stesse razze. Tra le non poche ipotesi state emesse per ispiegare il modo col quale tante novelle son venute fino a noi, egli ne ammette due , secondo le quali da una parte i germi onde son nate queste novelle appar- terrebbero al periodo che precesse la emigrazione degli Arii, e dall’ altra parte molte di esse sareb- bero state introdotte e diffuse in Europa coi libri indiani che le contengono e colla tradizione orale, anello intermedio tra’ libri stessi e tra i libri e la tradizione orientale. Della storia di Giufà si trova la fonte nel Pantschatantra ; ia novella dei due ladri Mbroglia e Sbroglia di Caltanissetta è tal quale la storia del tesoro del Re Rampsinit raccontata da Erodoto. Il prof Benfey nella sua introdu- zione al Pantschatantra da lui tradotto accennò al viaggio che tante tradizioni europee devono aver fatto emigrando dalla sacra India; e sebbene la sua teoria non possa sottrarsi a qualche osservazione, nondimeno deve ritenersi importante. Per ragione di sì lungo e misterioso viaggio le novelle si sono modificate secondo i vari popoli presso i quali ora si trovano. Da bocca a bocca, da penna a penna le circostanze che prima erano o doveano essere in una novella sparirono ed altre se ne sono intruse ove prima non esistevano. La tradizione è unica ma varia, mobile, multiforme come il mare, che, lo stesso in fondo, si appresenta a ondate or crespe, or lisce, ora lucenti, cambiantisi sempre per forma e colore. Pieno di curiosità è il 4° cap. inteso a dimostrare che le novelle sono il detritus dell’ antica mitologia, l’ ultimo avanzo , l’ eco lontana delle antiche religioni. Gli eroi , i personaggi tutti delle novelle non sono che gli dei, i seuvidei della teogonia greca e latina. Le favole di Polifemo e Ulisse, di Amore e Psiche, di Alemena e Lucina, molte delle imprese di Ercole, di Anfitrione , il mito di Danae , con lievi modificazioni ricompariscono in questa o in quella novellina o in un gruppo di novelle; talora sono appena riconoscibili perchè sfigurate; moltissimi sono i frammenti che ancora ci rimangono e che la critica più sottile può solamente .interpretare. La fate, le sirene, i draghi sono ricalcati sopra le faune, le sirene, i draghi di Grecia e di Roma. A” quali esseri l’ A. consacra tutto il cap. 5°, discorrendo de’ re, delle regine, de’ principi reali, de’ fratelli, delle sorelle, delle ma- drigue, così come delle fate e delle fatagioni, delle streghe e delle stregherie, dei maghi, dei giganti, dei demonii, il carattere e la natura de’ quali egli mette in evidenza. I luoghi e il tempo nelle no- velle hanno anch’ essi un esame. Il 6° ed ultimo capitolo è consacrato alle novelle che formano una specie di ciclo leggenda- rio medievole, tutto di fatti evangelici. G. Cristo e S. Pietro vi ricompariscono ad ogni piè sospinto, ma tre personaggi attirano l’ attenzione per la loro paurosa e misteriosa figura: Giuda, l’Ebreo Errante, Pilato: condannati, secondo la poetica tradizione siciliana, l'uno a volar sempre per aria ad una medesima altezza ; l’ altro a correr sempre pel mondo senza fermarsi mai; l’ ultimo, sottoterra a tener sempre spiegata dinnanzi la sentenza della morte di G. Cristo. Ma v° è un personaggio anche più curioso, più infelice, che completa meglio la triade di cui è parola: Malco, che diede lo schiaffo a G. Cristo; ed il quale vive sottoterra condannato a girar sempre attorno a una colonna schiaffeg- 3 giandola del continuo con la sua destra coperta d’ un guanto di ferro : terribile condanna , degna della fantasia di Dante! Così si chiude il lungo lavoro del nostro Socio, che è informato alla nuova scuola critica ed è pienamente al corrente degli ultimi studi su questo grave argomento. C) Nell’anno 1873 14 maggio, Domenico Gilluffo Arcivescovo di Adana socio dell’Accademia nostra cessava di vivere. Uomo di elevata intelligenza e di studi profondi nelle scienze teologiche e giuridiche lasciò un compiuto lavoro sulla Teologia morale ; se non che per isvariate ragioni non gli fu possibile di pubblicarlo. Il nostro Socio Sac. Salvatore Di Bartolo ha voluto il 27 dicembre 1874 dar conoscenza all’ Accademia di quella parte dell’Opera del Cilluffo la quale ha uno scopo generale : La collisione delle leggi; molto più che nessun Giurista , secondo scrive il Di Bartolo , ha riferito in un modo sì completo e chiaro il disegno di tutte le possibili collisioni e delle regole onde sciogliere i dubbi pratici. Il Di Bartolo chiama quelle regole Decalogo antinomico che è il seguente : 4. Nel conflitto della legge naturale colla umana prevale la naturale. 2, Nel conflitto della legge divina colla umana prevale la divina. 3. Nel conflitto di due leggi da umani Legislatori, prevale quella del Legislatore competente. 4. Nel conflitto di un’ obbligazione che noi c’ imponemmo con una legge divina od umana, prevale la legge divina ed umana. 5. Nel conflitto della legge naturale colla divino-positiva, prevale la legge naturale. 6. Nel conflitto della legge recente coll’antica del medesimo superiore, o della particolare colla - generale del superiore medesimo, prevale la recente o la particolare. 7. Nel conflitto di due leggi proibitive l’urto è solo apparente; debbono entrambe osservarsi. 8. Nel conflitto della legge permissiva colla precettiva o proibitiva, l’urto è pure apparente; vigerà la permissione del legislatore, e debbe obbedirsi al precetto o alla proibizione. 9. Nel conflitto della legge proibitiva colla precettiva, prevale la proibitiva. 10. Nel conflitto di due leggi precettive, le quali abbiamo un diverso obbietto, prevale quella che ha un obbietto più nobile. Il Di Bartolo ha dato il più convenevole sviluppo alla verità di queste regole le quali com- prendono ogni caso della vita pratica. it ESTRATTO PER COMUNICAZIONE Negli scavi, ultimamente eseguiti il giugno di questo anno nelle Catacombe di S. Giovanni di Siracusa, si sono scoperte numero venticinque inscrizioni Greche ed una Latina , che completano il numero di cento inscrizioni sepolcrali delle stesse Catacombe. i Dal socio Direttore delle Antichità di Sicilia professore Saverio Cavallari sono state comunicate le seguenti due tra le inscrizioni, recentemente scoperte, una Greca e l’altra Latina. Insieme con le quali si pubblica il frammento di una lettera del nostro Socio Dr. Adolfo Holm. con la interpretazione della in- scrizione Greca, ed un’ altra versione della stessa del Socio Papas Filippo Ma- tranga; tutte comunicate dallo stesso prof. Cavallari. La inscrizione Latina, rinvenuta nella regione settentrionale strada seconda, si pubblica testualmente senza alterarne la scrittura, notando solo l’epoca dei due Consoli Flavio Basso ed Antioco, che corrispondono all’A. d. C. 434. 0003 E000—_t Regione meridionale. Oltrepassata la Cappella rotonda di Adelfia e quella dei Saracofagi , si va nella sepolcrale delle Beate Vergini, ove tra le tante si rinvenne nel giugno 1875 la seguente inscrizione: AIMAKAPIENAPOENOI POTINHKEPIAOYMENH ENOAAEKINTEZEMNEATNE NHAPOENOI HZASEBIOYKA AOYHMIZOTEPAETON I KAIHMIKPOTE PAETO TNMAOPKOYZEKATATOYO E OYTOYIIANTOKPATOP O £ OYAENAAYTAZSKVYAE le nori È lag Ho ricevuto la vostra cara lettera e le IV impronte d’ inscrizioni tro- vate nelle Catacombe di Siracusa. Desiderate di avere la traduzione di una di queste inscrizioni: eccola col testo greco in lettere corsive: 1 2 ©) 10 È la solita preghiera indirizzata ai viandanti di non turbare la quiete delle ceneri, o piuttosto a tutti di lasciarle riposare nella terra. Voi dite, che pubblicherete forse una estesa relazione sulle Catacombe di di Siracusa nel Bull. n. 8. Ne sono lieto per due ragioni; la prima è, che avremo così un lavoro sopra le Catacombe, fatto dalla sola persona competente, e l’altra, che non si interrompe dunque la pubblicazione dei Bullettini, che sono il mi- gliore segno di vita, che possa dare l’Archeologia Siciliana. Litbeck 8 luglio 75 FRAMMENTO DI UNA LETTERA DEL Dr. A. HOLM ——_; reo Ai paxdpie Taplévo le beate vergini Poriva xì Brdovpéva Fotina e Filumena ividde xîvre cepvè deve quì son sepellite venerabili caste Taplévor (C)roace Biov za vergini che han vissuto vita bel- Nod uiCorépa ETOV la la maggiore anni N rai i puxporépa Edy 80 e la minore anni TIA dprodee xatà Toò 0be- 84 che pregano caldamete pel Di- (propr. scongiurano) OÙ TOÙ TAVTOKPATOPOG 0 onnipotente D) S& n AÙTAG CAUE disturbi Lo undéva che nessuno le Ar TOTE mai Ap. Honrm. VERSIONE DEL MATRANGA ———S = Ai Maxapiar Iuohevor PoTivi xa Briovuévn el VA n \ . LI ivddde xeîvtar cepvai dyvai Iaphévor (C)doaca: (rà) Piov xa X0d + perlorépa TO \ e 1 > DS Il... xat * puxporépa éTO(v) TIA oprodear xatà ToÙ Oe- 0Ù TOÙ TAVTOLPATOPOG co 00 2 DO Uta VW Da obdéiva abrtùc oxdiat [as (») PI o TOTE yo Beatae Virgines Photina et Philumena hic jacent venerandae sacrae Virgines quae vixerunt lauda- 5 biliter major annos 6 LXXX... et minor annos 7 LXXXIV jusjurandum exigentes per De- 8 um omnipotentem 9 sl 0 0 > neminem eas vexare 0 (Christus) aliquando (Christus) NIE INSCRIZIONE LATINA HIC. POSITA. EST SILBANA QUAEQUIESCITINPACE DEPOSITAEST.XIKALS- DECEBRIS.C.C.SS.FLB. BASSO.ETANTHIOCO.UU.CC. NO Oltre ai lavori pubblicati in questo volume sia per intero sia in estratto, sono già compiuti o presso a compiersi i seguenti per ciascuna delle tre classi, da presentarsi all’Accademia in sino all’ultima tornata dell’ anno. PER LA CLASSE DI SCIENZE NATURALI ED ESATTE. Memoria del socio anziano Barone Angelo Porcari sui boschi di Sicilia—Discorso del socio Prof. Giuseppe Inzenga sull’antichità dei nostri olivi—Studj. del socio Marchese di Monterosato sul catalogo delle conchiglie di Montepellegrino e Ficarazzi che si trovano viventi nel Mediterraneo—Saggio del socio Prof. Emmanuele Paternò intorno a suoi lavori di chimica organica—Relazione del socio Prof. Giuseppe Albeggiani sopra un teorema geometrico del Trevisan di Oderzo — Discorso del socio Dottor Seba- stiano Reyes sul periodo d’ incubazione nelle malattie contagiose—IIustrazione del socio Prof. Gaetano Giorgio Gemmellaro sui fossili della zona con Requienia Lonsdalii Sow. sp. di Sicilia —Comunicazione del socio Direttore Prof. Agostino Todaro intorno ad una nuova specie botanica di Sicilia. PeR LA CLASSE DI SCIENZE MORALI E POLITICHE. Ragionamento del socio Segre- tario Consigliere Giuseppe Di Menza intitolato: « La Sicilia nelle sue condizioni morali e sociali, note e memorie per la Commissione d’ inchiesta »—Memoria del socio Prof. Commendatore Vincenzo Crisafulli sulla intelligenza della famosa formola « libera chiesa in libero stato » dimostrandone tutti i varj significati di cui essa sia suscettiva , e la possibile applicazione della stessa alla legislazione delle varie provincie d'Italia —Lezione del socio Barone Prof. Bartolomeo d’ Ondes sul paraggio feudale in Sicilia— Saggio Critico sul Darwinismo del socio Can. Pro- fessor Francesco Ragusa—Memorie del socio Consigliere Vito La Mantia : Sulla Scienza e giustizia nei pubblici uffici sotto i governi liberi « Necessità degli studi storici per la colta giurisprudenza » Origini italiche del dritto civile moderno — Discorso del socio anziano Avv. Francesco Maggiore-Perni intorno agli esposti tanto in riguardo alla economia che in riguardo alla morale. PER LA CLASSE DI LETTERE ED ARTI. Commemorazione dell’antico Presidente Principe di Trabia, e dell’antico Direttore della classe di lettere ed arti Principe di Scordia pel socio P. Salvatore Lanza—Saggio del socio Direttore Prof. Vin- cenzo di Giovanni sulla poesia epica in Sicilia ne’ secoli XVI e XVII—Memoria del socio Ab. Gioachino Di Marzo sugli Artisti Siciliani del secolo XIV—Cenni sulle cifre e le opere degli insigni e dotti uomini del secolo XVIII Lorenzo Oli- vier e Benedetto del Castrone siciliani pel socio P. Luigi Di Maggio —Lezione del socio Segretario Generale Prof. Giuseppe Bozzo sopra un suo nuovo co- mento del Decamerone di Giovanni Boccaccio—Ilustrazione del Musaico di San Nicolò in Carini del socio Presidente Principe di Galati, che farà seguito a ciò che prima ne lesse nella tornata del 7 agosto 1874. E poichè gli enunciati lavori non potranno tutti essere letti nel rimanente spazio dell’ anno, ne saranno opportunamente riservati per l’anno susseguente , insieme ad altri lavori che tuttavia si preparano ; e daranno materia conve- niente, secondo le deliberazioni del Consiglio , al sesto volume che si ha in animo di pubblicare nel 1876; avvegnachè |’ Accademia, ancora avvalorata dai plausi ora venutile sin dalle più remote regioni alla pubblicazione del quarto volume, abbia uno dei suoi migliori propositi quello di dare per lo innanzi per ciascun anno un volume , a fare sempre più testimonio a tutti della operosa e giovevole sua vita. li Pror. G. Bozzo Segretario Generale ROBETO DELLE OSSEEVAZIONI METROKOLOGICHE ESBGCITE NELL'ANNO 1674 R. OSSERVATORIO DI PALERMO SI DO RISTRETTO DELLE OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE ESEGUITE Mib! | BAROMETRO TERMOMETRO CENT. VENTO NUVOLE €! €_crr_-_ rrr_r_ÎI___—rr r__.so—_—_—___I|. ____—"_ee=e=—r—yr—TF/}]/:|. - -T—- _— +86 ° Pe (osi x © © (Si Mesi È E E sle/.[{8|.a|s|sla ° £ o | Slii © |é o |Eel&|8 |a (fee ‘= s = i i a u=) = LA Ss a = SE LS) Pai & sl 2 E E CN {roi MN: = 3 || S E SBI SE | 5 c = = = nel fo) = = u=) N a = O = © n = 2A = = w = = > N acli E 2 EA Ss Ss = SÌ Sa È o è ° © = "a È s è (a (2 =i|> Q | A Q AQ o mm mm | mm 0 0 lo) | km | km l GENNALO NA I 764,43 | 15 [757,36 [747,01 | 28] 17,6 |A47| 10,86| 2,0 OSO | 9,8|43,0| N. || 71,6] 0,5 |41,4f fee Febbraro . . ....... 68,20 {13 | 36,17 | 46,46 | 20,|| 20,4 |27| 10,62| 1,7 OSO | 16,7 | 80,0 | NNE{|39,5 | 0,6 | 32,1 REV NOIZO RO 64,68 | 17 | 58,04 | 46,32 | 1|| 18,0 |21| 10,42| 2,6 NE |11,3| 441,5] E. [[34,7| 0,6 |{31,1Y fi&u ADLER E AZ 61,00 | 1| 52,36 | 35,73 | 13|| 25,3 5 13,44 ,7 4|| NE |11,5|541]| 0. [[50,5| 0,6 [273] [is Maggioni 62,57 |31| 52,05 | 42,82 |I1]| 32,2 {23]| 47,18] 9,5 NE |13,8| 46,3] O. ||44,8] 0,3 [23,9% fisiua GRIONO LEE 63,26 | 1]| 56,21 | 50,30] 22] 38,6 |20]| 24,65 | 14,6 NE |10,0|47,2| SO [|124]| 04 | 5% L4 | Lelio ee 60,48 | 2| 54,70] 47,93 {34|| 32,5 |30]| 26,02 | 17,7 NE | 9,9|42,3| O. ||[12,2] 0,5 | 6,3#.Bì ACOSTA OI 38,05 | 34] 53,72 | 47,90] 4] 32,5 |15| 24,27] 17,0 |23]| NE | 8,7|29,0| NO |{28,1| 0,6 | 15,77) pasne SCHembre REA 61,78 | 28| 56,61] 50,13 |14{{ 29,8 |23] 23,81] 17,0 |44|{ NE | 45] 40/050 {{23,3| 05 11,3f fe ; OKODEe ORO 59,82 | 18| 55,80 | 48,00|23]| 28,5 | 4 24,24 | 13,7 NE | 1,8] 6,0|NNE][47,6] 0,5 | 24,3f fitte NOVE BEE REA AR 64,14| 4| 51,32 | 38,38|20]| 22,9 [13] 15,10| 7,8 OSO | 2,2| 7,0| NO {|64,6| 0,6 | 38,4 e DICCI RON 59,73 | 8| 42,94| 40,18|21]| 261 | 3] 13,36| 6,4 OSO | 2,7] 8,0] OSOf|6s.>| 0,6 |40,9f fu LE SAR” mm mm Massimo 768,20 (16 febbraro). Escursione barometrica annua = 32,47 Massimo ) i Medio generale del barometro ! 754,45 Medio generale M trae Minimo 735,73 (13 aprile). Minimo a FB. La lonza del nunto ul Kino qualrimeate £ Agla a alma, nero il 40 come Lorza mobima. {E PIOGGIA :LL'’ANNO 41874 NEL REAL OSSERVATORIO DI PALERMO GIORNI CON "fd _r—_—_—____——P——_____P__PP—P_ ______ cl I ill E = (db) = j DI .S GIRONI MO VIOISH 3a VENTO FORTE Tuoni Es È È E 5 Go S mm. |.4.5.6.8.9.13.17.18.19,27.28.29.30.31. 146,04 || 5.8.17.28.29. » 929, 29 .2.3.4.5.9.10.41.45.17.18.19.20.21.22.23.24,28. 59,23 2.3.4.5.9.10.11.16.18.19.20.21.22.28| 2.14.18 34, | 2.41.20 .2.3.4.6.9.40,11.12.13.14.16.20.24.25.26. 36,93 || 1.2.13.14.21.22, 44. 13.44.| 3A4. |.7.8.9.41.43.44.15.16.17.25.80. 55,67 || 8.6.7.8.14.14.29. 11.16.25. | » 16. }.8.10.11,12.14.15.22.24.25.26.27. 99,87 |] 3.8.9.40.11.12.13.14.16.17.27. 40.41. » 11. O » 22.28.30. » » » d 0,19 || 26.30.31. » » » 2.3.19,21,22,23. 36,34|| 1,20. 1.2.3.19. » 3 14.47.22. 19,43|| » 14.47 Ò 14. .13.16.20,22.24.26.27,30.31. 19,37 || 25.26. 20. Sì > .6.7.8.9.11.12.13.144.145.16.47.18.19.20 21.22.23,24.25.26.27.28.| 98,17 || 8.0.43.45.16.17.18.19.20,21. 16.21. » 15.16.24 |.5.6.10.14.12.13.1 :.15.16.20.21,22,23.24.25.26.28.29.30.31. 139,87 || 2.3.4.8.9.10.12.13.16.17.21.22. » 21. 31. 7AIAA O) ‘ 38,6 (20 giugno). (o) Escursione termometrica annua=36,9 | Massima forza del vento km. 80,0 alle I termometro 17,72 3h 1,7 (13 febbraro). p. m. del 2 febbrajo Pioggia totale=711 11. II Direttore Socio G. CACCIATORE LIBRI PERVENUTI IN DONO ALL'ACCADEMIA >= CoxFoRTI Avvocato PASQUALE, (Socio) La canizie de’ Magistrati Italiani. Cosenza, 1875. DE SPucHES GIUSEPPE, (Socio) Elegie ed Epigrammi Greci. Palermo, 1875. Vico LEONARDO ed HoLw, A. (Socj) Sul vero sito della vetusta Sifonia. Palermo, 1875. CurtI Avvocato P. A., (Socio) Madama di Celan. Vol. due. Milano, 1875. 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